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G20: l’umiliazione dell’unilateralismo e il mondo parallelo dei pennivendoli

L’assenza di XI Jinping sarebbe un segnale diretto a Biden: passare dalle parole ai fatti

Il giornale: G20, ecco la via delle spezie. La regia USA fa fuori Pechino.

La Stampa: un rotta dall’India a Venezia, gli USA danno scacco alla Cina.

Repubblica: Biden e Modi isolano Xi, ecco il nuovo corridoio India – medio Oriente contro la via della seta.

I mezzi di produzione del consenso del partito unico della guerra e degli affari, non hanno dubbi: dopo gli incredibili successi della controffensiva Ucraina, e il definitivo crollo dell’economia cinese, al G20 il nord globale è tornato in grande stile a dettare l’agenda globale. Indiani e sauditi hanno ritrovato il lume della ragione, hanno scaricato le velleità del fantomatico nuovo ordine multipolare, e sono tornati ai vecchi costumi: elemosinare una qualche forma di riconoscimento dall’Occidente globale. I rapporti commerciali con la Cina ormai sono roba da boomer e l’aria fresca di rinascimento che spirava dalle petromonarchie ai tempi di Renzi è tornata a soffiare più forte e ora irradia tutta la sua energia fino al subcontinente indiano.

L’Italia è pronta a raccoglierne i frutti: basta Cina, il futuro parla sanscrito, e se usciamo dalla via della seta non è perché ce lo ha imposto Washington, ma perché guardiamo lontano, laddove lo sguardo di voi complottisti sul libro paga di Putin e Xi, non riuscite manco ad avventurarvi.

Ma siamo proprio proprio proprio sicuri che questa narrazione sia anche solo lontanamente realistica?

“C’è un’immagine che più di tutte testimonia quanto accaduto durante il g20 di Delhi”, scrive Stefano Piazza su La Verità, “il presidente americano joe biden sorridente, stringe la mano al principe ereditario saudita mohammed bin salman insieme al padrone di casa Modi”.

Non ha tutti i torti.

Quella effettivamente è un’immagine decisamente potente. Peccato che simboleggi in modo plateale esattamente il contrario di quello che la propaganda suprematista sta cercando affannosamente di di farci credere. È la prova provata che ormai l’ameriCane abbaia, ma quando poi prova a mordere si accorge che gli mancano i denti, e allora si mette a scodinzolare. Se c’è un Paese che negli ultimi due anni ha dimostrato in modo evidente che il bastone a stelle e strisce non fa più poi così tanto male, infatti, è proprio la petromonarchia saudita. Cinque anni fa, Biden aveva inaugurato la sua campagna elettorale definendo il principe ereditario Bin Salman addirittura un pariah. Ma negli anni successivi, i sauditi non hanno fatto assolutamente niente per compiacere il vecchio alleato, anzi…

Quando è scoppiata la seconda fase della guerra per procura della Nato contro la Russia in Ucraina, nonostante tutti i corteggiamenti, i sauditi hanno evitato sistematicamente di emettere una qualunque parola di condanna.

Quando la Russia ha chiesto all’OPEC+ di tagliare la produzione per tenere alto il prezzo del greggio, i sauditi hanno subito appoggiato l’iniziativa. Biden ha provato a dissuaderli, chiamandoli direttamente al telefono. Non gli hanno manco risposto ed era solo l’antipasto. Grazie alla mediazione cinese, pur di affrancarsi dalle strumentalizzazioni USA, pochi mesi dopo i sauditi sono tornati addirittura ad aprire i canali diplomatici con l’arcinemico iraniano, mettendo così le basi per la fine della pluridecennale guerra per procura in medio Oriente che è sempre stato in assoluto il pilastro fondamentale della politica estera USA per tutta l’area ed oltre. Dopodichè i sauditi hanno finalmente preso atto del totale fallimento dell’intervento USA in Siria, e hanno accolto a braccia aperte il ritorno di Assad nella Lega Araba. Subito dopo hanno inferto un colpo micidiale ad un altro degli assi portanti dell’imperialismo USA: la dittatura globale del dollaro, nata e cresciuta grazie proprio all’adozione incondizionata dei sauditi della valuta a stelle e strisce come unica valuta internazionale, utilizzabile per la compravendita del petrolio. Per scolpire sulla pietra il fatto che questi epocali cambi di posizionamento non fossero solo capricci estemporanei, i sauditi hanno prima aderito alla Shanghai Cooperation Organization, e poi addirittura ai BRICS, addirittura fianco a fianco agli iraniani.

Fino a pochi anni fa, gli USA hanno raso al suolo interi paesi e sterminato centinaia di migliaia di civili a suon di bombe umanitarie per molto, molto meno. Dopo un anno e mezzo di schiaffi a due mani in Ucraina, eccoli invece qua, a stringere mani e a ostentare sorrisoni.

Che uno dice: chissà cos’hanno ottenuto in cambio. Una luccicante cippa di cazzo, ecco cos’hanno ottenuto. Meno di quello che avevano ottenuto a Bali.

La partita ovviamente era quella di strappare di nuovo un’accusa nei confronti della Russia per la guerra in Ucraina.

All’orizzonte”, scriveva Il Giornale Sabato, “il rischio concreto che per la prima volta nella storia di questo forum, nato nel 1999, non si riesca a trovare l’intesa per un comunicato condiviso da tutti i partecipanti”. Per qualche ora, questo è stato il tormentone; sono tutti uniti come un sol uomo nel condannare la Russia, ripeteva fino all’auto convincimento la propaganda, a parte Russia e Cina.

Il più spregiudicato nel raccattare l’ennesima figura di merda, come sempre, è l’infaticabile Mastrolilli su Repubblica: “approfittare delle assenze di Xi e Putin per isolarli allo scopo di contrastare, insieme, la sfida geopolitica epocale lanciata dalle autocrazie alle democrazie”

Gli articoli di Mastrolilli ormai assomigliano sempre di più ai testi prodotti dalle pagine tipo “generatore automatico di post di Fusaro”, o di previsioni di Fassino, che andavano di moda qualche anno fa. Ci infili dentro autocrazia, democrazia, Putin e Xi isolati, mescoli bene, ed ecco pronto l’articolo.

“Putin e Xi”, insiste Mastrolilli, “si sono coalizzati nel rifiutare il linguaggio di Bali. Europei e americani però”, notate bene, “non sono disposti a cedere, e il G20 rischia di chiudersi per la prima volta senza una dichiarazione finale”.

Ci prendessero mai, proprio almeno per la legge dei grandi numeri.

Alla fine infatti, come sapete, il comunicato congiunto in realtà è arrivato in tempi record. Al contrario delle previsioni di Mastrolilli, europei e americani non hanno dovuto semplicemente cedere, si sono proprio nascosti sotto al tavolo: nel comunicato finale non c’è nessun accenno alle responsabilità russe.

In realtà, c’era da aspettarselo; al contrario di Bali, a questo giro Modi di far fare a Zelensky il solito intervento da rock star non ne ha voluto sapere.

Zelensky, persona non grata. Come gli anatemi e i doppi standard del nord globale in declino.

I gattini obbedienti delle oligarchie Occidentali allora si sono messi all’affannosa ricerca di altri specchi sui quali arrampicarsi e l’attenzione non poteva che ricadere sull’unico aspetto che effettivamente suggeriva alcune difficoltà: la misteriosa assenza di Zio Xi.

E via giù di speculazioni acrobatiche. La prima l’avevano suggerita i giapponesi di Asian Nikkei, testata di grande spessore che noi seguiamo da decenni quotidianamente per le analisi economiche, ma che diciamo, ovviamente, non è esattamente del tutto imparziale quando si tratta di Cina.

Un lungo editoriale apparso giovedì scorso, suggeriva che la scelta di Xi di non presentarsi per la prima volta al G20 fosse dovuta a una guerra intestina al partito che vedrebbe i dirigenti più anziani sul piede di guerra contro il Presidente per le difficoltà economiche che il Paese starebbe attraversando. Ma, come ha sottolineato sabato mattina il nostro amico Fabio Massimo Parenti in diretta su La7, in quell’editoriale c’è qualcosa che non torna. L’articolo parla infatti di alcune fonti interne al partito, che ovviamente non è possibile verificare. Rimane però un dubbio: ma davvero ai massimi livelli del partito ci sono dirigenti così smaccatamente antipatriottici da andare a lavare i panni sporchi di casa direttamente nel lavello dell’arcinemico giapponese?

Per carità, tutto può essere. Ma diciamo che una cosa così palesemente antiintuitiva, per essere creduta, avrebbe per lo meno bisogno di qualche prova più tangibile, diciamo.

Macchè!

I nostri media se la sono bevuta tutta d’un sorso senza battere ciglio e il famoso “contesto mancante” a questo giro non li ha dissuasi.

Che strano…

Ma non è stata certo l’unica speculazione. Il fatto di per se, offriva un’occasione più che ghiotta per rilanciare il tormentone che ci aveva già sfrucugliato gli zebedei quando tutta la stampa era alla ricerca di narrazioni fantasy di ogni genere pur di sminuire la portata delle decisioni prese due settimane fa dai BRICS: l’insanabile divergenza tra i diversi paesi del sud globale, a partire da India e Cina.

Ci provano senza sosta da decenni. Prima erano le divergenze tra Cina e Vietnam, poi tra Cina e Russia, poi tra India e Cina. Intendiamoci, le divergenze ci sono eccome e lo ricordiamo sempre: è abbastanza inevitabile quando si ha a che fare con Paesi sovrani. Ognuno è guidato fondamentalmente dal suo interesse, e gli interessi diversi spesso e volentieri entrano in conflitto. Quando non succede è semplicemente perché uno impone i suoi interessi su tutti gli altri, come accade ad esempio nell’ambito del G7, dove Washington detta la linea e gli altri possono accompagnare solo, rimettendoci di tasca loro. Quello che, proprio a chi è abituato a fare da zerbino, non vuole entrare nella capoccia, è che la necessità storica di un nuovo ordine multipolare in realtà si fonda proprio su questo: Paesi sovrani con loro interessi nazionali spesso divergenti, intenti a costruire strutture multilaterali all’interno delle quali trovare dei compromessi attraverso il confronto e il dialogo tra pari. Rimane comunque il fatto che Xi al G20 non ci è andato e non è una cosa che può essere derubricata con due battutine.

Purtroppo però qui entriamo nell’ambito delle pure speculazioni. In questi giorni la redazione allargata di OttolinaTV su questo punto s’è sbizzarrita. Alla fine le interpretazioni un po’ più solide emerse sono sostanzialmente due:

La prima effettivamente ha a che vedere con i rapporti con l’India. Come scriveva giovedì scorso il Global Times, il nord globale guidato da Washington “ha cercato di provocare conflitti tra Cina e India usando la presidenza indiana per inasprire la competizione tra il dragone e l’elefante”.

“Gli Stati Uniti e l’Occidente”, continua l’articolo, “hanno mostrato un atteggiamento compiaciuto nei confronti di alcune divergenze geopolitiche, comprese quelle tra Cina e India. Vogliono vedere divisioni più profonde e persino scontri”. Ma proprio come la Cina, anche “Nuova Delhi ha ripetutamente affermato che il forum non è un luogo di competizione geopolitica” e quindi da questo punto di vista l’assenza di Xi sarebbe stata funzionale a impedire agli occidentali di strumentalizzare queste divergenze, e permettere al G20 di ottenere qualche piccolo progresso sul piano che dovrebbe essere di sua competenza: la cooperazione economica, in particolare a favore dei Paesi più disastrati. Da questo punto di vista il piano effettivamente sembra essere riuscito: il comunicato finale sottolinea esplicitamente che il G20 non è il luogo dove affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche.

Ma non solo…

Per quanto simbolici, i paesi del sud globale al g20 hanno portato a casa impegni ufficiali verso una riforma della banca mondiale a favore dei Paesi più arretrati e anche l’annuncio dell’ingresso ufficiale nel summit dell’unione africana. Tutti obiettivi che Delhi e Pechino condividono da sempre.

La seconda motivazione invece ha a che vedere col rapporto tra Cina e USA. Durante il G20 di Bali, la stretta di mano tra Biden e Xi aveva fatto parlare dell’avvio di una nuova distensione tra le due superpotenze. Nei mesi successivi però, a partire da quella gigantesca buffonata dell’incidente del pallone spia cinese e della cancellazione del viaggio di Blinken a Pechino che ne era seguita, le cose non hanno fatto che complicarsi. Da allora gli USA hanno provato ad aggiustare un po’ il tiro, gettando acqua sul fuoco della retorica del decoupling. Ma mentre i toni si facevano a tratti meno aggressivi, i fatti continuavano ad andare ostinati in tutt’altra direzione, a partire dalla guerra sui chip, per finire col recente divieto USA a investire in Cina in tutto quello che è frontiera tecnologica, dall’intelligenza artificiale al quantum computing. La Cina quindi, pur continuando a sfruttare ogni possibilità di dialogo, ha continuato a denunciare la discrepanza tra parole e fatti

da questo punto di vista, quindi, l’assenza di Xi a Delhi sarebbe un segnale diretto a Biden: caro Joe, co ste strette di mano a una certa c’avresti pure rotto li cojoni. Basta manfrine fino a che alle parole non farete seguire qualche fatto concreto. Volendo, con anche un avvertimento in più: per parlare con il resto del sud globale, non abbiamo più bisogno necessariamente di una piattaforma come quella del G20: Shanghai Cooperation Organization e BRICS+++ ormai sono alternative più che dignitose. A voi la scelta ora: se continuare ad avere un luogo dove discutere con il sud globale, oppure condannare il G20 all’irrilevanza.

Finite le nostre speculazioni, torniamo a quelle degli altri.

Come con la controffensiva ucraina, che andando come sta andando, costringe gli hooligan della propaganda a trasformare in vittorie epiche la conquista di qualsiasi gruppetto di case di campagna al prezzo di decine se non centinaia di vite umane e centinaia di milioni di attrezzatura militare, idem al G20, visti gli scarsi risultati, i propagandieri si sono sforzati in modo veramente ammirevole per provare ad arraparsi di fronte a un vero e proprio monumento alla fuffa.

“Ecco il nuovo corridoio india-medio oriente contro la via della seta”, titolava su repubblichina il solito Daniele Raineri, tra un articolo su qualche mirabolante vittoria ucraina e l’altro. Il progetto è così alternativo alla via della seta cinese, che approda nel pireo, che è dei cinesi. Di nuovo in sostanza ci sarebbe l’estensione della rete ferroviaria in Arabia.

A chiacchiere! A fatti, per ora, l’unico tratto ferroviario di una certa rilevanza in Arabia è quello lungo i 450 km che sperano Mecca e Medina. Un’opera monumentale, costruita dai cinesi.

E i cinesi infatti se la ridono.

Intanto, perché non capiscono bene in che modo questo fantomatico progetto andrebbe contro ai loro interessi. Come ha sottolineato il Global Times: “Per i paesi del Medio Oriente che parteciperanno all’iniziativa ferroviaria guidata dagli Stati Uniti, non vi è alcuna preoccupazione che i loro legami con la Cina si indeboliscano proprio a causa dell’accordo”.

Anzi: “la Cina ha sempre affermato che non esistono iniziative diverse che si contrastano o si sostituiscono a vicenda. Il mondo ha bisogno di più ponti da costruire anziché da abbattere, di più connettività anziché di disaccoppiamento o di costruzione di recinzioni, e di vantaggi reciproci anziché di isolamento ed esclusione”

Piuttosto, sottolineano i cinesi, il punto è che questi proclami andrebbero presi un po’ con le pinze.

“Non è la prima volta che gli Stati Uniti sono coinvolti in uno scenario “tante chiacchiere, pochi fatti””, ricorda sarcasticamente l’articolo, che insiste: “Durante l’amministrazione Obama, l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton annunciò che gli Stati Uniti avrebbero sponsorizzato una “Nuova Via della Seta” che sarebbe uscita dall’Afghanistan per collegare meglio il paese con i suoi vicini e aumentare il suo potenziale economico, ma l’iniziativa non si è mai concretizzata”.

“Da un punto di vista tecnico”, continua perculando l’articolo, “la decisione degli Stati Uniti di concentrarsi sulle infrastrutture di trasporto, un’area in cui mancano competenze, nel tentativo di salvare la loro influenza in declino nella regione, suggerisce che il piano tanto pubblicizzato difficilmente raggiungerà i risultati desiderati”.

Ma non c’è livello di fuffa che possa distogliere i pennivendoli di provincia italiani dal prestarsi a qualsiasi operazione di marketing imposta dal padrone a stelle e strisce

magari, aggiungendoci anche del loro. Perché in ballo al G20 c’era un’altra questione spinosa, l’addio dell’Italia alla via della seta, ancor prima di aver fatto alcunché per entrarci davvero, al di là delle chiacchiere.

Ma non temete, come scrive Libero, infatti, “Giorgia sa di avere un’altra chance. si chiama India”.

“Il commercio tra India e Italia”, avrebbe dichiarato con entusiasmo la Meloni, “ha raggiunto il record di 15 miliardi di euro. Ma siamo convinti di poter fare di più”. D’altronde, che ce fai con la Cina quando c’è l’India. Un Paese, che, come scrive il corriere della serva “per popolazione ed economia ha superato la cina”.

Non è uno scherzo, è una citazione testuale. Secondo il Corriere, l’India ha superato economicamente la Cina. Deve essere successo dopo che, come scriveva Rampini, l’altro giorno, gli usa hanno cominciato a crescere il doppio della Cina.

Quanto cazzo deve essere bello di mestiere fare il giornalista ed essere pagato per dire ste puttanate.

Ovviamente, come credo sappiate tutti voi che piuttosto che lavorare al corriere della serva preferireste morire di fame accasciati per terra a qualche angolo di strada, l’economia cinese è più di cinque volte quella indiana, e l’India ogni anno spende in importazioni meno di un quinto della Cina.

Ma non solo…

L’Italia, in India, quel che è possibile esportare in quel piccolo mercato lo esporta già. Nel 2022 abbiamo esportato beni e servizi per 5,4 miliardi. Più dell’Olanda che è ferma a 3,5 e poco meno della Francia, che è a quota 6,5. Insomma, in linea con le nostre quote di export

Discorso che invece non vale per la Cina dove l’Italia esporta per 18 miliardi, la Francia per 25, il Regno Unito per 35 e la Germania per 113 miliardi. Cioè, il nostro export totale è inferiore del 25% rispetto a quello inglese e francese, ma in Cina esportano rispettivamente i 50 e il 100% in più. Ancora peggio il confronto con la Germania: l’export tedesco è circa 2 volte e mezzo quello italiano, ma in Cina esportano 7 volte più di noi. Quando saggiamente avevamo deciso di essere l’unico paese del G7 che avrebbe aderito al memorandum della belt and road, era per recuperare questo gap. Dopo la firma non abbiamo mosso un dito, e ora rinunciamo a una crescita potenziale di svariate decine di miliardi di export, e ci raccontiamo pure che li sostituiremo con i 2 o 3 miliardi in più che potremmo guadagnare dall’India.

Ora, io non ti dico di finanziare un vero think tank indipendente coi controcazzi invece di affidarti a quelli a stelle e strisce e in Italia dare i soldi a Nathalie Tocci per trasformare l’istituto affari internazionale nel milionesimo ufficio stampa di Washington e delle sue oligarchie finanziarie.

Ma almeno i soldi per una cazzo di calcolatrice trovateli! Se volete, famo una colletta noi su gofundme.

E sia chiaro, io lo dico da grande amante dell’India, da tempi non sospetti. Quando ho cominciato a fare il giornalista a fine anni ‘90, il mio obiettivo era raccontare l’ascesa del peso Internazionale di questo incredibile paese continente. Non è andata benissimo, e ogni fallimento dell’india in questi 30 anni per me è stata una pugnalata al cuore, a prescindere da chi ci fosse al governo. Modi compreso.

Ora non mi posso che augurare che di fronte a questi teatrini imbarazzanti che offre continuamente l’Occidente, Modi sia abbastanza lucido da capire che gli attriti con la Cina, che sono legittimi e anche normali, non possono certo distoglierlo dal perseguire il vero interesse del suo disastrato Paese, che potrà crescere davvero se e solo se il sud globale riesce finalmente a mettere fine all’ordine unipolare della globalizzazione neoliberista guidata da Washington.

Per parlare del mondo nuovo che avanza, senza i paraocchi della vecchia propaganda vi aspettiamo sabato 16 settembre all’hotel terme di Fiuggi con Fulvio Scaglione, Marina Calculli, Elia Morelli, Alessandro Ricci e l’inossidabile generale Fabio Mini.

È solo uno dei dodici panel messi in fila dagli amici dell’associazione Idee Sottosopra per questo fondamentale week end di studio e di approfondimento, per costruire insieme un’alternativa credibile e non minoritaria alla dittatura del pensiero unico del partito degli affari e della guerra.

Per chi vuole maggiori informazioni, trovate il link nei commenti.

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Fonti:

Editoriale del Global Times: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297861.shtml

Il piano ferroviario USA in Medio Oriente: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Il Premier Li chiede solidarietà e cooperazione al G20: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Articolo “Il Giornale”: https://www.ilgiornale.it/news/politica/g20-ecco-delle-spezie-india-emirati-arabia-europa-regia-usa-2208113.html

Articolo “la Repubblica”: https://www.repubblica.it/esteri/2023/09/08/news/ferrovia_arabia_india_cina_via_della_seta-413788548/

CHI HA RAPITO KHALED EL QAISI

L’incredibile Storia degli arresti illegali in Israele e la connivenza dei suprematisti italiani

Lui si chiama Khaled El Qaisi.

Nonostante il nome esotico, è più italiano di me. Ma a vedere i media italiani, non si direbbe. Da 14 giorni infatti Khaled è stato preso in ostaggio e rinchiuso in un carcere da un feroce regime teocratico per ragioni esclusivamente di carattere ideologico e di discriminazione etnica.

In passato, abbiamo visto invocare l’interruzione delle relazioni diplomatiche, se non addirittura l’escalation bellica, per molto, molto meno. Ma a questo giro, niente, silenzio assoluto. Alla Farnesina c’avevano judo, e non c’è traccia di un comunicato ufficiale. Nelle redazioni dei giornali e dei TG invece erano troppo occupati a festeggiare gli incredibili successi della controffensiva Ucraina e il boom economico che stanno attraversando tutte le democrazie avanzate, e ci hanno detto di ripassare il 31 settembre del duemilacredici. Che strano…

Su eventi del genere di solito si buttano a capofitto. Spesso, ancora prima di avere elementi solidi, sopratutto quando il Paese in questione è uno Stato canaglia, messo sotto accusa dalla comunità internazionale. A questo giro, il Paese in questione, numeri alla mano, è di gran lunga il più canaglia di tutti: delle duecentootto risoluzioni di condanna emesse dall’ONU dal 2015 al 2022, la bellezza di centoquaranta riguardano proprio lui. Il doppio di tutto il resto del Mondo messo assieme. Russia inclusa, anche dopo la guerra in ucraina.

No, non è la Corea del Nord di Kim Jong Un e neanche l’Afghanistan dei talebani. È quella che contro ogni minima parvenza di dignità, i media nostrani continuano a definire “l’unica democrazia del medio Oriente”, dove per democrazia evidentemente intendono che applica l’apartheid in modo democratico a tutti gli abitanti non Ebrei dei territori occupati illegalmente, senza fare troppe distinzioni di censo o di orientamenti sessuali. Come la definisce il compagno Roberto Saviano, una “democrazia sotto assedio”, “piena di vita e sopratutto di tolleranza”, “che permette alla comunità gay israeliana e sopratutto araba di poter gestire una vita libera e senza condizionamenti, frustrazioni, repressioni e persecuzioni”.

Ma, evidentemente, non di andare a trovare i tuoi parenti con moglie e figlio di quattro anni a seguito.

31 agosto, valico di Allenby, al confine tra i territori occupati palestinesi della Cisgiordania e la Giordania. Khaled El Qaisi ha appena finito le vacanze che aspettava da anni. Insieme alla moglie e il figlio di quattro anni, dopo tanto tribolare, è finalmente riuscito ad andare a trovare i parenti che si trovano imprigionati nel minuscolo campo profughi di Al-azza, nella periferia di Betlemme, altrimenti noto come campo di Beit Jibrin.

Che culo…

Sono tremila anime costrette a convivere in un’area di appena 0,02 km², meno di tre campi di calcio. Le abitazioni sono fatiscenti. l’acqua potabile dalla rete non funziona, e la fognatura è ingolfata. quando “essere nella merda” non è un modo di dire. Quando i bambini escono dall’insediamento per andare a scuola nel vicino campo di Aida, passano sotto a una bella torretta di controllo delle forze armate israeliane.

Un’area”, si legge nella scheda dell’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, “dove si registrano frequenti scontri, ed è comune trovare residui di bombole di gas lacrimogeno e di proiettili nel cortile della scuola”.

L’educazione siberiana, diciamo.

Ma anche quando a scuola non ci vanno e decidono di starsene ammucchiati come sardine a casa loro, le cose non vanno meglio. Sempre secondo l’UNRWA infatti, soltanto nel 2022 il campo è stato teatro di ben nove operazioni delle forze di polizie, che hanno portato all’arresto di 7 persone.

Durante queste incursioni”, si legge nella scheda, “le forze armate israeliane impiegano regolarmente gas lacrimogini e munizioni di ogni genere”. Ciò nonostante, racconta la moglie, Khaled era contento come un bambino. Sono fatti così i palestinesi: dopo un tentato genocidio e 60 anni di feroce occupazione militare votata a cancellarli dalla faccia della terra come popolo, hanno messo su una bella corazza, e non c’è disagio e sopruso in grado di levargli la gioia di riabbracciarsi.

E allora cosa fa il valoroso occupante democratico? Li separa. Quando Khaled e famiglia arrivano alla frontiera, dopo aver passato i controlli della autorità palestinesi, si ritrova di fronte a quelli israeliani. Allenby funziona così: superarla è una corsa a ostacoli. devi superare tre controlli. I servizi di sicurezza israeliani appaiono subito sospettosi e per una mezz’ora abbondante aprono e chiudono le valigie, controllano e ricontrollano i documenti, parlottano tra loro. Fino a quando una guardia di frontiera si avvicina a Khaled con tono perentorio, gli fa incrociare le braccia dietro la schiena, e lo ammanetta.

Così, de botto, senza senso, davanti al figlio di 4 anni. La moglie, italiana, prova a chiedere spiegazioni ma la rimbalzano, anzi, rincarano. Vogliono sapere qualcosa di più sulle idee politiche del marito.

Khaled infatti è colpevole di un crimine enorme. Non solo è figlio di un palestinese. ma manco se ne vergogna, anzi. Ne fa quasi un vanto, tanto che insieme ad alcuni amici e colleghi ha addirittura fondato il centro di documentazione palestinese, dove invece di far finta che la Palestina non sia mai esistita, si permettono addirittura di diffondere materiale storico di vario genere tutto teso a spargere questa leggenda metropolitana che la Palestina c’avrebbe addirittura una sua storia e tutto il resto. Un vizietto di famiglia. Durante la prima intifada, il padre di Khaled, Kamal, ora scomparso da diversi anni, aveva addirittura provato a convincere gli italiani che in Palestina ci fossero addirittura anche i lavoratori, e anche i sindacati. E aveva addirittura convinto la CGIL a realizzare alcuni progetti di cooperazione con loro. Dopo un po’ di santa inquisizione, i simpatici e democratici servitori dell’ordine israeliano prendono mamma Francesca e figlio Kamal e li spediscono oltre confine in Giordania. Trattenendole mezza roba, quattrini e telefono compreso.

Quando ho chiesto a due addette israeliane come avrei potuto proseguire il viaggio senza telefono e soldi”, ha raccontato Francesca a Michele Giorgio del manifesto, “mi hanno risposto “questo è un tuo problema”.

E così ecco Francesca alla frontiera della Giordania senza una lira, senza possibilità di comunicare, e con un figlio di quattro anni appresso. Quando uno dice “le mie vacanze sono differenti”.

Come c’ha levato le gambe? Grazie all’elemosina: quaranta dinari regalati così, a caso da delle signore palestinesi che avevano assistito alla vicenda. La solidarità degli oppressi, contro le barbarie degli oppressori. Una dicotomia plateale, che però a sto giro non ha commosso gli ultras manicheisti della lotta del bene contro il male. Da allora Khaled è stato deportato in Israele e ora si trova nella famigerata prigione di massima sicurezza di Shikma, alla periferia di Ashkelon, tristemente nota per la struttura per gli interrogatori gestita dall’agenzia per la sicurezza israeliana, dove sono stati documentati innumerevoli casi di tortura e dove vige un regime di sistematica deprivazione.

Di cosa sia accusato in realtà nessuno lo sa. Ad assisterlo, un avvocato arabo israeliano che si sarebbe limitato a confermare di “non poter rivelare alcun particolare del procedimento in corso per ordine dei giudici”. Sempre che li conosca.

Durante l’ultima udienza infatti, stando a quanto riportato da Michele Giorgio sul manifesto, “El Qaisi e il suo difensore locale non sono potuti comparire insieme, perché impossibilitati per legge a vedersi e comunicare”.

Secondo l’avvocato della famiglia “al giovane ricercatore non è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia e la sua possibile durata”.

Oggi, Giovedì 14 Settembre, si dovrebbe tenere una nuova udienza, difficile prevedere come andrà.

Il timore è che, quella che ad oggi è una misura cautelare, possa trasformarsi in uno dei tanti istituti criminali che costituiscono l’ossatura di questo regime di apartheid, e cioè l’incubo della detenzione amministrativa. È una delle tante eredità dello stato di emergenza proclamato nel 1945 durante il mandato britannico in Palestina. Prevede che per motivi di sicurezza chiunque possa essere arrestato e detenuto sostanzialmente a oltranza senza processo. Ma ovviamente per una forza che da oltre cinquant’anni occupa casa altrui con l’uso sistematico della violenza, la sicurezza può significare tutto. Qualunque palestinese, solo per il fatto di esistere, è sostanzialmente una minaccia alla sicurezza di chi fonda il suo sistema sul suo annichilimento. Nel 1951 il Parlamento israeliano votò per una sua abrogazione ma è sempre lì, più in forma che mai. Secondo il rapporto pubblicato in luglio da Francesca Albanese, relatrice speciale delle nazioni unite sui territori palestinesi occupati, dal 1989 a oggi in media è stato utilizzato circa cinquecento volte l’anno. Spesso, anche nei confronti di minori e bambini. Oggi però siamo arrivati oltre quota mille.

Fa parte del new normal dell’occupazione israeliana. Addomesticata l’autorità palestinese, da qualche anno, qualsiasi timido accenno alla ribellione viene represso sul nascere senza tanti tentennamenti. Mentre nel frattempo coloni illegali armati fino ai denti si fanno giustizia da soli con il pieno sostegno delle forze armate israeliane. È quello che si vede chiaramente in questo video pubblicato ieri sull’account twitter di B’tselem

Due cittadini palestinesi vengono fermati e bullizzati senza motivo da civili armati, manco fossimo in una scuola media negli USA, e quando dopo un po’ di polemiche finalmente arrivano le forze di occupazione, gli dicono pure bravi. Da sessant’anni Israele ha il merito di svelarci senza tanti fronzoli, il contenuto reale che sta dietro a termini pomposi come democrazia e società aperta: la divisione del mondo tra chi ha diritti, e chi dovrebbe stare sotto e prenderle affinché i pochi che hanno dei diritti se li possano continuare a permettere.

Che il Governo degli svandipatrioti non faccia sentire la sua voce contro il rapimento criminale di Khaled, tutto sommato, da questo punto di vista, in realtà è anche abbastanza coerente. Per tutti gli altri che schifano l’imperialismo e la ferocia coloniale invece, da oggi c’è una nuova battaglia che non ci possiamo permettere di non combattere.

Vogliamo Khaled El Qaisi libero subito.

Per chiunque ne ha la possibilità, l’appuntamento è per domani venerdì 15 settembre alle 16.00 presso la facoltà di lettere del’Università la Sapienza di Roma insieme alla moglie di Khaled, la madre e il legale della famiglia.

OttolinaTV purtroppo non ci sarà. Ma farà in modo di far sentire la sua vicinanza anche da Fiuggi, dove saremo in primissima fila insieme agli amici di Idee Sottosopra alla loro scuola estiva dal titolo “Interferenze oltre la crisi”.

Ora, di fronte alla storia di khaled in effetti fare la solita questua può sembrare un po’ bruttino

Ma sticazzi

Anche no

Perché l’assenza della storia di Khaled da ogni media grida vendetta.

Quindi oltre a sostenere Khaled e la sua famiglia, anche oggi, come sempre, dobbiamo fare un passetto in avanti nella costruzione finalmente di un vero e proprio media che dia voce a tutti i Khaled, tutti i palestinesi, e tutto il 99%.

Per farlo, abbiamo bisogno del tuo sostegno.

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Fonti:

Foto di Khaled El Qaisi: https://www.facebook.com/photo?fbid=6613052398786385&set=ecnf.100002450717343

Articolo de “il Manifesto”: https://ilmanifesto.it/khaled-el-qaisi-resta-in-cella-cresce-la-mobilitazione-in-italia

Rapporto della relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese: https://rapporto-dol.tiiny.site/

Scheda UNRWA: https://www.unrwa.org/sites/default/files/beit_jibrin_camp_profile_-2022.pdf