La Cina reagisce all’aggressione della NATO e di rimbamBiden con portaerei e crescita economica
Un piano da guerra fredda: così il virgolettato a piena pagina con il quale il Corriere della serva riassumeva il summit NATO di Washington che si è concluso ieri; le parole sono del solito Stoltenberg che prima di lasciare il posto al successore ha voluto ribadire la sua aspirazione a compensare le intemperanze giovanili tra le fila della sinistra antimperialista accennando a quello che ha definito – appunto – il più vasto piano di difesa dalla guerra fredda. Mentre registriamo questo pippone non abbiamo ancora la versione ufficiale della risoluzione finale, ma tutti i media mainstream ieri pomeriggio davano per scontato che il summit sarebbe dovuto servire per mettere un eventuale Trump vincitore delle presidenziali di novembre di fronte al fatto compiuto di una roadmap irreversibile per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO; tradotto: come sosteniamo dal febbraio 2022, l’idea che la guerra in Ucraina è soltanto uno dei fronti della guerra globale dell’impero contro il resto del mondo e che non potrà risolversi fino a che non finiscono di incendiarsi anche tutti gli altri fronti, e alla fine qualcuno vince.
L’impegno principale per provare a permettere all’Ucraina di resistere ancora un po’ alla superiorità militare russa riguarda gli F-16: secondo Zelensky ne servirebbero 130; per ora ne hanno promessi una quarantina. E’ un buon inizio, anche se ancora non si capisce chi li piloterà e come faranno a tenere al sicuro le infrastrutture necessarie per farli decollare e per mantenerli operativi. Come ricorda John Helmer sul suo blog, infatti, negli ultimi giorni “Il comando russo ha lanciato una nuova serie di attacchi missilistici contro gli aeroporti ucraini di Voznesensk e Mirgorod dove è previsto lo spiegamento degli F-16”; per aumentare la capacità di proteggerli, al summit sono state promesse diverse altre cose e l’Italia di Giorgia la patriota ha deciso di fare la sua parte: manderemo un altro sistema Samp-T e così rimarremo totalmente in balìa degli eventi, che non è proprio rassicurante perché nel frattempo, a quanto pare, ci staremmo attrezzando per ospitare sistemi missilistici a lungo raggio che la Russia non può che vedere come una minaccia più o meno diretta e che, in caso di ulteriore escalation (che è più facile avvenga che no), potrebbe considerare bersagli diretti. A quel punto, a difenderci ci sarebbero sostanzialmente soltanto – come sottolinea l’ex carabiniere Claudio Antonelli su La Verità – “missili Patriot che” però “non sono nostri ma sono dislocati in alcune basi NATO lungo la penisola”; tradotto: siamo totalmente in balìa di altri, dai quali dipendiamo completamente e dai quali non ci potremmo mai distinguere, pena diventare più vulnerabili di un gatto in tangenziale. Al che uno pensa: chissà i patrioti de La Verità come la prenderanno male ‘sta cosa! Macché: brindano felici. Il punto è che in cambio, a quanto pare, potremmo ottenere la nomina di un inviato speciale speciale per l’Africa e il Medio Oriente e che la scelta potrebbe ricadere su un italiano; insomma: i patrioti de La Verità accettano con gioia di “allinearsi ad est, ma almeno in cambio arriva un primo riconoscimento utile”. Ci riprenderemo l’Abissinia.
Visto che pretendere di essere uno stato indipendente e sovrano pare troppo, il sovranismo da balera accoglie con entusiasmo l’idea di diventare finalmente davvero la portaerei dell’imperialismo USA nel Mediterraneo e, in cambio, spera di ottenere qualche concessione coloniale; peccato che le colonie la vedano un po’ diversamente: come ricorda Foreign Policy infatti, sabato scorso “Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato di aver formalizzato la loro Alleanza degli Stati del Sahel, giusto un giorno prima che il blocco regionale della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) tenesse un vertice nella capitale della Nigeria, Abuja, per discutere le modalità per riportarli nell’ovile”.
La beffa è che, ancora una volta, tutto questo sforzo che facciamo esponendoci senza ottenere niente in cambio con ogni probabilità servirà a poco o niente: “Il pacchetto di armi annunciato dalla NATO” ha commentato David Salvo del German Marshall Fund “aiuterà a mitigare la superiorità aerea russa, proteggendo città e infrastrutture civili, ma non certo a riconquistare territori”; più che a aumentare le possibilità di vittoria in Ucraina, tutta l’operazione in realtà sembra di nuovo volta a rendere l’Europa ancora più vulnerabile e ricattabile e costringerla, così, a contribuire a un altro fronte del quale sinceramente non ce ne potrebbe fregare di meno. Con la partecipazione straordinaria di Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda, il summit per celebrare i 75 anni dell’alleanza atlantica infatti è servito più che altro a formalizzare l’idea che la Cina, insieme all’Iran e alla Corea del Nord, rappresentano “un pericolo per l’Europa e la sicurezza” e l’unico modo per mettersi al sicuro è trasformare definitivamente la NATO, da alleanza difensiva per proteggere l’Europa, in un grande esercito globale a guida USA pronto a dispiegarsi ai 4 angoli del pianeta per ingaggiare una guerra totale contro chiunque si azzardi ad avanzare critiche contro la dittatura suprematista dell’ordine neoliberale: “A medio termine” chiarisce ancora John Helmer “il blocco NATO diventerà globale” e avanzerà “direttamente ai confini della Cina e dell’estremo oriente della Russia”. Peccato, però, che nessuno ce li voglia: il piano per l’accerchiamento della Cina, infatti, non sta riscontrando tutto questo successo. La prova provata è stato il finto summit per la pace in Ucraina che si è tenuto in Svizzera: a parte le semi-colonie USA, i paesi asiatici – nella migliore delle ipotesi – c’hanno mandato qualche funzionario di quart’ordine che voleva andare a respirare un po’ d’aria di montagna e nessuno ha firmato la risoluzione finale; nel frattempo piuttosto, paesi un tempo considerato fedeli alleati – dalla Thailandia alla Malesia – hanno fatto richiesta formale di adesione ai BRICS+. Ma tra tutte le innumerevoli defezioni, ce n’è una in particolare che pesa più di tutte: è quella dell’India di Modi che, ormai, sembra quasi divertirsi a triggerare le ex potenze coloniali; mentre a Washington si celebrava il summit NATO infatti, Modi, per la prima volta per un presidente indiano, ha scelto come destinazione per la sua prima trasferta ufficiale da presidente neoeletto, invece che un paese del sud asiatico, nientepopodimeno che la Russia del plurimorto dittatore e quando è atterrato ci mancava giusto si infilassero la lingua in bocca. Pochi giorni prima, Russia e India si erano sedute fianco a fianco al tavolo della Shanghai Cooperation Organization, dove avevano sdoganato ufficialmente tutti insieme appassionatamente un altro Stato considerato dell’imperialismo unitario uno stato canaglia come la Bielorussia.
Con l’India che fa i capricci e segna platealmente i paletti della sua indipendenza e sovranità, la strategia nell’est asiatico degli USA è costretta a una cambio di rotta piuttosto imponente; una volta esisteva il concetto inventato ad hoc dell’impero dell’Indo-Pacifico e il QUAD, la rete delle alleanze a guida USA incentrata – appunto – sull’India. Di questo passo, di Indo-Pacifico finalmente, come per magia, non sentirete più parlare: tutta la partita si sposterà ancora più verso est e, al posto del QUAD, come l’ha ribattezzato Andrew Korybko, sentirete parlare dello SQUAD, con un colosso come l’India sostituito da un peso piuma come le Filippine: non esattamente un progresso, diciamo. D’altronde, come ricorda anche (in un momento di rara lucidità) il sempre pessimo Stefano Stefanini su La Stampa, “Modi sta al gioco americano nel contenimento della Cina, ma non su questioni nelle quali ritiene che l’interesse nazionale indiano sia diverso dalle posizioni USA e europee. Ed è ormai abbastanza chiaro che questo atteggiamento sull’Ucraina sia condiviso da molti Paesi del Sud globale. Facciamocene una ragione” sottolinea realisticamente; tutto questo “non cambierà”, dall’India, all’Arabia Saudita. Secondo Bloomberg infatti, nonostante il vento di rinascimento renziano che spira dalla petromonarchia, i sauditi “avrebbero lanciato un altolà: se G7 e Ue sequestrano le ricchezze della Russia, l’Arabia Saudita potrebbe rifiutarsi di comprare titoli del debito francese e di altri Paesi europei (Italia inclusa)”; e la Cina dà più di un segnale di essere in grado di approfittare di questo allontanamento di tanti paesi considerati amici fino a ieri dal centro imperiale: in questi giorni, infatti, a largo dell’Isola giapponese di Miyako si sta tenendo una grande esercitazione internazionale capitanata dagli USA e che vede l’impiego di 40 navi di superficie, 3 sottomarini, 150 aerei e oltre 25 mila uomini in uniforme. Lo scopo dell’esercitazione – hanno affermato ufficialmente gli USA – è quello di “scoraggiare e sconfiggere l’aggressione da parte delle maggiori potenze in tutti i settori e livelli di conflitto” e il tutto si dovrebbe concludere col tentativo di affondare una nave statunitense in pensione da 40 mila tonnellate: un monito esplicito verso la Cina, visto che è l’unico paese (oltre gli USA) a possedere navi da guerra di questo tipo in quell’area di Pacifico, ma che non sembra aver spaventato troppo Pechino; in concomitanza con l’esercitazione imperiale, l’esercito di liberazione popolare infatti ha deciso di rilanciare e ha avviato un’altra esercitazione che vede coinvolta la portaerei Shandong scortata dal cacciatorpediniere lanciamissili Type 055 Yanan, dal cacciatorpediniere Type 052D Guilin e dalla fregata lanciamissili Type 054A Yuncheng.
Che prima o poi qualcosa vada storto è piuttosto verosimile e, con il clima che corre, evitare reazioni eccessive potrebbe essere piuttosto complicato; e in Giappone in diversi cominciamo a esprimere più di qualche perplessità: ovviamente l’insofferenza verso i venti di escalation, come sempre, parte da Okinawa, dove gli oltre 30 mila effettivi delle forze armate americane hanno una lunga tradizione di soprusi e di incomprensioni con la popolazione locale. Ultimamente la faccenda, però, rischia di sfuggire di mano un po’ come ormai quasi 30 anni fa, quando (nonostante i tentativi di censura) venne a galla la notizia dello stupro di gruppo da parte dei Marines di una bambina di 12 anni e i locals non la presero esattamente benissimo, diciamo: l’ultimo episodio risale al 25 giugno scorso, quando i media locali hanno pubblicato la notizia di un altro tentativo di stupro risalente a qualche mese prima; 3 giorni dopo è emersa la notizia di un altro tentativo di stupro. In entrambi i casi, i vassalli USA hanno cercato di nascondere la notizia e quando emersa è scoppiato un macello: “Ci hanno detto per decenni che l’esercito americano è qui per proteggerci” avrebbe affermato una delle leader delle mobilitazioni al South China Morning Post, “ma è vero il contrario. La gente è furiosa e spero che questo possa essere il punto di svolta per le basi di Okinawa”; e non è certo l’unico ostacolo alla militarizzazione del Giappone: “Le forze armate giapponesi non hanno mai combattuto una vera guerra” scrive Grant Newsham su Asia Times, “ma lo scorso anno sono riuscite comunque a subire una sconfitta schiacciante: hanno mancato del 50% gli obiettivi di reclutamento. L’anno prima, del 35%. E si sono confermate una forza vecchia, a corto di personale e oberato di lavoro”.
Insomma: anche a questo giro gli eredi del mascellone dimostrano di aver un fiuto infallibile per la cause perse e per le scorciatoie che portano inesorabilmente il paese allo scatafascio e non è certo questione di sinistra ZTL o finto-sovranisti, come dimostra il paese che – forse più in assoluto – sta vivendo un declino di una rapidità inimmaginabile, il capostipite di ogni colonialismo, il Regno Unito. Contro l’avanzata in tutto il vecchio continente delle destre reazionarie, in Inghilterra la settimana scorsa s’è affermato il labour, depurato da quello sprazzo di speranza che era stato per tutti noi il caro vecchio Jeremy Corbyn: alla faccia della democrazia, col 35% scarso dei voti ha conquistato il 65% dei seggi, che consegnano il paese a uno dei personaggi più repellenti della politica contemporanea, l’insostenibile Keir Starmer, persecutore di Assange in combutta con i servizi USA, fervente sostenitore dello sterminio dei bambini palestinesi, fiero oppositore di ogni ipotesi di tassazione dei super-ricchi e che ha inaugurato il suo nuovo incarico con un video super-cringe sui social dove si vede lui al telefono con Biden confabulare su cos’è necessario fare per ingaggiare la guerra contro la Cina nel Pacifico e che, nel suo debutto al vertice NATO, ha dato l’autorizzazione ufficiale a utilizzare missili inglesi per attaccare direttamente la Russia.
Il più pulito c’ha la rogna e sarebbe il caso di provare seriamente a mandarli tutti a casa prima che sia troppo tardi; per farlo, prima di tutto, ci serve un vero e proprio media che ribalti come un calzino la loro patetica propaganda e che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Tony Blair
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