¡Desaparecinema! ep. 15 – La guerra fredda culturale in USA e in Europa (parte 2)
Premessa importante a questa seconda parte dedicata al soft power statunitense: il cinema dei grandi registi rimane grande cinema anche se quei registi lo hanno fatto per imporre ideologie e propaganda. Rimane cinema quello di John Ford che, come vedremo, era contiguo alla CIA; rimane cinema quello di Chaplin, comunista convinto; rimane cinema quello di Stanley Kubrick, a cui di fascismo e antifascismo non importava nulla. La dico meglio: non smette di essere cinema con la C maiuscola il cinema di parte, altrimenti dovremmo buttare nel cesso (come per esempio ha fatto certa ignorante sinistra italiana con Stanley Kramer o Howard Philips Lovecraft) Luigi Magni e Gian Maria Volonté, Fernando Solanas e Sergej Ejzenstein, Clint Eastwood e David Wark Griffith (quest’ultimo è il padre del cinema narrativo, del montaggio e del lungometraggio con Nascita di una nazione del 1915: un film profondamente razzista). L’imparzialità non è necessariamente un valore nel cinema, anzi! Sempre che non si tratti di cinema sfacciatamente propagandistico, didascalico, agiografico, manicheista, retorico e, soprattutto, partitico invece che politico, tipo Ennio Doris – C’è anche domani e declinazioni titolistiche varie. D’altro canto è sempre importante sapere che cinema stiamo guardando e come è stato finanziato: è l’unico modo per essere liberi di non farci fregare; è sempre importante sapere quale operazione politico-culturale c’è dietro perché La cinematografia è l’arma più forte dicevano, giustamente, i fascisti. Forse oggi è superata dai social e dalla Tv, ma rimane ancora un’arma potente. Come Dom Cobb, il protagonista di Inception di Nolan: è capace di farti credere il contrario di ciò in cui credi, di farti odiare il tuo amico e di convincerti pure che sia una tua idea: per esempio, è capace di farti credere che l’eroe del mondo occidentale sia chi è in grado di vincere secondo le regole del neoliberismo, della competizione a discapito degli altri, dell’auto-schiavismo (come ne La ricerca della felicità di Gabriele Muccino con Will Smith) invece che chi, questo paradigma, decide di ribaltarlo. Oppure è capace di farti credere che a odiare i comunisti fossero solo il partito repubblicano e il senatore McCarthy. E, invece, “Ci sono oggi in America molti comunisti. Sono dappertutto. Nelle fabbriche, negli uffici, nelle macellerie, negli incroci, nel mondo degli affari. E ognuno di essi porta in sé, in germe, la morte della nostra società”: questo era il democratico Truman, lo stesso che dopo che la guerra contro il nazismo era stata vinta in Europa, aveva deciso che fosse necessario sterminare più di 250.000 innocenti a Hiroshima e Nagasaki solo per mostrare i muscoli a Stalin; sotto la sua presidenza, nel 1951, J. Edgar Hoover, il direttore dell’FBI, poteva ritenere possibile, in caso di guerra, la deportazione in campi di concentramento di mezzo milione di cittadini statunitensi sospettati di contiguità col comunismo. L’anno dopo la fine della presidenza Truman, il 19 agosto del 1954 – 70 anni fa secchi – il partito Comunista americano veniva messo fuori legge.