Il 22 gennaio 2025 è stata presentata la Risoluzione del Parlamento europeo sulla disinformazione e la falsificazione della storia da parte della Russia per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina: questo il titolo della risoluzione. All’origine proposta da parlamentari delle tre Repubbliche Baltiche e dalla Polonia, è stata poi assunta da un rilevante numero di europarlamentari del PPE (popolari), di S&D (socialisti e democratici), del gruppo ECR (conservatori e riformisti europei), del gruppo Renew (liberali) e anche della sinistra ecologista, ricevendo 480 voti a favore, 58 contrari e 40 astenuti. Fra gli astenuti – un caso di crisi di coscienza? – abbiamo avuto gli eurodeputati del PD, che però nel 2019 avevano votato per una risoluzione simile, che attribuiva paritariamente la responsabilità della seconda guerra mondiale alla Germania di Hitler e alla Russia sovietica.
Ecco il testo della risoluzione: “La Russia non ha riconosciuto l’imperdonabile ruolo svolto inizialmente dall’Unione Sovietica nelle prime fasi della seconda guerra mondiale, ad esempio nel trattato di non aggressione del 1939 tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica”; “Il regime russo” continua poi “ha strumentalizzato la storia e ha creato un culto della vittoria intorno alla seconda guerra mondiale”. Rifacendosi alle ragioni per cui l’Unione Sovietica occupò “parti della Polonia e della Romania, come pure dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania e dell’Ucraina”, la risoluzione asserisce che oggi “la Russia rappresenta una minaccia particolare per la Polonia e per gli Stati Baltici e per la loro sovranità”; infine, la risoluzione “condanna la falsificazione sistematica e l’uso da parte del regime russo di argomentazioni storiche distorte” e – udite udite – “chiede di vietare all’interno dell’Unione l’uso di simboli nazisti e comunisti sovietici, così come dei simboli dell’attuale aggressione russa contro l’Ucraina”.
Insomma: al di là dei deliri storici, in base a tale proposta un partito come il PCI o come Rifondazione Comunista dovrebbero ammainare la falce e martello dal loro simbolo, che rappresenta l’unione della classe lavoratrice operaia e contadina, perché comparabile alla svastica. Non solo: la risoluzione europeista propone toni di guerra contro la Federazione russa, senza cenni a de-escalation o ad eventuali ruoli dell’Ue nel proporre eventuali negoziati. Insomma: completamente in linea con quanto sta avvenendo in questi giorni. Si riscrive la storia, come vedremo in questo video, arrivando ad equiparare Unione Sovietica e Terzo Reich e rimuovendo totalmente ogni merito dell’Unione Sovietica nella vittoria contro il nazismo, avviata con la battaglia di Stalingrado, confermata con l’occupazione di Berlino e simbolicamente rappresentata dalla liberazione di Auschwitz avvenuta il 27 gennaio 1945.
Il popolo sovietico, che risoluzioni questo tipo alle volte non possono che farci rimpiangere, ha versato un sacrificio che non ha pari nella storia contemporanea, visto che fra i 22 e i 27 milioni fra civili e militari dell’Armata Rossa morirono per mano nazista; e, naturalmente, nella risoluzione il collaborazionismo di una parte dei popoli baltici ed ucraini con Hitler viene cancellato come se nulla fosse. L’obiettivo di questa assurda equiparazione è sempre lo stesso: far passare i capitalisti liberali, che in quanto a numero di crimini contro l’umanità detengono il primato assoluto, come unici salvatori dell’Europa e del mondo intero, nonché unico sistema politico di buon senso per non cadere in terribili mondi oscuri e distopici. Insomma: la solita puttanata.
Questa risoluzione, dicevamo, compara il comunismo al nazismo scagionando da ogni crimine le nazioni liberali: il capitalismo liberista e neoliberista, in sintesi, che è stato elevato a pensiero unico dominante dopo la caduta del Muro di Berlino, dev’essere tutti i giorni e tutto il giorno emendato da ogni peccato e ed elevato ad incarnazione terrestre della saggezza divina (e, by the way, a questo serve il mainstream e l’industria culturale); ed ecco che la risoluzione Ue omette di citare il Patto di Monaco, quando, il 29 settembre 1938, nazioni liberali come la Gran Bretagna e la Francia, assieme alla Germania nazista e all’Italia fascista, firmarono l’accordo che obbligava la Repubblica cecoslovacca a cedere la regione dei Sudeti a Adolf Hitler, escludendo del tutto dalle trattative diplomatiche l’Unione Sovietica, ai tempi isolata diplomaticamente dalle due nazioni liberali europee, rifiutando non solo qualsiasi accordo a difesa di Mosca in caso di invasione tedesca, ma respingendo l’offerta di Stalin di difendere militarmente la Cecoslovacchia in caso di aggressione della Wehrmacht. Tutto resettato! Gli eurodeputati baltici e polacchi, nonché il grosso dei gruppi parlamentari europei (compresi quelli progressisti), fanno comunella nel negare tutto ciò in nome della santificazione del pensiero unico mercatista liberale!
Questo pensiero unico punta tutto sull’equiparazione fra nazionalsocialismo e comunismo, com’è chiaro nelle due risoluzioni dell’Ue del 2019 e del 2025, una grossolana falsificazione storica e concettuale: essa non è il risultato di una svista o, meno ancora, di ignoranza (fatti salvi casi umani come la Picierno); essa risponde, piuttosto, all’esigenza di far credere alla gente che esista una opposizione binaria noi vs loro, dove noi rappresenta il bene (e, cioè, il capitalismo oligarchico in cui siamo immersi), loro il male, cioè tutti gli altri sistemi economico-politici esistenti. Insomma: una delle architravi fondamentali della nostra propaganda ed egemonia culturale; basta far mente locale al fatto che questa strumento ideologico lo ritroviamo tale e quale 2450 anni fa durante la guerra del Peloponneso, con Atene che si presentava come portatrice e garante della democrazia contro tirannia ed oligarchia (vi ricorda qualcosa?), mentre Sparta come restauratrice e garante della libertà dei greci contro l’oppressione ateniese. Luciano Canfora mostra, nel suo libro La grande guerra del Peloponneso 447-394 a.C., come in realtà lo stesso Tucidide sapesse che la radice ultima del conflitto non era da trovare in una sorta di scontro di civiltà e valori diversi, bensì negli interessi di classi sociali e gruppi di potere all’interno di ciascuna delle due realtà politiche. E quello che era era vero, è vero anche oggi: noi, i buoni, contro Cinesi e Russi, brutti sporchi cattivi e pure comunisti ed ex comunisti. Come per la guerra del Peloponneso, si occulta, in questo modo, che lo scontro risponde in realtà agli interessi di classi sociali e gruppi di potere ben precisi all’interno del cosiddetto Occidente, ovvero all’interno della sfera di influenza statunitense.
Capire come l’opposizione binaria funziona in quanto strumento della propaganda ci permette di non farci prendere per il culo dalle fole che ci raccontano i cantastorie dei padroni che, negli ultimi anni, descrivono la recente storia in funzione anti-russa cancellando ogni successo sovietico nella lotta anti-nazista e equiparando Putin a Hitler. Per fare qualche esempio, nel maggio 1945, quando Hollywood non aveva ancora dipinto gli Stati Uniti come gli unici salvatori del pianeta, tutti sapevano dei milioni di soldati sovietici caduti sul fronte orientale e del loro ruolo decisivo nello sconfiggere l’esercito nazista, nonché del tardivo coinvolgimento degli statunitensi nel conflitto. Oggi? Se ponessimo ora, in una qualsiasi piazza socialdemocratica o progressista europea, lo stesso quesito, siamo ancora convinti gli intervistati risponderebbero alla stessa maniera?
Ma facciamo un passo indietro. Siamo nel 1989: l’URSS scompare, così come i partiti comunisti dell’Est che sottostavano al Patto di Varsavia – nonché, in Occidente, il PCI che con loro aveva contribuito a mantenere viva la memoria del sacrificio sovietico – collassano anche in Europa; in Italia i comunisti diventano post-comunisti e, nel giro di pochi anni, liberali de sinistra. Dall’inizio del ventunesimo secolo iniziano a emergere discorsi simili alla risoluzione del 2025 nell’Europa centrale e orientale e negli Stati baltici: in questi Paesi, occupati dai nazisti, liberati dai sovietici e rimasti dopo la guerra nell’orbita di Mosca, ha preso piede l’idea della doppia occupazione, prima da parte della Germania e poi dell’URSS, equiparati e venduti come gli opposti totalitarismi. Per imporre questa narrazione, è stato necessario cancellare molte tracce del passato e, in particolare, quelle che ricordavano la vittoria dell’Armata Rossa o la collaborazione con l’occupante tedesco: nel 2007 l’Estonia ha deciso di demolire una statua, eretta nel centro di Tallinn nel 1947 in onore dei soldati sovietici morti in combattimento, trasformata in un simbolo dell’occupazione sovietica; la minoranza russa ha protestato, la polemica è degenerata in disordini e il governo si è dovuto accontentare di un suo spostamento. Questo tipo di operazioni è diventata moneta corrente: negli ultimi quindici anni se ne sono viste a centinaia in Bulgaria, in Ungheria, in Lettonia, in Polonia, in Romania e in Ucraina e, ancora nel 2017, il governo polacco ha dato alle autorità locali dodici mesi di tempo per rimuovere tutti i monumenti pubblici che rendevano omaggio a persone, organizzazioni, eventi o date simboleggianti il comunismo; l’anno successivo ha poi approvato una legge per punire la menzognera imputazione di crimini contro l’umanità rivolta alla nazione o allo Stato polacco e l’Istituto per la memoria nazionale è impegnato tutti i giorni affinché sia rispettato il divieto di parlare della collaborazione con il nazismo. In Ucraina, nel 2018, è stato vietato un libro dello storico Antony Beevor sulla battaglia di Stalingrado: la sua colpa? Alcuni paragrafi su dei nazionalisti ucraini che, arruolati nell’esercito nazista, avevano giustiziato novanta bambini ebrei nel 1941.
L’idea di una corresponsabilità di Mosca e Berlino si è gradualmente diffusa nell’ovest del continente, diffondendosi al di fuori degli ambienti del conservatorismo, ma approdando anche fra i progressisti; il 19 settembre del 2019 è diventata – ne parlavamo all’inizio – una Doxa ufficiale del parlamento europeo. Su iniziativa dei paesi dell’Est, i deputati eletti nel Parlamento europeo hanno votato una risoluzione sull’importanza di preservare la memoria storica per il futuro dell’Europa in cui si afferma che la guerra è stata la conseguenza immediata del famigerato patto di non aggressione tedesco-sovietico; il testo raccomanda di dichiarare il 25 maggio (data dell’esecuzione di Witold Pilecki, un eroe di Auschwitz) giornata mondiale degli eroi della lotta contro il totalitarismo, associando implicitamente l’Urss al genocidio degli ebrei: “Considerando che ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale… considerando che, come diretta conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop, seguito dal Trattato di amicizia e di frontiera nazi-sovietico del 28 settembre 1939, la Repubblica polacca fu invasa prima da Hitler e due settimane dopo da Stalin, eventi che privarono il Paese della sua indipendenza e furono una tragedia senza precedenti per il popolo polacco; che il 30 novembre 1939 l’Unione Sovietica comunista iniziò una guerra aggressiva contro la Finlandia e nel giugno 1940 occupò e annesse parti della Romania, territori che non furono mai restituiti, e annesse le Repubbliche indipendenti di Lituania, Lettonia ed Estonia…”
A fronte di tale offensiva ideologica, che vede l’establishment europeista incolpare l’URSS dello scatenamento della seconda guerra mondiale (una teoria diffusa negli ambienti neofascisti, tra le altre cose), il presidente russo Vladimir Putin scrive riguardo a questo revisionismo antirusso “Il revisionismo storico, come si manifesta in Occidente, soprattutto per quanto riguarda la seconda guerra mondiale e le sue conseguenze, è pericoloso, perché distorce grossolanamente la comprensione dei principi di sviluppo pacifico definiti in occasione delle conferenze di Yalta e di San Francisco nel 1945”; nel giugno del 2020, in un lungo articolo su Le vere lezioni del settantacinquesimo anniversario della seconda guerra mondiale pubblicato dalla rivista conservatrice statunitense The National Interest, e in tante altre occasioni, Putin parlerà come una specie di professore di storia per smontare la manipolazione occidentale. Putin ha qui sottolineato la responsabilità occidentale nello scoppio del conflitto, ha fatto a pezzi il Tradimento di Monaco, ha denunciato la collusione della Polonia con la Germania nazista e ha celebrato l’eroismo dei suoi soldati sovietici e come i suoi avversari hanno distorto il passato per i propri interessi, vietando qualsiasi menzione dei legami tra l’Urss e la Germania e riscrivendo i programmi scolastici e i libri di testo, in particolare per giustificare la «denazificazione» dell’Ucraina e per negare la sua legittimità storica. Ammettere con onestà intellettuale gli errori del socialismo non può che spingerci a evidenziare le falsificazioni storiche anticomuniste e russofobe presenti in queste risoluzioni europee, come ad esempio quella sull’Holodomor.
Ma cos’è l’Holodomor? E quanto c’è di vero nella vulgata liberale che oggi lo definisce una specie di shoah ucraina? Lo vedremo nel prossimo video di Ottostoria.