I patrioti per Trump ci indicano la via: privatizzare tutto e darlo a BlackRock. “Metodo Panama anche per i porti italiani” scrive l’ex carabiniere Claudio Antonelli su La Verità: “La riforma degli scali marittimi va scongelata” scrive, e “un ruolo cardine potrebbe andare a BlackRock”. Il sovranismo, sinceramente, me lo ricordavo diverso… Il modello di sovranità nazionale che Antonelli propone per l’Italia è quello di un piccolo Paese a reddito medio del centro America creato dagli USA a immagine e somiglianza dei suoi interessi neocoloniali; ma in cosa consiste esattamente il metodo Panama proposto come soluzione anche per i porti italiani? A partire dal 1997, l’autorità portuale panamense ha dato in concessione la gestione dei due principali porti, situati rispettivamente alle due estremità del canale, alla Hutchison di Li Ka-Shing: Forrest Trump, da quando è tornato alla Casa Bianca, è tornato a definire questo accordo commerciale una sorta di occupazione cinese del cortile di casa statunitense ricordando come gli USA, ai tempi di Carter, si sono ritirati dall’occupazione coloniale vera e propria dell’area, ma ovviamente solo a condizione di poter continuare a esercitare il solito vecchio dominio, anche se con mezzi meno espliciti. Insomma: la sovranità di Panama sulla sua infrastruttura più strategica doveva essere soltanto un’operazione di facciata per fare contenti i Michele Serra e i Roberto Saviano; e invece, facendo entrare i cinesi, Panama si era dimostrata un po’ troppo discoletta. D’altronde, si sa… Questi selvaggi son fatti così: gli dai una mano e ti prendono tutto il braccio.
La cosa divertente, in questo caso – a differenza di altre situazioni oggettivamente un po’ più delicate perché coinvolgono gruppi direttamente legati allo stato cinese, come Cosco nel Porto del Pireo – è che Hutchison non solo è un’azienda totalmente privata, ma all’epoca non era manco cinese in senso stretto (perché è di Hong Kong) e Li Ka-Shing non è esattamente proprio il miglior amico di Xi, diciamo: a capo di un impero gigantesco da quasi 300 mila dipendenti che spazia dalla logistica all’energia, passando per le telecomunicazioni, con 37 miliardi di patrimonio Li Ka-Shing è l’uomo più ricco di Hong Kong e tra i 5 più ricchi della Cina, e di quelli legati a doppio filo all’élite globalista internazionale che speravano e scommettevano su un destino da democrazia liberale filo-occidentale per la Repubblica di Cina. Io, nel mio piccolissimo, ho avuto a che fare direttamente con Hutchinson ormai una ventina di anni fa, quando insieme a Milena Gabanelli ebbi la malaugurata idea di fare un’inchiesta sull’allora neonata compagnia telefonica H3G, di sua proprietà; quella che allora si chiamava Tre Italia aveva fatto una campagna forsennata su una serie di fantomatici servizi multimediali all’avanguardia, che però non ci convincevano molto e che effettivamente non mi pare abbiano avuto molto successo: non la prese proprio benissimo… Ci portò in tribunale e ci chiese la modica cifra di oltre 100 milioni di euro di risarcimento per danni all’immagine; fortunatamente, grazie ai potenti mezzi dell’ufficio legale della RAI, finì tutto in una bolla di sapone, ma sinceramente ho avuto periodi più spensierati, diciamo. Da allora, ho continuato a monitorare l’attività di quella che allora si chiamava Hutchison Whampoa e ad assistere a tutte le tensioni che sono emerse con Pechino in seguito all’ascesa di Xi Jinping, quando è diventato chiaro che la fase turbo-liberista della Cina era funzionale alla difesa dell’interesse nazionale e non all’interesse delle oligarchie che, lentamente, venivano gradualmente rimesse in riga.
Ma se Li Ka-Shing – che ha una seconda cittadinanza canadese (che non si sa mai) e ha sviluppato il grosso dei suoi interessi in Occidente – in nessun modo può essere considerato un agente di Pechino, perché Trump gli si è scagliato contro come un toro? Il punto è sempre il solito: vale per Huawei, vale per TikTok, vale per qualsiasi azienda che opera in settori strategici e che non è made in USA; il punto non è che rappresentano un rischio perché potrebbero essere uno strumento della politica estera di un Paese ostile. Il punto è che rappresentano un rischio perché, al contrario di tutte le aziende USA, potrebbero non essere disponibili a operare come strumento della politica estera USA secondo logiche che col mercato non c’entrano niente e al di là di ogni regola. Huawei non è pericolosa perché ha backdoor in mano a Pechino; è pericolosa perché potrebbe non accettare backdoor in mano a Washington. TikTok non è pericolosa perché amplifica la propaganda di Pechino; è pericolosa perché non amplifica quella di Washington. Hutchison non è pericolosa perché, come sostiene Trump, favorisce i cargo cinesi; è pericolosa perché non favorisce quelli USA e, soprattutto, perché non è detto che le favorisca ancora di più nell’ambito di una guerra commerciale unilaterale scatenata dallo Stato canaglia di Washington.
E Panama, nonostante la sovraesposizione mediatica delle ultime settimane, è soltanto una tessera di un puzzle decisamente più ampio: la controllata Hutchison Port, infatti, è il secondo operatore portuale al mondo, dietro soltanto alla PSA International di Singapore e testa a testa con Cosco; al di là delle operazioni tra Cina continentale ed Hong Kong, gestisce la bellezza di 43 porti container in 23 Paesi diversi e da quando gli USA, ben prima del ritorno di Forrest Trump, hanno deciso che contro la superpotenza manifatturiera cinese deve essere guerra economica e commerciale a tutto campo, è diventata una preda da assalire appena se ne fosse presentata l’occasione. Il dossier per la vendita delle attività portuali doveva essere in elaborazione già da tempo; il bullismo di Forrest Trump, probabilmente, non ha fatto che accelerare ulteriormente i tempi, forse – come sostiene, ad esempio, il nostro sempre attentissimo Alessandro Volpi – anche proprio per anticipare le mosse di Trump: a rilevare le attività di Hutchison Port, infatti, non è stato uno dei gruppi più vicini al movimento MAGA e a Trump. Tutt’altro: è stata la solita BlackRock, l’icona stessa del globalismo neocon. I media mainstream, scrive Volpi, “presentano questa notizia come un successo dell’amministrazione Trump”, ma in realtà sembra piuttosto trattarsi di una “manifestazione di forza di uno dei padroni del mondo che ha deciso di anticipare un eventuale intervento di Trump attraverso il governo federale o mediante investitori a lui decisamente più amici”; “in questo senso” continua Volpi, BlackRock potrebbe aver impedito “una trumpizzazione di Panama” e non solo: offrendo una sorta di sponda ai cinesi ed evitandogli così, in prospettiva, “eventuali tensioni per effetto delle intemperanze di Donald Trump”.
In effetti, i termini dell’accordo tutto sembrano tranne che una scalata ostile – almeno, così sembrano pensarla i famosi mercati: a partire dall’elezione di Trump, il titolo della holding, infatti, aveva lasciato sul terreno quasi il 22%, che si andava a sommare alle ingenti perdite anche dell’anno precedente; dall’annuncio dell’operazione, il titolo ha riguadagnato prima il 21,9% e, poi, un altro 12,4, ritornando ai valori del maggio 2023. Insomma: con la sua idea di importare il metodo Panama anche in Italia, il nostro patriota Claudio Antonelli non solo – come ogni patriota che si rispetti – propone ancora una volta di svendere l’Italia al primo monopolio finanziario straniero che capita, ma forse dimostra anche di non averci capito proprio moltissimo e di essere caduto vittima della becera propaganda trumpiana che sbandiera una grande vittoria quando, in realtà, è stata fregata sul tempo dalla fazione opposta nella guerra civile tra oligarchie che sta scuotendo l’Occidente collettivo.
Per i turbo-trumpiani di casa nostra, cogliere tutte le opportunità possibili per svendere gli asset strategici italiani alle oligarchie USA e sperare, così, di compiacere Re Donald è diventata una vera e propria ossessione: secondo Stefano Graziosi, sempre su La Verità, la strada maestra è ostentare “un maggiore allineamento a Trump nel suo approccio duro sul commercio nei confronti della Cina”; Graziosi denuncia il comportamento di Germania e Parigi che, negli ultimi due anni, si sono dimostrati troppo indipendenti da Washington e, invece che fare propria senza tentennamenti la guerra economica contro Pechino scatenata dalla Casa Bianca, hanno “ulteriormente rafforzato i loro legami con Pechino, e non sembrano intenzionati a mutare”. In questo modo, sottolinea Graziosi, l’asse franco-tedesco, provando senza vergogna a fare i suoi interessi, rischia di portare “Bruxelles sempre più allo scontro con Washington”: ancora una volta, cose che dice la destra che sarebbero una figata fossero vere; per fortuna però, continua Graziosi, che oltre a questi pervertiti filocinesi, tra i governanti europei c’è anche una madrecristiana che dell’interesse nazionale se ne frega e chi “oggi auspica che Giorgia Meloni si accodi a Parigi e Berlino su Trump è fuori strada”. Come ha ribadito svariate volte, piuttosto, sarà in primissima fila nel tentativo di rilanciare le relazioni transatlantiche, costi quello che costi: anche privatizzare i porti e magari, invece che a BlackRock, svenderli a qualche esponente della PayPal Mafia “con buona pace delle cordate filocinesi che remano contro Meloni”. La cosa che mi terrorizza dei turbo-trumpiani è che stanno sostituendo un’ossessione con un’altra: un aspetto potenzialmente positivo della finta rivoluzione del trumpismo è che sembrava fare i conti con la debacle e reintrodurre un po’ di realismo nella politica internazionale, prima che la follia ideologica dei suoi predecessori ci consegnasse all’armageddon nucleare; e per quanto riguarda Trump di persona personalmente, al netto della retorica da venditore di auto usate che lascia basiti i benpensanti, non è ancora detta l’ultima parola. I suoi epigoni europei, invece, sembrano invasati tanto quanto le bimbe di Michele Serra, che scenderanno il 15 in piazza invocando più bombe umanitarie per tutti: l’unica differenza è che loro sono ossessionati da Putin; i turbo-trumpiani da Xi, e sono mossi da un odio atavico che rischia di offuscare la capacità di giudizio, come quando confondi un trionfo di BlackRock per un trionfo di Trump e della PayPal Mafia che lo sostiene, o confondi la guerra senza frontiere che Parigi e Berlino hanno fatto al loro stesso interesse nazionale per seguire la retorica del decoupling da Pechino di Washington come una fuga in avanti delle lobby filocinesi. L’aggravante dei turbo-trumpiani sta nel curriculum: l’ultima volta che hanno avuto le leve del potere e le hanno usate per consegnare l’Italia all’uomo forte del momento, non è andata esattamente benissimo; ora, come allora, gli indizi che l’uomo forte forse era un po’ meno forte nei fatti che nella retorica, in realtà, non mancano.
Mentre finiamo di scrivere questo pippone, Wall Street registra un’altra giornata nera, con lo Standard&Poor 500 in zona -2% e il NASDAQ che è oltre -2,3, mentre Hong Kong ha segnato un altro +3.3 e il DAX ha chiuso a +1.6: dal giorno dell’insediamento, si continua a registrare la più grande fuga di capitali dagli USA da non so quanto tempo a questa parte; nel frattempo, il famigerato indice GdpNow della Federal Reserve di Atlanta ha registrato il calo peggiore che io abbia mai visto, passando da una stima per la crescita annualizzata del primo trimestre del 2025 del 2,3% lo scorso 28 febbraio, a un crollo del -2.8% il 3 marzo 2025. A differenza di Rampini e degli analfoliberali del Post che, solo 6 mesi fa, utilizzavano quel dato per titolare a 6 colonne che gli USA stavano crescendo il doppio della Cina, noi, ora come allora, siamo i primi a sottolineare che si tratta di un indice stupido che viene continuamente smentito dalla realtà; e, questa volta, che è negativo se lo ricordano anche i propagandisti di regime come Fubini, che mette in guardia dal prenderlo troppo seriamente. Fatto sta, comunque, che per la prima volta da anni, invece di segnalare una crescita sostenuta dell’economia USA, prevede un vero e proprio tracollo; e fatto sta che deve aver spinto Trump ad abbassare un po’ i toni: non ha fatto in tempo a reintrodurre i dazi contro Canada e Messico che li ha dovuti immediatamente sospendere per un altro mese, prima solo per l’automotive (dopo essersi sentito telefonicamente con John Elkann) e, poi, per tutto il resto dopo essersi sentito con la mia crush Claudia Sheinbaum, che si conferma sempre di più una vera stella polare del sovranismo democratico e popolare. Altro che la madrescristiana, gli sbandieratori de La Repubblichina e gli antimperialisti per Forrest Trump!
Oltre che alla Sheinbaum, quello che i nostri svendi-patria osannano come l’uomo forte della Casa Bianca sembra non fare particolarmente paura nemmeno a Pechino: a differenza degli invasati di Bruxelles e delle cancellerie europee, nelle due sessioni che si sono svolte in questi giorni a Pechino, il Partito Comunista Cinese ha annunciato un’aumento della spesa militare di appena il 7%, poco sopra la crescita del PIL, una bella differenza rispetto a noi che promettiamo il raddoppio mentre il PIL sta fermo. Risultato: la Cina annuncia che manterrà una spesa per la difesa poco al di sopra dell’1,5% del PIL per molti anni ancora; d’altronde, se il tuo obiettivo è davvero solo difenderti, bastano e avanzano (anche quando sei davvero sotto minaccia), il che dimostra, in modo piuttosto immediato, che quando parliamo di aumentare la spesa per la difesa al 3,5% non è la difesa che abbiamo in mente, ma (ancora una volta) il bullismo che, fino ad ora, gli USA hanno fatto da soli e ora appaltano a noi. D’altronde, che non esiste nessuna minaccia russa per l’Europa negli ultimi anni lo abbiamo ripetuto in tutti i modi possibili immaginabili; l’unica cosa che può davvero trasformare la Russia in una minaccia – come dimostra l’Ucraina – è se ad essere minacciata per prima è la Russia stessa, che è esattamente quello che cerca di fare disperatamente Bruxelles, col sostegno del popolo delle bandiere blu, il 15 marzo.
Bimbe di Trump che vogliono minacciare la Cina, da un lato, e bimbe di Michele Serra che vogliono minacciare la Russia dall’altro: tutti infarciti di fanatismo ideologico e di propaganda; tutti che rappresentano la vera grande minaccia alla nostra sicurezza e al nostro benessere. Ed è per questo che devono andare #TUTTIACASA. Per cominciare a capire come farlo davvero insieme, vi aspettiamo il 29 marzo alle 15 al Nuovo Cinema Aquila di Roma; nel frattempo, continua a sostenerci perché, per mandarli tutti a casa, quello che di sicuro continua a servire è un vero e proprio media che, invece che rilanciare a pappagallo la propaganda di Washington e quella di Bruxelles, dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Michele Serra