Skip to main content

Tag: oriente

Come lo scacchiere mediorientale cambia il futuro del mondo – ft. Elia Morelli

Presentiamo oggi il panel, tenutosi presso la Fest8lina al Circolo Arci di Putignano (Pisa) il giorno 5 luglio alle ore 17.00, in cui Elia Morelli (analista) parla di Medio Oriente e della complessa tessitura geopolitica e diplomatica al suo interno. Il ruolo degli attori regionali si impone a livello globale sia per la produzione di petrolio, sia per il ruolo che gli ingenti depositi di ricchezza di questi Stati possono svolgere nell’economia mondiale. Non mancano infine legami con la questione multipolare: non di secondaria importanza l’adesione di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran, nel gennaio di questo anno, ai BRICS. Buona visione!

#MedioOriente #multipolarismo #Egitto #ArabiaSaudita #Iran #Israele #Palestina #EAU #GolfoPersico #MarRosso #petrolio #petrodollari

La Cina reagisce all’aggressione della NATO e di rimbamBiden con portaerei e crescita economica

Un piano da guerra fredda: così il virgolettato a piena pagina con il quale il Corriere della serva riassumeva il summit NATO di Washington che si è concluso ieri; le parole sono del solito Stoltenberg che prima di lasciare il posto al successore ha voluto ribadire la sua aspirazione a compensare le intemperanze giovanili tra le fila della sinistra antimperialista accennando a quello che ha definito – appunto – il più vasto piano di difesa dalla guerra fredda. Mentre registriamo questo pippone non abbiamo ancora la versione ufficiale della risoluzione finale, ma tutti i media mainstream ieri pomeriggio davano per scontato che il summit sarebbe dovuto servire per mettere un eventuale Trump vincitore delle presidenziali di novembre di fronte al fatto compiuto di una roadmap irreversibile per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO; tradotto: come sosteniamo dal febbraio 2022, l’idea che la guerra in Ucraina è soltanto uno dei fronti della guerra globale dell’impero contro il resto del mondo e che non potrà risolversi fino a che non finiscono di incendiarsi anche tutti gli altri fronti, e alla fine qualcuno vince.
L’impegno principale per provare a permettere all’Ucraina di resistere ancora un po’ alla superiorità militare russa riguarda gli F-16: secondo Zelensky ne servirebbero 130; per ora ne hanno promessi una quarantina. E’ un buon inizio, anche se ancora non si capisce chi li piloterà e come faranno a tenere al sicuro le infrastrutture necessarie per farli decollare e per mantenerli operativi. Come ricorda John Helmer sul suo blog, infatti, negli ultimi giorni “Il comando russo ha lanciato una nuova serie di attacchi missilistici contro gli aeroporti ucraini di Voznesensk e Mirgorod dove è previsto lo spiegamento degli F-16”; per aumentare la capacità di proteggerli, al summit sono state promesse diverse altre cose e l’Italia di Giorgia la patriota ha deciso di fare la sua parte: manderemo un altro sistema Samp-T e così rimarremo totalmente in balìa degli eventi, che non è proprio rassicurante perché nel frattempo, a quanto pare, ci staremmo attrezzando per ospitare sistemi missilistici a lungo raggio che la Russia non può che vedere come una minaccia più o meno diretta e che, in caso di ulteriore escalation (che è più facile avvenga che no), potrebbe considerare bersagli diretti. A quel punto, a difenderci ci sarebbero sostanzialmente soltanto – come sottolinea l’ex carabiniere Claudio Antonelli su La Verità – “missili Patriot che” però “non sono nostri ma sono dislocati in alcune basi NATO lungo la penisola”; tradotto: siamo totalmente in balìa di altri, dai quali dipendiamo completamente e dai quali non ci potremmo mai distinguere, pena diventare più vulnerabili di un gatto in tangenziale. Al che uno pensa: chissà i patrioti de La Verità come la prenderanno male ‘sta cosa! Macché: brindano felici. Il punto è che in cambio, a quanto pare, potremmo ottenere la nomina di un inviato speciale speciale per l’Africa e il Medio Oriente e che la scelta potrebbe ricadere su un italiano; insomma: i patrioti de La Verità accettano con gioia di “allinearsi ad est, ma almeno in cambio arriva un primo riconoscimento utile”. Ci riprenderemo l’Abissinia.

F-16

Visto che pretendere di essere uno stato indipendente e sovrano pare troppo, il sovranismo da balera accoglie con entusiasmo l’idea di diventare finalmente davvero la portaerei dell’imperialismo USA nel Mediterraneo e, in cambio, spera di ottenere qualche concessione coloniale; peccato che le colonie la vedano un po’ diversamente: come ricorda Foreign Policy infatti, sabato scorso “Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato di aver formalizzato la loro Alleanza degli Stati del Sahel, giusto un giorno prima che il blocco regionale della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) tenesse un vertice nella capitale della Nigeria, Abuja, per discutere le modalità per riportarli nell’ovile”.
La beffa è che, ancora una volta, tutto questo sforzo che facciamo esponendoci senza ottenere niente in cambio con ogni probabilità servirà a poco o niente: “Il pacchetto di armi annunciato dalla NATO” ha commentato David Salvo del German Marshall Fund “aiuterà a mitigare la superiorità aerea russa, proteggendo città e infrastrutture civili, ma non certo a riconquistare territori”; più che a aumentare le possibilità di vittoria in Ucraina, tutta l’operazione in realtà sembra di nuovo volta a rendere l’Europa ancora più vulnerabile e ricattabile e costringerla, così, a contribuire a un altro fronte del quale sinceramente non ce ne potrebbe fregare di meno. Con la partecipazione straordinaria di Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda, il summit per celebrare i 75 anni dell’alleanza atlantica infatti è servito più che altro a formalizzare l’idea che la Cina, insieme all’Iran e alla Corea del Nord, rappresentano “un pericolo per l’Europa e la sicurezza” e l’unico modo per mettersi al sicuro è trasformare definitivamente la NATO, da alleanza difensiva per proteggere l’Europa, in un grande esercito globale a guida USA pronto a dispiegarsi ai 4 angoli del pianeta per ingaggiare una guerra totale contro chiunque si azzardi ad avanzare critiche contro la dittatura suprematista dell’ordine neoliberale: “A medio termine” chiarisce ancora John Helmer “il blocco NATO diventerà globale” e avanzerà “direttamente ai confini della Cina e dell’estremo oriente della Russia”. Peccato, però, che nessuno ce li voglia: il piano per l’accerchiamento della Cina, infatti, non sta riscontrando tutto questo successo. La prova provata è stato il finto summit per la pace in Ucraina che si è tenuto in Svizzera: a parte le semi-colonie USA, i paesi asiatici – nella migliore delle ipotesi – c’hanno mandato qualche funzionario di quart’ordine che voleva andare a respirare un po’ d’aria di montagna e nessuno ha firmato la risoluzione finale; nel frattempo piuttosto, paesi un tempo considerato fedeli alleati – dalla Thailandia alla Malesia – hanno fatto richiesta formale di adesione ai BRICS+. Ma tra tutte le innumerevoli defezioni, ce n’è una in particolare che pesa più di tutte: è quella dell’India di Modi che, ormai, sembra quasi divertirsi a triggerare le ex potenze coloniali; mentre a Washington si celebrava il summit NATO infatti, Modi, per la prima volta per un presidente indiano, ha scelto come destinazione per la sua prima trasferta ufficiale da presidente neoeletto, invece che un paese del sud asiatico, nientepopodimeno che la Russia del plurimorto dittatore e quando è atterrato ci mancava giusto si infilassero la lingua in bocca. Pochi giorni prima, Russia e India si erano sedute fianco a fianco al tavolo della Shanghai Cooperation Organization, dove avevano sdoganato ufficialmente tutti insieme appassionatamente un altro Stato considerato dell’imperialismo unitario uno stato canaglia come la Bielorussia.
Con l’India che fa i capricci e segna platealmente i paletti della sua indipendenza e sovranità, la strategia nell’est asiatico degli USA è costretta a una cambio di rotta piuttosto imponente; una volta esisteva il concetto inventato ad hoc dell’impero dell’Indo-Pacifico e il QUAD, la rete delle alleanze a guida USA incentrata – appunto – sull’India. Di questo passo, di Indo-Pacifico finalmente, come per magia, non sentirete più parlare: tutta la partita si sposterà ancora più verso est e, al posto del QUAD, come l’ha ribattezzato Andrew Korybko, sentirete parlare dello SQUAD, con un colosso come l’India sostituito da un peso piuma come le Filippine: non esattamente un progresso, diciamo. D’altronde, come ricorda anche (in un momento di rara lucidità) il sempre pessimo Stefano Stefanini su La Stampa, “Modi sta al gioco americano nel contenimento della Cina, ma non su questioni nelle quali ritiene che l’interesse nazionale indiano sia diverso dalle posizioni USA e europee. Ed è ormai abbastanza chiaro che questo atteggiamento sull’Ucraina sia condiviso da molti Paesi del Sud globale. Facciamocene una ragione” sottolinea realisticamente; tutto questo “non cambierà”, dall’India, all’Arabia Saudita. Secondo Bloomberg infatti, nonostante il vento di rinascimento renziano che spira dalla petromonarchia, i sauditi “avrebbero lanciato un altolà: se G7 e Ue sequestrano le ricchezze della Russia, l’Arabia Saudita potrebbe rifiutarsi di comprare titoli del debito francese e di altri Paesi europei (Italia inclusa)”; e la Cina dà più di un segnale di essere in grado di approfittare di questo allontanamento di tanti paesi considerati amici fino a ieri dal centro imperiale: in questi giorni, infatti, a largo dell’Isola giapponese di Miyako si sta tenendo una grande esercitazione internazionale capitanata dagli USA e che vede l’impiego di 40 navi di superficie, 3 sottomarini, 150 aerei e oltre 25 mila uomini in uniforme. Lo scopo dell’esercitazione – hanno affermato ufficialmente gli USA – è quello di “scoraggiare e sconfiggere l’aggressione da parte delle maggiori potenze in tutti i settori e livelli di conflitto” e il tutto si dovrebbe concludere col tentativo di affondare una nave statunitense in pensione da 40 mila tonnellate: un monito esplicito verso la Cina, visto che è l’unico paese (oltre gli USA) a possedere navi da guerra di questo tipo in quell’area di Pacifico, ma che non sembra aver spaventato troppo Pechino; in concomitanza con l’esercitazione imperiale, l’esercito di liberazione popolare infatti ha deciso di rilanciare e ha avviato un’altra esercitazione che vede coinvolta la portaerei Shandong scortata dal cacciatorpediniere lanciamissili Type 055 Yanan, dal cacciatorpediniere Type 052D Guilin e dalla fregata lanciamissili Type 054A Yuncheng.
Che prima o poi qualcosa vada storto è piuttosto verosimile e, con il clima che corre, evitare reazioni eccessive potrebbe essere piuttosto complicato; e in Giappone in diversi cominciamo a esprimere più di qualche perplessità: ovviamente l’insofferenza verso i venti di escalation, come sempre, parte da Okinawa, dove gli oltre 30 mila effettivi delle forze armate americane hanno una lunga tradizione di soprusi e di incomprensioni con la popolazione locale. Ultimamente la faccenda, però, rischia di sfuggire di mano un po’ come ormai quasi 30 anni fa, quando (nonostante i tentativi di censura) venne a galla la notizia dello stupro di gruppo da parte dei Marines di una bambina di 12 anni e i locals non la presero esattamente benissimo, diciamo: l’ultimo episodio risale al 25 giugno scorso, quando i media locali hanno pubblicato la notizia di un altro tentativo di stupro risalente a qualche mese prima; 3 giorni dopo è emersa la notizia di un altro tentativo di stupro. In entrambi i casi, i vassalli USA hanno cercato di nascondere la notizia e quando emersa è scoppiato un macello: “Ci hanno detto per decenni che l’esercito americano è qui per proteggerci” avrebbe affermato una delle leader delle mobilitazioni al South China Morning Post, “ma è vero il contrario. La gente è furiosa e spero che questo possa essere il punto di svolta per le basi di Okinawa”; e non è certo l’unico ostacolo alla militarizzazione del Giappone: “Le forze armate giapponesi non hanno mai combattuto una vera guerra” scrive Grant Newsham su Asia Times, “ma lo scorso anno sono riuscite comunque a subire una sconfitta schiacciante: hanno mancato del 50% gli obiettivi di reclutamento. L’anno prima, del 35%. E si sono confermate una forza vecchia, a corto di personale e oberato di lavoro”.
Insomma: anche a questo giro gli eredi del mascellone dimostrano di aver un fiuto infallibile per la cause perse e per le scorciatoie che portano inesorabilmente il paese allo scatafascio e non è certo questione di sinistra ZTL o finto-sovranisti, come dimostra il paese che – forse più in assoluto – sta vivendo un declino di una rapidità inimmaginabile, il capostipite di ogni colonialismo, il Regno Unito. Contro l’avanzata in tutto il vecchio continente delle destre reazionarie, in Inghilterra la settimana scorsa s’è affermato il labour, depurato da quello sprazzo di speranza che era stato per tutti noi il caro vecchio Jeremy Corbyn: alla faccia della democrazia, col 35% scarso dei voti ha conquistato il 65% dei seggi, che consegnano il paese a uno dei personaggi più repellenti della politica contemporanea, l’insostenibile Keir Starmer, persecutore di Assange in combutta con i servizi USA, fervente sostenitore dello sterminio dei bambini palestinesi, fiero oppositore di ogni ipotesi di tassazione dei super-ricchi e che ha inaugurato il suo nuovo incarico con un video super-cringe sui social dove si vede lui al telefono con Biden confabulare su cos’è necessario fare per ingaggiare la guerra contro la Cina nel Pacifico e che, nel suo debutto al vertice NATO, ha dato l’autorizzazione ufficiale a utilizzare missili inglesi per attaccare direttamente la Russia.
Il più pulito c’ha la rogna e sarebbe il caso di provare seriamente a mandarli tutti a casa prima che sia troppo tardi; per farlo, prima di tutto, ci serve un vero e proprio media che ribalti come un calzino la loro patetica propaganda e che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Tony Blair

Nuovo governo in Iran: che succede all’Asse della Resistenza? – ft. Matteo Capasso

Oggi il nostro Gabriele ha intervistato Matteo Capasso per parlare di quanto sta accadendo in Medio Oriente. Dopo settimane di discussioni attorno a una presunta tregua o a un calo dell’impegno militare israeliano a Gaza, l’IDF è tornato a colpire strutture civili (scuole e ospedali). I numeri del genocidio lievitano, lasciando basita la coscienza pubblica mondiale (in particolare quella del Sud del mondo) ed esponendo gli USA alle proprie contraddizioni interne in questa difficile transizione elettorale. Intanto in Iran, i riformisti di Pezeshkian hanno vinto le elezioni e il mondo si interroga su se e come cambierà la linea del governo. Si aprono scenari di scontro interno o di apertura globale; la nostra idea è che al netto di tutto, l’Iran ha una linea diplomatica ed economica ben delineata da decenni e che difficilmente il nuovo governo opterà per ribaltare completamente. L’Iran rimarrà cardine dell’Asse della Resistenza che conduce una strenua lotta all’imperialismo USA e israeliano in Medio Oriente, probabilmente cambiando strategia e cercando di ridurre la conflittualità regionale, in particolare verso l’Arabia Saudita. Buona visione.

#Israele #Palestina #Gaza #Iran #Pezeshkian #MedioOriente #ArabiaSaudita #IDF #USA #imperialismo #colonialismo

Iran al voto dopo la “misteriosa” morte di Raisi – Ft. Antonello Sacchetti

Oggi il nostro Gabriele parla con Antonello Sacchetti (dell’omonimo canale Youtube) delle imminenti elezioni in Iran il 28 giugno. Nel dopo Raisi, il paese si trova a scegliere tra vari candidati più o meno aperti a questioni sociali o di sicurezza. A dispetto dell’immaginario occidentale, si tratta dunque di elezioni libere e con molti candidati il cui esito non è affatto pilotato o scontato. Abbiamo inoltre cercato di capire chi sono i candidati, quali i favoriti e cosa aspettarci nel futuro prossimo dello Stato. Per concludere, abbiamo indagato i meccanismi istituzionali e la misteriosa morte di Raisi. Buona visione.

#Iran #elezioni #MedioOriente #Raisi

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Mondo Arabo: da che parte sta?

Nello scenario delle politica internazionale, una delle partite più complesse da decifrare è quella che riguarda i paesi arabi. La tensione nel Medio Oriente e lo scontro tra Iran e Israele vede il mondo arabo muoversi in maniera ambigua: da un lato abbiamo la ripresa dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran mediata dalla Cina e dall’altro lato potremmo presto avere il riconoscimento ufficiale di Israele sempre da parte dell’Arabia Saudita mediato dagli Stati Uniti. Quindi, come interpretare la posizione dell’Arabia Saudita e del mondo arabo in generale? Ne parliamo in questo video!

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Global Southurday – L’Occidente, terrorizzato, è alle strette – Ft. Alberto Fazolo

Oggi i nostri Clara e Gabriele intervistano Alberto Fazolo per il consueto appuntamento del sabato con prospettiva post-coloniale. Chi siamo? Dove stiamo andando? Russia e Medio Oriente evolvono e diventano gli scenari globali del tracollo complessivo dell’impero americano e dell’ordine unipolare. Israele sempre più contestato in Europa e in Nord America nelle università e nelle strade, dove si assiste alla radicalizzazione del movimento pro-Pal. Buona visione!

#ProPal #Gaza #Palestina #MedioOriente #Guerra #Russia #Ucraina #Putin

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

I BRICS sfidano l’Iimpero – Ft. Davide Rossi

Oggi il nostro Gabriele intervista Davide Rossi, storico del Novecento che si occupa delle più recenti dinamiche mondiali e di sistema-mondo. Davide ci conduce in una lunga carrellata sulle ultime tendenze in atto in India, Cina, Russia, America Latina (con particolare attenzione al Brasile di Lula), Africa, Medio Oriente, Europa e Nord America. Il ruolo dei BRICS è ormai centrale per capire la crisi in cui annaspa l’Occidente collettivo, alla ricerca di una via di fuga dalla crisi presente. Questa lunga discussione non dimentica la lotta del popolo palestinese contro la colonizzazione israeliana e il sionismo. Buona visione!

#BRICS #Cina #India #Russia #USA #multipolarismo #Brasile #Palestina

Studioso cinese prevede la sconfitta della Russia: cosa sta succedendo?

Feng Yujun, professore cinese dell’università di Pechino, è un osservatore esperto di Russia, direttore degli studi russi al China Institutes of Contemporary International Relations (CICIR), uno dei principali think tank statali cinesi. In una sua recente intervista all’Economist Feng Yujun ha sostenuto che la guerra in Ucraina non può che terminare se non con la totale sconfitta russa, su ogni fronte: il ritiro da tutti i territori occupati, compresa la Crimea, e l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Feng Yujun si differenzia da quelli che in Italia definiamo anti-putiniani: per Feng Yujun Putin è un politico europeo, un politico occidentale, e con la sua politica ha incarnato aspetti tipici della politica occidentale, tra cui l’incapacità di comprendere il modo in cui l’ordine mondiale sta cambiando. Ne parliamo in queto video!

Netanyahu vuole aprire l’inferno – Ft. Samir Al Qaryouti

Oggi il nostro Gabriele intervista Samir Al Qaryouti per parlare dei fatti che nelle ultime ore e giorni hanno sconvolto il Medio Oriente. Questa notte Israele ha reagito contro l’Iran; le autorità iraniane hanno sminuito la vicenda, cercando di non innescare una pericolosa corsa alle armi. Al contrario da Tel Aviv, in molti hanno criticato il governo per la la leggerezza dell’attacco, definito una barzelletta. In primo piano, l’ammasso di soldati israeliani attorno alla Striscia di Gaza e una nuova serie di bombardamenti mattutini su Siria e Libano. Sullo sfondo, il più generale mutamento nei rapporti di forza globali.
Buona visione!

#Gaza #Israele #Iran #MedioOriente #USA #StopBombingGaza

Russia e Iran asfaltano il mito dell’invincibilità dell’impero e impongono l’ordine multipolare

Carissimi ottoliner, anche oggi – prima di passare alle cose serie – un po’ di Cabarellum e vaudeville vario dal mondo incantato delle bimbe di Bandera: ieri, infatti, vi avevamo mostrato uno screenshot che dimostra come Parabellum stia rassicurando la sua fanbase sulla sua ferma intenzione di respingere al mittente le accuse di Ottolina Tv andandolo a dire all’avvocato, dopo averlo già detto alla mamma Youtube. In 25 anni di Report, è l’atteggiamento standard che ho sempre riscontrato in chi era stato colto in castagna: invece che rispondere nel merito, annunciare una querela; ovviamente sanno benissimo che la querela non va da nessuna parte, ma per chi in cuor suo, comunque, li ha già assolti a prescindere, rappresenta una rassicurazione sempre molto efficace e se lo fanno multinazionali multimiliardarie dalle quali dipende una fetta importante della nostra vita, perché mai non dovrebbe farlo anche Parabellum che, come sottolinea lui, è addirittura CEO di un think tank? Amministratore delegato: una carica prestigiosa, mica cazzi; peccato si riferisca a un’azienda che, secondo le visure camerali, non vanta poi tantissimi dipendenti. Anzi, ne vanta 0. E’ un po’ come se quello che ti fa il cappuccino la mattina, invece che come barista, si presentasse come CEO del Bar da Luigi e Ivana, o come quando qualcuno mi definisce il direttore di Ottolina Tv, a me, che non sono in grado nemmeno di dirigere quelle due carognette dei mi’ figlioli.
Il fatto ingiurioso che avrebbe spinto un paladino del mondo libero come Parabellum a pensare di rivolgersi a un avvocato, è questa copertina – oppure questo meme (non ho capito bene, sinceramente): Parabellum sostiene, infatti, che anche quando ha avuto da ridire, ad esempio, con Lilin, non ha fatto nessun meme perché – sottolinea – “Si attacca la tesi, non il relatore”; evidentemente, come per la definizione di chi è l’aggressore e chi l’aggredito nella guerra per procura in Ucraina, crescendo (e fatturando) ha cambiato idea. Questa, infatti, è la copertina di un suo vecchio video e questo, in basso a sinistra, è Alessandro Orsini con la faccia sovrapposta a quella di Efiliate, il mostro di 300 che tradisce Sparta per passare col nemico; e questa, invece, è un’altra copertina di una live del suo sponsor principale, il raffinatissimo intellettuale e grandissimo giornalista d’inchiesta Ivan Grieco, che s’è fatto tutta una live con questa parrucca perculando sempre Orsini. Ho come il sospetto che qui c’è chi rischia di avere la bocca e le dita più veloci dei neuroni; e con questo concludiamo l’appuntamento quotidiano con l’incredibile mondo delle bimbe di Bandera e torniamo a occuparci di cose un pochino più serie.

Stephen Bryen

Secondo l’ex vice sottosegretario alla difesa USA Stephen Bryen, ormai in Ucraina “la Russia domina lo spazio aereo” e le difese aeree ucraine sono letteralmente scomparse e, secondo Bloomberg, questo ormai alimenta “la paura che l’esercito ucraino sia vicino al punto di rottura”; al che uno dice eh vabbeh, grazialcazzo, le forze armate russe mica sono un avversario qualsiasi. Prima di essere folgorato sulla via di Damasco che porta dritto all’interno dei salotti buoni della propaganda analfoliberale, pure Parabellum lo diceva che “mettercisi contro dal punto di vista militare è stupido”; il problema, però, è che l’insormontabile scoglio russo è solo la punta dell’iceberg: da ormai 4 mesi gli USA si sono ritrovati impantanati in un conflitto nel Mar Rosso che, inizialmente, la propaganda aveva provato a spacciare come una sorta di passeggiata di piacere. Contro quegli scappati di casa di Ansar Allah, il problema sembrava sostanzialmente quello di mantenere un po’ il contegno e non infierire in modo troppo violento contro un nemico così platealmente inferiore; dopo 4 mesi di bombardamenti illegali e un imponente impegno di forze e di risorse che, probabilmente, gli USA avrebbero preferito concentrare sul Pacifico – dove si continuano a scaldare i motori per il vero grande conflitto sistemico che l’impero dovrà affrontare per tentare di rinviare il suo inesorabile declino – gli USA hanno dovuto fare anche qui un discreto bagno di realtà, fino ad arrivare a dichiarare, per bocca dell’inviato speciale per lo Yemen Tim Lenderking, che “siamo consapevoli che non c’è una soluzione militare, e siamo a favore di una soluzione diplomatica”. “Gli Stati Uniti” scrive il giornalista libanese Kalil Nasrallah su The Cradle “hanno segretamente offerto una straordinaria serie di concessioni ad Ansar Allah per fermare le sue operazioni navali a sostegno di Gaza”, ma, purtroppo, “senza alcun risultato”.
Nel frattempo, gli USA subivano un attacco nella loro principale base al confine tra Siria e Giordania, che rappresentava un’altra pietra miliare nella strada che porta al declino: per la prima volta diventava chiaro che la loro contraerea non era più in grado di garantire la sicurezza delle installazioni militari dell’impero nel Medio Oriente, uno snodo storico: nel caso di un’evoluzione del genocidio in corso verso una guerra regionale, gli Stati Uniti, infatti, si troverebbero nell’impossibilità di dispiegare in sicurezza le loro forze di terra nell’area.
E, infine, ecco che arriva la spettacolare operazione militare iraniana di sabato scorso. Per capirne l’impatto reale basta vedere il panico che ha sollevato in tutte le redazioni impegnate nel sostegno allo sterminio dei bambini palestinesi che, come sempre di fronte a una realtà che non rientra nell’idea della insindacabile superiorità dell’uomo bianco rispetto al resto della popolazione mondiale, fanno presto: ribaltano la realtà e chi s’è visto s’è visto. Israele e Occidente respingono l’Iran titolava ieri Il Giornanale: “L’abbattimento del 99 per cento degli ordigni” esulta Gian Micalessinofobia “è anche la più significativa vittoria conseguita dal premier israeliano Benjamin Netanyahu in sei mesi di guerra”; beh, immaginiamoci le altre, allora… Come scriveva giovedì scorso Chaim Levinson su Haaretz, “Dobbiamo cominciare a dire chiaramente quello che non potrebbe essere detto: Israele è stato sconfitto. Una sconfitta totale”: “Gli obiettivi della guerra non verranno raggiunti” sottolinea Levinson, “gli ostaggi non verranno restituiti, la sicurezza non verrà ripristinata e l’ostracismo internazionale di Israele non finirà”.
Ora, ovviamente, fare un bilancio di un conflitto è sempre piuttosto complicato e il tutto è sempre fortemente influenzato dai vari bias cognitivi e dal wishful thinking di ognuno; la buona notizia, però, è che per il livello che interessa a noi qui, adesso, questa sostanziale impossibilità di determinare – oltre ogni ragionevole dubbio – chi vince e chi perde, non conta: il punto, infatti, è che all’impero non basta non perdere il singolo conflitto – e nemmeno vincerlo. Per stare in piedi, l’impero ha bisogno che i suoi vassalli siano convinti del fatto che, alla fine, molto banalmente non può perdere: l’idea dell’invincibilità dell’impero è il più importante e irrinunciabile dei suoi asset, a maggior ragione quando è in declino; l’impero in ascesa, o nell’era del suo massimo splendore, sui suoi vassalli è in grado di esercitare la sua egemonia, che significa che, in cambio della rinuncia alla tua sovranità, puoi comunque partecipare alla redistribuzione di una parte dei dividendi di questo ordine. Insomma: non conti una sega, non puoi decidere, ma comunque, alla fine – almeno da alcuni punti di vista – ci guadagni. L’ordine fondato sull’impero in declino, invece, tutti questi dividendi da distribuire ai vassalli per tenerli buoni e convincerli che quell’ordine è nel loro stesso interesse, non li genera più: l’impero in declino, i suoi vassalli li deruba senza dare niente in cambio e l’unica cosa che impedisce ai vassalli di ribellarsi è proprio il monopolio della forza bruta e l’idea dell’invincibilità dell’impero. Non a caso gli USA, su questo, hanno voluto eliminare ogni dubbio: le 1000 basi sparse per il pianeta e una spesa militare che, da sola, eguaglia sostanzialmente la spesa militare del resto del mondo messo assieme, servono proprio a questo, un segno chiaro e inequivocabile della propria supremazia, ma i segni, ormai, potrebbero non essere più sufficienti. Tutti gli esempi che abbiamo elencato rapidamente sopra rappresentano una mazzata gigantesca al mito dell’invincibilità e, a ben vedere, non potrebbe essere altrimenti: la gigantesca macchina bellica statunitense che è di gran lunga, ancora oggi, la più imponente dell’intera storia dell’umanità, sconta infatti due criticità strutturali che cominciano ad avere un peso insostenibile.
La prima è che buona parte di quello sterminato budget serve molto più a ingrassare le casse delle oligarchie del comparto militare industriale (e le tasche di quella che il nostro amico David Colantoni definisce la classe militare) che non a potenziare davvero la macchina bellica USA: l’esempio eclatante sono la quantità smisurata di quattrini che vanno sempre in nuovi armamenti che promettono magie e, alla fine, sul campo si rivelano più o meno avere la stessa funzionalità dei vecchi – ma con costi di ordini di grandezza superiori – che, spesso, sottraggono risorse a cose che non fanno tanta notizia, ma che sono davvero indispensabili, come le munizioni. La seconda è quello che definiamo il vantaggio asimmetrico della resistenza antimperialista che è, ad esempio, quello che ha portato gli USA a subire una disastrosa sconfitta in Vietnam e che, comunque, anche nelle guerre successive gli ha impedito di ottenere vittorie stabili e durature anche dopo aver temporaneamente annientato un nemico infinitamente più debole. Ma prima di proseguire in questo viaggio dentro la fine del mito dell’invincibilità dell’impero, ricordatevi di mettere mi piace a questo video per aiutarci a combattere la nostra piccola guerra asimmetrica contro la dittatura degli algoritmi e, già che ci siete, anche quella di logoramento contro la propaganda suprematista iscrivendovi a tutti i nostri canali e attivando le notifiche; perché se l’impero, nonostante tutto, ancora oggi continua a infinocchiare qualcuno con il mito dell’invincibilità è solo a causa della gigantesca macchina propagandistica che affianca quella militare, ma che, come quella militare, dovrà fare i conti sempre di più con il vantaggio asimmetrico dell’antimperialismo e, cioè, voi, la gente comune e onesta che s’è rotta i coglioni di sorbirsi le loro cazzate.
Tra i tanti meriti dell’operazione militare effettuata dall’Iran sabato scorso, sicuramente una menzione speciale va a come abbia, per l’ennesima volta, esposto chiaramente a tutti la ferocia di cui è capace il suprematismo colonialista dell’uomo bianco quando qualcuno si azzarda davvero a metterlo in discussione armi alla mano: i giornali di ieri erano un tripudio di sostegno incondizionato allo sterminio dei sottouomini, con una proliferazione degli ormai onnipresenti SS, i sostenitori di stronzate, da fare impallidire i regimi più sanguinari della storia umana. Secondo Il Foglio “Si è svelato il vero Iran”: “Israele” scrivono gli amici del genocidio grazie ai soldi delle tue tasse “fa la stabilità del Medio Oriente contro l’Iran, mina vagante”, con a fianco una imperdibile chicca delle sempre imbarazzante Cecilia Sala che sostiene, addirittura, che “Allo stadio e in fabbrica gli iraniani dicono: non siamo chi ci governa” e chiedono info per prendere la tessera di Italia Viva; d’altronde, rilancia Micalessinofobia su Il Giornanale, “Per Netanyahu” si è trattato di “una vittoria totale”. “Forza Israele” rilancia ancora Il Foglio: “La nuova guerra per la libertà che combatte Israele riguarda tutti noi”.
Ma il vero colpo di classe è che, contemporaneamente, la stessa identica propaganda suprematista fa un salto mortale e prova a coprire anche l’interpretazione diametralmente opposta e, così, basta scorrere una pagina e, da un terribile attacco alla stabilità della regione (che ai bambini sterminati da Israele tanto stabile forse non appare), l’operazione iraniana ecco che, per magia, diventa una cos’e niente architettata da degli scappati di casa che non riuscirebbero a fare paura manco a una scolaresca. Il trait d’union tra queste due versioni apparentemente inconciliabili è uno solo: l’impero è invincibile e, come la metti la metti, non c’è resistenza che possa ottenere risultati significativi; tocca solo capire se ignorarla perché, alla fine, è innocua o raderla al suolo perché si è azzardata ad alzare la testa. Decidere razionalmente di compiere un’azione, portarla a termine e raccoglierne i risultati è una prerogativa della superiore civiltà dell’uomo bianco; gli altri sono attori irrazionali che a volte scalciano, a volte sconigliano, ma che mai e poi mai possono avere e perseguire un’agenda politica autonoma e razionale: ma siamo proprio sicuri sia davvero andata così?

droni sulla Spianata delle moschee

Prima questione: l’operazione militare è stata una minaccia inquietante contro il resto del mondo o una pagliacciata? Ovviamente, piuttosto chiaramente, nessuna delle due; che non si sia trattato di una semplice pagliacciata lo dimostra un dato su tutti: l’Iran, in tutto, avrebbe speso alcune decine di milioni, Israele – e i vari amici sostenitori dello sterminio dei bambini palestinesi – oltre 1 miliardo. Se è stata una pagliacciata, per il mondo libero di sterminare non è stata a buon mercato. L’Iran avrebbe speso così poco per un motivo molto semplice: il meglio del suo arsenale non l’ha tirato in ballo. Il motivo è piuttosto semplice: la risposta iraniana all’attacco criminale di Israele contro il suo consolato a Damasco voleva essere misurata e proporzionale. L’obiettivo mi pare chiaro: si voleva evitare di offrire a Israele una scusa valida per replicare, a sua volta, con un’altra ritorsione sproporzionata che avvicinerebbe una regionalizzazione del conflitto che non vuole nessuno (a parte, appunto, i suprematisti sionisti in preda al peggiore dei deliri ideologici autodistruttivi). Per calibrare l’attacco, l’Iran – addirittura – avrebbe trattato direttamente con gli USA per capire qual era il limite possibile per infliggere a Israele un duro colpo strategico, ma permettere, comunque, agli USA e agli altri amici del genocidio di mantenere una certa distanza da Israele e non supportare acriticamente ogni tipo di reazione, fatto per cui alcuni analisti un po’ confusi hanno parlato, appunto, di una messa in scena teatrale che non fa altro che rafforzare l’occupazione sionista; una lettura molto superficiale che denota una scarsa capacità di lettura di cosa sia e come funzioni l’imperialismo.
Per quanto gli USA vogliano, in tutti i modi, evitare un’escalation regionale, la loro copertura di Israele in quanto avamposto dell’imperialismo USA nella regione non potrà mai venire meno, dal momento che una sconfitta di Israele significherebbe una vittoria del mondo multipolare e postcoloniale; quindi, anche nel caso Israele decidesse di trasformare il genocidio in una guerra regionale, per quanto contrario l’imperialismo USA non potrebbe che correre in loro soccorso facendo, così, naufragare definitivamente la strategia USA che comporta un disimpegno dal Medio Oriente per potersi concentrare sul Pacifico. In sostanza, le priorità USA hanno un ordine gerarchico preciso: primo, impedire agli attori del nuovo ordine multipolare di avanzare fino a trasformare alcune aree del pianeta in aree sotto la loro influenza e totalmente indipendenti dal progetto imperiale USA e, solo dopo, riuscire a mantenere questo equilibrio grazie ai propri proxy per potersi permettere di concentrarsi principalmente nel principale dei fronti della guerra contro il declino imperiale che è, ovviamente, il Pacifico. La strada che si trova, quindi, a percorrere l’Iran è oggettivamente stretta e va percorsa con cautela; chi, invece, ci vede un’autostrada da percorrere con l’acceleratore a paletta rischia di essere o un incompetente o un avventuriero, ma sulla pelle altrui: all’interno di questa strada strettissima, allora, il punto è stabilire se l’Iran abbia ottenuto qualcosa di veramente significativo oppure, come sostengono i detrattori, abbia semplicemente fatto una messa in scena per accontentare la sete di vendetta del suo popolo che, in quanto non occidentale, è ovviamente feroce e anche parecchio limitato.
Il primo obiettivo, ovviamente, è quello della deterrenza e come sottolinea giustamente su X la nostra amica Rania Khalek di BreakThrough News “Se Israele fosse stato colto di sorpresa e non avesse avuto a disposizione diversi giorni per mitigare l’impatto dell’attacco iraniano, il danno sarebbe stato enorme. Una vera guerra al contrario non verrebbe annunciata in anticipo in modo che Israele possa preparare una sorta di sinfonia delle difese aree dei suoi alleati. Biden” deduce Rania “comprende questo rischio, ed è il motivo per cui ha affermato che non sosterrà un eventuale contrattacco israeliano” soprattutto perché, appunto, ammesso e non concesso che gli arsenali svuotati dei sostenitori dello sterminio dei bambini palestinesi e la loro base industriale sia, alla prova dei fatti, in grado di sostenere questo livello di fuoco, a non poterlo sostenere – probabilmente – sarebbero ancora prima i portafogli. “L’equazione nella regione” conclude Rania “è cambiata, e l’Iran lo ha fatto magistralmente e responsabilmente senza innescare la grande guerra”.
Nello specifico dell’operazione militare iraniana, un altro aspetto molto interessante è quello sottolineato dal sempre ottimo Fadi Quran di Avaaz, sempre su X: ricordando una vecchia lezione a cui ha assistito alla Stanford University, Fadi sottolinea come “La portata dell’attacco iraniano, la diversità dei luoghi presi di mira e le armi utilizzate, hanno costretto Israele a scoprire la maggior parte delle tecnologie antimissilistiche di cui dispongono gli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione. Gli iraniani” continua “non hanno usato armi che Israele non sapeva avessero, ma ne ha semplicemente usate molte. Gli iraniani invece ora probabilmente hanno una mappa quasi completa di come appare il sistema di difesa missilistico israeliano, così come di dove in Giordania e nel Golfo gli Stati Uniti hanno installazioni”; “questo” sottolinea ancora Quran, per Israele rappresenta “un costo strategico enorme: l’Iran adesso può decodificare tutte queste informazioni e ha gli strumenti per un futuro attacco enormemente più mortale”. “Chiunque sta sottolineando che si è trattato soltanto di un’operazione scenografica, non tiene in dovuta considerazione il fatto che raccogliere informazione sulle posizioni del nemico è estremamente prezioso, soprattutto se siamo di fronte a una lunga guerra di logoramento”; “Netanyahu e il governo israeliano” conclude “preferiscono una guerra rapida, calda e urgente in cui possano attirare l’America. Gli iraniani invece preferiscono una guerra di logoramento più lunga che privi Israele delle sue capacità di deterrenza e lo renda per gli arabi e gli Stati Uniti un alleato troppo costoso da sostenere”, soprattutto dal momento che questo continua ad essere solo uno dei tanti fronti e altrove non è che le cose vadano esattamente molto meglio.
Le difese aeree sono scomparse, titola Asia Times; la Russia domina lo spazio aereo dell’Ucraina: nell’articolo, il vice sottosegretario alla difesa USA Stephen Bryen ricorda come “La maggior parte dei sistemi di fascia alta precedentemente forniti dagli Stati Uniti e dall’Europa sono stati distrutti o hanno esaurito i missili intercettori”; “Ora” continua Bryen “gli Stati Uniti hanno annunciato che forniranno 138 milioni di dollari per mantenere e riparare i sistemi di difesa aerea HAWK precedentemente consegnati all’Ucraina”. Un sistema che, però, ormai non riscuote più molto successo: Taiwan ha recentemente deciso di liberarsene, sostituendoli con un sistema autoctono denominato Tien Kung e Israele ha dichiarato che quelli che gli rimangono sono ormai in pessime condizioni e non sono operativi, e che li sta sostituendo con i suoi Fionda di David. D’altronde l’HAWK è un sistema di difesa antiaerea semimobile che, nella sua versione originale, risale ormai agli anni ‘50; nel tempo sono stati implementate diverse migliorie, ma il grosso delle componenti sono “circuiti integrati di media scala che sono per lo più fuori produzione”: “è piuttosto improbabile” sottolinea Bryen “che una qualsiasi fonderia sia disposta a intervenire sulle sue linee per produrre una manciata di queste componenti, e quindi i computer, i componenti di guida, il sistema di controllo del fuoco, i radar e l’elettronica di bordo potrebbero avere i giorni contati”. E anche se riuscissero a risolvere questo collo di bottiglia, la reale efficacia, comunque, rimarrebbe opinabile: “Quanto sia efficace HAWK contro le minacce moderne” sottolinea infatti Bryen, “non è chiaro”; “Generalmente si ritiene che la capacità di uccisione di HAWK contro gli aerei sia superiore all’85% se lanciato in tandem (e, cioè, due missili per bersaglio)”, se il bersaglio è sufficientemente vicino, però. La gittata dei missili HAWK, infatti, non supera le 30 miglia; le bombe plananti – che vengono usate sempre di più dall’aviazione russa – partono da ben più lontano, ma ancora più dubbi ci sono sulla capacità del sistema HAWK di neutralizzare sciami di droni e missili balistici – per non parlare degli ipersonici. Insomma, “La conclusione” scrive Bryen, è che nonostante tutti i soldi e i quattrini di USA e alleati “ l’Ucraina non dispone più di difese aeree efficaci in grado di proteggere le infrastrutture critiche o fermare gli aerei russi sul campo di battaglia o nelle sue vicinanze, e senza difese aeree efficaci, la Russia domina lo spazio aereo dell’Ucraina”. E proprio grazie, in buona parte, al dominio dello spazio aereo, ribadisce Bloomberg, “Gli attacchi russi all’Ucraina alimentano la paura che l’esercito sia vicino al punto di rottura”: “Gli attacchi missilistici della Russia al sistema energetico ucraino, il bombardamento della sua seconda città più grande e l’avanzata sul fronte alimentano le preoccupazioni che lo sforzo militare di Kiev sia vicino al punto di rottura”, ricorda Bloomberg; “Una grave carenza di munizioni e manodopera lungo il fronte di 1.200 chilometri e le lacune nella difesa aerea mostrano che l’Ucraina è nel suo momento più fragile in oltre due anni di guerra” e “il rischio è un crollo delle difese ucraine, un evento che darebbe al Cremlino la possibilità di fare un grande passo avanti per la prima volta dalle fasi iniziali del conflitto”.
Nel condurre la sua guerra contro il resto del mondo per perpetuare un sistema globale fondato sul primato di una piccola tribù sul resto della popolazione mondiale, l’impero, quindi, si trova a combattere contemporaneamente da un lato con grandi potenze militari contro le quali sconta un importante deficit in termini di base industriale e, dall’altro, con attori in grado di sfruttare in vario modo i vantaggi asimmetrici (che così, a occhio, come minimo, è più che sufficiente per far venire qualche dubbio sul supposto strapotere dell’impero) e quando un servo comincia ad annusare che lo strapotere del suo padrone potrebbe non essere più così solido, inevitabilmente comincia a guardarsi intorno per capire se ci sono alcune alternative, soprattutto se è consapevole che, in un eventuale successo della rivolta degli schiavi, insieme al padrone ad essere decapitato sarebbe pure lui. Da questo punto di vista, la caduta dell’impero potrebbe anche essere accelerata dal collo di bottiglia in cui si è infilato a causa del suo continuo ricorso a dei proxy per portare avanti i suoi obiettivi strategici, come d’altronde è già successo in passato con l’islam radicale; idem ora col sionismo radicale, in particolare degli alleati più esplicitamente clericofascisti del governo Netanyahu: l’agenda politica dei Ben Gvir e degli Smotrich, infatti – come, d’altronde, quella dei banderisti più oltranzisti in Ucraina – sembra guidata, in buona parte, non solo da opportunismo e utilitarismo (che, con tutti i loro difetti, per lo meno sono atteggiamenti che spingono a confrontarsi sempre con la realtà materiale e i reali rapporti di forza esistenti), ma proprio da un fervore ideologico degno della peggiore feccia nazifascista alla quale, spesso, si ispirano esplicitamente.
Al contrario delle oligarchie USA che, per quanto deprecabili, hanno dimostrato di saper fare piuttosto bene il loro interesse e, quindi, di avere un’idea piuttosto precisa della realtà (altrimenti l’impero più vasto e potente della storia umana, di sicuro, non lo costruisci) questa feccia iperideologizzata vive in una realtà parallela e rischia di portare le oligarchie stesse a sbattere contro il muro – che sarebbe anche un ruolo oggettivamente positivo se non fosse che, nel farlo, hanno questo vizietto di sterminare una quantità spropositata di esseri umani e di portare l’intera umanità a un passo dall’autodistruzione definitiva anche senza nessuna utilità evidente; il problema, però, è che le oligarchie, per quanto possano anche realizzare lucidamente che i neonazisti di Azov – come i coloni millenaristi – facciano più danni della grandine, non possono sottrarsi dal sostenerli perché, comunque, la priorità strategica è impedire ai loro nemici (e, cioè, a qualsiasi paese che punti a indebolire l’unipolarismo USA per rafforzare la sua sovranità, accelerando la transizione verso un nuovo ordine multipolare) di ottenere qualche successo significativo. Ed ecco, così, come un genocidio e una pulizia etnica, anche se controproducenti per gli obiettivi strategici USA, alla fine si trasformano nella meno peggio delle opzioni.
In questo scenario inquietante la speranza, appunto, è che laddove vi siano dei margini di manovra, gli stati vassalli ne approfittino per prendere le distanze; purtroppo, però, al momento questa speranza appare spesso decisamente vana: nel caso di Israele, ad esempio, le forze europee effettivamente hanno fatto meno ostruzionismo degli USA per trovare una soluzione nell’ambito dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; ciononostante, però, per implementare le decisioni della Corte internazionale di giustizia, prima, e del consiglio di sicurezza, poi, non hanno mosso mezzo dito, mentre quando si è trattato di difendere lo stato genocida di Israele dalla legittima reazione iraniana – tutto sommato contenuta e fin troppo proporzionata – hanno ritrovato tutto lo smalto che sembravano aver perso e hanno messo in campo tutta la loro forza militare deterrente.
Da questo punto di vista, vorrei spezzare una lancia a favore del governo italiano, in particolare Antonio Tajani: tra i leader europei, infatti, così a occhio, è stato quello che ha espresso probabilmente la posizione più avanzata. Prima di tutto ha sottolineato il nesso diretto con l’attentato criminale all’ambasciata iraniana di Damasco, lasciando campo libero all’interpretazione di Teheran, prima, e di Mosca poi, che l’operazione militare iraniana sia stata del tutto legittima dal punto di vista del diritto internazionale. Ma poi è stato anche uno dei primissimi a esprimere pubblicamente e con parole chiare l’auspicio che Israele non risponda a questo attacco; probabilmente hanno pesato le forti relazioni commerciali che il nostro paese ha sempre intrattenuto con Teheran, dove eravamo in prima linea anche per le infrastrutture ferroviarie, un megabusiness al quale abbiamo rinunciato in ossequio alle politiche imperiali USA – un altro esempio eclatante delle ferite che gli sgarbi dell’arroganza imperiale hanno seminato a destra e manca e che, in una fase di declino, potrebbero riemergere in superficie con più forza e più rapidità di quanto sia oggi prevedibile.
Il dominio imperiale USA è il principale nemico dell’umanità; la storia, inevitabilmente, troverà il modo di presentare il conto. Scopo dell’informazione mainstream oggi è coprire, con ogni mezzo necessario, la realtà di questo processo storico devastante ed è per questo che abbiamo sempre più urgentemente bisogno di un vero e proprio media che, invece che fare da megafono alle follie della propaganda suprematista, dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Maurizio sambuca Molinari

Iran unico garante del popolo palestinese? – ft. Romana Rubeo

Oggi Giuliano, Clara e Gabriele parlano con Romana Rubeo di Palestina e Medio Oriente in generale. L’intervista spazia dalle reazioni mediorientali all’attacco iraniano, fino allo sbando che la classe dirigente occidentale sta manifestando in tutto il mondo. Israele si muove come una scheggia impazzita e gli stessi USA sembrano non riuscire più a governare il caos provocato dagli alleati. Buona visione!

L’Iran scommette sul crollo interno di Israele – Ft. Gianandrea Gaiani

Oggi i nostri Clara e Gabriele intervistano Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, sul conflitto in Medio Oriente, i rischi di destabilizzazione legati al bombardamento israeliano dell’edificio diplomatico iraniano in Siria e l’instabilità interna libanese e siriana. Mentre si accendono sempre più fuochi ai confini, la società israeliana sembra sempre più frammentata al proprio interno, con il governo duramente contestato da opposizione e stampa. Buona visione!

  • 1
  • 2