Pochissime settimane fa le Tv di tutto il globo hanno mandato in onda lo spettacolo degli spettacoli, quella gigantesca arlecchinata che consiste – ormai da qualche decennio – nell’aspettare chi, tra due insulsi miracolati milionari privilegiati, meri volti di copertura di interessi economici (quelli sì roba serissima e pericolosa), debba indossare la maschera di Dart Vader, servitore dei veri imperatori della galassia: Lord Gates e Elon Muskius. E continuo a trovare scandaloso che chiunque abbia ormai introiettato come normale il fatto che la competizione elettorale si debba basare su due soli schieramenti che infatti, vista l’astensione, rappresentano solo la metà dell’elettorato. Anzi peggio. Avvenire fa notare che “nel dibattito Tv le parole «povertà», «basso reddito», «difficoltà economiche», «lotta», «classe operaia», «povero» non compaiano mai. (…) Uno studio ufficiale sulle elezioni di midterm del 2022 rivela che la disuguaglianza di reddito rischia di produrre disuguaglianza anche sul fronte elettorale. In quella tornata, solo il 33 per cento degli elettori con un reddito famigliare inferiore ai 20mila dollari si recò alle urne, contro il 67 per cento degli elettori con redditi superiori ai 100mila dollari. E ancora: l’affluenza alle urne fu del 58 per cento tra i proprietari di casa e solo del 37 per cento tra coloro che vivevano in affitto”. Tra i candidati minori invece – tra cui almeno due non sono coperture di interessi economici occulti, ma rappresentanti degli interessi dei subalterni, di cui non ha parlato nessuno se non, per esempio, Roger Waters, forse l’unico vero grande intellettuale rimasto al mondo (e infatti ha accettato di mettere la faccia nel nostro film C’era una volta in Italia, una denuncia di come la sanità privata stia uccidendo quella pubblica) – tra i candidati minori, dicevo, ce n’erano almeno tre degni di nota: Jill Stein, Cornel West e Joseph Kishore. Ma il tamburo ha battuto sempre lo stesso segnale se ti azzardavi a dire che avresti votato uno di loro: “Allora vuoi far vincere Trump! Togliendo voti alla Harris!” quando non ti davano del fascista. Beh no, sarebbe così se votassi piccoli partiti di sinistra togliendo così voti a un grande partito di sinistra – e anche in quel caso, siccome la Harris non è in alcun modo di sinistra, il problema non si pone. Volete qualche nome di pezzi grossi dello spettacolo?
Eccoli: Si sono vendut… esposti a favore di Kamala Harris personaggi come Richard namiorenghekio Gere, Mick Jagger, Harrison Ford, Madonna, Robert Iron Man Downey Junior, Scarlett Johansson, Dick Van Dyke (lo spazzacamino di Mary Poppins), Julia Roberts, Jennifer Aniston, Beyoncè, Jennifer culo Lopez, Leondardo Di Caprio, Eminem, Cher, Bruce Piero Pelù Springsteen, Jennifer (purtroppo) Lawrence, Taylor Swift (ve ne eravate accorti?), Mel (purtroppo) Brooks, Lenny Kravitz, George Clooney, Barbra Streisand, Jamie Lee Curtis, Jeff (purtroppo) Bridges, Luke Skywalker, Spike Lee, Sigourney (purtroppo) Weaver e Stephen King, solo per farne alcuni. E, udite udite… Schwarzenegger! A favore di Donald Trump troviamo invece: Buzz Aldrin (il secondo uomo a mettere piede sulla luna), Mel Gibson, Jim Caveziel (La passione di cristo, La sottile linea rossa, Sound of Freedom), Dennis Quaid, James Woods, 50 cent, Hulk Hogan, Jon Voight, Scott Happy Days Baio. E Clint Eastwood? Il biondo è taciturno, se ne sta per i fatti suoi e tutto ciò che si sa è che nel 2020 avrebbe voluto come presidente il sindaco di New York Michael Bloomberg e che, in occasione delle elezioni del 2016 tra Trump e Hillary Clinton, ha detto: “Non voglio fare endorsement a nessuno dei candidati in corsa, sono una versione moderna di Gianni e Pinotto”.
A favore dei candidati che rompono questa dittatura del bipolarismo c’è praticamente solo Roger Waters, che in un video ha dichiarato: “Non votate per Harris o Trump. Entrambi sono a favore dell’assassinio di bambini. Sono entrambi malvagi oltre ogni immaginazione. Non c’è un male minore fra loro” e ha poi indicato i tre nomi cui abbiamo accennato. Ovviamente sotto il suo post Instagram sono arrivate decine di piddini stelle e strisce a dare non richiesti consigli sul voto utile. Devono essere parenti di quegli altri buffoni dei verdi europei che hanno chiesto a Jill Stein, leader dei verdi americani, di ritirarsi dalla corsa per dare spazio alla Harris. Cornell West, invece, è un filosofo e attivista socialista marxista, mentre Joseph Kishore è un marxista e scrittore attivo nel movimento trotskista dal 1999: il suo programma politico comprende l’espropriazione delle maggiori banche e società (da porre sotto il controllo dei lavoratori), la fine del genocidio israeliano dei palestinesi e il ritiro immediato di tutte le truppe statunitensi e degli aiuti militari all’estero, nonché l’istituzione dei diritti sociali di base della classe operaia (tra cui il diritto a un reddito vivibile, al tempo libero e a un alloggio dignitoso e accessibile). Praticamente il minimo indispensabile che si dovrebbe chiedere a chi guida una nazione. Kishore ha scritto: “La frode fondamentale promossa da Sanders, insieme a individui come Alexandria Ocasio-Cortez, è che il Partito Democratico può essere spinto a sinistra e far credere di diventare una forza di cambiamento progressista”. Stava pensando a Fratoianni e Bonelli e alla loro funzione di lista truffa per il PD. Sì, lo so che li cito troppo spesso, ma non siete eccitati anche voi all’idea che anche noi italiani possiamo fregiarci di sfoggiare i nostri Gianni e Pinotto?
Ma torniamo ai due buffoni statunitensi: Trump e Harris hanno utilizzato anche il cinema, come accade da poco meno di un secolo, per provare a spostare voti (ci abbiamo fatto due puntate qui su Desaparecinema), influenzare le menti deboli (come vedremo le più deboli sono gli elettori della Harris, checché ne pensi Scanzi) e fare egemonia culturale. A favore della campagna repubblicana è uscito ad agosto un film su Ronald Reagan dal titolo fantasioso: Reagan; a favore di quella democratica è uscito a ottobre The Apprentice, contro Donald Trump. La scorsa puntata ho inaugurato il premio E come te sbaji, vinto dall’Unità che ogni volta che usciva un film di Luciano Salce lo distruggeva sistematicamente perché troppo di sinistra o perché la sinistra, legittimamente, la metteva alla berlina. Questa volta il premio E come te sbaji va al festival di Cannes, anch’esso strumento decennale di soft power statunitense sotto le mentite spoglie di una manifestazione che promuove il cinema di qualità incorporated: a maggio di quest’anno Cannes ha, infatti, ovviamente ospitato l’anteprima di The Apprentice, il film contro Trump. I repubblicani non possiedono, invece, un loro festival internazionale di rilievo e quindi Reagan è andato in sala senza passare per l’umiliazione di una falsa celebrazione autoriale. I repubblicani non possiedono neppure. per esempio. un film in cui si vede Clinton con le mutande calate mentre la Lewinsky gli raccoglie le penne sotto la scrivania, come invece accade in The Apprentice a Trump (vedere per credere) mentre una mignotta gli raccoglie le penne in una stanza di albergo. Non mi risulta che, invece, sia stato fatto un film che in qualche modo faccia propaganda per gli altri tre candidati o per ciò che (almeno due di loro) rappresentano: la lotta di classe. A meno che non vogliamo considerare tali, per esempio, tutti i film di Ken Loach.