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Autore: Davide Martinotti

ONU paralizzata: come gli USA stanno smantellando l’ordine basato sulle regole

Guerra a Gaza: gli Stati Uniti stanno continuando a bloccare l’ONU, per due volte in una settimana. Ma la seconda volta si sono trovati isolati nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli unici a votare contro a una mozione umanitaria ed equilibrata…

Ieri è accaduta una cosa abbastanza grave: gli Stati Uniti hanno posto il veto e quindi bloccato la risoluzione presentata dal Brasile al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Risoluzione nel testo condanna Hamas esplicitamente, come viene scritto al punto 2, dove la condanna è definita inequivocabile e gli attacchi di Hamas sono definiti “attacchi terroristici”. Al punto 3 invece chiede l’immediato e incondizionato rilascio degli ostaggi; al punto 4 chiede a tutte le parti di rispettare gli obblighi della legge internazionale, la protezione dei civili; al punto 5 ricorda come occorra assicurare ai civili cibo, acqua, e beni di prima necessità, perché la legge internazionale prevederebbe questo; al punto 6 specifica come l’ordine di evacuazione di Gaza Nord sia impraticabile, sia per i civili che per lo staff dell’ONU presente in zona, e chiede che l’ordine venga revocato; al punto 7 chiede una pausa umanitaria che permetta alle agenzie non governative, tra cui l’ONU stessa e la croce rossa di poter avere accesso a Gaza; al punto 9 chiede il rispetto del personale medico e degli ospedali; al punto 10 avverte del possibili allargamento del conflitto all’intera regione e alla necessità di prevenire questa eventualità.

In tutta la risoluzione la parola Israele non compare neppure, solo in due richiami alla protezione dei civili di Israele. Ma nonostante i toni decisamente morbidi verso Israele, gli Stati Uniti sono stati l’unico paese ad aver votato contro e ad aver posto il veto, bloccando quindi la risoluzione.

Il consiglio di sicurezza è formato da dieci membri eletti, temporanei e a rotazione ogni due anni, e cinque membri permanenti, cioè Cina, Francia, Russia, Stati Uniti e Regno Uniti. A votare a favore di questa risoluzione abbiamo la totalità dei membri eletti, cioè Svizzera, Malta, Giappone, Mozambico, Gana, Gabon, Emirati Arabi Uniti, Albania, Equador e ovviamente Brasile, che ha presentato la risoluzione, e anche due dei membri permanenti del consiglio, cioè Cina e Francia.

Quindi 12 voti a favore, più che sufficienti per ottenere l’approvazione del consiglio di sicurezza, che prevede almeno 9 voti a favore, e le risoluzioni prese dal consiglio di sicurezza sono legalmente vincolanti per tutti i paesi membri dell’ONU. Ad astenersi, il Regno Uniti e la Russia, e la Russia si è astenuta perché lunedì aveva presentato una risoluzione rivale, che chiedeva un cessate il fuoco e non esprimeva una condanna diretta ad Hamas. La risoluzione Russa era una risoluzione puramente umanitaria che non esprimeva nessuna condanna politica, così i paesi occidentali si erano opposti, dicendo di non poter votare una risoluzione che non condannasse direttamente Hamas.

Ma a quanto pare, un paese occidentale in particolare non può votare neppure una risoluzione che condanna direttamente Hamas, e quel paese sono gli Stati Uniti! Come in loro diritto, hanno posto il veto, e quindi bloccato, la risoluzione Brasiliana, che invece Hamas lo condannava eccome, e, oltre a questo, si limitava a chiedere a tutte le parti coinvolte di rispettare la legge internazionale, senza manco nominare Israele. Ma per gli Stati Uniti non è stato sufficiente, mozione bocciata.

Il fatto che una mozione così equilibrata, che non faceva altro che ribadire il rispetto della legge internazionale, che non chiedeva il cessate il fuoco ma una pausa umanitaria per assistere i civili martoriati da due settimane di bombardamenti e dall’assoluta scarsità di beni di prima necessità, il fatto che sia stata bloccata dagli Stati Uniti, unici nel loro voto contrario, e completamente isolati all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e qualcosa che dovrebbe farci riflettere.

Anche la Russia il 26 febbraio del 2022 aveva posto il veto ad una risoluzione che condannava l’invasione Russa in Ucraina e chiedeva il ritiro immediato delle truppe russe, poi l’assemblea generale aveva adottato una risoluzione simile ma le risoluzioni dell’assemblea generale non sono legalmente vincolanti, a differenza di quelle del consiglio di sicurezza. In quell’occasione l’ambasciatrice statunitense all’ONU aveva dichiarato che con quel voto la Russia stava sovvertendo l’ONU e il sistema internazionale, l’ordine internazionale basato sulle regole

E allora usiamo le sue stesse parole: con il voto di ieri gli Stati Uniti stanno sovvertendo l’ONU e il sistema internazionale, stanno minacciando l’ordine basato sulle regole, con la curiosa aggravante che, almeno in teoria, quelle regole sarebbero le loro regole, le “regole dell’ordine internazionale liberale”, un ordine che si basa non solo sulle Nazioni Unite ma anche su istituzioni come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, dove gli Stati Uniti sono l’unico paese che detiene potere di veto, avendo più del 15% delle quote. Nel Fondo Monetario Internazionale è necessario l’85% dei voti per approvare qualsiasi decisione, e gli USA sono l’unico paese a detenere più del 15% dei voti, quindi passa solo ciò che gli USA vogliono far passare. L’ordine basato sulle regole si fonda su istituzioni in ciascuna delle quali, gli Stati Uniti hanno potere di veto.

Quando gli USA criticano altri paesi, ad esempio la Cina, non fanno altro che ripetere, a parole, la necessità che ogni paese rispetti queste regole, ma nei fatti, quando queste regole rischiano anche solo di stemperare, l’azione di un paese alleato degli Stati Uniti, allora gli Stati Uniti si oppongono, anche a costo di essere l’unico paese che si oppone. Tutto secondo le regole, hanno il diritto di veto ovunque ed è assolutamente regolare che lo esercitino, però è chiaro che così l’ordine internazionale rischia una grossa perdita di credibilità: se il soggetto che vuole mantenere egemonia sull’ordine internazionale, e che quindi dovrebbe essere il principale garante di questo ordine, si trova però ad essere anche l’unico che si oppone alle decisioni delle istituzioni su cui questo ordine dovrebbe fondarsi, allora l’ordine basato sulle regole non c’è più.

Insomma, questo ordine basato sulle regole, sembra un po’ l’ordine basato sulle regole del Fight Club, dove la prima regola dell’ordine basato sulle regole è non capire mai quali sono queste regole, e la seconda regola è che ogni tanto si scende in garage a menarsi e vince il più forte, e fine delle regole. Se queste sono le regole allora le stanno rispettando tutti, le sta rispettando Israele ma le sta rispettando anche Hamas, sono scesi in garage a menarsi con il consiglio di sicurezza dell’ONU che non riesce ad approvare una risoluzione che condanna fortemente Hamas e a Israele chiede solo di rispettare la legge internazionale.

Ma questo smantellamento delle istituzioni e delle loro funzioni non riguarda solo l’ONU e non riguarda solo i fatti accaduti negli ultimi due anni: c’è anche un’altra istituzione che è stata un po’ il Vaticano dell’ordine internazionale liberale, cioè l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il WTO, una delle principali strutture promotrici liberalismo economico e dell’internazionalismo liberale. Il suo scopo era espandere il libero scambio, il libero mercato e la mobilità dei capitali, contrastando politiche protezioniste, i dazi e le tariffe.

Se ne parlava tanto, ma è da un po’ che il WTO è sparito dai radar, ogni tanto qualche paese si rivolge al Organizzazione Mondiale del Commercio ma è come andare a pregare in una chiesa sconsacrata… Il fatto è che da anni l’organo di appello del WTO è paralizzato: la risoluzione delle controversie nell’ambito del WTO è un processo in due fasi, c’è una giuria che risolve le controversie in prima istanza, ma le decisioni della giuria possono essere appellate in un organo di appello, che ha bisogno di almeno tre membri per ascoltare e decidere ogni ricorso. Ma è dal 2016 che gli Stati Uniti hanno bloccato le nuove nomine dell’organo d’appello, arrivando sostanzialmente a paralizzare questo organo. Dal 2016 al 2022 gli USA si sono opposti per 60 volte consecutive alle proposte degli altri paesi per riaprire le selezioni per nuovi membri dell’Organo per la risoluzione delle dispute, ufficialmente, dicono gli stati uniti, per preoccupazioni istituzionali non ancora risolte.

Ma questo, viola apertamente il “dispute settlement understanding”, un documento legale del WTO che all’articolo 17.2 specifica che la nomina dei membri vacanti dovrebbe essere risolta non appena si verifica l’assenza di un membro. Ecco un’altra regola dell’ordine basato sulle regole che ha preso troppe sberle in garage ed è finita in terapia intensiva, ma non era una regola da poco. La paralisi dell’Organo per la risoluzione delle dispute è sfruttata da vari paesi, tra cui gli USA stessi, tanto che ad oggi ci sono ventinove appelli pendenti su dispute commerciali, la quasi metà dei quali avanzati proprio dagli Stati Uniti. Per capirsi, è un po’ come se un imputato facesse appello per ridiscutere una sentenza a lui non favorevole, ma è un imputato molto potente, sufficientemente potente da poter bloccare i lavori del tribunale che dovrebbe valutare questo appello, e quindi la sentenza rimane paralizzata e inapplicata…

Nella pratica capita, ad esempio, che gli Stati Uniti con Donald Trump avevano imposto tariffe sull’acciaio e sull’alluminio, sollevando al WTO le critiche di Norvegia, Svizzera, Cina e Turchia. A dicembre 2022 la corte di primo livello del WTO aveva stabilito che queste tariffe statunitensi violavano le regole del libero commercio, cioè violavano le regole dell’ordine basato sulle regole. Cosa hanno fatto gli Stati Uniti? Hanno fatto appello, ben sapendo che l’organo di appello è paralizzato dagli Stati Uniti stessi, cioè un modo per far morire la controversia. In sostanza, l’amministrazione Biden si è opposta alla sentenza del WTO e le tariffe sono rimaste in vigore.

Capiamo quindi che non esiste più nessun ordine basato sulle regole! Resta solo da capire cosa intenda il G7 quando nelle sue dichiarazioni scrive che la Cina non rispetta l’ordine basato sulle regole… ma di quale ordine si sta parlando? O l’Europa che dice che la Cina distorce il mercato con i suoi incentivi statali alle auto elettriche, mentre non ha nulla da eccepire per il fatto che con il CHIPS and Science Act del 2022 gli Stati Uniti hanno stanziato 40 miliardi di dollari in incentivi per il settore dei semiconduttori e 200 miliardi di dollari per il settore ricerca e sviluppo, per altro distorcendo completamente le catene di rifornimento globali dei semiconduttori imponendo ai beneficiari di questi sussidi di interrompere i rapporti con la Cina… non sono sussidi statali anche questi? Non è anche questa una distorsione del mercato?

La Cina non rispetta le regole dell’economia liberale, su questo non c’è ombra di dubbio, anche perché quelle regole criticano l’intervento dello stato nell’economia e avversano politiche industriali pianificate, ma in Cina lo stato è il principale attore dell’economia e le politiche industriali sono pianificate eccome. Se la Cina le avesse rispettate, avrebbe fatto la fine che hanno fatto gli stati in via di sviluppo che le hanno rispettate, cioè la miseria, perché bisogna notare come tutti i principali Stati sviluppati del mondo si sono sviluppati con politiche protezioniste, dazi, tariffe, politiche industriali a protezione dell’industria nascente e spionaggio industriale

ne parla con maestria il libro “Kicking away the Ladder”, scritto da Ha-Joon Chang, economista sud coreano che fa l’analisi di tutte le politiche messe in atto da quei paesi che nel 1900 si trovavano ad essere già sviluppati. Come hanno fatto questi paesi a svilupparsi, si chiede il libro? Con politiche protezioniste, dazi, tariffe, politiche industriali a protezione dell’industria nascente e spionaggio industriale. Dopo che si sono sviluppati, hanno proposto l’ordine liberale basato sulle regole, che sostanzialmente scoraggia i paesi non sviluppati ad adottare politiche protezioniste, dazi, tariffe, politiche industriali e così via. “Kicking away the Ladder”, calciar via la scala, per impedire agli altri di salire!

Una ulteriore conferma di queste teorie la vediamo proprio sotto i nostri occhi in questi ultimi anni: nel momento in cui la Cina è emerso come concorrente a livello globale, gli Stati Uniti hanno ripreso a fare dazi, tariffe e politiche di re-industrializzazione guidate dallo stato, paralizzando quelle istituzioni come il WTO che avrebbero dovuto impedire ai paesi di fare questo…

Insomma, l’ordine internazionale basato sulle regole sta tramontando e nel vuoto che lascia un nuovo ordine internazionale sta nascendo, guidato principalmente dalla Cina. Non ci piace questa ipotesi? Abbiamo paura di questa ipotesi? Beh, occorreva agire prima, occorreva proteggere questo ordine di fronte alle evidenti storture che stava manifestando, fin dalle prove false mostrate dagli Stati Uniti sulle armi di distruzione di massa irachene a giustificazione della guerra, il più grave shock di credibilità dell’ordine post guerra fredda, fin da quel momento occorreva che l’occidente mostrasse al mondo che nessuno può agire in questo modo in maniera impunita, così come la Russia è stata sanzionata, chiunque deve essere sanzionato. E invece no, l’Italia di Berlusconi, l’Inghilterra di Blair e altri paesi europei sono andati in Iraq a fianco degli Stati Uniti, nella coalizione dei volenterosi, Busch e Blair sono ancora a piede libero e Berlusconi è morto in odore di santità. Se volevamo preservare un ordine mondiale a guida occidentale, doveva essere chiarito di fronte al mondo che questo ordine internazionale non avrebbe mai assunto la forma di una dittatura con un soggetto egemone che può agire in maniera impunita, per quanto questo soggetto sia democratico al suo interno, questa sua democrazia interna doveva anche essere garanzia di democrazia internazionale, e non solo un vuoto piedistallo morale, anche perché, dopo secoli di colonialismo europeo, il mondo ne aveva già anche pieni i coglioni!

Canada vs India: le accuse all’india e il doppio standard dell’occidente

India accusata di omicidio di un cittadino canadese in Canada

Ci sono due motivi per cui il Canada è sotto i riflettori mondiali nell’ultima settimana, uno abbastanza imabarazzante e l’altro abbastanza interessante.

Il motivo imbarazzante è che, in occasione della visita di Zelensky, al Parlamento canadese è stato reso omaggio ad un ex SS ucraino, definendolo un eroe ucraino che ha combattuto contro i russi per l’indipendenza dell’Ucraina e che ancora oggi, ultranovantenne, si batte per la verità. Insomma, che Putin menta quando dice che in Ucraina c’è il nazismo, il Canada ha scelto di farcelo spiegare proprio da un eroico ex-SS ucraino applaudito in mondo visione da Zelensky, un’operazione davvero brillante, se lo scopo era quello di fare un favore a Putin. Tanto che dopo pochi giorni il Presidente dell’istituzione Canadese ha dovuto scusarsi con le varie comunità ebraiche che hanno protestato ricordando come la divisione delle SS in cui l’eroe ha prestato volontariamente servizio è stata una unità militare i cui crimini contro l’umanità sono ben documentati.

Ma c’è un secondo motivo per cui si parla di Canada, cioè il fatto che il Primo Ministro canadese Trudeau ha accusato l’India di essere dietro all’omicidio di un cittadino canadese. L’India ha respinto le accuse è tra i due paesi è in corso una tensione diplomatica, fatta di reciproche espulsioni di funzionari.

La vittima dell’omicidio è il leader separatista Sikh Nijjar, residente in Canada e con cittadinanza canadese. Un membro della folta diaspora Sikh sparpagliata in vari paesi del mondo, tra cui anche l’Italia, ma specialmente in Canada. Il movimento separatista Sikh chiede all’India la formazione di uno Stato autonomo almeno dal 1947, dai tempi della Partizione dell’India, decisa dall’Impero britannico, che divise la colonia dell’india britannica in due stati separati, India e Pakistan: una separazione che portò ad enormi tensioni, che si tradussero in oltre un milione di morti e la regione del Grande Panjaab, centro geografico della cultura Sikh, si trova proprio in mezzo a questa divisione.

Da allora le tensioni tra il governo indiano e il separatismo Sick non si sono mai placate, e l’ultimo episodio, secondo l’accusa canadese, appare particolarmente grave: il 18 giugno di quest’anno due uomini hanno sparato e colpito a morte Nijjar all’esterno di un centro religioso Sikh in un sobborgo di Vancouver e seconodo Trudeau dietro a questo omicidio ci sarebbe l’agenzia di intelligence indiana e il governo indiano.

Insomma, proprio mentre, sempre a Giugno, un confuso Biden con la mano sul cuore mentre suonavano l’inno indiano accoglieva Modi sottolineando l’alleanza basata sui valori tra India e Stati Uniti, contemporaneamente l’India, secondo il Canada, aveva appena ordinato l’esecuzione extraterritoriale di un cittadino canadese in territorio canadese. La notizia a prima vista è simile a tante altre: da Putin che avvelena le persone a Bin Salman che le squarta, ma a differenza delle altre volte, in questo caso, la condanna verso l’India è molto più cauta e per il momento non è ancora apparso nessun titolo di giornale con su scritto “Modi spara alle persone”; diciamo che della questione si è parlato molto poco, nella politica estera abbiamo sentito parlare molto di più di questioni che al confronto paiono minori. Pensiamo ad esempio all’allontanamento di Hu Jintao durante l’ultimo congresso del Partito Comunista Cinese, interessante per carità, ma niente in confronto ad una accusa di omicidio extraterritoriale.

Su “il foglio” il leader separatista sick ucciso viene liquidato come “un killer prezzolato e trafficante di droga ricercato dall’Interpol”, e certo, questo è ciò che sostiene l’India che in questi termini ha fatto emettere l’avviso dall’interpol. Ma “il foglio” dimentica di dire che Nijjar ha risposto a queste accuse in una lettera al Primo Ministro canadese nel 2016, in cui ha affermato che le accuse del governo indiano erano “fabbricate, infondate, fittizie e politicamente motivate” e la polizia canadese aveva detenuto brevemente Nijjar per un interrogatorio nell’aprile 2018 per poi rilasciarlo dopo neanche ventiquattr’ore senza formulare alcuna accusa. Insomma, diciamo che Nijjar non è che vivesse in fuga e braccato dall’interpol, ma anzi, la sua vita in canda era pubblica e sotto i riflettori per varie attività legate all’indipendentismo Sick. Ma allo stesso modo non dimentichiamoci che il separatismo Sick non è certo estraneo ad episodi di violenza e anche molto gravi, ad esempio [IMG9] nel 1985 un gruppo di estremisti Sikh ha fatto esplodere con una bomba il Volo Air India 182, uccidendo 329 persone, in risposta all’operazione Blue Star, un’operazione militare lanciata da Indira Gandhi l’anno prima, nel 1984 e nella regione del Panjaab, dove si stima che tra i cinque e i dieci mila civili siano rimasti uccisi nel corso delle operazioni. Allo stesso modo la stessa Indira Gandhi sarà vittima della vendetta dei Sick, con un omicidio che provocò gravi disordini in tutto il Paese e particolarmente nella capitale, dove migliaia di cittadini sikh vennero uccisi per ritorsione, nella sostanziale indifferenza delle forze dell’ordine.

Insomma, vicende estremamente delicate in un Paese in cui religione e identità culturale si legano a fenomeni di scontri sociali particolarmente cruenti e dove l’eredità post coloniale ha contribuito ad esacerbare queste questioni. In un contesto intricato come questo è interessante vedere giornali come il foglio che diventano portavoce acritici della voce ufficiale di un paese del sud del mondo. Ma non illudiamoci, non è che son diventati multipolaristi e se invece che l’India ad essere accusata di omicidio extraterritoriae nel territorio di una democrazia occidentale fosse stata la Cina, beh non avremmo certo visto questa prona adesione de “il foglio” al punto di vista del Governo accusato.

Ma d’altra parte a preoccupare “il foglio”, come scrive, è “Il rischio che anche per America, Australia e Regno Unito, si apra una fase critica nei rapporti con Canada e India, in un’escalation diplomatica che potrebbe minare l’unità dell’occidente nell’Indo-Pacifico”, una unità che serve, per l’appunto, a contenere la Cina… cioè, non è che adesso vi mettete lì a litigare per gli omicidi extraterritoriali, il foglio invita alla calma.

Insomma della vicenda non se ne è parlato molto, una lodevole eccezione qui su youtube è rappresentata da Braking Italy, che certo ne ha parlato con quello che è il suo stile, e le sue riflessioni, che non condivido particolarmente, ma quantomeno ne ha parlato, soprattutto non condivido che nell’elenco dei Paesi che hanno compiuto omicidi extraterritoriali ha inserito la Russia e l’Arabia Saudita ma si è dimenticato di inserirne uno abbastanza grandicello nella questione, cioè gli Stati Uniti. Pensiamo ad esempio all’omicidio del generale iraniano Soleimani, ordinato da Donald Trump e definito illegale dalla relatrice speciale ONU sui diritti umani; o pensiamo a cosa è accaduto in Afghanistan il 29 agosto 2021, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi, quando un drone americano ha falcidiato una intera famiglia afghana, uccidendo dieci civili tra cui sette bambini. Secondo l’intelligence statunitense, che aveva seguito per ore una Toyota bianca prima di sparargli contro uno di quegli ordigni che perforano le lamiere e le persone, secondo loro in quella macchina vi erano terroristi che trasportavano bombe, un’operazione dell’ISIS-K, la stessa organizzazione coinvolta in un attacco di tre giorni prima all’aeroporto di Kabul, dove erano morti anche tredici soldati statunitensi. Biden aveva promesso una dura e pronta risposta, ma la risposta è stata quella di massacrare Ezmarai Ahmadi e la sua famiglia e lui per di più era un operatore umanitario e cooperante con la statunitense Nutrition and Education International, una organizzazione che si occupa di distribuire aiuti umanitari in Afghanistan. Lavorava per gli Stati Uniti insomma, e come successive indagini hanno rivelato, la macchina non trasportava bombe, ma taniche d’acqua, tanto che il Pentagono ha dovuto ammettere l’errore, definito “spiacevole ma onesto” dall’ispettore generale del Pentagono, che ha anche specificato che nessun militare statunitense sarebbe stato punito per quell’errore, perché era appunto un errore onesto. Come ha commentato il fondatore e Presidente di Nutrition & Education International “Questa decisione è scioccante. Come possono i nostri militari togliere ingiustamente la vita di 10 preziose persone e non ritenere nessuno responsabile in alcun modo?”. Risposta, perché è un errore onesto!

Secondo alcuni oltre che un essere onesto questo errore è anche una esecuzione extraterritoriale in un Stato dal quale avevano già annunciato il disimpegno e il ritiro delle truppe: a che titolo fai piovere la morte dal cielo in uno stato estero nel quale il Governo che sostenevi si era già dissolto come la neve da settimane? Come commenta il “New York Times”: in due decenni di guerra l’esercito americano ha ucciso in raid mirati migliaia di civili per sbaglio in Iraq, Afghanistan, Siria e Somalia, e “mentre l’esercito di tanto in tanto si assume la responsabilità di questi attacchi, raramente ritiene responsabili persone specifiche”. Braking italy nel suo video sottolinea come l’occidente non debba permettere all’India o ad altri Stati di intervenire extra territorialmente con esecuzioni, e sono perfettamente d’accordo, ma aggiungerei pure che tutto sommato l’occidente potrebbe provare anche ad impedire all’occidente stesso di intervenire extra territorialmente con esecuzioni, come dice Confucio dare il buon esempio è il primo passo per una leadership di successo. Ma non solo l’occidente non riesce ad impedire all’occidente di farle queste cose, ma al momento non è neppure in grado di formulare una condanna forte e compatta verso l’India. La reazione ufficiale degli Stati Uniti alle accuse canadesi contro Modi è stata abbastanza tiepida, limitandosi a dichiarare che si aspettano che il governo indiano collabori con il Canada per indagare sul possibile coinvolgimento di agenti di Nuova Delhi nell’omicidio.

Bin Salman per l’omicidio Khash oggi era stato definito da Biden un Paria internazionale, salvo poi più recentemente andare a stingergli la mano in varie occasioni: l’ultima al G20 di settembre che c’è stato proprio in India. Oppure pensiamo agli avvelenamenti di Putin, con Biden che nel 2021 aveva definito Putin un assassino ancor prima della guerra in Ucraina, mentre in questo caso ci si muove con molta più cautela, in quello che a prima vista sembra un perfetto esempio dei doppi standard, i due pesi e due misure dell’Occidente.

Ma in realtà qui la questione potrebbe essere molto più intricata, se non altro perché, come ha rivelato il New York Times: “le agenzie di spionaggio americane hanno fornito informazioni al Canada dopo l’uccisione del leader separatista sikh nell’area di Vancouver”. Come riporta il giornale, all’indomani dell’omicidio, le agenzie di intelligence statunitensi avrebbero offerto alle loro controparti canadesi informazioni chiave che hanno aiutato il Canada a concludere che il governo indiano era stato coinvolto. Mentre il Segretario di Stato Antony J. Blinken ha invitato l’India a collaborare con l’indagine canadese, i funzionari americani hanno ampiamente cercato di evitare di innescare qualsiasi reazione diplomatica da parte dell’India. Ma, commenta il New York Times: “la rivelazione del coinvolgimento dell’intelligence americana rischia di intrappolare Washington nella battaglia diplomatica tra Canada e India in un momento in cui è desiderosa di avvicinarsi a Nuova Delhi”.

Insomma, pubblicamente gli Stati Uniti fanno da pompiere, ma segretamente avrebbero fatto da incendiari, non solo fornendo al Canada informazioni che hanno aiutato a incastrare l’India ma oltre a questo funzionari di intelligence hanno spifferato di averlo fatto al New York Times.

Uno scontro tra apparati che non passa certo inosservato, con la presidenza che va in una direzione e i servizi che vanno nella direzione opposta.

Da questa vicenda si possono trarre almeno due conclusioni: primo, il mantra della “guerra tra democrazie e autocrazie” che sentiamo ripetere così spesso come chiave di lettura per qualsiasi cosa è quanto mai insufficiente per comprendere il mondo di oggi. Non solo la nostra definizione di democrazia sta molto stretta a uno stato come l’India, ma oltre a questo mi pare ormai chiaro che l’idea che esistano due blocchi contrapposti, le democrazie di stampo occidentale da una parte e le autocrazie dall’altra, è una idea insufficiente, e che cade continuamente in contraddizione con se stessa. Ad esempio: perché l’Italia deve uscire dalla Via della Seta? Perché la Cina è una autocrazia, scrive Mario Platero su Repubblica: “la Via della Seta è diventata insostenibile nel momento in cui l’autocrazia cinese ha deciso di schierarsi con la Russia e contro l’Ucraina e contro l’Europa”. A Mario Platero il fatto che nella Via della Seta cinese ci sia pure l’Ucraina, e che non ha nessuna intenzione di uscirne, è un dettaglio che a lui non lo sfiora nemmeno, ed è strano, perché se dobbiamo uscire dalla Via della Seta perché la Cina si è schierata contro l’Ucraina, non sarebbe forse normale che la prima a volerne uscire dovrebbe essere proprio l’Ucraina stessa?

E non lo sfiora neppure il fatto che, annunciando al G20 il ritiro dalla via della Seta, l’Italia abbia annunciato contemporaneamente il suo ingresso nel corridoio Medio Orientale che unsice India, Arabia Saudita ed Europa, e consideriamo che non solo l’Arabia Saudita non è una democrazia ma una monarchia ereditaria, ma oltre a questo Cina, India e Arabia Saudita condividono la stessa posizione nei confronti della guerra in Ucraina.

Perciò, se la tesi è che per solidarietà con l’Ucraina dobbiamo uscire da una iniziativa in cui c’è pure l’Ucraina, o che per contrastare le autocrazie dobbiamo stringere legami con la monarchia saudita e gli Emirati Arabi, chiamarla ipocrisia o doppio standard è pure un eufemismo.

La seconda considerazione è che, come dicono alcuni osservatori, la leadership statunitense è spaccata al suo interno. Secondo Andrew Korybko negli usa “oggigiorno ci sono due fazioni ferocemente concorrenti, i liberal-globalisti e i loro rivali relativamente più pragmatici. I primi sono ideologi ossessionati dall’imporre i loro valori a tutti gli altri, mentre i secondi vogliono che l’America si adatti al multipolarismo ponendo gli interessi nazionali al di sopra di tutto il resto”.

Nel contesto delle relazioni India-Stati Uniti, i liberal-globalisti vorrebbero continuare a fare pressione sull’India affinché si adatti alle richieste di condanna e sanzione contro la Russia, creando tensione nei legami indo-statunitensi anche a scapito dei loro comuni interessi nel contenere la Cina, mentre i pragmatici vorrebbero dare priorità all’obiettivo geopolitico del contenimento della Cina. “Il viaggio del primo ministro Narendra Modi negli Stati Uniti a giugno ha dimostrato che i pragmatici hanno vinto in questo dibattito, ma ora è noto, col senno di poi, che i liberal-globalisti si sanno muovendo per sabotare i loro legami”, conclude Korybko, riferendosi alla fuga di notizie da parte di fonti dell’inteligence sul coinvolgimento degli Stati Uniti delle indagini canadesi contro l’India.

E se gli Stati Uniti condannassero l’India come hanno condannato altri Paesi per azioni del tutto simili, sarebbe un grosso problema per gli Stati Uniti stessi, hanno un bisogno strategico dell’India. Ma se la leadership statunitense davvero pensa che ci sia una condivisione di valori tra India e Stati Uniti allora anche questo può diventare un problema: non solo in termini di valori, tradizioni e situazione politica sono Paesi con differenze abbastanza evidenti, ma anche in termini di posizione internazionale. Di relazione con la Russia, totalmente diversa la relazione che l’India ha con la Russia rispetto alla relazione tra Russia e occidente; ma anche nel rapporto con la Cina, per quanto l’India abbia un rapporto conflittuale con la Cina, per l’India la Cina rappresenta comunque il più grande attore economico a livello regionale, quindi un vettore di crescita dell’area asiatica, un’area nella quale l’India è inserita.

Insomma, per gli Stati Uniti l’india è un banco di prova relativamente nuovo, se non altro perché ha aspetti inediti l’importanza che l’India ha assunto negli ultimi anni, e sarà interessante vedere come gli USA si muoveranno, e non a caso Kissinger nell’intervista per i suoi 100 anni con il suo cinismo da uomo che nel mondo ha fatto di tutto, consigliava agli Stati Uniti di smetterla di fare gli idealisti nel loro rapporto proprio con l’India e di mantenere il pragmatismo.

Se volete approfondire la questione tra India e Canada, oltre che l’intensificarsi delle politiche anti corruzione in Cina,il cosiddetto cerchio di Xi come lo chiamano i media cinesi, una immagine che il presidente cinese aveva tratto dal viaggio in occidente, un romanzo della letteratura classica cinese, quello che ha scimmiotto come personaggio, il prototipo di Goku di Dragon Ball, insomma se volete approfondire queste questioni, ne ho parlato nella newsletter, un contenuto riservato a chi ci sostiene su tipeee, almeno un euro al mese per riceverla per email tre volte a settimana, almeno 5€ per poter accedere all’archivio delle vecchie newsletter, oppure potete sostenerci su gofoundme.