Ma quelli che in Europa contano qualcosa sono scemi oppure, semplicemente, pensano che gli scemi siamo noi? Oddio, su questo non avrebbero nemmeno tutti i torti, diciamo, perché il dubbio amletico viene; quello che sappiamo con un certo margine di sicurezza è che quelli che scenderanno in piazza il 15, perché glielo ha chiesto Michele Serra, proprio proprio delle cime inesplorate non sono. Ecco: su quello, grossi dubbi amletici, onestamente, non ce ne sono; hanno invocato una mobilitazione in nome dei veri valori fondativi dell’Unione europea, contro le barbarie del nuovo inquilino della Casa Bianca, solo che quei fantomatici valori esistono solo nei loro editoriali che, ormai, leggiamo solo noi per autolesionismo.
Quando dal gossip e dalle licenze poetiche si passa alla ciccia, quei fantomatici valori di solito prendono una forma leggermente diversa: ad esempio, quella degli 800 miliardi di Rearm Europe; chi l’avrebbe mai detto, eh? Quintali di retorica sui buoni sentimenti e poi, alla fine, era tutta fuffa per giustificare una nuova dose massiccia di sussidi pubblici alle industrie private, che se la mettevano semplicemente così dovevano ammettere semplicemente di essere dei poveri coglioni, che anche a questo giro (anzi, ancora di più) la loro fuffa sull’austerity aveva fatto di nuovo più danni della grandine e dare ragione a quegli insensibili con un cassone della monnezza al posto del cuore che dicono che dovrebbero andare #tuttiacasa. E fino a qui, tutto sommato, pazienza, tanto le figure di merda le collezionano; se ogni tanto riescono ad evitarne una, poco male: si tratta solo di pazientare qualche altro giorno.
Purtroppo, però, qui le conseguenze vanno ben oltre l’ennesima figura di merda risparmiata, perché una bella botta da 800 miliardi per dare un po’ d’ossigeno all’industria europea servirebbero come il pane (lo diciamo da anni), ma sinceramente si fa fatica a pensare a un modo più scemo e inefficiente per investirli. E non mi riferisco tanto al fatto che, invece di essere spesi in qualcosa che potrebbe migliorare le nostre vite, saranno spesi in qualcosa che invece le vite le annienta. No; noi che abbiamo un cassone della monnezza al posto del cuore, alla fine, a questo crimine ci potremmo anche passare sopra. Qui il punto è un altro; anzi, altri due: il primo è che se una parte consistente va destinata a salvare il culo a Zelensky, vuol dire, banalmente, che la useremo per comprare cose prodotte da altri, perché noi roba nostra da mandare non ne abbiamo e quindi ci indebitiamo, ma a godere sarà qualcun altro e l’impatto sulla nostra economia sarà sotto zero. Che novità, eh? Il secondo è che anche per gli investimenti veri e propri che faremo sull’industria europea le ricadute rischiano di essere scarsine: la vaccata che ci raccontano, infatti, è che questi soldi servono per darci finalmente questa fantomatica autonomia strategica, ma è una minchiata; come dice il buon Francesco Pallante sul Manifesto di oggi, infatti, tutto quello che facciamo nel settore della difesa “sarebbe realizzato in condizioni di completa sudditanza tecnologica nei confronti degli Stati Uniti”. Cioè, ben che vada, saremmo tipo gli imprenditori del tessile veneti che hanno fatto ricco Benetton, per intenderci, o forse un po’ tipo gli indiani ai tempi dell’impero britannico.
Ma il paradosso più grande è che, teatrino arruffapopoli a parte, è esattamente quello che Washington ha in mente per l’Europa dal febbraio del 2022, a prescindere da chi sta alla Casa Bianca; lo abbiamo detto sin dal primissimo giorno: uno degli obiettivi della guerra per procura è tenere occupata la Russia sul fronte occidentale per impedirle, eventualmente, di assistere la Cina nel Pacifico e appaltare questo compito all’Europa. Biden c’ha provato per 3 anni con la carota ed è fallito; Trump, ora, ci prova col bastone e sembra centrare l’obiettivo, e l’appello dei compagni de La Repubblichina non fa che facilitargli ulteriormente il compito (e il paradosso è che, ovviamente, senza manco spostare di una virgola la situazione reale in Ucraina, che ormai è irreversibilmente compromessa). La resa di Zelensky titola La Stampa: chi l’avrebbe mai detto, eh? Zelensky, uomo di poca fiducia, non crede che l’appello di Michele Serra e i soldi europei che arriveranno nel duemilacredici possano sostituire domattina i rifornimenti che Re Donald ha bloccato di botto, nonostante l’adesione della sinistra fru fru e dei sindacati confederali: proprio un irriconoscente malfidato! Che gli costava regalare direttamente Odessa a Putin pur di far vedere che le piazze del ceto semi-colto finto-progressista contano ancora qualcosa? Ed è proprio questa totale irrilevanza del ceto semi-colto e dei suoi opinion leader, nell’ambito della rivoluzione gattopardesca del trumpismo e della guerra civile tra oligarchie made in USA, che sta facendo letteralmente sbroccare le principali firme dei giornaletti scandalistici italiani.
E rievoca anche vecchi traumi: Smutandati da Putin è il titolo dell’imperdibile articolo di Salvatore Merlo su Il Foglio; Salvini si dedica al coro pacifista con Conte. Nota bene: Salvatore è il nipote di Francesco Merlo; c’avete presente? Una delle firme più iconiche e blasonate prima del Corriere della Serva e poi de La Repubblichina, 40 anni passati nel cuore dei salotti chiacchieroni della colonia italica, sempre coerentemente, irrimediabilmente dalla parte sbagliata della storia. E non è un caso; non so se c’avete mai prestato attenzione: quando tra i giornalisti c’è un figlio (o un nipote) d’arte, non è mai tra i poveri cronisti di provincia, tra chi guadagna la pagnotta facendosi il giro della nera e si limita a riportare le notizie. E’ sempre tra i big, tra quelli che piacciono alla gente che piace; e graziarcazzo: un giornalista normale, che non è entrato nei salotti buoni, prima di permettere a un suo parente di seguire le sue orme lo manda in un campo di lavoro in Corea del Nord. Il giornalismo come professione rispettabile e dignitosa è una roba del novecento: ora, per la gente normale, è più simile a un regime di semi-schaivitù con salari da speedy pizza agli esordi. A tramandarselo rimangono queste casate: i Sallusti, i Merlo, una specie di aristocrazia posticcia, un’appendice parassitaria e sacrificabile del potere che conta e che nella rivoluzione gattopardesca del trumpismo rischia di dover affrontare una rapida e inesorabile decadenza.
Lo scriveva sul Corriere della Serva sabato scorso Ernesto Galli della Loggia; uno dei pezzi più spassosi dell’anno: nel pezzo, il buon Ernesto spiega che nella democrazia liberale il suffragio universale serve per fare un po’ di teatrino ed è – diciamo – la parte democratica del sistema, ma quello che serve davvero sono le istituzioni liberali che, invece di difendere la libertà della maggioranza di decidere, difendono la libertà del singolo individuo contro la maggioranza, a partire da quella più importante di tutte, quella degli individui che hanno i soldi di sfruttare quelli che non ce l’hanno; e questa parte, dice Galli della Loggia, “ha invece un’origine, e conserva un carattere, aristocratico”: serve a garantire che “esistano delle élite e le istituzioni che le alimentano”, che “hanno a che fare con il sapere e la cultura in senso lato, dalla burocrazia alla stampa, alle università”. Insomma: quello che noi, rozzamente, chiamiamo il mainstream, i propagandisti di regime che impongono alle masse un’ideologia che piace alla gente che piace e contraria ai loro interessi.
Il problema di Forrest Trump è che lui con queste élite ci si pulisce il culo, salta l’intermediazione ed ha un rapporto diretto con le masse: ma caro Donald, implora Galli della Loggia, noi ti serviamo ancora! Per continuare a dominare il pianeta, hai ancora bisogno dell’Europa! “Solo chi domina l’Europa”, scrive, “può aspirare a dominare il mondo”: e quelli che, fino ad oggi, hanno fatto in modo che l’Europa fosse dominata dagli USA senza che la gente rovesciasse tutto, siamo proprio noi, la tua umile aristocrazia liberale che di lavoro scrive questi editoriali da TSO. Era tramite noi che esercitavi quel soft power che faceva continuare a dire agli europei, anche quando gli facevi saltare per aria il Nord Stream 2, o sterminavi i bambini in Palestina, God Bless America: e tu che fai, te ne privi? E poi ti ritrovi con Michele Serra e Elly Schlein in piazza! Ora hai paura, eh? Hai paura di Massimo Gramellini e Corrado Augias, eh? Ora non lo fai più il bullo!
L’appello disperato a Trump di Galli della Loggia a non dimenticarsi quali sono i veri amici, nell’articolo di baby Merlo assume una dimensione ancora più urgente ed immediata perché, appunto, risveglia un antico trauma, tuttora irrisolto, perché l’auto-nominata finta aristocrazia liberale italiana uno shock culturale in stile Trump lo ha già subìto e non si è mai ripresa: quello shock si chiama governo giallo-verde. Te immagina quanto sta messa male un’élite che è rimasta scioccata dal governo giallo-verde: immaginati cosa farebbero di fronte – che so – a una presa della Bastiglia o a un governo solidamente populista e antioligarchico come – che so – quello di AMLO, prima, e della Sheinbaum, poi, in Messico; un governo che, tipo, ti minaccia che se combini qualche porcata (anche se sei un frequentatore dei salotti buoni) non troverai più solo giudici accondiscendenti che frequentano i tuoi stessi salotti, ma giudici che rappresentano il popolo e che ti fanno il culo a strisce. Oltre alle forniture di munizioni da 155 mm, diventerebbe subito emergenza nazionale anche la fornitura di Xanax… Il fatto che un governo non fosse diretta emanazione delle oligarchie statunitensi e che la lista dei ministri, per la prima volta, non fosse stata compilata tra un margarita e un daiquiri su qualche terrazza romana, è stata sufficiente a creare un incubo che continua a perseguitarli ogni notte; nella loro mente offuscata è diventato una specie di repubblica dei Soviet: “Voleva chiudere l’Unione europea, uscire dall’euro, siglare patti con la Cina e cedere due Mattarella in cambio di mezzo Putin”, ricorda confuso baby Merlo. Ma non solo: per baby Merlo quello fu anche il governo dove “non paghi i contributi ma ti danno la pensione, e che ti spiegava che per risolvere il problema del debito pubblico basta stampare moneta”, della serie cose che la destra dice che sarebbe bellissimo fossero vere. Capito la dimensione del trauma? E qualsiasi indizio che fa sospettare esista la remota ipotesi che possa ripresentarsi una roba del genere nel futuro, li manda letteralmente nel panico. A questo giro, è bastato che di fronte agli 800 miliardi di Rearm Europe, Conte e Salvini usassero la stessa formula: deriva bellicista. ”Hanno detto entrambi” sottolinea baby Merlo “le stesse identiche parole”, il che testimonia che “i due ormai cantano in sincrono, come Albano e Romina, i Ricchi e Poveri, o i Modà”
Insomma: da Michele Serra a Galli della Loggia, da Corrado Augias a Salvatore Merlo, le élite parassitarie che, fino ad ora, hanno dormito sonni tranquilli mentre la colonizzazione europea da parte degli USA veniva coperta dal pensiero unico dell’egemonia liberale, sono consapevoli che la guerra civile tra oligarchie, che si è scatenata dopo aver perso la guerra per procura contro la Russia e quella economica contro la Cina, apre uno spazio politico che potrebbe permettere il ritorno di una qualche forma di esperienza populista come quella che sono riusciti a far naufragare 5 anni fa; insomma, temono che se qualcuno si alza una mattina e torna a dire che dovrebbero andare #tuttiacasa, potrebbe addirittura diventare rapidamente maggioritario nel Paese e mandarceli davvero. E i primi a saltare sarebbero senz’altro gli esponenti della casta dei propagandisti; e non è un caso, quindi, che a proporre una soluzione ci pensi un altro nipote d’arte: è Giovanni Sallusti, nipote di Alessandro, che dalle pagine di Libero lancia un’idea “anti-antitrumpiana”, come la definisce lui stesso. “A Trump” scrive “ora servirebbe un momento Reagan”: “come Ronald raccolse e rianimò lo spirito americano piegato dall’inettitudine retorica di Carter, Donald ha riscattato la terra dei liberi dal tentativo obamiano di normalizzarla e renderla una socialdemocrazia 5.0 in salsa Woke”. Le scelte di Trump che scioccano i benpensanti occidentali sono razionali e condivisibili, sostiene baby Sallusti; eppure, sottolinea, “manca la città sulla collina, quel mito meta-politico che fonda l’eccezionalità americana”, il “faro intellettuale degli uomini liberi” “contro ogni impero del male”. Fu così che Reagan, alla fine, vinse la guerra fredda, sostiene Sallusti, “alzando drammaticamente la posta”, oltre che economica e militare, valoriale: “La città sulla collina contro l’impero del male, la libertà contro i gulag”; “senza l’idealismo di Reagan la fine della sfida sovietica non avrebbe potuto verificarsi” scriveva Kissinger. Ora a Trump serve di nuovo quell’idealismo per perseguire il “riallineamento strategico del mondo libero di fronte all’unica minaccia davvero esistenziale, quella cinese”, rilanciando “la sfida a tutto campo della città sulla collina contro le tribù barbariche di pianura”.
Insomma: si deve inventare un po’ di cazzate per far digerire, in nome del suprematismo occidentale, la nuova fase fascistoide dell’imperialismo, che è l’unica evoluzione possibile del modello neoliberale che hanno sempre difeso; basta che quando decide che bisogna colonizzare la Bolivia, invece di fare il tamarro come Musk che dice che “noi facciamo tutti i golpe che vogliamo”, si inventi una formuletta del cazzo qualsiasi, tipo che gli indigeni sono omofobi e perseguitano gli ispanici (come gli USA fanno in Venezuela da 15 anni). Vedrai che, a quel punto, convinci anche i Michele Serra e te li ritrovi di nuovo orgogliosamente al tuo fianco a difendere l’Occidente libero contro i regimi autoritari. Su, Dona’, capisci a noi: qui c’è gente che c’ha famiglia, la casa a Capalbio, la barca a vela a Forte dei Marmi, il figlio ad Harvard; mettiti ‘na mano sulla coscienza e fai il bravo…
Per tutti quelli, invece, che non fanno parte dell’aristocrazia liberale, mi sembra sia tutto estremamente chiaro: lasciamoli scannare tra loro il più possibile! Anzi, fomentiamoli! Trattiamoli come ci hanno trattato a noi negli ultimi 40 anni: fenomeni da baraccone da far scontrare l’uno contro l’altro sulle cazzate, mentre intanto serriamo le fila e ci organizziamo per mandarli #tuttiacasa; vi aspettiamo il 29 marzo alle 15 al Nuovo Cinema Aquila di Roma per iniziare insieme un percorso, che non finirà fino a che non li abbiamo davvero mandati #tuttiacasa. Nel frattempo, continua a sostenerci, perché senza un media indipendente che dia voce al 99%, a casa, invece che loro, va a finire che ci andiamo noi. Aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Ernesto Galli della Loggia
Ma credo che stampare moneta e accreditarlo ai lavoratori sia uno strumento per rilanciare il lavoro e l’economia.
Invece con la moneta privata va tutto a scatafascio !