L’obiettivo strategico dell’imperialismo USA è ristabilire la deterrenza nei confronti degli avversari sistemici e incutere il terrore sui multiallineati: per farlo, ha bisogno di imporre la corsa agli armamenti dei vassalli e appaltargli interminabili guerre di attrito a bassa intensità sui fronti secondari, per concentrarsi contro il nemico principale sul Pacifico. RimbamBiden per 3 anni in Ucraina non è riuscito a centrare l’obiettivo, ha dilapidato gli arsenali USA senza ottenere nessun risultato concreto tangibile ed ha addirittura aumentato il rischio di vedere gli USA impantanati in prima persona in un fronte secondario che gli avrebbe impedito a lungo di attrezzarsi per ristabilire la deterrenza sugli altri; temeva che il pugno duro contro gli alleati avrebbe messo a repentaglio l’egemonia USA sul vecchio continente. Trump se ne è sbattuto, ha fatto la voce grossa e, con la dichiarazione congiunta dell’ultimo vertice NATO, sembra aver ottenuto risultati molto più concreti, e forse sta riuscendo a contenere, almeno parzialmente, le conseguenze.
Il pugno duro contro gli alleati/vassalli, rappresentato dal tira e molla della guerra commerciale, ha comportato effettivamente una crisi dello status del dollaro come valuta di riserva globale: per la prima volta, i titoli del tesoro USA non sono stati considerati il porto sicuro dove far attraccare i capitali né quando sono crollati i mercati azionari, né quando si è scatenata una gigantesca crisi geopolitica come l’aggressione del regime terrorista di Tel Aviv contro Teheran; eppure, in assenza però di alternative concrete immediate, alla fine il danno potrebbe essere contenuto. I rendimenti dei titoli continuano ad essere insostenibili e il dollaro continua a indebolirsi, ma i mercati azionari tengono botta e il primato del dollaro (per ora) sembra reggere, per quanto indebolito: evitare che emerga un’alternativa concreta diventa quindi la priorità e, per evitarlo, bisogna disarticolare quel fragilissimo asse che si era creato tra i Paesi che contestano l’unipolarismo militare e finanziario USA e ambiscono a un nuovo ordine multipolare. Farlo a partire dal Pacifico, però, probabilmente al momento è al di sopra delle possibilità di Washington; il Medio Oriente è un fronte già più alla sua portata… Se il piano, alla fine, abbia rallentato il declino relativo dell’impero oppure, al contrario, l’abbia ulteriormente accelerato, è probabilmente troppo presto per comprenderlo con chiarezza; di sicuro c’è che la favola del Trump isolazionista ormai è stata definitivamente smentita, che l’amministrazione Trump lavora giorno e notte per permettere all’imperialismo a guida USA di ricreare la base materiale per poter sconfiggere militarmente gli avversari sistemici e che, per ora, a pagare il prezzo saranno l’economia e la sicurezza europea e i bambini palestinesi.