“Certamente contiene alcune idee superate, ma Altiero Spinelli stesso lo ha detto e ripetuto più volte, era pur sempre il 1941… Ma non per questo viene meno la visionarietà del Manifesto di Ventotene. Sarebbe come dire buttiamo la Bibbia perché c’è scritto che il sole gira attorno alla terra…”; L’“Europa unita come unica utopia ragionevole”, “la più grande istituzione degli ultimi 5000 anni realizzata sul pianeta Terra dall’essere umano, un progetto, un ideale, una speranza, una sfida, un sogno”; “Sono europeista estremista”, “e sono convinto che il nazionalismo sia il carburante di tutte le guerre”.
La prima puntata del nuovo format di Roberto Benigni Il sogno è forse la cosa più divertente che il comico fiorentino ha fatto dai tempi di Berlinguer ti voglio bene, anche se, probabilmente, in maniera involontaria e con tratti decisamente tragicomici; ogni volta, infatti, che le élite dell’Unione europea si trovano in difficoltà, oltre a usare la leva della pressione finanziaria e la minaccia della troika contro l’autonomia degli Stati membri, hanno bisogno di una costante riattivazione ideologica: con l’aiuto di opinionisti compiacenti e cortigiani da strapazzo del mondo dello spettacolo e dell’industria culturale, devono rinfocolare con ogni mezzo possibile un senso di patriottismo europeista, un discorso identitario che distragga le masse dai problemi reali regalando loro la parvenza di un sogno. Lo abbiamo visto da poco, con l’arringa razzista del sempre pessimo Vecchioni a piazza del Popolo, che pensava di far leva sull’amore per il dolce dolce Ludovico Van per alimentare il sostegno sentimentale alla guerra che verrà; il risultato della manifestazione, a essere gentili e citare l’amico Marco Guzzi, somiglia a una tragicomica sintesi tra “funerale e carnevale”.
Ma tra le trovate carnevalesche e propagandistiche utilizzate per alimentare l’amore verso un’Unione europea che non è mai esistita, ce n’è una che ricorre e ricompare in ogni battuta, dai teatrini di Calenda ai pigolii della Schlein, passando per gli editoriali mainstream: stiamo parlando del Manifesto di Ventotene. Scritto durante il confino alla suddetta isola del Tirreno dai liberali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con il contributo del socialista Eugenio Colorni, il manifesto è considerato il testo fondativo di quella che, cinquant’anni dopo, sarebbe diventata l’Unione europea e questo, certamente, lo ha portato in tempi recenti a costituire un punto di riferimento sia per la propaganda unionista, sia per l’opposizione euroscettica più o meno trumpiana: non è un caso che Giorgia Meloni, per distrarre l’attenzione dalla competizione tutta interna al governo con la Lega e dalle resistenze dell’Italia verso un progetto di esercito comune europeo, si sia di recente scagliata proprio contro lo scritto di Spinelli, tacciandolo addirittura di comunismo.
“Nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest’aula è stato richiamato più volte il Manifesto di Ventotene: spero non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe francamente spaventosa” (Giorgia Meloni al senato, 19 marzo) e visto che, di questi tempi, in Europa l’accusa di comunismo è pari (se non peggiore) a quella di nazifascismo, le reazioni isteriche e trasversali dell’opposizione non si sono fatte attendere, trasformando il dibattito sulle disastrose scelte politiche del governo in una battaglia polarizzata intorno al Manifesto di Ventotene. Quando le opposte propagande affrontano uno scritto di ottant’anni fa come un vessillo da bruciare o appuntarsi al petto, l’impressione è quella di finire oltre lo specchio di Alice, finendo catapultati in un mondo al contrario: del manifesto di Spinelli vengono sottolineate le parti più vaghe, innocue o comode per la propaganda, come il richiamo alla necessità dell’esercito europeo (che fa sbrodolare i Parsi della situazione) e taciute quelle più potenzialmente dirompenti che, se prese alla lettera, farebbero saltare in aria proprio quelle istituzioni dell’Unione europea che avrebbero dovuto fondare.
Ma cosa dice, davvero, il manifesto di Spinelli e Rossi? Vi sono davvero anticipati gli elementi base per la costruzione dell’attuale Unione europea? Tanto per cominciare, possiamo subito dire cosa non si trova nello scritto di Spinelli e Rossi: non c’è alcun riferimento a un Parlamento europeo, a una Commissione di governi nazionali, né tantomeno a una Banca Centrale in grado di decidere liberamente come usare i soldi dei cittadini europei; cercando in lungo e in largo nel manifesto, non si trova nemmeno, ovviamente, alcun riferimento a una moneta unica o a un mercato comune, elementi che – secondo alcuni fini propagandisti – ci avrebbero “fatto lavorare un giorno di meno guadagnando di più”. Al di là dei richiami generici a un’unità dei popoli e a un superamento dell’autarchia (possibile solo nelle menti di qualche finto-sovranista nostalgico), l’Europa del Manifesto sembra bypassare tutti gli aspetti che negli ultimi decenni ci sono stati spacciati come essenziali al progetto europeo: niente troika, niente politiche di bilancio, niente meccanismi di debito o ipotesi di ristrutturazione lacrime e sangue dei Paesi che, all’inizio degli anni quaranta, erano totalmente sventrati dalle bombe o dai panzer del Terzo Reich; eppure, questo non sembra impensierire troppo i propagandisti nostrani, dalla sinistra ZTL ai liberal-autoritari, che continuano a ripetere come un disco rotto la stessa litania di Ventotene come primo mattone dell’Unione europea. D’altronde, come notano gli stessi autori del Manifesto di Ventotene con ottant’anni di anticipo, siamo pur sempre in una fase in cui “La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. La stessa etica sociale della libertà e dell’eguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello Stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello Stato, che stabilisce quali debbano essere i loro fini, e come volontà dello Stato viene senz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere” (pag. 25).
Nonostante il canto delle sirene di Bruxelles e dei suoi intellettuali più fidati e prezzolati, difficile non rimanere sempre più schifati dalla situazione attuale, soprattutto mettendola a confronto con le parti programmatiche del Manifesto di Ventotene, che afferma chiaro e tondo la necessità di una rivoluzione socialista europea: per Rossi e Spinelli, infatti, non è possibile immaginare un’effettiva Europa dei popoli senza una robusta base di benessere materiale resa disponibile per tutti. E non si tratta – si badi bene – dei pannicelli caldi con cui le sinistre socialdemocratiche hanno affossato e smembrato lo Stato sociale negli ultimi quarant’anni: “Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, (…) e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello Stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa”. In pratica, non certo una collettivizzazione in senso comunista come paventato da Meloni, che del manifesto ha letto poco e compreso nulla, ma senz’altro un’architettura politica che imbrigli e direzioni le grandi imprese energetiche, bancarie e industriali verso il benessere collettivo, benessere che, come specificato dagli autori, deve essere comunque oggetto di un esproprio e di una redistribuzione verso i ceti subalterni: “Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita”.
Ancora una volta, pur non trovandoci di fronte a un progetto rivoluzionario di stampo marxista con conseguente abolizione delle classi e dittatura del proletariato, anche un bambino capirebbe che ci muoviamo su un’altra galassia rispetto all’assetto europeo attuale, dei vincoli di bilancio emendabili solo per comprare armi che rimpinzino le armate dei singoli Stati, che restano invece blindati per qualsiasi politica sociale, sanitaria, scolastica o ambientale; forse non è un caso che, per Spinelli e Rossi, particolare attenzione nell’Europa dei popoli sarà dedicata a politiche che limitino lo sviluppo di forme di sfruttamento classiste: “La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà manifestarsi con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”.
Insomma: altro che la retorica degli eurocrati à la Fornero, che con una mano tagliava le pensioni mentre con l’altra si dedicava a bastonare i giovani, accusati di essere viziati per non accettare gli stessi contratti iugulatori condannati dal Manifesto; qui si va oltre, teorizzando una sorta di reddito universale europeo che consenta a ciascuno di vivere serenamente le fasi di maggiore difficoltà e transizione nella vita lavorativa e privata. L’architettura europea immaginata a Ventotene, seguendo diversi suoi tratti politici, sembra quindi orientata in direzione ostinata e contraria a quella intrapresa da Maastritch in poi; forse è anche perché, come esplicitato da Spinelli nel Manifesto, la nuova Europa dei popoli avrebbe dovuto realizzare il “principio veramente fondamentale del socialismo”, cioè quello secondo cui “le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma (…) essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime” (pag. 61). Un messaggio di ampio respiro politico, quindi, che oltre a commettere l’errore di prevedere l’abolizione degli Stati nazionali come panacea di tutti i mali portati dal nazifascismo, apre prospettive interessanti, ancorando la possibilità politica dell’Europa dei popoli alla realizzazione di politiche redistributive e vincolanti rispetto ai grandi capitali privati; questa nuova Europa, garante al proprio interno di un benessere diffuso e collettivo, potrà, in forza di questo nuovo ordine sociale, aprirsi al mondo non per diventare vassalla della NATO o degli USA, ma per costruire rapporti diplomatici e commerciali con tutti i poli geopolitici: “La Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione” (pag. 55).
Insomma: quanta distanza, quanto dislivello che tra i progetti – pur vaghi – di Ventotene e l’Unione europea sottomessa, impaurita, militarista e sfruttatrice, trascinata delle élite contemporanee, da Kallas e Von der Leyen in una guerra contro Russia e Cina per rispondere a interessi di tutti tranne che dei cittadini europei! Se c’è una cosa che hanno in comune Meloni e le opposizioni cosiddette europeiste è proprio la volontà di utilizzare il Manifesto di Ventotene come feticcio ideologico, come stendardo da bruciare o far sventolare a seconda della posizione politica; e se Meloni dimostra di non aver proprio capito il senso letterale del manifesto, ben lontano dalla prospettiva comunista, i sostenitori dell’Unione Suprematista Europea ne tradiscono ogni giorno lo spirito e gli obiettivi. Seppur nei limiti di una lettura liberale dei rapporti di forza politici ed economici e una certa distanza da un’idea di cambiamento sociale radicale e comunista, il Manifesto di Ventotene schiude una visione chiara, cioè la creazione di un’Europa dei popoli nella quale la sovranità di questi ultimi è resa possibile dall’adozione di politiche sociali per il 99% e proiettata in una costruzione flessibile e pacifica dei rapporti internazionali, anche verso i popoli dell’Asia. Il Manifesto di Ventotene, in pratica, aspira a un’Europa unita che sta esattamente all’opposto dell’Unione europea attuale, e forse è giunto il momento di sfidare tutti gli europeisti da salotto, che vietano di concepire un’alternativa politica a questa Unione e si riempiono la bocca di frasi a effetto dello scritto di Spinelli, ad iniziare a leggerlo ed applicarlo sul serio. Facciamolo insieme!