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Tag: elezioni

Gli USA spaccati: Kamala vuole la guerra – ft. Giacomo Gabellini

Oggi i nostri Giuliano e Gabriele hanno intervistato il sempre preparato Giacomo Gabellini attorno alle strategie messe in campo dai due diversi candidati alle presidenziali USA di novembre. Mentre sembra ormai solo questione di formalità la conferma della candidatura di Kamala Harris, Trump solleva problemi di legittimità attorno la sua figura. Mentre i Democratici puntano allo scontro attorno al mondo, i Repubblicani sembrano prediligere una strategia pragmatica che, nell’immediato, scaricherebbe i costi della difesa sui singoli scenari ai partner europei e asiatici. Buona visione.

#USA #impero #imperialismo #Biden #Trump #Kamala #Harris #Donald #Taiwan #finanza #USA24

Andrea Lombardi – Censura 2.0 e svolta autoritaria: dove ci sta portando la guerra?

Dialogo a tutto tondo con Andrea Lombardi sulla propaganda filo NATO, la guerra in Ucraina e le elezioni americane. Il suo canale è stato più volte vittima (come il nostro) del DSA, il Digital Service act con il quale l’Unione europea ha introdotto strumenti di controllo e di censura sull’informazione che poco hanno a che vedere con delle democrazie liberali. L’Occidente ha di fatto dichiarato guerra alla Russia: ci dobbiamo aspettare una nuova svolta autoritaria?

Il caso Keir Starmer: come l’ascesa del premier inglese dimostra la morte della democrazia

Suprematista occidentale, a favore dello scontro di civiltà contro Russia e Cina, più sionista dei sionisti, contrario ad aumentare tasse ai ricchi, persecutore di Assange quando lavorava nell’ufficio legale del governo, legato a doppio filo con i servizi segreti americani. La sue elezione è passato sotto silenzio, anche perché era stra-favorito nei sondaggi e se l’aspettavano un po’ tutti, ma l’identikit politico di Keir Starmer, il nuovo premier inglese eletto a luglio con il partito laburista e, soprattutto, il modo in cui è stato eletto, dovrebbe far preoccupare chiunque abbia ancora a cuore la democrazia nel nostro continente, perché non solo Starmer sembra prodotto in laboratorio assemblando e shakerando le peggiori tendenze politiche della finto sinistra occidentale degli ultimi 40 anni, ma perché a supporto della sua candidatura ci si sono messi miliardari, le agenzie di intelligence americane e britanniche e la quasi totalità dei medita mainstream anglosassoni. Insomma: un mix da far accapponare la pelle; non a caso, Starmer è già stato definito un po’ da tutti il Tony Blair 2.0, con riferimento al premier laburista inglese che governò dal ‘97 al 2007 e che, oltre a invadere insieme a Bush l’Iraq nel 2003 causando la morte di più di un milione di iracheni, inaugurò la stagione delle nuove sinistre neoliberiste occidentali, quelle che hanno fieramente abbandonato quelle robe un po’ novecentesche – come la pace, l’emancipazione delle classi lavoratrici e il welfare state – per abbracciare i molto più moderni e fresh capitalismo neoliberista e imperialismo americano nel mondo. Come previsto dal pomposo cerimoniale inglese, 2 giorni fa Re Carlo III ha letto davanti al parlamento il mefistofelico programma di governo di Starmer, il quale però si trova adesso davanti al quasi impossibile compito di risollevare un’economia strutturalmente in declino e un paese che da quando ha perso il proprio impero è in perenne crisi d’identità, una crisi che sta tentando un po’ goffamente di risolvere cercando di diventare la più importante succursale statunitense in Europa. In questa puntata, tra complotti contro Jeremy Corbyn e amicizie nei servizi segreti, ripercorreremo i passaggi fondamentali dell’ascesa politica di Keir Starmer, l’uomo giusto al momento giusto per consolidare la presa del regime neoliberista e imperialista sul popolo britannico.

Keir Starmer

Il 3 luglio 2024 Keir Starmer, candidato premier per il partito laburista, vince le elezioni con il 34% dei voti che, per l’ultra-maggioritario sistema elettorale britannico, significa il 65% dei seggi in parlamento; ma il modo in cui il Blair 2.0 è giunto a questo successo dovrebbe farci pensare tutti, perché è sintomo chiarissimo della crisi terminale delle nostre ex democrazie. Nato a Londra il 2 settembre 1962, Starmer è figlio di una lavoratrice del settore sanitario e di un artigiano; studia legge a Leeds e Oxford e, ottenuta la laurea nel 1987, inizia a lavorare come avvocato specializzandosi in diritti umani. Fin qui nulla di strano, ma loschi legami di con i servizi di intelligence cominciano molto presto e saranno una delle ragioni principali della sua brillante carriera politica. Prima di continuare, però, vi chiediamo di mettere mi piace a questo video e a iscrivervi al nostro canale: per voi non significa nulla, ma per noi, invece, questi vostri piccoli gesti ci permettono di continuare ad esistere. Dal 2008 al 2013 Starmer è direttore del Dipartimento pubblico per i procedimenti giudiziari e ha il compito di supervisionare la persecuzione legale di Julian Assange, l’editore di Wikileaks denunciato per aver rivelato al mondo i crimini di guerra e contro l’umanità del governo americano con la complicità di quello britannico; dopo un importante lavoro di inchiesta, il giornalista inglese Matt Kennrad, sul giornale Declassified UK, ha dimostrato come in quel periodo Starmer abbia compiuto diversi viaggi a Washington per incontrare alti funzionari dell’intelligence e del governo statunitense. Insomma: la macchina della tortura giudiziaria che ha subito Assange in questi anni, quindi, porta anche la firma di Starmer; e quando Kennrad ha chiesto la documentazione relativa ai viaggi di Starmer a Washington di quel periodo, gli è stato risposto che nessuna documentazione esisteva più perché tutti i documenti erano stati tutti distrutti. Nel 2014 Starmer viene nominato Knight Commander of the order of the bath e, tre anni dopo, viene ammesso al Consiglio privato di sua maestà (un gruppo di consiglieri di alto rango che forniscono consulenza alla monarchia) venendo ufficialmente riconosciuto con il titolo di sir; nel 2015 entra finalmente in parlamento tra le file dei laburisti.
In questi anni, il leader dei laburisti si chiama Jeremy Corbin ed è il leader politico inglese più a sinistra degli ultimi decenni, tanto da voler addirittura proporre una equa redistrubuzione della ricchezza, ingenti investimenti pubblici nel welfare e un ruolo internazionale del Regno Unito diverso da quello filo-americano e imperialista dell’inizio del secolo; Corbyn ha un grandissimo seguito popolare: alle elezioni del 2017 prende inaspettatamente il 40% dei voti e si candida seriamente a guidare il Paese alla prossime elezioni. Oltre a quanto abbiamo già ricordato, nel suo programma spiccavano il rinforzo dei sindacati, nuovi miliardi destinati all’istruzione, tagli alle spese militari e la totale nazionalizzazione della principale industria delle ferrovie e del sistema sanitario, sotto-finanziato da decenni di politiche neo-liberali portate avanti sia dai Tories che dai Blair di turno. In politica estera appoggio alla Palestina, clima di collaborazione con la Russia (che lo porterà poi a criticare la guerra per procura della NATO in Ucraina) e nessuna nuova guerra fredda contro la Cina; inutile dire che, dalla prospettiva del regime e delle oligarchie, un uomo del genere non poteva diventare primo ministro e bisognava velocemente correre ai ripari. Dal 2017 in poi comincia così una serie di campagne mediatiche e politiche volte a delegittimare politicamente Corbyn e attaccare la sua persona: disinformazione, fake news, attacchi personali; il tutto per indebolirlo e costringerlo alle dimissioni. Una campagna che vede la collaborazione di parti delle stesse élite del partito laburista, ma anche delle agenzie di intelligence americane e britanniche, come viene ammesso apertamente anche da testate come il The Guardian e l’Indipendent, ma emerge ancora più chiaramente in tutti i suoi loschi contorni dalle inchieste di Kennrad su Declassified UK: in una di queste inchieste viene fuori, ad esempio, come sia militari che funzionari dell’intelligence britannica siano state le principali fonti per almeno 34 false storie riportate dai media volte a demonizzare Corbyn e a ritrarlo come un antisemita e un pericolo per la sicurezza nazionale; tanto per dare un’idea ancora più precisa del clima di cui stiamo parlando, nel 2019 l’allora direttore della CIA affermava “Faremo del nostro meglio per fermare Jeremy Corbyn, il sindacalista di sinistra leader del partito laburista, dall’essere eletto primo ministro del Regno Unito”.

Jeremy Corbyn

Decisa a monte la morte politica di Corbyn, il giovane e ammanicato rampollo Kier Starmer sembra l’uomo giusto al momento giusto per sostituirlo: esecutore delle volontà di Washington e perfetto rappresentante della Terza Via di blairiana memoria, quella che in questi anni, grazie al suo volto apparentemente inclusivo, si è sempre dimostrata lo strumento politico preferito dalle oligarchie e dagli USA per colpire i lavoratori e imporre in giro per il mondo con la guerra i propri interessi. Ancora su Declassified UK, Kennrad dimostra con diverse inchieste come Starmer avesse legami molto stretti con i servizi segreti inglesi, come l’MI5 e MI6. Oltre a tutto questo, come ricorda giustamente Ben Norton nel suo straordinario video dedicato a Starmer a cui ci siamo abbondantemente ispirati, il premier è stato membro delle famigerata Commissione Trilaterale di cui qui a Ottolina (come sapete benissimo, se ci seguite) siamo tutti bimbe innamorate.
La Commissione Trilaterale è un’organizzazione a dir poco controversa fondata negli anni ’70 da David Rockefeller, un oligarca capitalista con profondi legami non solo a Wall Street, ma anche con il governo; scopo dichiarato della Commissione era cercare di ripristinare il controllo politico delle élite occidentali dopo i turbolenti anni ‘60 e ‘70, durante i quali continue proteste di massa – tra cui il movimento contro la guerra del Vietnam e il movimento per i diritti civili e sociali – stavano rischiando di mettere in discussione i rapporti di forza capitalisti. Nel 1975 la Commissione Trilaterale pubblica il documento La crisi della democrazia, un lungo rapporto scritto dal famigerato scienziato politico di Harvard Samuel Huntington: in questo rapporto, Huntington e altri accademici progressisti (nel senso di Renzi e Calenda) si lamentavano di un presunto eccesso di democrazia nelle democrazie di massa e socialdemocrazie occidentali, che avrebbe portato ad un eccessivo ruolo delle classi popolari nelle decisioni politiche e, pertanto, proponevano una serie di contromisure per – e qui cito – “moderare la democrazia” e quindi, in sostanza, far passare le élite al contrattacco. Il rapporto Crisis of democracy è convenzionalmente considerato l’inizio della grande controrivoluzione neoliberista: leader come Margaret Thatcher e Ronald Reagan incarnarono questo movimento da destra, seguiti da leader come Bill Clinton e Tony Blair che lo incarnarono dall’area cosiddetta progressista; è così che Keir Starmer, seguendo la Terza Via (e cioè la controrivoluzione neoliberista da sinistra e, quindi, con il sostegno di agenzie di intelligence, media tradizionali, finanziatori miliardari e impero americano), il 4 aprile 2020 viene eletto leader del partito laburista al posto di Corbyn. E pochi giorni fa, dopo i disastri dei Tories al governo, ha vinto le elezioni. In campagna elettorale Starmer ha ribadito il proprio sostegno senza se e senza ma a Israele e alla sua campagna di colonizzazione della Palestina, ha dichiarato che non aumenterà le tasse ai ricchi e che aumenterà le spese militari; non appena vinte le elezioni ed entrato nel nuovo ufficio, il suo staff ha pubblicato un video in cui lo si vede parlare con Joe Biden al telefono per la prima volta da premier: in questa simpatica trovata, i due discutono di come possono lavorare insieme per continuare la guerra alla Russia e per contenere la Cina nella nuova Guerra Fredda. Alla fine della telefonata, Biden menziona infine l’importanza della relazione speciale tra Stati Uniti e Regno Unito sottolineando quanto sia fondamentale per la sicurezza e la prosperità di entrambi i Paesi.
Che lezione possiamo dunque tratte dal caso Keir Starmer? Che così funziona la democrazia in Occidente, perché se pensiamo che le ragioni dietro il successo politico del premier inglese siano solo un caso isolato e non, invece, la prassi comune con cui viene selezionata tutta – e dobbiamo dire tutta – la classe dirigente europea, allora siamo davvero senza speranza. Di fronte a questo, c’è ancora qualcuno che il coraggio di dire che siamo in democrazia perché si vota? O di sostenere che qui da noi, in confronto a Russia e Cina, siamo società aperte e con libere elezioni? Traete le vostre conseguenze. Noi lo abbiamo già fatto e lavoriamo tutti i giorni affinché in Italia e in Europa nuovi casi Starmer non esistano più, affinché la democrazia sia una cosa seria e non un’accozzaglia di procedure formali dietro cui si nascondono i veri poteri di questo mondo – e per convincere quante più persone possibili a combattere insieme a noi. La buona notizia è che da oggi anche tu puoi contribuire a questa battaglia: aderisci a Multipopolare e alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Keir Starmer

Nuovo presidente iraniano: spaccherà i BRICS o spaccherà il fronte anti-iraniano occidentale?

In questo video, analizziamo assieme ad Antonello Sacchetti‬ le recenti elezioni in Iran, esplorando i risultati e le implicazioni per il futuro del paese e delle relazioni Iran-Occidente e Iran-BRICS.

Francia a un passo dall’esplosione? – ft. Vittorio Caligiuri

Dopo le elezioni di domenica la Francia risulta divisa in tre parti eguali: l’estrema destra, la sinistra e il centro liberista dell’attuale presidente in carica Macron. A vincere le elezioni è stato, inaspettatamente, il Fronte Popolare, forte di una grande mobilitazione popolare a suo favore da parte di vasti segmenti dell’opinione pubblica. Il rischio è ora che una pattuglia di “responsabili” decida di staccarsi dalla lista di sinistra in cui è stata eletta per andare a sostenere un nuovo governo centrista assieme alla lista di Macron e ai Repubblicani. Il dubbio aleggia sopra i Verdi e in particolare il Partito Socialista; si teme che una mossa simile consegnerebbe, nelle elezioni presidenziali del 2027, il paese a Marine Le Pen. Buona visione!

#Francia #elezioni #FrontePopolare #Antifa #Melenchon #LePen #Macron

Fardelli d’Italia (ep. 19) – Caos in Europa

Nell’odierna puntata di Fardelli d’Italia parliamo di elezioni europee, astensione, venti di destra in Germania e Francia nonché della legge sull’autonomia differenziata.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

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Iran al voto dopo la “misteriosa” morte di Raisi – Ft. Antonello Sacchetti

Oggi il nostro Gabriele parla con Antonello Sacchetti (dell’omonimo canale Youtube) delle imminenti elezioni in Iran il 28 giugno. Nel dopo Raisi, il paese si trova a scegliere tra vari candidati più o meno aperti a questioni sociali o di sicurezza. A dispetto dell’immaginario occidentale, si tratta dunque di elezioni libere e con molti candidati il cui esito non è affatto pilotato o scontato. Abbiamo inoltre cercato di capire chi sono i candidati, quali i favoriti e cosa aspettarci nel futuro prossimo dello Stato. Per concludere, abbiamo indagato i meccanismi istituzionali e la misteriosa morte di Raisi. Buona visione.

#Iran #elezioni #MedioOriente #Raisi

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Abbiamo sbagliato tutto!!! Perché gli europei non credono a crisi e guerra e sono contenti così

E’ inutile girarci tanto intorno: il risultato delle elezioni europee, dal punto di vista di un ottoliner, è stato probabilmente il peggiore immaginabile possibile e, ovviamente, non certo per i motivi che sottolinea il mainstream. Al contrario della vulgata analfoliberale, infatti, non c’è stato nessun terremoto: la destra reazionaria avanza, ma in punta di piedi; l’astensionismo si consolida, ma non travolge proprio niente e nessuno; il tema della pace non ha spostato mezzo voto, e manco le conseguenze economiche della guerra. Completamente sconnessi dal contesto materiale concreto, nel vecchio continente sembra di essere ancora nel bel mezzo degli anni ‘90, con il sostanziale ritorno a un bipolarismo di facciata che è il miglior involucro politico possibile a difesa del dominio del pilota automatico che accelera il nostro declino e anestetizza ogni forma di conflitto: da una parte si consolida il vento in poppa di una destra reazionaria cialtrona e arraffona che, per strappare un accesso in zona VIP dopo anni di purgatorio, è pronta a svendere anche i parenti; dall’altra, una finta sinistra ZTL che, fuori tempo massimo, riesce ancora (nonostante tutto) a ricompattare le sue fila contro una fantomatica minaccia di deriva fascista che, nei fatti, contribuisce lei per prima ad alimentare.

Un pacifico patriota

Ovviamente rispetto agli anni ‘90 ci sono anche numerose differenze, direi tutte in peggio: la prima è che mentre negli anni ‘90 a giocare il ruolo degli underdog che scodinzolano ai piedi delle oligarchie e di Washington erano i rimasugli della sinistra di classe dei decenni precedenti, ora che quella finta sinistra è ormai completamente organica all’establishment quel ruolo tocca, appunto, alla destra post-fascista. Questo ha due conseguenze importanti: la prima è che ovviamente il baricentro del quadro politico, come evidente, s’è spostato molto a destra e continuerà a farlo fino a che nei libri di scuola non si parlerà apertamente di Pinochet come di un’avanguardia democratica e di Francisco Franco come di un pacifico patriota; la seconda è che l’idea che il nemico principale sia la finta sinistra analfoliberale, perché più subdola, mentre la destra – almeno – che è il nemico si sa, potrebbe rivelarsi uno stereotipo un po’ passato. Come confermano per la milionesima volta anche queste elezioni, infatti, a intercettare quel poco di voto dei subalterni che ancora c’è non è certo la finta sinistra che, ormai, è percepita dalle fasce popolari come il nemico principale; la finta sinistra, ormai, è puro establishment e prende voti in fasce della popolazione che magari, a livello di guerra culturale, criticano le derive più aberranti del sistema vigente, ma che compongono blocchi sociali sostanzialmente conservatori (che, cioè, dalla stratificazione di classe del capitalismo finanziarizzato imperialista maturo alla fine sperano di ottenere la difesa di alcuni piccolissimi privilegi). Da un certo punto di vista, il messaggio più chiaro e esplicito oggi è il loro: se guadagni meno è perché hai studiato meno e te lo meriti; se ti bombardo è perché non rispetti i valori che anche se li ho scritti io sono per forza universali, visto che ne so molto più di te, zoticone, e te lo meriti.
A inquinare i pozzi e a confondere i subalterni oggi, invece, sembra essere decisamente di più la destra fintosovranista che condivide con le fasce di popolazione più disagiate la grettezza, che diventa il vero piano dove sviluppare una connessione sentimentale con quelle fasce dell’elettorato ormai totalmente abbandonate dalla sinistra ZTL: prima di trasformarsi nella casa ideale dei ceti urbani e riflessivi, infatti, la sinistra concreta e materiale, ancorata a una dimensione di classe, vedeva nell’arretratezza culturale delle fasce popolari una conseguenza delle ingiustizie sociali e combatteva per la loro emancipazione; oggi, invece, abbandonato il materialismo in nome del liberalismo progressista, necessariamente vede nella grettezza una colpa individuale e quindi, letteralmente, odia e disprezza i subalterni per come sono realmente. Di fronte a questo odio profondo e viscerale esistono due risposte: la prima, delle frange più moderate, è il disprezzo vero e proprio; la seconda, delle frange più radicali, è quella che, nel tempo, è stata denominata buonista (o petalosa) e che consiste nel rimuovere idealisticamente la ferocia e la violenza generate dalle ineguaglianze e vivere così nel mito del buon selvaggio. E’ così, ad esempio, che si spiega la valutazione diametralmente opposta che le fasce popolari danno, rispetto alla sinistra petalosa, di un fenomeno gigantesco come quello delle migrazioni, che gli abitanti delle periferie vivono direttamente in tutta la sua drammaticità e violenza, mentre agli occhi della sinistra petalosa si trasforma magicamente in un gioioso inno alla diversità.
La destra reazionaria e fintosovranista condivide – ovviamente – con le due fazioni della sinistra ZTL la totale assenza di un piano per promuovere e sostenere l’emancipazione dei subalterni; però, invece di condannare le aberrazioni che la mancata emancipazione necessariamente produce, le fa sue e ci sguazza: il problema sociale dell’immigrazione, in assenza di soluzioni concrete, genera razzismo? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria diventa più razzista di chi quelle problematiche le vive sulla sua pelle; la mancanza di crescita economica e la deindustrializzazione creano enorme fasce di popolazione che vivono di economia più o meno informale e di evasione? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria cavalca la rivolta fiscale; gente senza il becco di un quattrino per adeguare le case dove vive ai nuovi standard o per comprarsi una nuova auto elettrica si ribella alle normative ambientali? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria ostenta SUV diesel 6000 di cilindrata e ville con abusi edilizi di classe energetica Z. Insomma: la destra reazionaria trasforma sistematicamente comportamenti dettati dalle condizioni materiali in elementi culturali identitari e, su questi elementi culturali, costruisce il suo legame con le classi popolari mentre, in termini strutturali, non fa altro che riprodurre quei meccanismi e quei rapporti sociali che determinano e rafforzano le condizioni di subalternità.
Ovviamente, sinistra ZTL e destra reazionaria sono due fazioni del partito unico della guerra e degli affari e sono entrambe nemici giurati di Ottolina Tv e degli interessi concreti del 99%, ma proprio per questa differenza profonda tra i blocchi sociali che riescono a intercettare, in questa precisa fase storica – almeno per chi, come noi, pensa che il nocciolo della questione sia permettere ai subalterni di individuare chiaramente i loro interessi concreti e la loro incompatibilità col sistema vigente – il nemico più insidioso è proprio la destra fintosovranista; la sua avanzata (per quanto tutt’altro che inarrestabile) in tutto il vecchio continente e la sua tenuta in Italia, nonostante ormai quasi due anni di governo al servizio delle oligarchie e di Washington e contro le masse popolari, di sicuro rappresenta la prima brutta notizia di questa tornata elettorale, ma – purtroppo – sicuramente non la sola. Il secondo aspetto, forse ancora più inquietante, è la sostanziale tenuta – appunto – della finta sinistra delle ZTL che oggi torna a rioccupare sola soletta lo spazio dell’alternativa, anche se solo di facciata, alla destra reazionaria. Tutti i più importanti esperimenti che, con tutte le contraddizioni possibili immaginabili, negli ultimi anni hanno rappresentato un tentativo di uscire dalla gabbia del bipolarismo, sono definitivamente naufragati: Podemos, in Spagna, ha superato di poco il 3%; la France Insoumise di Melenchon non raggiunge il 10; i 5 Stelle sono andati peggio della peggiore delle previsioni e la nuova formazione della Wagenknecht, seppure abbia raggiunto un 6% che, come debutto, è sicuramente dignitoso, non ha certo rappresentato lo tsunami che in molti di noi si auguravano.
Molto spesso nel mondo del dissenso circola questa forma di wishful thinking secondo la quale se una formazione non totalmente allineata non ha raccolto i risultati sperati è perché è stata troppo timida e moderata; in realtà, però, anche le formazioni più piccole e più radicali sembrano essere andate incontro alla stessa sorte. In sostanza, il problema non sembra essere stato (come è stato interpretato dalle varie formazioni) lo spazio del dissenso, ma proprio la mancata esistenza di uno spazio del dissenso in se che, infatti, non è riuscito ad andare ad alimentare nemmeno l’astensionismo. Intendiamoci: nei paesi a capitalismo avanzato la lunga parabola della controrivoluzione neoliberista ha cronicizzato una soglia di astensionismo altissima che mette in discussione dalle fondamenta la legittimità dei rispettivi sistemi politici e istituzionali, ma di fronte alla spudorata svendita degli interessi nazionali da parte di tutte le forze politiche principali – diventata così palese dall’inizio della guerra per procura in Ucraina – e di fronte all’incapacità delle forze politiche più o meno anti-sistema di catalizzare il dissenso, uno almeno si aspettava un aumento vertiginoso dell’astensione. E, invece, si parla di spiccioli: zero virgola; e uno zero virgola in meno rispetto al 2019 che, negli ultimi 20 e oltre anni, ha rappresentato una vera e propria anomalia in termini di affluenza per le europee. Insomma: il dato veramente inquietante, più che la crescita delle destre reazionarie, è il fatto che per il grosso dei cittadini europei, tutto sommato, non sta succedendo niente di particolarmente grave: né l’attualità di una crisi feroce, né la prospettiva di una guerra devastante è riuscita a convincere il popolo europeo che l’era del Business as usual e del There is no alternative sia tramontata, e hanno optato per il pilota automatico.
Questo dato di fondo fa ancora più impressione se confrontato con cosa succede nel resto del mondo: il 2024 infatti, come abbiamo discusso svariate volte in passato, è stato un anno ricco di appuntamenti elettorali che, sostanzialmente, in tutto il resto del mondo hanno avuto un segno diametralmente opposto al vecchio continente. Solo per restare agli ultimi appuntamenti elettorali, in Messico la vittoria di Claudia Sheinbaum è stata un avvenimento storico: fino ad oggi, infatti, il successo del governo popolare e sovranista di Lopez Obrador era attribuito – in buona parte – al suo carisma personale e tutti temevano che, con il passaggio dell’eredità, Morena (il partito politico fondato da AMLO) avrebbe inevitabilmente mostrato tutta la sua debolezza. La vittoria della Sheinbaum ha dimostrato, oltre ogni più rosea aspettativa, che nonostante le interferenze USA, i signori della guerra del narcotraffico e tutti i problemi strutturali del Messico, la spinta democratica e popolare verso la sovranità e lo sviluppo economico e sociale hanno permesso di costruire in tempo record una classe dirigente di tutto rispetto in grado di dare seguito al successo personale di Obrador, di raccogliere la sua eredità e di continuare a intercettare un sostegno popolare enorme.
Poco prima del Messico si era votato in Sud Africa, dove il partito di governo ha sì subìto un ridimensionamento, ma tutto a vantaggio di due formazioni politiche che chiedono un impegno ancora più esplicito e concreto verso l’emancipazione dall’Occidente collettivo e in direzione di un nuovo ordine multipolare. Nel febbraio scorso si erano tenute, invece, le elezioni in un altro colosso del Sud globale – l’Indonesia – dove a vincere era stato il candidato indicato dall’ex presidente Widodo che, durante i suoi due mandati, aveva imposto al paese un’importante svolta in senso democratico, popolare e sovrano allontanandolo dal dominio delle ex potenze coloniali e delle borghesie compradore nazionali.
Insomma: non senza contraddizioni, deviazioni e battute d’arresto, nel resto del mondo il lento e lungo cammino verso l’affermazione della sovranità popolare e la ripoliticizzazione dello spazio pubblico avanza inesorabile. Di fronte a questo trend storico inarrestabile, i popoli del vecchio continente che, negli ultimi 2 anni, è stato probabilmente l’angolo di pianeta più penalizzato in assoluto dalla guerra totale che il superimperialismo a guida USA ha ingaggiato contro il resto del mondo (e dove non si vede all’orizzonte nessunissima possibilità concreta di un cambio di rotta), hanno deciso di far finta di niente e inventarsi un mondo parallelo immaginario dove tutto può continuare ad andare avanti col pilota automatico come se niente fosse.

Un esempio di Bertyboy

In questo contesto, il segnale che, a livello nazionale, ho trovato forse il più inquietante di tutti è stato lo straordinario successo raccolto dalla lista Alleanza Verdi Sinistra, un vero tuffo indietro alla rifondazione di Bertinotti, un semi-partito completamente privo di elaborazione autonoma, impensabile al di fuori di un’alleanza organica con il partito democratico (del quale rappresenta, in estrema sintesi, una sorta di corrente esterna) e che, proprio come la rifondazione di Bertinotti, fonda il suo successo esclusivamente su alcune battaglie meramente culturali e su trovate estemporanee da pura società dello spettacolo. In questo caso si è trattato della candidatura, che dal punto di vista elettorale si è rivelata tatticamente geniale, di personalità indipendenti come Ilaria Salis e Mimmo Lucano (ai quali vanno i nostri migliori auguri) e che, al netto delle differenze soggettive – che pure hanno, ovviamente, un loro peso – sono un po’ i nuovi Vladimir Luxuria: attraverso le candidature personalistiche (ma non solo), Alleanza Verdi Sinistra è riuscita a intercettare, in particolare, il voto dei giovanissimi fino a diventare, nella fascia 18-24 anni, addirittura il secondo partito; ed, in particolare, è riuscita a intercettarlo nei principali centri urbani e nelle città universitarie dove, da Roma a Firenze, passando per Bologna, ha superato addirittura il 12%.
Ovviamente, di fronte a numeri del genere, io (che non riesco a farmi votare neanche all’assemblea di condominio) non mi posso che inchinare e riconoscere la superiorità dell’intelligenza tattica della scuola che da Bertinotti è stata tramandata ai Bertyboys e d’altronde, per molte delle posizioni espresse – dal salario minimo all’invio di armi – non posso che rallegrarmi che nel Parlamento europeo ci siano più rappresentanti di Alleanza Verdi Sinistra e nessuno di Azione o + Europa. Mi rimane però un dubbio: nei 20 anni durante i quali il voto della sinistra anti-sistema è stato interamente egemonizzato dalla Rifondazione di Bertinotti, la sinistra, da intercettare il consenso delle masse popolari, è riuscita ad essere percepita come il nemico pubblico numero 1 dei subalterni delle periferie; ho come l’impressione che ripetere lo stesso copione 20 anni dopo, mentre il nostro mondo è sull’orlo del baratro, non sia esattamente la mossa più lungimirante possibile, soprattutto mentre la destra reazionaria continua a consolidare la sua egemonia culturale tra i subalterni. E pensare che questa egemonia si possa contrastare a partire dalle tattiche elettorali che incontrano i favori delle future classi dirigenti in erba e dei ceti riflessivi dei centri urbani – che quei subalterni, non senza ragioni, li schifano – potrebbe non fare altro che accelerare e aggravare il problema. Purtroppo queste elezioni, al momento, non fanno che smentire l’idea che la crisi e la guerra non potessero che accelerare e approfondire la frattura tra le persone comuni e il partito unico che le governa; la risposta non può che essere un lavoro certosino, lungo e paziente, per ricostruire una narrazione in grado di intercettare le contraddizioni che i subalterni vivono quotidianamente sulla loro pelle e riportarle alla dimensioni delle lotta per la soddisfazione dei loro bisogni materiali – e il più lontano possibile dalle armi di distrazione di massa delle guerre culturali. Per farlo, più che una crocetta su una scheda una tantum, quello che di sicuro serve è un media che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Gennaro Migliore

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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La fine di Macron dopo le europee, con Matteo Bortolon (La Fionda) e Lorenzo Battisti

Live speciale per commentare l’esito delle elezioni europee ed i risvolti che il voto ha prodotto in Francia, spingendo Macron a indire nuove elezioni.

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L’estrema destra distruggerà l’Unione europea e la NATO? – ft. Fabio Mini

Il Generale Mini commenta il risultato delle elezioni europee e affronta alcune questioni strategiche e militari fondamentali per l’Italia e per l’Europa. Gli Usa stanno cercando di costruire una NATO globale in modo tale da poter dirigere completamente la politica estera di tutti i propri paesi vassalli nel mondo? O le attuali classi dirigenti europee potrebbero sfruttare la guerra alla Russia per compattarsi al proprio interno e creare un polo europeo maggiormente indipendente da Washington? E infine, paradosso dei paradossi: non sono invece le forze di estrema destra europee oggi a rappresentare l’unica vera alternativa all’autolesionistico status quo in cui ci ha condotto il partito unico neoliberista?

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Cataclisma europee: ora sciogliamo Ue e NATO – ft. Pierluigi Fagan

Torna ospite ad Ottolina Tv Pierluigi Fagan per darci un commento a freddo sulle elezioni europee di ieri. Pierluigi parla di un cataclisma, non percepito in Italia per via del nichilismo e del pressapochismo dell’informazione nostrana. Dietro le tendenze a dominare la paura di cambiare svetta il rovesciamento elettorale francese che ridimensiona drammaticamente la figura di Macron, le dimissioni del premier belga e il successo dell’estrema destra in Austria, Germania e Italia. Il vuoto critico viene dunque occupato dall’estrema destra fascistoide che intercetta il voto di protesta e euroscettico, traghettandoci in un nuovo mondo. Buona visione!

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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