Per quanto possa sembrare incredibile, forse a questo giro Paul Krugman c’aveva azzeccato: se siete sconcertati dal livello di rincoglionimento di rimbamBiden, forse non avete mai sentito per intero un discorso di Donald Trump. Ecco come le oligarchie, alla fine, hanno deciso di affiancargli una badante: si chiama Scott Bessent, è stato per decenni il braccio destro di George Soros e così, a occhio, da qualche tempo a questa parte è diventato il presidente de facto degli USA. Trump fa un po’ di teatrino a favore di telecamere e poi a rimettere le cose a posto per gli interessi della finanza USA ci pensa lui, esattamente come nelle trattative sui dazi con la Cina: Trump aveva scritto che tariffe all’80% sarebbero state un compromesso accettabile; “Ora sta a Bessent” aveva scritto, che però ha deciso di ridurle al 10.
Con l’amministrazione di fatto di Bessent, gli USA sembrano così tornare al business as usual: peccato che negli ultimi 15 anni il business as usual ha comportato il declino irreversibile della centralità dell’imperialismo guidato da Washington. D’altronde, le ultime settimane hanno dimostrato che i margini di manovra sono ristretti: se continuare a rimanere fedeli al vecchio paradigma globalista e iper-finanziarizzato comporta un declino relativo, cercare di sfuggire a quel paradigma comporta l’esplosione di quella bolla che continua ad essere la principale fonte di ricchezza delle oligarchie USA. Una condizione di impotenza che difficilmente permetterà di trovare le risorse per spaventare ancora l’asse tra Mosca e Pechino che è stato suggellato, per l’ennesima volta, lo scorso 8 e 9 maggio, tra Giornata della Vittoria e la bellezza di 20 accordi bilaterali su tutto lo scibile umano. Ne parliamo con Vadim Bottoni, Giacomo Gabellini e Alessandro Volpi.