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G20: l’umiliazione dell’unilateralismo e il mondo parallelo dei pennivendoli

L’assenza di XI Jinping sarebbe un segnale diretto a Biden: passare dalle parole ai fatti

Il giornale: G20, ecco la via delle spezie. La regia USA fa fuori Pechino.

La Stampa: un rotta dall’India a Venezia, gli USA danno scacco alla Cina.

Repubblica: Biden e Modi isolano Xi, ecco il nuovo corridoio India – medio Oriente contro la via della seta.

I mezzi di produzione del consenso del partito unico della guerra e degli affari, non hanno dubbi: dopo gli incredibili successi della controffensiva Ucraina, e il definitivo crollo dell’economia cinese, al G20 il nord globale è tornato in grande stile a dettare l’agenda globale. Indiani e sauditi hanno ritrovato il lume della ragione, hanno scaricato le velleità del fantomatico nuovo ordine multipolare, e sono tornati ai vecchi costumi: elemosinare una qualche forma di riconoscimento dall’Occidente globale. I rapporti commerciali con la Cina ormai sono roba da boomer e l’aria fresca di rinascimento che spirava dalle petromonarchie ai tempi di Renzi è tornata a soffiare più forte e ora irradia tutta la sua energia fino al subcontinente indiano.

L’Italia è pronta a raccoglierne i frutti: basta Cina, il futuro parla sanscrito, e se usciamo dalla via della seta non è perché ce lo ha imposto Washington, ma perché guardiamo lontano, laddove lo sguardo di voi complottisti sul libro paga di Putin e Xi, non riuscite manco ad avventurarvi.

Ma siamo proprio proprio proprio sicuri che questa narrazione sia anche solo lontanamente realistica?

“C’è un’immagine che più di tutte testimonia quanto accaduto durante il g20 di Delhi”, scrive Stefano Piazza su La Verità, “il presidente americano joe biden sorridente, stringe la mano al principe ereditario saudita mohammed bin salman insieme al padrone di casa Modi”.

Non ha tutti i torti.

Quella effettivamente è un’immagine decisamente potente. Peccato che simboleggi in modo plateale esattamente il contrario di quello che la propaganda suprematista sta cercando affannosamente di di farci credere. È la prova provata che ormai l’ameriCane abbaia, ma quando poi prova a mordere si accorge che gli mancano i denti, e allora si mette a scodinzolare. Se c’è un Paese che negli ultimi due anni ha dimostrato in modo evidente che il bastone a stelle e strisce non fa più poi così tanto male, infatti, è proprio la petromonarchia saudita. Cinque anni fa, Biden aveva inaugurato la sua campagna elettorale definendo il principe ereditario Bin Salman addirittura un pariah. Ma negli anni successivi, i sauditi non hanno fatto assolutamente niente per compiacere il vecchio alleato, anzi…

Quando è scoppiata la seconda fase della guerra per procura della Nato contro la Russia in Ucraina, nonostante tutti i corteggiamenti, i sauditi hanno evitato sistematicamente di emettere una qualunque parola di condanna.

Quando la Russia ha chiesto all’OPEC+ di tagliare la produzione per tenere alto il prezzo del greggio, i sauditi hanno subito appoggiato l’iniziativa. Biden ha provato a dissuaderli, chiamandoli direttamente al telefono. Non gli hanno manco risposto ed era solo l’antipasto. Grazie alla mediazione cinese, pur di affrancarsi dalle strumentalizzazioni USA, pochi mesi dopo i sauditi sono tornati addirittura ad aprire i canali diplomatici con l’arcinemico iraniano, mettendo così le basi per la fine della pluridecennale guerra per procura in medio Oriente che è sempre stato in assoluto il pilastro fondamentale della politica estera USA per tutta l’area ed oltre. Dopodichè i sauditi hanno finalmente preso atto del totale fallimento dell’intervento USA in Siria, e hanno accolto a braccia aperte il ritorno di Assad nella Lega Araba. Subito dopo hanno inferto un colpo micidiale ad un altro degli assi portanti dell’imperialismo USA: la dittatura globale del dollaro, nata e cresciuta grazie proprio all’adozione incondizionata dei sauditi della valuta a stelle e strisce come unica valuta internazionale, utilizzabile per la compravendita del petrolio. Per scolpire sulla pietra il fatto che questi epocali cambi di posizionamento non fossero solo capricci estemporanei, i sauditi hanno prima aderito alla Shanghai Cooperation Organization, e poi addirittura ai BRICS, addirittura fianco a fianco agli iraniani.

Fino a pochi anni fa, gli USA hanno raso al suolo interi paesi e sterminato centinaia di migliaia di civili a suon di bombe umanitarie per molto, molto meno. Dopo un anno e mezzo di schiaffi a due mani in Ucraina, eccoli invece qua, a stringere mani e a ostentare sorrisoni.

Che uno dice: chissà cos’hanno ottenuto in cambio. Una luccicante cippa di cazzo, ecco cos’hanno ottenuto. Meno di quello che avevano ottenuto a Bali.

La partita ovviamente era quella di strappare di nuovo un’accusa nei confronti della Russia per la guerra in Ucraina.

All’orizzonte”, scriveva Il Giornale Sabato, “il rischio concreto che per la prima volta nella storia di questo forum, nato nel 1999, non si riesca a trovare l’intesa per un comunicato condiviso da tutti i partecipanti”. Per qualche ora, questo è stato il tormentone; sono tutti uniti come un sol uomo nel condannare la Russia, ripeteva fino all’auto convincimento la propaganda, a parte Russia e Cina.

Il più spregiudicato nel raccattare l’ennesima figura di merda, come sempre, è l’infaticabile Mastrolilli su Repubblica: “approfittare delle assenze di Xi e Putin per isolarli allo scopo di contrastare, insieme, la sfida geopolitica epocale lanciata dalle autocrazie alle democrazie”

Gli articoli di Mastrolilli ormai assomigliano sempre di più ai testi prodotti dalle pagine tipo “generatore automatico di post di Fusaro”, o di previsioni di Fassino, che andavano di moda qualche anno fa. Ci infili dentro autocrazia, democrazia, Putin e Xi isolati, mescoli bene, ed ecco pronto l’articolo.

“Putin e Xi”, insiste Mastrolilli, “si sono coalizzati nel rifiutare il linguaggio di Bali. Europei e americani però”, notate bene, “non sono disposti a cedere, e il G20 rischia di chiudersi per la prima volta senza una dichiarazione finale”.

Ci prendessero mai, proprio almeno per la legge dei grandi numeri.

Alla fine infatti, come sapete, il comunicato congiunto in realtà è arrivato in tempi record. Al contrario delle previsioni di Mastrolilli, europei e americani non hanno dovuto semplicemente cedere, si sono proprio nascosti sotto al tavolo: nel comunicato finale non c’è nessun accenno alle responsabilità russe.

In realtà, c’era da aspettarselo; al contrario di Bali, a questo giro Modi di far fare a Zelensky il solito intervento da rock star non ne ha voluto sapere.

Zelensky, persona non grata. Come gli anatemi e i doppi standard del nord globale in declino.

I gattini obbedienti delle oligarchie Occidentali allora si sono messi all’affannosa ricerca di altri specchi sui quali arrampicarsi e l’attenzione non poteva che ricadere sull’unico aspetto che effettivamente suggeriva alcune difficoltà: la misteriosa assenza di Zio Xi.

E via giù di speculazioni acrobatiche. La prima l’avevano suggerita i giapponesi di Asian Nikkei, testata di grande spessore che noi seguiamo da decenni quotidianamente per le analisi economiche, ma che diciamo, ovviamente, non è esattamente del tutto imparziale quando si tratta di Cina.

Un lungo editoriale apparso giovedì scorso, suggeriva che la scelta di Xi di non presentarsi per la prima volta al G20 fosse dovuta a una guerra intestina al partito che vedrebbe i dirigenti più anziani sul piede di guerra contro il Presidente per le difficoltà economiche che il Paese starebbe attraversando. Ma, come ha sottolineato sabato mattina il nostro amico Fabio Massimo Parenti in diretta su La7, in quell’editoriale c’è qualcosa che non torna. L’articolo parla infatti di alcune fonti interne al partito, che ovviamente non è possibile verificare. Rimane però un dubbio: ma davvero ai massimi livelli del partito ci sono dirigenti così smaccatamente antipatriottici da andare a lavare i panni sporchi di casa direttamente nel lavello dell’arcinemico giapponese?

Per carità, tutto può essere. Ma diciamo che una cosa così palesemente antiintuitiva, per essere creduta, avrebbe per lo meno bisogno di qualche prova più tangibile, diciamo.

Macchè!

I nostri media se la sono bevuta tutta d’un sorso senza battere ciglio e il famoso “contesto mancante” a questo giro non li ha dissuasi.

Che strano…

Ma non è stata certo l’unica speculazione. Il fatto di per se, offriva un’occasione più che ghiotta per rilanciare il tormentone che ci aveva già sfrucugliato gli zebedei quando tutta la stampa era alla ricerca di narrazioni fantasy di ogni genere pur di sminuire la portata delle decisioni prese due settimane fa dai BRICS: l’insanabile divergenza tra i diversi paesi del sud globale, a partire da India e Cina.

Ci provano senza sosta da decenni. Prima erano le divergenze tra Cina e Vietnam, poi tra Cina e Russia, poi tra India e Cina. Intendiamoci, le divergenze ci sono eccome e lo ricordiamo sempre: è abbastanza inevitabile quando si ha a che fare con Paesi sovrani. Ognuno è guidato fondamentalmente dal suo interesse, e gli interessi diversi spesso e volentieri entrano in conflitto. Quando non succede è semplicemente perché uno impone i suoi interessi su tutti gli altri, come accade ad esempio nell’ambito del G7, dove Washington detta la linea e gli altri possono accompagnare solo, rimettendoci di tasca loro. Quello che, proprio a chi è abituato a fare da zerbino, non vuole entrare nella capoccia, è che la necessità storica di un nuovo ordine multipolare in realtà si fonda proprio su questo: Paesi sovrani con loro interessi nazionali spesso divergenti, intenti a costruire strutture multilaterali all’interno delle quali trovare dei compromessi attraverso il confronto e il dialogo tra pari. Rimane comunque il fatto che Xi al G20 non ci è andato e non è una cosa che può essere derubricata con due battutine.

Purtroppo però qui entriamo nell’ambito delle pure speculazioni. In questi giorni la redazione allargata di OttolinaTV su questo punto s’è sbizzarrita. Alla fine le interpretazioni un po’ più solide emerse sono sostanzialmente due:

La prima effettivamente ha a che vedere con i rapporti con l’India. Come scriveva giovedì scorso il Global Times, il nord globale guidato da Washington “ha cercato di provocare conflitti tra Cina e India usando la presidenza indiana per inasprire la competizione tra il dragone e l’elefante”.

“Gli Stati Uniti e l’Occidente”, continua l’articolo, “hanno mostrato un atteggiamento compiaciuto nei confronti di alcune divergenze geopolitiche, comprese quelle tra Cina e India. Vogliono vedere divisioni più profonde e persino scontri”. Ma proprio come la Cina, anche “Nuova Delhi ha ripetutamente affermato che il forum non è un luogo di competizione geopolitica” e quindi da questo punto di vista l’assenza di Xi sarebbe stata funzionale a impedire agli occidentali di strumentalizzare queste divergenze, e permettere al G20 di ottenere qualche piccolo progresso sul piano che dovrebbe essere di sua competenza: la cooperazione economica, in particolare a favore dei Paesi più disastrati. Da questo punto di vista il piano effettivamente sembra essere riuscito: il comunicato finale sottolinea esplicitamente che il G20 non è il luogo dove affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche.

Ma non solo…

Per quanto simbolici, i paesi del sud globale al g20 hanno portato a casa impegni ufficiali verso una riforma della banca mondiale a favore dei Paesi più arretrati e anche l’annuncio dell’ingresso ufficiale nel summit dell’unione africana. Tutti obiettivi che Delhi e Pechino condividono da sempre.

La seconda motivazione invece ha a che vedere col rapporto tra Cina e USA. Durante il G20 di Bali, la stretta di mano tra Biden e Xi aveva fatto parlare dell’avvio di una nuova distensione tra le due superpotenze. Nei mesi successivi però, a partire da quella gigantesca buffonata dell’incidente del pallone spia cinese e della cancellazione del viaggio di Blinken a Pechino che ne era seguita, le cose non hanno fatto che complicarsi. Da allora gli USA hanno provato ad aggiustare un po’ il tiro, gettando acqua sul fuoco della retorica del decoupling. Ma mentre i toni si facevano a tratti meno aggressivi, i fatti continuavano ad andare ostinati in tutt’altra direzione, a partire dalla guerra sui chip, per finire col recente divieto USA a investire in Cina in tutto quello che è frontiera tecnologica, dall’intelligenza artificiale al quantum computing. La Cina quindi, pur continuando a sfruttare ogni possibilità di dialogo, ha continuato a denunciare la discrepanza tra parole e fatti

da questo punto di vista, quindi, l’assenza di Xi a Delhi sarebbe un segnale diretto a Biden: caro Joe, co ste strette di mano a una certa c’avresti pure rotto li cojoni. Basta manfrine fino a che alle parole non farete seguire qualche fatto concreto. Volendo, con anche un avvertimento in più: per parlare con il resto del sud globale, non abbiamo più bisogno necessariamente di una piattaforma come quella del G20: Shanghai Cooperation Organization e BRICS+++ ormai sono alternative più che dignitose. A voi la scelta ora: se continuare ad avere un luogo dove discutere con il sud globale, oppure condannare il G20 all’irrilevanza.

Finite le nostre speculazioni, torniamo a quelle degli altri.

Come con la controffensiva ucraina, che andando come sta andando, costringe gli hooligan della propaganda a trasformare in vittorie epiche la conquista di qualsiasi gruppetto di case di campagna al prezzo di decine se non centinaia di vite umane e centinaia di milioni di attrezzatura militare, idem al G20, visti gli scarsi risultati, i propagandieri si sono sforzati in modo veramente ammirevole per provare ad arraparsi di fronte a un vero e proprio monumento alla fuffa.

“Ecco il nuovo corridoio india-medio oriente contro la via della seta”, titolava su repubblichina il solito Daniele Raineri, tra un articolo su qualche mirabolante vittoria ucraina e l’altro. Il progetto è così alternativo alla via della seta cinese, che approda nel pireo, che è dei cinesi. Di nuovo in sostanza ci sarebbe l’estensione della rete ferroviaria in Arabia.

A chiacchiere! A fatti, per ora, l’unico tratto ferroviario di una certa rilevanza in Arabia è quello lungo i 450 km che sperano Mecca e Medina. Un’opera monumentale, costruita dai cinesi.

E i cinesi infatti se la ridono.

Intanto, perché non capiscono bene in che modo questo fantomatico progetto andrebbe contro ai loro interessi. Come ha sottolineato il Global Times: “Per i paesi del Medio Oriente che parteciperanno all’iniziativa ferroviaria guidata dagli Stati Uniti, non vi è alcuna preoccupazione che i loro legami con la Cina si indeboliscano proprio a causa dell’accordo”.

Anzi: “la Cina ha sempre affermato che non esistono iniziative diverse che si contrastano o si sostituiscono a vicenda. Il mondo ha bisogno di più ponti da costruire anziché da abbattere, di più connettività anziché di disaccoppiamento o di costruzione di recinzioni, e di vantaggi reciproci anziché di isolamento ed esclusione”

Piuttosto, sottolineano i cinesi, il punto è che questi proclami andrebbero presi un po’ con le pinze.

“Non è la prima volta che gli Stati Uniti sono coinvolti in uno scenario “tante chiacchiere, pochi fatti””, ricorda sarcasticamente l’articolo, che insiste: “Durante l’amministrazione Obama, l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton annunciò che gli Stati Uniti avrebbero sponsorizzato una “Nuova Via della Seta” che sarebbe uscita dall’Afghanistan per collegare meglio il paese con i suoi vicini e aumentare il suo potenziale economico, ma l’iniziativa non si è mai concretizzata”.

“Da un punto di vista tecnico”, continua perculando l’articolo, “la decisione degli Stati Uniti di concentrarsi sulle infrastrutture di trasporto, un’area in cui mancano competenze, nel tentativo di salvare la loro influenza in declino nella regione, suggerisce che il piano tanto pubblicizzato difficilmente raggiungerà i risultati desiderati”.

Ma non c’è livello di fuffa che possa distogliere i pennivendoli di provincia italiani dal prestarsi a qualsiasi operazione di marketing imposta dal padrone a stelle e strisce

magari, aggiungendoci anche del loro. Perché in ballo al G20 c’era un’altra questione spinosa, l’addio dell’Italia alla via della seta, ancor prima di aver fatto alcunché per entrarci davvero, al di là delle chiacchiere.

Ma non temete, come scrive Libero, infatti, “Giorgia sa di avere un’altra chance. si chiama India”.

“Il commercio tra India e Italia”, avrebbe dichiarato con entusiasmo la Meloni, “ha raggiunto il record di 15 miliardi di euro. Ma siamo convinti di poter fare di più”. D’altronde, che ce fai con la Cina quando c’è l’India. Un Paese, che, come scrive il corriere della serva “per popolazione ed economia ha superato la cina”.

Non è uno scherzo, è una citazione testuale. Secondo il Corriere, l’India ha superato economicamente la Cina. Deve essere successo dopo che, come scriveva Rampini, l’altro giorno, gli usa hanno cominciato a crescere il doppio della Cina.

Quanto cazzo deve essere bello di mestiere fare il giornalista ed essere pagato per dire ste puttanate.

Ovviamente, come credo sappiate tutti voi che piuttosto che lavorare al corriere della serva preferireste morire di fame accasciati per terra a qualche angolo di strada, l’economia cinese è più di cinque volte quella indiana, e l’India ogni anno spende in importazioni meno di un quinto della Cina.

Ma non solo…

L’Italia, in India, quel che è possibile esportare in quel piccolo mercato lo esporta già. Nel 2022 abbiamo esportato beni e servizi per 5,4 miliardi. Più dell’Olanda che è ferma a 3,5 e poco meno della Francia, che è a quota 6,5. Insomma, in linea con le nostre quote di export

Discorso che invece non vale per la Cina dove l’Italia esporta per 18 miliardi, la Francia per 25, il Regno Unito per 35 e la Germania per 113 miliardi. Cioè, il nostro export totale è inferiore del 25% rispetto a quello inglese e francese, ma in Cina esportano rispettivamente i 50 e il 100% in più. Ancora peggio il confronto con la Germania: l’export tedesco è circa 2 volte e mezzo quello italiano, ma in Cina esportano 7 volte più di noi. Quando saggiamente avevamo deciso di essere l’unico paese del G7 che avrebbe aderito al memorandum della belt and road, era per recuperare questo gap. Dopo la firma non abbiamo mosso un dito, e ora rinunciamo a una crescita potenziale di svariate decine di miliardi di export, e ci raccontiamo pure che li sostituiremo con i 2 o 3 miliardi in più che potremmo guadagnare dall’India.

Ora, io non ti dico di finanziare un vero think tank indipendente coi controcazzi invece di affidarti a quelli a stelle e strisce e in Italia dare i soldi a Nathalie Tocci per trasformare l’istituto affari internazionale nel milionesimo ufficio stampa di Washington e delle sue oligarchie finanziarie.

Ma almeno i soldi per una cazzo di calcolatrice trovateli! Se volete, famo una colletta noi su gofundme.

E sia chiaro, io lo dico da grande amante dell’India, da tempi non sospetti. Quando ho cominciato a fare il giornalista a fine anni ‘90, il mio obiettivo era raccontare l’ascesa del peso Internazionale di questo incredibile paese continente. Non è andata benissimo, e ogni fallimento dell’india in questi 30 anni per me è stata una pugnalata al cuore, a prescindere da chi ci fosse al governo. Modi compreso.

Ora non mi posso che augurare che di fronte a questi teatrini imbarazzanti che offre continuamente l’Occidente, Modi sia abbastanza lucido da capire che gli attriti con la Cina, che sono legittimi e anche normali, non possono certo distoglierlo dal perseguire il vero interesse del suo disastrato Paese, che potrà crescere davvero se e solo se il sud globale riesce finalmente a mettere fine all’ordine unipolare della globalizzazione neoliberista guidata da Washington.

Per parlare del mondo nuovo che avanza, senza i paraocchi della vecchia propaganda vi aspettiamo sabato 16 settembre all’hotel terme di Fiuggi con Fulvio Scaglione, Marina Calculli, Elia Morelli, Alessandro Ricci e l’inossidabile generale Fabio Mini.

È solo uno dei dodici panel messi in fila dagli amici dell’associazione Idee Sottosopra per questo fondamentale week end di studio e di approfondimento, per costruire insieme un’alternativa credibile e non minoritaria alla dittatura del pensiero unico del partito degli affari e della guerra.

Per chi vuole maggiori informazioni, trovate il link nei commenti.

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Fonti:

Editoriale del Global Times: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297861.shtml

Il piano ferroviario USA in Medio Oriente: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Il Premier Li chiede solidarietà e cooperazione al G20: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Articolo “Il Giornale”: https://www.ilgiornale.it/news/politica/g20-ecco-delle-spezie-india-emirati-arabia-europa-regia-usa-2208113.html

Articolo “la Repubblica”: https://www.repubblica.it/esteri/2023/09/08/news/ferrovia_arabia_india_cina_via_della_seta-413788548/

IL DECLINO DELL’IMPERO

Perché gli USA non sono in grado di combattere contro Cina e Russia

Si sa, agli statunitensi piace grosso. Ma a volte più grosso è, meno dura.

Potrebbe essere il caso ad esempio delle loro gigantesche navi da guerra, che da sempre costituiscono il fiore all’occhiello della proiezione globale della superpotenza militare a stelle e strisce.

Con i venti di guerra che spirano, per costruirne di nuove il congresso ha approvato un nuovo budget da trentadue miliardi. Solo per quest’anno. Il più generoso di tutti i tempi.

Ma potrebbero non essere esattamente soldi spesi benissimo.

Secondo un articolo del South China Morning Post dello scorso Maggio, infatti, i cinesi avrebbero fatto una simulazione per capire come si sarebbero potuti comportare i colossi del mare statunitensi di fronte a un attacco cinese a base di missili ipersonici.

Gioco di guerra: i missili ipersonici cinesi affondano una portaerei americana. Ogni volta”, riassumeva Asia Times.

La simulazione infatti sarebbe stata ripetuta per venti volte e per venti volte avrebbe dato lo stesso identico risultato. E negli USA è partito l’allarme.

Di fronte alle minacce in continua evoluzione, la Marina americana fatica a cambiare”, titolava allarmato il New York Times qualche giorno fa.

Secondo Asia Times, addirittura, “La frenesia della costruzione navale della marina americana potrebbe causare più danni che benefici”.

I piani multimiliardari per costruire altre navi da guerra tradizionali”, continuava l’articolo, “fanno parte di una strategia USA obsoleta destinata al fallimento in un conflitto con la Cina

Ma è mai possibile che gli USA, nonostante da soli spendano per la loro gara a chi c’ha il missile più grosso quasi quanto tutto il resto del mondo messo assieme, siano così fessi da non trasformare tutti questi quattrini in concreta superiorità militare nei confronti degli avversari?

Contea di Jackson, Mississippi. Se non fosse stato per il famosissimo presunto rapimento alieno che nel 1973 vide coinvolti Charles Hickson e Calvin Parker, la piccola cittadina di Pascagoula sarebbe stata relegata per sempre nell’anonimato.

Invece, è uno dei cuori pulsanti dell’industria bellica a stelle e strisce: con i suoi settemila dipendenti, infatti, i cantieri navali di Huntington Ingalls rappresentano il più grande datore di lavoro nel settore manifatturiero di tutto lo stato.

Producono quelli che sono considerati i cavalli di battaglia della Marina USA: i celebri cacciatorpedinieri Arleigh Burke.

Come ricorda il Times: “Possono gestire una serie di missioni, tra cui la caccia e la distruzione di sottomarini nemici, l’attacco ad altre navi nelle acque vicine e”, soprattutto, “il lancio di missili di precisione per colpire bersagli lontani sulla terraferma”.

E il Congresso, ha deciso di investirci una montagna di quattrini senza precedenti.

La Marina”, ricorda il Times, “ne ha già settantatré. L’accordo è di costruirne altri sedici, alla modica cifra di due miliardi di dollari l’uno”.

Il problema però”, sottolinea il Times, “è che, nonostante la loro straordinaria potenza, questi cacciatorpedinieri, come d’altronde il grosso delle navi da guerra tradizionali, sono sempre più vulnerabili, specialmente nel caso di un conflitto diretto contro la Cina per difendere Taiwan”.

Stessa situazione, almeno stando ad Asia Times, per il programma Next-Generation Guided-Missile Destroyer, per la nuova classe di combattenti di superficie che a partire dal 2030 dovrebbero affiancare gli Arleigh Burke, alla modica cifra di tre miliardi e mezzo l’uno.

Tuttavia”, sottolinea sarcasticamente Asia Times, “il loro valore strategico e la loro sostenibilità sono già messi in discussione a causa della crescente preoccupazione sull’espansione navale della Cina”.

Asia Times cita un rapporto del Congressional Research Service del Marzo scorso che solleverebbe più di una perplessità circa l’opportunità di concentrare così tante capacità, e così costose, in un numero tutto sommato limitato di navi, tutte potenzialmente più che vulnerabili.

Piuttosto, sottolineerebbe sempre lo stesso rapporto, gli sforzi dovrebbero essere concentrati per munire la Marina americana di armi a lungo raggio.

Quello che dovrebbe avvenire ad esempio con l’installazione di tutto il necessario per lanciare missili ipersonici sui cacciatorpedinieri della classe Zumwalt, che è cominciata sempre nei cantieri di Hurlington nell’Agosto scorso e dovrebbe concludersi entro un paio di anni.

Tuttavia”, sottolinea sempre Asia Times, “lo scafo della classe Zumwalt è stato criticato per essere instabile in mare mosso e facilmente rilevabile dai radar a bassa frequenza”. Tanto che, riporta sempre Asia Times, secondo alcuni: “Sarebbe più ragionevole progettare un nuovo cacciatorpediniere pensato ad hoc per l’utilizzo di armi supersoniche, invece che rimettere le mani sugli Zumwalt”. Nel frattempo però, in questo ammodernamento degli Zumwalt sono già stati impegnati poco meno di quindici miliardi.

Secondo il Times, se l’obiettivo è essere in grado di combattere una guerra con un pari grado tecnologico o quasi, come la Cina o la Russia, sarebbe meglio spenderli diversamente.

In nessun momento dalla seconda guerra mondiale ad oggi”, scrive il Times, “abbiamo dovuto affrontare una richiesta più urgente di abbracciare nuove tecnologie e nuovi sistemi d’arma”.

Il riferimento, in particolare, è alla necessità di sviluppare una flotta di navi e droni armati e senza pilota.

Secondo David Ochamanek della Rand Corporation, questa sostanzialmente è l’unica via per riuscire ad avvicinarsi alle coste cinesi senza vedere andare in fumo in un colpo solo una quantità di uomini e di mezzi difficilmente sostenibile.

Ma”, avrebbe affermato Ochamanek, “devo confessare di non essere rimasto per niente impressionato dalla velocità con la quale si stanno muovendo in questa direzione”. E i tentativi fatti, non sono stati esattamente un successo.

La Marina”, ricorda il Times, “Aveva già stipulato contratti con fornitori tradizionali, come Boeing, per sviluppare navi senza pilota. Ma molti di questi progetti erano già in ritardo di anni rispetto al programma, e presentavano problemi enormi nonostante avessero già pesantemente sforato il budget, tanto da venire silenziosamente cancellati”.

Visto che non riuscivano a svilupparne di loro, a un certo punto avevano provato a capire cosa potevano riuscire ad accaparrarsi sul mercato.

La missione era stata affidata all’Ammiraglio Lorin Selby, a capo della ricerca scientifica della marina USA fino allo scorso Giugno.

L’Ammiraglio Selby”, scrive il Times, “Ha provato a lungo a convincere i colleghi del Pentagono a trovare un modo per acquistare rapidamente migliaia di dispositivi di questo genere in tutto il mondo. Ma purtroppo”, sottolinea il Times, “si è imbattuto in una serie infinita di ostacoli”. “Ci siamo scontrati con la macchina”, avrebbe dichiarato l’Ammiraglio Selby al Times, “e cioè le persone che vogliono semplicemente continuare a fare quello che hanno sempre fatto. I budget, l’approvazione del Congresso, gli sforzi delle lobby. Tutto è progettato per continuare a produrre ciò che già abbiamo, e al limite migliorarlo un po’. Ma questo purtroppo ormai non può più bastare”.

Non sarebbe l’unico a pensarla così: secondo quanto riportato dal Times, “Diversi ufficiali di alto rango della Marina e del Pentagono”, interrogati dal loro giornale, avrebbero tutti emesso la stessa sentenza: “L’avversione all’assunzione di rischi, e alla rottura con le tradizioni, mescolata con la spavalderia e la fiducia nel potere della flotta tradizionale avrebbe gravemente ostacolato il progresso della Marina”.

La Marina degli Stati Uniti è arrogante”, avrebbe rincarato il solito Ammiraglio Selby, “abbiamo queste gigantesche portaerei e questi fantastici sottomarini, e non vogliamo sapere di nient’altro”. E anche sui fantastici sottomarini comincia a emergere più di qualche dubbio

Come sottolinea sempre Asia Times infatti: “I miglioramenti nelle capacità di guerra antisommergibile compiuti dai cinesi negli ultimi anni potrebbero minacciare il ruolo deterrente dei potenti sommergibili nucleari USA”.

Secondo Asia Times la Cina avrebbe compiuto enormi progressi nello sviluppo di sensori a frequenza estremamente bassa in grado di rilevare “le bolle quasi impercettibili prodotte dai sottomarini”, e anche di rilevatori sottomarini “in grado di rilevare minuscole vibrazioni superficiali di appena 10 nanometri”.

Insomma, tutto quello che avevamo fino ad oggi considerato invisibile, tanto invisibile potrebbe ormai non esserlo più.

Come scrive Andrei Martyanov nel suo “Disintegration: Indicators of the Coming American Collapse”:

Negli ultimi 50 anni, abbiamo dato per scontata la superiorità tecnologica americana. In particolare, grazie al crollo dell’Unione Sovietica, che però era dovuto in realtà più che altro a dinamiche interne scollegate dal contesto della Guerra Fredda. Questo ha illuso gli USA, e gli ha impedito di affrontare la realtà del loro declino che era già evidente negli anni ‘90. Nei 20 anni successivi, senza competitori, gli USA hanno sperperato il loro capitale politico e i gravi limiti del suo potere militare e tecnologico sono cominciati a venire a galla”.

Un errore strategico enorme”, continua Martyanov, “perché una superpotenza deve sempre accompagnare il potenziale dichiarato con risultati proporzionati. E invece non hanno fatto altro che sovrastimare il loro potenziale, sottovalutare il nemico, e fraintendere il tipo di guerra a cui stavano andando incontro”.

“Come sostengo da anni, l’arrivo dei missili ipersonici hanno cambiato per sempre la guerra e hanno reso i mastodonti da 100.000 tonnellate della Marina USA obsoleti e costosissimi agnelli sacrificali in ogni guerra reale”. Come sostiene il ministro della difesa russo Sergej Shoigu: “Non abbiamo bisogno di portaerei, ci basta avere le armi in grado di affondarli”.

Come il PIL denominato in dollari e composto per oltre la metà di trucchi contabili non restituisce un quadro realistico del declino della supremazia USA, così anche le ottocento basi in giro per il mondo e il budget stratosferico delle forze armate USA potrebbe restituire un’immagine piuttosto distorta della loro capacità reale di ottenere una vittoria, una volta che si trovassero testa a testa non più a qualche paesino in via di sviluppo ma a un pari grado tecnologico o quasi.

Nel caso dell’economia, la percezione distorta suggerita da numeri poco rappresentativi e enfatizzata da pennivendoli, ci ha già condannato all’impoverimento e alla crisi.

Nel caso dei rapporti di forza militari, la stessa percezioni distorta applicata alla valutazione di chi ha il missile più grosso, potrebbe portarci direttamente all’estinzione.

Ecco, sarebbe opportuno fare un piccolo sforzo per essere leggermente meno superficiali. Alla crisi economica, volendo, una soluzione la si può anche trovare: all’estinzione è già più difficile.

Bibliografia

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https://asiatimes.com/2023/09/us-navy-building-spree-could-do-more-harm-than-good/

https://www.scmp.com/news/china/science/article/3221495/chinese-scientists-war-game-hypersonic-strike-us-carrier-group-south-china-sea

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https://crsreports.congress.gov/product/pdf/IF/IF11679

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https://asiatimes.com/2023/08/china-claims-breakthrough-in-us-nuke-sub-detection/

https://asiatimes.com/2023/09/chinas-terahertz-tech-heralds-the-future-of-underwater-war/

https://www.amazon.com/Disintegration-Indicators-Coming-American-Collapse/dp/1949762343