Operazione J.D. Vance: un’icona dell’America profonda al servizio della guerra e delle oligarchie
Il prossimo leader repubblicano: così David Graham martedì intitolava su The Atlantic il suo ritratto dell’uomo del momento, James David Vance, il volto iconico dell’America profonda che The Donald ha incoronato suo vice in piena zona Cesarini pochi minuti prima dell’inizio della grande convention repubblicana di Milwaukee. Una mossa a sorpresa che ha immediatamente incendiato gli animi delle opposte tifoserie che, tutto sommato, condividono un’idea di fondo: The Donald non è un presidente come gli altri; la sua eventuale elezione comporterà stravolgimenti profondi e la scelta di Vance come vice non fa che confermarlo, solo che una parte considera questa profonda trasformazione un pericolo esistenziale che rischia di mettere fine alla democrazia per come l’abbiamo conosciuta e l’altra, invece, la considera l’ultima opportunità che abbiamo per mettere fine alla dittatura del gender e dei minipony imposta dalle élite globaliste e dal deep state. Ovviamente – per quanto entrambe le tifoserie, in realtà, non siano del tutto prive di argomenti – si tratta, in soldoni, nella migliore delle ipotesi di un gigantesco equivoco; nella peggiore, di una gigantesca messa in scena. Al netto di alcune differenze tutto sommato piuttosto trascurabili, anche a questo giro, come in ogni elezione presidenziale americana, il popolo non sarà chiamato a scegliere tra opzioni realmente alternative, ma – molto più banalmente – a dare una semplice indicazione sul tipo di narrazione che, in questa fase specifica, ha più possibilità di distrarci dalle scelte drammatiche che vengono prese sulla nostra pelle dal partito unico della guerra e degli affari, attirando la nostra attenzione su una lunga serie di puttanate sostanzialmente ininfluenti; l’incoronazione di Vance a vice, allora, va letta principalmente da questo punto di vista: il colpo di scena di uno sceneggiatore talentuoso che sta scrivendo il copione della favoletta che proveranno a rifilarci mentre, sotto la superficie, continuano a portare avanti gli interessi strategici dell’imperialismo USA e delle oligarchie finanziarie che lo dominano. E a questo giro, bisogna ammetterlo, il copione è veramente appassionante e incredibilmente efficace, esattamente quello che serviva per provare a ridare uno slancio ideale a un paese che si trova ad affrontare sfide epocali in una condizione di frammentazione mai vista prima. Ma prima di addentrarci nei dettagli del grande romanzo popolare di James David Vance, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra battaglia contro gli algoritmi e, se ancora non lo avete fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali social e di attivare tutte le notifiche, perché se loro, per diffondere le loro favolette, possono contare su Netflix, i guru della Silicon Valley e tutti gli altri mezzi di produzione del consenso, noi, per provare a riportare il dibattito sul piano della realtà, abbiamo soltanto il vostro sostegno.
C’era una volta il wishful thinking degli analfoliberali: interpretavano ogni segnale come la premessa del crollo della Russia sotto il peso delle sanzioni economiche e dell’eroica resistenza Ucraina e quello della Cina sotto il peso del suo sistema dirigista e distopico fondato su numeri fasulli e propaganda; nonostante la macchina propagandistica, giorno dopo giorno la realtà gli ha presentato il conto. Ovviamente, ancora oggi, gli analfoliberali e i loro potenti organi di disinformazione di massa continuano a bombardarci di minchiate totalmente infondate, ma la stragrande maggioranza della popolazione ormai ha imparato il giochino e alle loro vaccate, sostanzialmente, non abbocca più. Purtroppo però, non abbiamo fatto manco in tempo a festeggiare questa epocale disfatta di una forma di wishful thinking che eccone avanzare a passo spedito subito un’altra, possibilmente ancora più delirante e pericolosa: è la speranza che un palazzinaro multimiliardario, una sorta di Flavio Briatore on steroids imperialista e suprematista fino al midollo come Donald Trump, rappresenti un’alternativa concreta ai piani distopici delle oligarchie e del deep state impegnati in un’escalation bellica senza limiti a sostegno della lotta di classe dall’alto contro il basso e dal centro dell’impero contro il resto del mondo, una speranza che ultimamente rischiava di venire un po’ incrinata dal sostegno che The Donald, nelle ultime settimane, ha cominciato a raccogliere da pezzi consistenti delle stesse oligarchie – dal potentissimo fondatore di BlackStone Stephen Schwarzman agli odiatissimi venture capitalist della Silicon Valley, nonché dall’intero establishment neo-conservatore del Partito Repubblicano. Per rilanciare allora la narrazione del Trump antisistema avversato dalle élite c’era bisogno di un colpo di scena; anzi, di due: il primo è la manna dal cielo dell’attentato fallito di sabato scorso che, inevitabilmente, ha scatenato ogni tipo di teoria cospirazionista. Il secondo, appunto, è stata la nomina a vice di James David Vance.
Ma chi è James David Vance e perché la sua nomina è così importante dal punto di vista della narrazione trumpiana? Come sottolinea sempre David Graham su The Atlantic, “La rapida ascesa di J. D. Vance dall’oscurità alla nomina alla vicepresidenza è una di quelle storie che possono accadere soltanto negli USA, e che modellerà ciò che l’America è, nel bene e nel male, per le generazioni a venire”. La scelta della candidatura di Vance è stata immediatamente salutata, appunto, come la prova provata che Trump non ha rinunciato alla sua crociata anti-sistema per assecondare le élite che lo hanno prima sdoganato e poi riempito di quattrini: di origini più che umili, con una storia personale più che travagliata e solito a dichiarazioni fortemente anti-establishment, dalla politica economica a quella internazionale, Vance viene infatti spacciato come l’anima più genuinamente anti-sistema del MAGA, il movimento che si riconosce nello slogan del Make America Great Again.
Purtroppo, però, potrebbe essere un giudizio piuttosto avventato: Vance infatti diventa un personaggio pubblico di rilievo nel 2016 quando, appena 32enne, diventa un caso letterario nazionale grazie al suo Hillbilly Elegy – Memoria di una famiglia e di una cultura in crisi; si tratta di un’opera autobiografica dove, attraverso la travagliata storia della sua disastratissima famiglia, Vance compone un affresco spietato della classe lavoratrice bianca impoverita della Rust Belt che rappresenta uno degli zoccoli duri dell’affermazione del trumpismo. Nonostante si tratti di un testo che ha la profondità di un editoriale di Massimo Gramellini (o forse proprio per questo), il libro riceve immediatamente una quantità spropositata di recensioni entusiaste dal gotha dell’editoria conservatrice e diventa immediatamente un enorme caso letterario, ma probabilmente con finalità diametralmente opposte a quelle a cui state pensando: il ritratto che Vance fa del white-trash, infatti, è impietoso e superficiale; la sua storia è la storia di una famiglia che viene da un angolo remoto del Kentucky, nella catena montuosa degli Appalachi, e poi si trasferisce nella piccola cittadina di Middletown, in Ohio, nel cuore della Rust Belt. Qui il giovane e paffutello JD viene cresciuto insieme alla sorella dai nonni materni, mentre la madre passa da una relazione sconclusionata all’altra e, soprattutto, da una dipendenza all’altra; ma la descrizione impietosa del degrado, invece che spingere alla ricerca delle cause profonde, sfocia esclusivamente nel classico appello alle responsabilità individuali e alla necessità di darsi da fare e superare gli ostacoli a suon di determinazione per inseguire il sogno americano, che Vance cita innumerevoli volte lungo tutto il testo e che, alla fine, realizza: JD, infatti, rincorre la sua emancipazione prima arruolandosi nei Marines e poi conquistandosi faticosamente un posto nella scuola di legge di Yale. Ma attenzione: al contrario dei figli di papà che lo circondano da lì in poi, non si scorderà mai da dove viene; nonostante il giudizio moralistico sui parenti, tiene fede ai suoi obblighi nei confronti della famiglia, e, grazie al suo successo personale conquistato con così tanta dedizione, riesce a portare un po’ di sicurezza e di serenità anche in quel posto di merda di Middletown. Insomma: più che un working class hero, un mezzo mitomane.
La cosa interessante è che questa lettura prettamente moralistica e ultra-individualista dei problemi che affliggono il proletariato impoverito della Rust Belt, in realtà, viene utilizzata in quell’anno da Vance stesso per criticare proprio Trump e il suo movimento: all’apice del successo letterario e della prima campagna presidenziale di The Donald, sempre su The Atlantic Vance pubblica un articolo/manifesto che non lascia troppo spazio alle interpretazioni e dove definisce esplicitamente Donald Trump “oppio per il popolo”.
Vance parte col descrivere di nuovo il suo cavallo di battaglia: l’epidemia di consumo di oppiacei ed eroina che ha travolto il proletariato bianco della Rust Belt, a partire da sua madre: “Qualche sabato fa” scrive Vance “io e mia moglie abbiamo trascorso la mattinata facendo volontariato in un orto comunitario nel nostro quartiere di San Francisco. Dopo alcune ore di lavoro occasionale, noi e gli altri volontari ci siamo dispersi verso le nostre rispettive destinazioni: gustosi brunch, gite di un giorno nella regione del vino, visite alle gallerie d’arte. Era una giornata perfettamente normale, per gli standard di San Francisco”, ma in “Quello stesso sabato, nella piccola cittadina dell’Ohio dove sono cresciuto, quattro persone sono andate in overdose di eroina. Un tenente della polizia locale ha riassunto freddamente la banalità di tutto ciò: Non è poi così insolito per un periodo di 24 ore qui. Aveva ragione: anche a Middletown, Ohio, era stata una giornata perfettamente normale”. “Gli americani veramente estranei alla dipendenza” continua Vance “sono veramente pochi. Poco prima di laurearmi in giurisprudenza, ho saputo che mia madre giaceva in coma in un ospedale, conseguenza di un’apparente overdose di eroina. E l’eroina era solo l’ultima delle sue droghe preferite. Gli oppioidi da prescrizione l’avevano già portata più volte in ospedale in passato, e nel decennio precedente al suo primo assaggio di vera eroina erano costati terribilmente cari alla nostra famiglia. E prima che suo padre abbandonasse la bottiglia verso la mezza età, era un ubriacone notoriamente violento. Nella nostra comunità c’è da tempo un grande desiderio di alleviare il dolore; l’eroina è solo il veicolo più nuovo”; “Ora” continua Vance “in questa stagione elettorale, sembra che molti americani siano alla ricerca di un altro antidolorifico. Come gli altri, promette una rapida fuga dalle preoccupazioni della vita e una soluzione facile ai crescenti problemi sociali delle comunità e della cultura degli Stati Uniti. Non richiede nulla di particolare. Ed entra in circolo non attraverso i polmoni o le vene, ma attraverso gli occhi e le orecchie. Il suo nome è Donald Trump”: “Ciò che Trump offre” continuava Vance “è una facile fuga dal dolore. Ad ogni problema complesso promette una soluzione semplice. Può riportare posti di lavoro semplicemente punendo le società che delocalizzano. Può curare l’epidemia di dipendenza costruendo un muro messicano e tenendo fuori i cartelli. Può risparmiare agli Stati Uniti l’umiliazione e la sconfitta militare con bombardamenti indiscriminati. E non importa che nessun leader militare credibile abbia appoggiato il suo piano. Trump non offre mai dettagli su come funzioneranno questi piani, perché non può. Le promesse di Trump sono l’ago nella vena collettiva dell’America”. “La grande tragedia” continuava Vance “è che molti dei problemi individuati da Trump sono reali e richiederebbero una riflessione seria e un’azione misurata”, ma “Trump è eroina culturale: fa sentire meglio alcuni per un po’. Ma non può risolvere ciò che li affligge e un giorno se ne renderanno conto. E solo allora, forse, la nazione sarà in grado di sostituire il rapido effetto placebo dello slogan Make America Great Again con la vera medicina”. Appena due anni dopo, come per incanto, il nostro caro James David si era convinto che quell’oppiaceo, quella eroina culturale, in realtà era esattamente quello che serviva per risvegliare il popolo americano e da lì in poi, da critico fervente, diventerà uno dei volti più noti proprio del MAGA, il Make america great again; cosa sarà stato mai a fargli cambiare idea?
La risposta è piuttosto semplice: si chiama Peter Thiel, il famigerato venture capitalist multimiliardario della Silicon Valley che, da sempre, affianca alla sua carriera di imprenditore visionario un’aura da guru dell’anarco-capitalismo più selvaggio che, però, non gli ha impedito di andare sempre a braccetto con l’intelligence USA; in particolare a partire dal 2004, quando con i soldi di In-Q-Tel, la società di venture capital della CIA, fondò Palantir che, come ha scritto Enrique Dans della IE Business School di Madrid, è “una delle società più sinistre del mondo”, “incarna tutto ciò che è sbagliato e immorale nella scienza dei dati” e che, in combutta – appunto – con i servizi, è impegnata sin dalla sua fondazione “in quello che sembra essere il più grande tentativo della storia di creare un macro-database globale da parte di un’azienda privata”. Peter Thiel è considerato uno degli ispiratori del cosiddetto movimento neo-reazionario, una specie di accelerazionismo di estrema destra che mira al ritorno a forme ultra-autoritarie di governo, monarchia assoluta compresa; la tesi – tutto sommato anche abbastanza corretta – è che “libertà e democrazia non siano compatibili”, almeno se prendiamo la loro accezione (sostanzialmente da sociopatici) di libertà e che, ovviamente, la priorità vada data alla difesa della libertà assoluta delle persone con maggiori capacità di fare un po’ cosa cazzo gli pare. Insomma: per usare un termine che magari vi è un po’ più familiare, parliamo sostanzialmente di nazisti, anche se fanno fatica a identificarsi direttamente ed esplicitamente col nazifascismo perché lì c’era comunque l’idea dello Stato imprenditore come promotore dello sviluppo delle forze produttive che, invece, per loro è un compito che spetta esclusivamente alle grandi corporation e al capitale finanziario privato. Il nostro JD ha avuto modo di conoscere da vicino Thiel durante gli anni alla scuola di legge di Yale e, come scrive Vance stesso in un suo articolo di 4 anni fa intitolato Come mi sono unito alla resistenza, “L’incontro con Peter” sottolinea JD “rimane il momento più significativo del mio periodo alla Yale Law School” non solo perché “era forse la persona più intelligente che avessi mai incontrato, ma anche, se non soprattutto, perché era un fervente cristiano” ed è proprio per devozione cristiana che, qualche anno dopo, Vance seguirà Thiel in una delle sue innumerevoli iniziative imprenditoriali, diventando uno dei top manager del fondo di venture capital specializzato in nuove tecnologie Mithril Capital; nel frattempo Thiel era diventato tra i principali sostenitori proprio di Donald Trump ed ecco così che, per pura coincidenza, avviene anche la conversione di JD non solo al cristianesimo messianico e filo-sionista, ma anche al trumpismo.
Ma la costruzione del personaggio Vance era appena all’inizio; nel 2017 JD decide di tornare in Ohio dove fonda un’organizzazione no-profit per combattere l’epidemia di oppiacei nella Rust Belt e un altro fondo per favorire la crescita delle iniziative imprenditoriali locali, ma secondo una lunga inchiesta di Business Insider del 2021 è tutta fuffa: “Molti politici cercano di rafforzare la propria immagine puntando sul proprio senso degli affari e sugli sforzi filantropici” sottolinea l’articolo. “In realtà, però, non è chiaro cosa Vance abbia ottenuto attraverso la sua azienda o il suo ente di beneficenza. Un’analisi di Insider della documentazione fiscale di Our Ohio Renewal ha mostrato che nel suo primo anno, l’organizzazione no-profit ha speso di più in servizi di gestione forniti dal suo direttore esecutivo – che funge anche da principale consigliere politico di Vance – che in programmi per combattere l’abuso di oppioidi. Il gruppo, che ha chiuso il suo sito web e abbandonato il suo account Twitter dopo aver pubblicato solo due tweet, afferma di aver commissionato un sondaggio per valutare i bisogni e il benessere degli abitanti dell’Ohio, ma la campagna di Vance ha rifiutato di fornire qualsiasi documentazione del progetto. E una portavoce della più grande coalizione anti-oppioidi dell’Ohio ha detto a Insider di non aver sentito parlare dell’organizzazione di Vance. E’ tutta una farsa, ci ha dichiarato Doug White, l’ex direttore del programma di master in gestione della raccolta fondi presso la Columbia University, che ha esaminato la dichiarazione dei redditi di Our Ohio Renewal per Insider” . D’altronde si sa: gli innovatori intraprendenti che combattono contro il sistema e il deep state non possono muovere un passo senza che gli si scateni contro la solita macchina del fango; rimane qualche dubbio sul fatto che Vance appartenga davvero a questa categoria, un dubbio che deve essere sorto non solo a noi: mentre infatti Vance lavorava giorno e notte per costruirsi questa immagine di Don Chisciotte anti-sistema, in quelli che vengono spesso considerati i posti più strategici da dove si costruisce la propaganda delle élite globaliste evidentemente si cominciava a pensare che la minaccia non fosse poi così reale e che, anzi, si poteva dare un bel contributo concreto a creare questo personaggio di fiction.
Nel 2020, infatti, nientepopodimeno che Netflix – e cioè l’avamposto per eccellenza della cosiddetta ideologia gender – decideva di dare un’altra botta di celebrità al nostro paladino anti-establishment investendo 50 milioni di dollari per trasformare il suo mediocre libro in un film che sarei tentato dire essere di bruttezza rara, ma che tutto sommato, visto quanto sono brutti in media i prodotti Netflix, non sfigura nemmeno troppo: il film si chiama, appunto, Hillbilly Elegy (tradotto in Italia in Elegia Americana) e da quando Vance è stato nominato vicepresidente in pectore, è tornato a scalare la classifica dei film Netflix più visti. Il film è piuttosto fedele al testo e allo spirito del libro: il degrado, verissimo, nel quale è precipitata l’America profonda, l’assoluta mancanza di una risposta collettiva e politica a questa deriva, il primato assoluto della famiglia e dei valori tradizionali come risposta a questo degrado, l’idea che solo la determinazione individuale paga e il ritratto di JD come di un eroe buono e senza macchia, intelligentissimo e in grado di trovare il successo nonostante tutte le avversità, ma anche un po’ pacioccone e sempre in grado di prendersi le sue responsabilità e perdonare i peccatori che lo circondano. Da quando è stato nominato, il cosiddetto mondo del dissenso si è messo a dissezionare le varie dichiarazioni politiche e le possibili mosse future, inseguendo l’illusione che la risposta che non siamo in grado di costruire dal basso con il nostro lavoro quotidiano arrivi magicamente un bel giorno dall’alto per gentile concessione; non fanno che parlare, giustamente, di quanto la classe politica sia una branca di teatranti e poi, inspiegabilmente, si fanno incantare da un personaggio costruito meticolosamente, pezzo dopo pezzo, a tavolino, col sostegno di oligarchi multimiliardari invischiati con la CIA e dei principali mezzi di produzione del consenso in circolazione. Se oggi Vance incarna meglio il senso comune è, molto banalmente, perché è stato costruito nel tempo a tavolino proprio per questo e intercettare così il voto che oggi i vecchi tromboni liberaloidi, dopo che sono stati presi a schiaffi per anni, non possono più intercettare; pensare che questa rappresentazione teatrale corrisponda poi anche a un cambio di linea concreto, significa molto semplicemente non aver capito come funziona il teatrino della democrazia rappresentativa nell’era della dittatura delle oligarchie – e con questo non voglio in nessun modo sostenere che all’interno delle classi dirigenti non esista nessuna forma di dialettica e che ogni opzione vada valutata nel dettaglio, al di là di ogni settarismo e di ogni schematismo, ma che ancora ci sia qualcuno che valuta politicamente le opzioni possibili in base alle puttanate che ci raccontano e alle commedie che mettono in scena mi sembra disarmante.
Per de-costruire le narrazioni e la propaganda degli arruffapopoli, abbiamo sempre più bisogno di un vero e proprio media tutto nostro che, invece che alla loro commedia, dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Matteo Salvini
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