Da Kharkiv a Belousov: Putin usa la grande guerra per trasformare la Russia in una nuova Cina
A corto di buone notizie, per qualche giorno le bimbe di Stoltenberg si sono esaltate con gli attacchi random ai civili di Belgorod, ma dalla scorsa settimana anche su quel fronte l’umore è leggermente cambiato: con appena 50 mila uomini, venerdì scorso le forze armate russe hanno varcato il confine che separa Belgorod dalla regione di Kharkiv; un dispiegamento di forze tutto sommato modesto, in grado, al massimo, di rosicchiare un po’ di terreno per creare la fantomatica zona cuscinetto invocata da Putin, già a fine marzo, dopo uno dei tanti attacchi alle strutture civili di Belgorod e ai villaggi lungo il confine – se solo dall’altra parte avessero trovato una qualche difesa. E, invece, campo libero: “Dove sono finite le fortificazioni?” si chiede sul giornale antirusso Urkainska Pravda Martyna Bohuslavets, presidente del centro anticorruzione Mezha. Se li sono infrattati: “L’oblast di Kharkiv” scrive la Bohuslavets “ha pagato milioni a società fittizie”, “con assegnamenti diretti e senza gare d’appalto” continua la Bohuslavets; “società di copertura si sarebbero accaparrate contratti per oltre 150 milioni di euro”. Durante l’estate del 2023, un manipolo di imprenditori locali (in buona parte con già diversi carichi pendenti) avrebbero aperto una serie di società ad hoc che, con la connivenza del Dipartimento per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano dell’oblast di Kharkiv, sarebbero passate immediatamente all’incasso senza mai fare assolutamente nulla: “Secondo questo schema” scrive la Bohuslavets “membri degli uffici governativi hanno registrato nuove società utilizzando prestanome che in alcuni casi potrebbero anche non esserne nemmeno a conoscenza, e stanno continuando a guadagnare sul sangue altrui”.
Con i soldi dei bunker e delle strutture in legno e cemento volatilizzati, sono rimaste solo le care vecchie trincee (e non è andata proprio benissimo): come riportava l’ex vice sottosegretario della difesa USA Stephen Bryen ieri su Asia Times “La Russia sta introducendo più lanciafiamme e artiglieria per distruggere le trincee, e secondo quanto riferito, le truppe russe stanno entrando nelle fortificazioni e attaccando gli ucraini rimasti a difenderle”. Secondo quanto riportato già sabato scorso dal buon Billmon su Moon of Alabama, le truppe russe avrebbero “sconfitto uomini e mezzi della 23a e 43a brigata meccanizzata, della 120a e 125a brigata delle forze armate ucraine e della 15a forza di copertura del confine statale vicino a Volchansk, Vesyoloye, Glubokoye, Neskuchnoye e Krasnoye”; nell’arco di poche ore i russi, avrebbero preso il controllo dei villaggi di Borisovka, Ogurtsovo, Pletenevka, Pylanya e Strelechya e, nei due giorni successivi, l’avanzata si sarebbe estesa ad altri 6 insediamenti fino a lambire il principale centro urbano dell’area e, cioè, la cittadina di Vovchansk dove, dei circa 17 mila residenti, sono rimasti nei paraggi ormai soltanto alcune centinaia. Sempre secondo Stephen Bryen su Asia Times “La battaglia di Kharkiv mira a disintegrare l’esercito ucraino”: “L’idea” insiste Bryen “è di provocare pesanti perdite da parte ucraina e, se tutto va secondo i piani, di dividere l’esercito ucraino in due o di disintegrarlo del tutto. In questo modo non si mirerebbe semplicemente a conquistare territorio, ma di distruggere la capacità dell’Ucraina di resistere. E ci sono molti indicatori che la Russia sta avendo successo nell’operazione in corso”.
A lanciare un campanello d’allarme sul New York Times è lo stesso generale Budanov, che avrebbe affermato “di ritenere che gli attacchi russi nel nord-est abbiano lo scopo di estendere le già scarse riserve di soldati dell’Ucraina e distoglierli dai combattimenti altrove”; Budanov avrebbe inoltre confermato che “L’esercito ucraino sta cercando di reindirizzare le truppe da altre aree della linea del fronte per rafforzare le sue difese nel nord-est, ma che è stato difficile trovare il personale”: “Tutte le nostre forze sono qui o a Chasiv Yar” avrebbe detto. “Ho usato tutto quello che avevamo. Purtroppo non abbiamo nessun altro nelle riserve”. Zelensky ha provato a scaricare la responsabilità sugli uomini sul campo e, il 15 maggio, ha immediatamente dato il benservito al generale di brigata Yuriy Halushkin; i burattinai di Washington, però, ovviamente temono che di questo passo – nonostante il pacchetto di aiuti approvato due settimane fa – il fronte rischi di crollare ben prima delle elezioni presidenziali di novembre: ed ecco così che Blinken, ieri, ha improvvisato una visita a Kiev “per sostenere il morale”, commenta Billmon. La realtà però, sottolinea ancora Billmon, è che “Il sostegno militare concreto all’Ucraina nei prossimi mesi sottoforma di artiglieria e munizioni per le difese anti-aeree, sarà minuscolo”. Come ricorda il Wall Street Journal, negli ultimi 3 mesi, in media, l’efficacia dell’antiaerea ucraina è crollata dal 73 al 46%, per precipitare a un disastroso 30% nel mese di aprile; insomma: i missili russi intercettati ormai sono una esigua minoranza e in arrivo, continua Billmon, “Non c’è nulla che possa aiutare gli ucraini a difendersi dalle bombe plananti FAB che l’esercito russo sta utilizzando in numero sempre crescente per smantellare le posizioni ucraine”. Ed ecco così che “Negli ultimi tre giorni si sono registrate perdite ucraine di circa 1.500 persone al giorno – il doppio del conteggio abituale” e il bello è che la maggior parte di queste perdite, in realtà, si è verificata sul fronte orientale, non in direzione di Kharkiv perché, come ricorda sempre Bryen su Asia Times, “mentre è in corso questa vasta operazione russa focalizzata sull’area di Kharkiv, i russi continuano ad attaccare anche altrove, soprattutto nel Donbass, ma anche a Zaporizhia” e sono tutti uomini che non c’è verso di rimpiazzare: sempre secondo Billmon, infatti, al momento “Il tasso di sostituzione attraverso la mobilitazione ucraina sarebbe pari solo al 25% delle perdite che si stanno effettivamente verificando”; “Tutti sanno che la guerra sta per finire” continua Billmon e “che ci sarà un vincitore, la Russia, e molti perdenti. E gli Stati Uniti, così come l’Ue, stanno ora cercando di trovare un modo per salvare la faccia per riconoscerlo senza ammetterlo. E il modo più semplice sarà incolpare l’Ucraina e, soprattutto, il suo presidente Zelensky” – che se la sta vedendo bruttina. Nei prossimi giorni arriverà la scadenza del suo mandato regolare, protratta solo dalla decisione di non effettuare nuove elezioni, contrariamente a quanto promesso nell’inverno scorso: allora venne spacciata come la prova che l’Ucraina era così democratica da avere il coraggio di tenere regolari elezioni anche in mezzo a questo disastro, ma quando, giorno dopo giorno, è emerso che – come ampiamente prevedibile – era tutta una cazzata, è calato il solito silenzio stampa; e ora Zelensky è ridotto ad arrestare almeno due colonnelli delle forze di protezione del palazzo governativo e a licenziare il capo della squadra addetta alla sua sicurezza perché, a detta dello stesso Zelensky, stavano progettando di uccidere lui e altri alti funzionari su mandato russo.
Insomma: l’Ucraina come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 2 – 3 anni sembra ormai una storia archiviata, ma – come abbiamo sottolineato millemila volte – a nostro avviso, pensare che la situazione si possa risolvere semplicemente con una presa d’atto della vittoria sul campo della Russia rischia di essere una forma di wishful thinking uguale e opposta a quella dei nostri amici NAFO; e così, a occhio, sembra pensarla allo stesso modo pure il plurimorto dittatore del Cremlino che, come sottolinea, sembra piuttosto “pronto a giocare lungo” mentre “propone un economista come nuovo capo della difesa”. A corto di buone notizie, la propaganda suprematista infatti ha cercato di vedere nel benservito al ministero della difesa di Shoigu un segnale di chissà quali tensioni interne. Ma chi è davvero il suo sostituto? Andrej Belousov è un taciturno e riservato fedele servitore della macchina pubblica russa, uno dei pochissimi a non essere mai incappato in nessun modo in sospetti di corruzione di nessun tipo – e sicuramente questa componente può aver giocato un ruolo: l’apparato militare russo è sempre stato accusato di essere un enorme porto delle nebbie dove i quattrini venivano agilmente dirottati nei conti correnti degli amici degli amici; e Shoigu, accusano in molti, era parte integrante di questo Stato nello Stato tanto da venir accusato direttamente da Prigozhin di essere il massimo responsabile delle inefficienze della macchina bellica russa, e tanto da vedersi arrestare sotto gli occhi, giusto un paio di settimane fa, il suo vice e sodale di lunga data Timur Ivanov -soprannominato anche il portafoglio di Shoigu – appunto, per corruzione. Un uomo fidato e senza macchia come Belousov, privo di un suo gruppo di potere, potrebbe essere l’uomo giusto per dare un taglio netto a sperperi e ruberie in una fase dove la spesa militare pesa per poco meno del 7% del PIL e per circa un terzo della spesa pubblica complessiva. D’altronde, sembra essere in atto un discreto repulisti: come riportava ieri il nostro caro Andrea Lucidi sul suo canale telegram, poche ore dopo l’annuncio del cambio al ministero della difesa è stato annunciato anche l’arresto del capo della direzione principale del personale, il tenente generale Yury Kuznetsov, “sospettato di aver preso una tangente particolarmente ampia”, come ha dichiarato martedì la portavoce del Comitato investigativo russo Svetlana Petrenko in un comunicato; durante le perquisizioni nelle proprietà di Kuznetsov sono stati scoperti e sequestrati valuta russa e straniera, monete d’oro, orologi da collezione e altri oggetti di lusso per un valore superiore a 1 milione di dollari.
Ma la necessità di tagliare i rami secchi della corruzione endemica è solo una parte della storia perché Belousov, prima ancora di essere uomo considerato tanto onesto quanto fedele e malleabile, è un economista di un certo spessore e con una sua visione piuttosto coerente da decenni; in molti, giustamente – a partire dal Global Times, ma anche nei media mainstream occidentali – hanno sottolineato che ad aver spinto il Cremlino a puntare su di lui come capo della difesa nel bel mezzo dell’operazione militare speciale è la necessità di coniugare lo sforzo bellico con la tenuta economica: “Alcuni osservatori russi” ricorda il Global Times “hanno affermato che Belousov è anche uno degli alti funzionari russi che” in veste di vice primo ministro, ha avuto un ruolo di primissimo piano nell’“aiutare la Russia a superare con successo le difficoltà derivanti dalle sanzioni occidentali e a garantire la crescita economica del paese dallo scoppio del conflitto”. Ma c’è un altro aspetto che in pochi hanno sottolineato: Belousov non è e non è mai stato un neoliberista; si è formato come economista ai tempi dell’Unione Sovietica ed è sempre rimasto attaccato all’idea che a dirigere l’economia, in qualche modo, deve essere lo Stato. “Uno statista keynesiano” lo definisce Politico, che ricorda come già “alla fine degli anni ‘90” – quando imperversava la religione della shock therapy imposta dalle oligarchie criminali al servizio dell’imperialismo – “Belousov era uno dei rari sostenitori del controllo statale nell’economia” e, nonostante fosse scientificamente una spanna sopra la stragrande maggioranza dei suoi colleghi, veniva regolarmente marginalizzato dagli analfoliberali e dai finto-progressisti; come ricorda Foreign Policy, nel 2000 Belousov “ha fondato il Centro per l’analisi macroeconomica e le previsioni a breve termine, il primo think tank macroeconomico russo”. A partire dal 2006, mentre, sotto la guida di Putin, gradualmente la Russia cerca una sua via di uscita dal declino assicurato dalla folle ricetta neoliberista imposta dai vincitori occidentali come risarcimento di guerra, Belousov comincia a ricoprire ruoli di governo sempre più importanti, fino a diventare ministro dello sviluppo economico; ma per diventare un volto noto anche al grande pubblico dovrà aspettare fino al 2018 quando, come ricorda il Washington Post, prova a proporre a Putin la creazione di “un meccanismo che consentisse al governo di raccogliere fondi extra dalle imprese che hanno ottenuto profitti elevati”: “7,6 miliardi di dollari di reddito in eccesso” da prelevare per la fiscalità generale dalle principali “aziende metallurgiche, chimiche e petrolchimiche che hanno ottenuto un buon risultato in seguito ai cambiamenti nelle condizioni del mercato esterno, a partire dal rublo debole e da un’elevata domanda globale per i loro beni”. Insomma: una tassa sugli extraprofitti tipo quella che aveva promesso Meloni la svendipatria, ma che ha ritirato subito dopo – giusto il tempo di far guadagnare qualche centinaia di milioni di euro in borsa a qualche amico speculatore che, nel frattempo, aveva scommesso al ribasso sui titoli delle banche coinvolte. Anche nel caso di Belousov la sua proposta iniziale è stata ridimensionata, ma comunque ha imposto alle aziende un contributo straordinario per finanziare alcuni progetti infrastrutturali ritenuti di massima rilevanza strategica e soprattutto, come riconosce il Washington Post, “ha consolidato la sua reputazione di vero statista che dà priorità ai bisogni del governo rispetto agli interessi dei privati e che sostiene un forte controllo statale sull’economia e una spinta alla crescita attraverso gli investimenti statali”; un profilo che, come sottolinea il Global Times, cade proprio a fagiuolo ora che la Russia deve cercare “di combinare i suoi obiettivi militari con le esigenze dello sviluppo economico, per fare in modo che la crescita economica sostenga l’operazione militare e che l’operazione militare dia slancio allo sviluppo e guidi lo sviluppo scientifico-tecnologico”: Belousov, sottolinea il Washington Post, è un promotore dell’indipendenza tecnologica e ha, a più riprese, avanzato proposte per “lo sviluppo di propri chip, macchine ad alta precisione, aerei, droni, attrezzature mediche e software per porre fine alla dipendenza da importazioni occidentali”.
Insomma: come sosteniamo da tempo, Putin sta cercando di approfittare della guerra per imporre un’accelerazione decisiva al processo di modernizzazione della Russia – fino ad oggi ostacolato dai feudatari e dagli oligarchi che lo hanno sempre circondato – e la nomina di Belousov è l’ennesima conferma che ha intenzione di farlo sempre più con caratteristiche cinesi; come abbiamo sottolineato innumerevoli volte, la Cina, con i suoi incredibili successi al netto delle millemila specificità, è ormai – sempre più chiaramente – un modello di riferimento per i Paesi che vogliono portare a termine il loro complesso processo di decolonizzazione e di indipendenza nazionale e questa, per l’imperialismo neoliberista, probabilmente è una sconfitta ben più grande anche delle umiliazioni che continua a raccogliere sul campo di battaglia in Ucraina.
In attesa di avere anche noi uno Stato e un governo in grado di umiliare l’imperialismo neoliberista, per portarci avanti, intanto, sarebbe il caso – perlomeno – di costruire un vero e proprio media che dà voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Massimo Gramellini
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