Inutile negarlo: Trump ci stava dando veramente un sacco di soddisfazioni! In pochi, prima di lui, avevano perseguito con così tanto entusiasmo l’idea di fare per accelerare il declino; la decisione di concentrare tutta la sua violenza comunicativa contro la deriva woke degli amministratori delle colonie sembrava veramente una manna dal cielo: per 30 anni il neoliberismo è riuscito a rapinare la gente comune per arricchire una manciata di oligarchi (senza, per questo, trovarsi un giorno sì e l’altro pure folle inferocite sotto casa) proprio giocando sulla polarizzazione intorno ad alcuni temi secondari e di facciata. Ora, finalmente, questa potente arma di distrazione di massa sembrava rivolgersi contro le stesse classi dirigenti dell’imperialismo, che decidevano di auto-sabotarsi facendosi una guerra intestina a suon di divisioni sulle cazzate, mentre il Mondo Nuovo avanzava inesorabile. Proprio come le élite ci hanno asfaltato cavalcando, per decenni, ogni opportunità di creare zizzania tra le classi popolari, così ogni opportunità di creare zizzania – questa volta all’interno delle stesse élite – va cavalcata senza tentennamenti, a prescindere da quanto grossa sia la vaccata; e la vaccata di ieri non ha pari: “L’Unione europea è stata creata per fregare gli Stati Uniti” è arrivato addirittura ad affermare Forrest Trump, “Questo è il suo scopo, e hanno fatto un buon lavoro”.
Re Donald non è nuovo ai ribaltamenti della realtà (manco fosse un Mario Draghi qualsiasi); a questo giro, però, l’ha proprio buttata fuori dal vaso: la crescita economica degli USA (in generale) e delle sue oligarchie (in particolare), soprattutto negli ultimi 15 anni, è dipesa in buona parte dal saccheggio sistematico effettuato nei confronti in particolare proprio del vecchio Continente, che spende tutti i dollari che guadagna esportando più di quanto non importi per comprare le azioni delle grandi corporation statunitensi e i titoli del debito che gli Stati Uniti usano per minacciarci con le loro basi. Risultato: prima delle grande crisi del 2008, tra le 10 persone più ricche del pianeta c’erano 3 statunitensi e 3 europei; oggi sono 9 statunitensi e un solo europeo, che ha pure recentemente dichiarato che l’Europa non gli va più a genio e che ora che alla Casa Bianca c’è il suo amico Donald, trasferirà anche lui negli USA baracca e burattini.
Nella realtà parallela di Forrest Trump, invece, sarebbe arrivata l’ora di risarcire gli USA e saranno dazi amari: “Abbiamo preso una decisione e la annunceremo molto presto” ha dichiarato Trump; “Sarà del 25% in generale e, soprattutto, sarà sulle auto”, un braccio di ferro che, come abbiamo già commentato nei giorni scorsi, ha portato per la prima volta addirittura il papabile prossimo cancelliere tedesco a parlare apertamente di “indipendenza dagli Stati Uniti” come “priorità assoluta”. Ovviamente Merz non si riferiva all’indipendenza da Wall Street e dalle oligarchie USA, ma esclusivamente all’indipendenza dal Pentagono per difendersi dalla minaccia immaginaria di Mosca, che è un obiettivo perseguito anche dall’amministrazione Trump; ciononostante, si tratta di un livello di scontro mai visto prima, anche se la luna di miele tra le due sponde dell’Atlantico era risultata piuttosto controversa anche durante il primo mandato di Re Donald: “Le osservazione del signor Merz” ricorda infatti il New York Times “ricordano quella rilasciate nel 2017 dall’allora cancelliera Angela Merkel: i tempi in cui potevamo contare completamente gli uni sugli altri, aveva dichiarato, sono in un certo senso finiti e gli europei devono prendere il loro destino nelle loro mani”. Lo strappo, però, nel tempo pareva essersi ricucito quando alla Merkel, in Germania, è subentrato Olaf Scholz e alla Casa Bianca è sbarcato Joe Biden; da allora, gli USA sono tornati a prendersi cura dell’Europa (pure troppo): hanno scatenato una guerra per procura ai confini dell’Ue, che ne ha definitivamente devastato l’intera economia. Non sempre le attenzioni sono gradite, diciamo…
Ovviamente, indulgere in troppe aspettative potrebbe essere fuorviante: le due sponde dell’Atlantico non arriveranno mai a rompere la sacra alleanza dell’imperialismo neocolonialista; per romperla, infatti – tanto per iniziare – si dovrebbe trattare effettivamente di un’alleanza tra Stati sovrani; e, invece, qui di Stati sovrani ci sono solo gli USA, e l’alleanza è un semplice rapporto di vassallaggio. La creazione di minacce immaginarie (come Putin che vorrebbe conquistare l’Europa) serve solo agli analisti al soldo della propaganda per dissimulare questa semplice realtà: “Non esiste una vera alternativa alla garanzia di sicurezza degli Stati Uniti” dichiarava ancora oggi al New York Times la direttrice del Geopolitics and Security Studies Center di Vilnius; “Dichiarare che la relazione transatlantica è crollata sarebbe come scendere da una nave in mezzo all’Oceano senza nessun’altra imbarcazione in vista e, quindi, l’Europa deve ingoiare le critiche a Trump e fare di tutto il possibile per mantenere intatta la relazione”. Il tira e molla serve soltanto a moderare la strategia di Trump, che l’ex funzionario del dipartimento della difesa Matthew Kroenig definisce di resa strategica, che sta “rendendo la Russia un alleato più potente, assertivo e attraente per gli avversari dell’America in tutto il mondo”: invece che rottura dell’alleanza transatlantica, sarebbe forse più idoneo definirla una sorta di guerra civile che vede contrapposte due fazioni di un’oligarchia che ha il portafoglio un po’ in tutto il pianeta, ma la testa saldamente ancorata a Wall Street. Come lo chiama Daniela Gabor, il Wall Street Consensus, che ha già tanti problemi e tante contraddizioni di suo a partire dal fatto che si è dimostrato incapace di vincere una guerra guerreggiata contro la Russia, come anche una guerra economica contro la Cina, ma che da questa violentissima guerra civile potrebbe uscire definitivamente devastato.
La guerra civile è una tana che libera tutti: i primi a provare ad approfittarne, velocizzando ulteriormente il processo, sono stati francesi e britannici. La fuga in avanti di Macron, con l’appoggio di Starmer, è avvenuta lunedì scorso con una missione spregiudicata a casa Trump all’insegna dell’opportunismo e della mancanza di dignità, e viene ribadita proprio oggi dal viaggio a Washington di Starmer: durante l’incontro di lunedì, Macron aveva offerto a Re Donald la disponibilità a farsi carico dell’invio di truppe europee in Ucraina; Trump l’ha perculato per benino (come fa sistematicamente) affermando non solo che per gli USA era un’ottima soluzione, ma che sicuramente anche Putin di persona personalmente non vedeva l’ora. Ovviamente, da Mosca è arrivata subito la smentita: lo schieramento immediato di forze di peacekeeping propedeutico all’avvio ufficiale dei negoziati, ha affermato Lavrov, “non è altro che un inganno. Non possiamo dare l’assenso a una pausa che mira soltanto a un obiettivo: continuare a pompare armi in Ucraina”.
Il blitz franco-britannico segna la fine dell’Unione europea come interlocutore, se mai c’è stato un inizio, un esito ritratto plasticamente dal plateale schiaffo diplomatico che il Segretario di Stato Marco Rubio ha riservato all’alto rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas, che è volata in fretta e furia a Washington solo per vedersi cancellare un incontro programmato da settimane; doveva essere il primo bilaterale USA-Ue dopo il vertice di Monaco, durante il quale il vicepresidente JD Vance aveva trollato Bruxelles dicendo ad alta voce quello che tutti pensano: la storia della libertà di parola in Europa, ormai, è una leggenda metropolitana. Il tentativo di rompere ogni residuo di capacità di parlare con una sola voce da parte dei partner europei, quindi, è palese e plateale: che i britannici ne approfittino al volo, è pacifico; la novità, al limite, è la sfacciataggine con la quale cerca di approfittarne Macron, quello dell’autonomia strategica. Fallita la sua auto-candidatura a diventare il nuovo leader europeo approfittando della crisi tedesca, da un lato, e dei Paesi della nuova Europa che tanto piacciono ai NeoCon, dall’altro, Parigi prova il piano B: caro Donald, rinunciamo a ogni residua velleità di grandeur, ti siamo vassalli, ti diamo una mano a radere al suolo l’unione, ma poi, almeno, ricordati degli amici. Paradossalmente, a stizzirsi di più è il governo meno europeista e più trumpiano di tutti: il nostro; “Il presidente di una Nazione comunitaria e quello di una Nazione extra-comunitaria vorrebbero inviare contingenti europei” ha tuonato su X Guido Crosetto, ma gli eserciti “non si inviano come si invia un fax per un comunicato stampa. Soprattutto quelli di altre nazioni”.
La guerra intestina a chi è il primo della classe tra le finte potenze europee è tanto più imbarazzante in quanto, comunicazione a parte, l’amministrazione Trump sta palesando tutta la sua inconsistenza; come scrive su L’Antidiplomatico la nostra Clara Statello, l’accordo tra Casa Bianca e Kiev è decisamente meno conveniente del previsto: “Nel testo che verrà firmato domani a Washington scompaiono le compensazioni da 500 miliardi di dollari richieste dal presidente Donald Trump e l’Ucraina riesce ad ottenere lo status di partner statunitense” . La vecchia proposta statunitense formulata da Scott Bessent, con condizioni che il Daily Telegraph aveva definito “più gravose delle riparazioni di guerra imposte alla Germania col trattato di Versailles” e che un funzionario della Casa Bianca, parlando all’agenzia Axios, aveva definito addirittura “un panino alla merda”, è stata rimandata al mittente e anche delle fantomatiche elezioni che avrebbero dovuto sancire definitivamente la fine della dittatura di Zelensky, al momento, non c’è più traccia.
Ma chi ha spinto Trump a riformulare in modo così radicale le promesse iniziali? Di sicuro non l’Europa, che non esiste; e di sicuro non Zelensky, che sta in piedi solo per accanimento terapeutico: secondo numerosi analisti, il punto è che i 500 miliardi di Bessent, come le infinite risorse che negli ultimi 2 anni ha continuato a citare l’ultras colonialista Lindsay Graham, non sono mai esistiti. La nuova formulazione dell’accordo, allora, prevede (in modo molto più generico) l’istituzione di un fondo comune tra ucraini e statunitensi dove Kiev metterà “il 50% di tutti i ricavi derivanti dalla futura monetizzazione di tutte le risorse naturali e delle infrastrutture di proprietà diretta o indiretta del governo ucraino”: per raggiungere un valore vicino ai 500 miliardi millantati da Trump, diciamo, nell’arco di una ventina di anni – tenendo conto dell’ammortamento degli investimenti, dell’inflazione, del rischio e di tutte le altre variabili che si prendono in considerazione in questi contesti – le nuove miniere e le nuove estrazioni dovrebbero fruttare svariate decine di miliardi l’anno, se non un centinaio. Se consideriamo, poi, che il grosso delle riserve di minerali e idrocarburi ucraini sono su territorio conquistato dai russi, questo significa che per fare tornare minimamente i conti, rispetto alle condizioni precedenti il 2022 l’Ucraina dovrebbe rivelarsi magicamente uno dei Paesi in assoluto più ricchi di risorse sfruttabili del pianeta (molto più di Arabia Saudita e Australia, per intenderci), cosa che sembra un po’ inverosimile per un Paese che prima dell’inizio dell’operazione militare speciale aveva un PIL di circa 200 miliardi di dollari. Per magia, dovrebbe sostanzialmente triplicare il PIL; la Cina, che è il più grande miracolo economico della storia dell’umanità, per triplicare il PIL nel momento di maggiore crescita ha impiegato una decina di anni.
Ora, è vero che a Trump (molto banalmente) piace sparare cazzate e, in particolare, come sottolineava un corsivo ieri sul Financial Times, piace questa cifra dei 500 miliardi: sono 500 i miliardi che saranno investiti nell’AI nell’ambito del progetto Stargate, sono 500 i miliardi che i sauditi avrebbero promesso di investire negli USA e sono sempre 500 anche quelli promessi negli ultimi giorni da Apple, ma al di là della cifra tonda, che fa tanto comodo a una comunicazione efficace (nella quale Re Donald, indubbiamente, ci è maestro), qual è la sostanza che potrebbe nascondersi dietro questa ennesima vaccata? Secondo la mitica Susan Weber di Naked Capitalism, “Mentre il grosso dei commentatori vedono nell’accordo sui minerali ucraini una fanfaronata, io invece ci vedo un modo per Trump per giustificare e ottenere finanziamenti per protrarre l’impegno degli Stati Uniti, anche se a un livello inferiore rispetto a quello sotto Biden, dissimulandoli sotto la formula di un prestito”; insomma: un pretesto per continuare la guerra. “Avere un interesse economico nella sopravvivenza dell’Ucraina” scrive la Weber “darebbe all’amministrazione una ragione per continuare a farla combattere. Più territorio può detenere lo Stato ucraino, più gli Stati Uniti possono saccheggiare”. Come sottolinea anche il noto profilo X AdameMedia, siamo passati dalla “pace entro 24 ore” alla “tregua entro poche settimane” a “possono continuare a combattere per i loro minerali. Trump ha mentito”: probabilmente è un giudizio eccessivo; sicuramente, però, la guerra civile tra oligarchie USA sta mettendo in luce tutti i limiti dell’annuncite di Forrest Trump.
Ancora stamattina, Il Sole 24 Ore ricordava (per l’ennesima volta) come da gennaio scorso, per la prima volta non so da quanto tempo, i mercati finanziari europei stanno andando decisamente meglio di quelli statunitensi, che sono in ritirata: puoi mettere in ginocchio tutta l’Europa in poche ore, ma mettere in ginocchio BlackRock per dare le chiavi del nuovo regno a Musk e alla Paypal Mafia potrebbe essere decisamente più complicato. Che è esattamente il motivo per cui potremmo avere una gigantesca opportunità, finalmente, per mandare TUTTI A CASA: il declino dell’imperialismo ha trasformato l’Occidente collettivo in una terra di nessuno governata da scorribande e improvvisazione; come spesso accade, di fronte a una guerra persa rovinosamente l’ordine costituito è nel panico e i tentativi di salvarlo con una rivoluzione gattopardesca come quella di Trump vanno dal patetico al delirante, come il video sulla striscia di Gaza che come per magia diventa la nuova Dubai. L’arma più efficace a disposizione dell’1% in preda al caos e al panico sono diventati i meme…
E’ arrivato il momento di mettere insieme tutti quelli che non hanno responsabilità in questa patetica disfatta e mandarli TUTTI A CASA: per farlo, ci attendono mesi di duro lavoro; e, perché funzioni, ci serve prima di tutto un vero e proprio media che dia voce alla riscossa del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Elly Schlein