
di Alessandro Bartoloni Saint Omer
Mentre Governo e Regioni si rimpallano accuse la riforma dei servizi sanitari territoriali, finanziata con 2 miliardi del PNRR, sta naufragando sotto gli occhi di tutti. Un flop annunciato, che adesso viene certificato nero su bianco anche dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Per la creazione delle famose Case di Comunità, su 1.717 nuove strutture previste da aprire entro giugno 2026 – scadenza tassativa per non perdere i fondi europei – solo 46 risultano oggi pienamente operative. Tradotto: appena il 2,7% operative con tutti i servizi previsti attivi: assistenza medica di base, visite specialistiche, diagnostica di primo livello, riabilitazione, assistenza domiciliare. In pratica, l’intera idea di una sanità territoriale decentrata, che alleggerisca gli ospedali, è ancora ferma al palo.
Il problema è strutturale. Perché se già i numeri sono desolanti, le differenze territoriali sono un insulto al principio di equità. Al Centro e soprattutto al Sud, le Case di comunità esistenti sono spesso scatole vuote, senza servizi, senza personale, senza alcuna reale funzione.
Basta guardare i numeri sull’assistenza domiciliare: su 667 ambulatori programmati al Nord, quasi la metà (313) ha attivato questi servizi. Al Centro, si scende a 86 su 397. Al Sud, la tragedia: 15 su 653. Lo stesso vale per l’attività specialistica, che doveva essere uno dei pilastri del nuovo modello: ti visiti dal medico di famiglia e, se serve, vieni mandato dallo specialista… della porta accanto. Ma mentre al Nord questa dinamica funziona in 308 strutture, al Centro scendiamo a 103, al Sud siamo a 18. Un numero ridicolo, se si pensa alla vastità e ai bisogni del territorio.
Ma non è tutto. Anche gli Ospedali di Comunità, pensati per ospitare pazienti fragili che non necessitano più di un ricovero ordinario ma non sono ancora pronti a tornare a casa, sono sostanzialmente rimasti al palo. Dovevano essere 568 in tutto il Paese. Ma ad oggi ne risultano attivi solo 124: 43 in Veneto, 25 in Lombardia, 21 in Emilia Romagna. Insomma questa riforma è al momento un colossale buco nell’acqua, e a restare senza cure sono come sempre cittadini lontani dalle grandi città.
Finché il contratto dei medici di medicina generale sarà un contratto da privato convenzionato, e non da dipendente come accade agli ospedalieri, il medico di medicina generale sarà ingovernabile e nelle case di comunità non ci andrà mai. Bisogna renderci dipendenti, con pro (tutele malattia ferie turni) e i contro (perdita del rapporto fiduciario col paziente te, ma vi assicuro che già da decenni non esiste più, fosse mai esistito, minore autonomia gestionale del titolare medico di famiglia con decurtazione dello stipendio, anche se non avremmo più spese di studio, di segreteria, per trovare il sostituto e andare in ferie o malattia, ecc..). A tutto ciò di contrappone l’ormai noto asse criminoide costituito dal sindacato FIMMG, dalla cassa previdenziale privata dei medici ENPAM, e dagli Ordini Professionali, come ha ben più volte delineato la Milena Gabanelli nel suo, a cui persino il ministro Schillaci e prima di lui Speranza avevano fatto intendere di voler porre fine, senza ancora risultati.
Nelle ASL di Roma se pur le attività di ristrutturazione finanziate con i fondi PNRR vadano avanti, nel frattempo si è indebolita la rete dei servizi territoriali esistenti con spostamenti di personale e servizi per permettere le ristrutturazioni stesse. Sembra un oaradosso ma è così. Si spera di dare un servizio migliore domani ma intanto oggi chiudo per lavori. Cittadini rincorrono gli ambulatori che vengono spostati da oggi a domani senza preavviso. E il caso dei CAD, dei consultori familiari, dei servizi per la salute mentale per gli adulti e per i minorenni. Per oggi anche chi ci lavora si attrezza come può tra mancanza di stanze, pochi PC e personale esternalizzato a progetto. Nell’era del digitale sfrenato finanziato anch’esso con fondi europei (in prestito) mancano computer agli operatori che dovrebbero utilizzare cartelle cliniche elettroniche e facilitare l’accesso dei cittadini e l’invio di documentazione on line. L’elemento più grave in prospettiva futura è la mancanza di professionalità sociali e sanitarie stabili. Nuove strutture ma vecchi vizi. Personale precario o appaltato e maltrattato…