La reductio ad hitlerum di Mattarella su Putin è stata forse una delle cose più gravi e sconsiderate che un ghost writer di un presidente della repubblica italiano abbia mai scritto nella storia delle repubblica italiana. In piena trattativa di pace arriva Sergio e tomo tomo, cacchio cacchio spara ad alzo zero. Affermando pure una bestemmia dal punto di vista storico e politico. Ma insomma, proprio perché i rapporti tra Italia e Russia non sono mai stati così tesi, e proprio perché Mattarella fa finta di dimenticare che è stata proprio l’Unione Sovietica – nonostante quello che crede Benigni per ragioni di avanzamento di carriera accademica, questa – a salvarci il culo dal fascismo e dal nazismo cioè dal capitalismo predatorio sanguinario alla Milei, il cosiddetto capitalismo piddino, pagando un prezzo di 23 milioni di morti, ho deciso di fare qualcosa per distenderli, questi rapporti. Il pretesto è il fatto che quest’anno, 2025, sono 100 anni secchi dalla Corazzata Potemkin. 101 dalla nascita di una delle due case di produzione cinematografica sovietiche più importanti di quegli anni, che in realtà era molto, moltissimo italiana. Anzi, calabrese. Ma lo sanno in pochi, e tra questi pochi non c’è Mattarella. E infine 102 dalla nascita della casa cinematografica che La corazzata Potemkin lo produsse. Ringrazio per lo spunto di questa puntata Nando Marzano e Fortunato Nocera e il loro formidabile libro: “Il pacifista che portava in valigia La corazzata Potemkin”.
Stavo pensando: che rumore fanno 23 milioni di morti che si rivoltano nelle loro tombe?
La critica cinematografica è morta, la diplomazia è finita nel cesso, eppure – stranamente – noi ci sentiamo benissimo. A proposito della Corazzata Potemkin: nella celebre sequenza del film di Salce su Fantozzi, Fantozzi urla tutto il suo disappunto nei confronti del film. Nonostante Paolo Villaggio sia stato, insieme a Salce e de André, suo grande amico, uno dei più grandi intellettuali di vera sinistra dell’epoca; nonostante l’Unità stroncasse sistematicamente i film di Salce e quelli su Fantozzi, derubricandoli a serie di gag invece che a grande cinema (vedi anche le puntate di Desaparecinema su Luciano Salce); nonostante quindi Villaggio avesse ragione a prendere a pesci in faccia l’intellettualume di sinistra dell’epoca, incapace di ironia e autoironia; nonostante Villaggio abbia detto più volte che questo era l’obiettivo di quella sequenza; nonostante un certo Wu Ming, agitatore culturale, affermi in un articolo del 2018 che siccome quello non era un cineforum di sinistra ma la sala aziendale della megaditta allora Fantozzi stava prendendo per il culo il capitale e non la sinistra, dimenticando volutamente che ad applaudire Fantozzi non c’erano gli amici miliardari della sinistra tipo Bill Gates e Soros, ma c’era il ceto medio impiegatizio e sfruttato – che dei cineforum della sedicente sinistra culturale salottiera si era giustamente rotto i coglioni perché, come dice Gramsci, l’egemonia si fa “affascinando” e non annoiando; insomma nonostante tutto questo, quella sequenza era esattamente una presa per il culo del corrispettivo di quel certo Wu Ming versione anni ‘70. D’altronde de André, appunto, nel suo formidabile brano “La domenica delle salme” dice nel 1990, a proposito degli intellettuali che non hanno mai fatto nulla per fermare il Colpo di Stato del capitale del 1989, la morte del socialismo, e il protoPD che stava per nascere di lì a due anni:
Gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta poi ci mandarono a cagare.
Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia nei palastilisti e dai padri Maristi,
voi avete voci potenti lingue allenate a battere il tamburo,
voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo.
Ripeto per chi avesse fatto finta di non capire: De André sta dicendo che gli intellettuali furono mandati a cagare dal popolo dopo che il popolo li aveva sentiti cantare per una mezz’oretta. Come i colleghi di Fantozzi mandavano a cagare l’approccio ideologico privo di ironia e leggerezza, serioso e iattante, degli intellettuali sinistroidi nei loro Cineforum pallosi e respingenti, che non sapevano nemmeno riconoscere non dico un film come Colpo di stato (di Salce, del 1969), ma neppure Fantozzi come un capolavoro. De André dunque, diversamente dall’intellettuale “Senza Nome 1” di sinistra, con onestà ci si mette anche lui in mezzo agli intellettuali da mandare a cagare. Ma oggi mi va di esagerare su questa faccenda. Visto che si parla molto di Sahra Wagenknecht, dopo le elezioni che ha perso in Germania per uno zerovirgola, ecco cosa dice nel suo straordinario libro “Contro la sinistra neoliberale”, per Fazi editore:
“Nell’estate del 2020, 153 intellettuali di vari paesi, tra cui Noam Chomsky, Mark Lilla, J.K. Rowling e Salman Rushdie, hanno attaccato, in un’accorata lettera aperta, l’intolleranza e l’illiberalismo dei liberali di sinistra. (…) Con preoccupazione, i firmatari della lettera constatavano ‘l’intolleranza verso chi la pensa diversamente, la condanna pubblica e la discriminazione, oltre che la tendenza a trasformare complesse questioni politiche in certezze morali’. Poi indicavano le conseguenze: ‘Per tutto questo paghiamo un prezzo elevato: scrittori, artisti e giornalisti, infatti, non rischiano più nulla perché costretti a temere per il proprio sostentamento non appena si allontanano dal consenso comune e smettono di seguire il branco’”.
E perché i cosiddetti colti, in realtà più propriamente i semicolti, o meglio gli intellettuali di regime, seguono il branco? Solo per i bonifici del padrone? Cioè potreste diventare come Gad Lerner e Sofri che paragonano senza vergogna Zelensky ad Allende barricato nella Moneda? Oppure come la leader danese di sinistra che diceva questo? No, è anche perché i semicolti sono i più sensibili alla propaganda. Questo è quello che affermava addirittura nel 1962 Jack Elull, filosofo, teologo e sociologo antinazista francese, in un libro dal titolo “Propaganda”, che in Italia è uscito nel 2023: “gli intellettuali”, secondo Elull, “sono i più vulnerabili di tutti alla propaganda moderna, per tre motivi: (1) assorbono la maggior quantità di informazioni di seconda mano e non verificabili; (2) sentono il bisogno impellente di avere un’opinione su ogni questione importante del nostro tempo, e quindi cedono facilmente alle opinioni offerte loro dalla propaganda su tutte queste informazioni indigeste; (3) si considerano capaci di ‘giudicare da soli’. Insomma: hanno letteralmente bisogno della propaganda.” Ma le informazioni non sono sempre “indigeste”, a volte possono essere “digeste”, anzi “Digest”. (Greco, ma che minchia dici?) Dico che il libro che forse più di ogni altro ha contribuito all’avvento del neoliberismo in chiave antisocialista è di quel genio del male che è stato Friedrich von Hayek, premio Nobel per l’economia nel 1974, due anni prima del premio Nobel per l’economia al suo amico Milton Friedman, che infatti fu consulente economico di Pinochet nel sanguinario golpe in Cile del 1973. Cioè capito? Golpe in Cile, decine di migliaia di morti per cancellare un governo comunista regolarmente eletto e funzionante, e subito dopo, SUBITO DOPO, Nobel ai teorici di quel golpe. Sarebbe come se qualcuno desse un Nobel per la Pace a Obama dopo che ha devastato la Siria col pretesto – poi dimostratosi falso – dell’uso da parte di Assad delle armi chimiche (Io non ve lo vorrei dire, ma ve lo ricordate chi credette a quella cagata? Ecco).
Vabè, stavamo dicendo: von Hayek nel 1944 aveva scritto un libro di merUN LIBRO fondamentale che in 40 anni è riuscito a spostare il pensiero di milioni di coglPERSONE dalla necessità del socialismo e poi del keynesismo a quella del fascismo economico perenne, il neoliberismo piddino, libro che in Italia arrivò attraverso quello strumento di propaganda che era il “Reader’s Digest”. Il libro è “La via della schiavitù”, in cui von Hayek si rivolgeva “ai socialisti di tutti i partiti” dicendo sostanzialmente loro la più grande delle minchiate: occhio che l’applicazione del socialismo porta inevitabilmente al totalitarismo. Praticamente la stessa minchiata che ha detto il Parlamento europeo a gennaio equiparando nazismo e comunismo. Von Hayek aveva teorizzato con il think tank più famigerato della storia, la Mont Pelerin Society, nato per promuovere il libero mercato, che la sua idea antisocialista dovesse essere propagandata a tutti i livelli, soprattutto doveva arrivare alle orecchie della classe media. E così accadde: articoli, libri, programmi televisivi e appunto, il Readers’ Digest, che ne decretò il definitivo successo. Questa robaccia antisociale, degna del peggior pensiero reazionario, oggi è esattamente ciò in cui crede l’intellighenzia soprattutto di sinistra, con la sua acritica servitù ai dogmi dell’Unione europea, costruita esattamente per applicare le teorie neoliberiste di von Hayek. Basta leggersi il trattato di Maastricht. Se invece parlate con operai, baristi e subalterni in generale, ascoltate una sinfonia di sacrosante bestemmie contro l’euro e l’Ue. Chiudo, giuro. Come mi ricorda l’amico Marco Cesarini, per capire definitivamente di cosa sto parlando, leggetevi quell’illuminante articolo sulla “sinistra dei social” di Mark Fisher del 2013, che poi è la stessa che descriverà più tardi Bret Easton Ellis nel suo libro “Bianco”, quando racconta così bene il delirio piagnone, snob e antipopolare della sinistra dem statunitense dopo la prima elezione di Trump del 2016. L’articolo si chiama “Fuori dal castello dei vampiri” e descrive “il fetore della cattiva coscienza e del moralismo da caccia alle streghe” della sinistra su twitter. Praticamente quelli che Sahra Wagenknecht chiama i Selbsgerecthen, ossia “I presuntuosi” e “supponenti” politici ed elettori della sinistra neoliberista, e Fisher “i vampiri specializzati nella propagazione del senso di colpa”, guidati “dal desiderio pretesco di scomunicare e condannare, dal desiderio accademico-pedante di essere il primo a vedere un errore”. Il pericolo di attaccare il Castello dei Vampiri, continua Fisher, è che possa sembrare – e si farà di tutto per rafforzare questo pensiero – che si stiano attaccando anche le lotte contro il razzismo, il sessismo, l’eterosessismo.
E adesso possiamo tornare a bomba, cioè ai veri intellettuali tipo Fisher. Cioè al cinema rivoluzionario sovietico, cioè di quel cinema denso di senso e di lotta, così diverso da quello di oggi, soprattutto italiano, che risponde a quanto ha detto Baudrillard, secondo il quale, come nota Alessandro Paolo Lombardo su ArTribune, “l’iconoclastia non consiste più nel distruggere le immagini (…) ma nel fabbricare una profusione di immagini in cui non c’è niente da vedere”. Oggi quindi parliamo di quella mattonata invece stracolma di senso che è la Corazzata Potemkin, che in realtà era un film brevissimo (la versione italiana, che ha visto Fantozzi, era la più breve di tutte, cioè solo 67 minuti, poco più di un’ora), e un capolavoro cinematografico immenso. In realtà oggi parliamo soprattutto di un personaggio incredibile, mai abbastanza studiato (e infatti non se lo fila nessuno, eppure dovrebbe essere oggetto di retrospettive e celebrazioni in tutto il mondo, SOPRATTUTTO oggi): L’ULTRAPACIFISTA Francesco Misiano. E parleremo anche delle due case di produzione cinematografica sovietiche più importanti in quegli anni ’20: la Mosfil’m e la Mezabpom che, come sempre, ho sicuramente pronunciato male. Come forse tutti saprete – se non siete elettori del PD, di Calenda, della Bonino e di AVS, oppure dirigenti di destra (in pratica quelli che hanno perso la guerra e dovrebbero andare a casa con le orecchie d’asino in testa e i conti correnti bloccati) cioè se siete persone serie che lavorano tutto il giorno per portare a casa due spicci invece di cazzeggiare grazie ai soldi di papà – come saprete, subito dopo la rivoluzione del 1917 nacque il grande cinema sovietico. Scusate, l’avevo dimenticato che a gennaio il parlamento europeo ha votato una risoluzione che vieta l’esposizione dei simboli del comunismo sovietico equiparandoli al regime nazista.
Dicevamo: dopo la rivoluzione russa del 1917 nacque il grande cinema sovietico. Cioè quello che i critici cinematografici e i professori universitari chiamano, per evitare che la gente vi si appassioni e lo guardi come dovrebbe fare, cioè più e più volte, “Cinema russo d’avanguardia”. Se io insegnassi cinema sovietico all’università un po’ di più di quanto raramente faccio, lo chiamerei con un termine altrettanto tecnico e autorevole ma più efficace e attraente: “Cinema rivoluzionario della madonna che spacca il culo ai passeri e al miglior Spielberg”. Il cinema sovietico però, non nasceva dal nulla.
Nel maggio del 1896, solo cinque mesi dopo la proiezione dei primi film della storia del cinema a Parigi, nell’impero russo ci fu la prima proiezione cinematografica, i soliti cortometraggi dei fratelli Lumière già proiettati nel 1895 a Parigi: 10 minuti in tutto. A maggio fu girato il primo film in Russia, dall’operatore dei fratelli Lumière Camille Cerf, una registrazione dell’incoronazione di Nicola II al Cremlino di Mosca. Nello stesso anno fu aperto a San Pietroburgo il primo cinema permanente, sulla Prospettiva Nevskij, che allora si chiamava “elettroteatro”. Contemporaneamente in quel periodo negli Stati Uniti venivano realizzati soprattutto film a sfondo religioso con spettacolari scene bibliche: il tema preferito era quello della condanna e della morte di Cristo. Ma ancora non esistevano i Monty Python.
Nei primi anni del ‘900, sotto il regime zarista, anche la Russia, come l’Italia degli anni ’40, ’50 e dagli anni ’90 a oggi, fu invasa dal cinema estero, nello specifico da quello francese della Pathé e della Gaumont e quello italiano della Cines. Ma dalla prima guerra mondiale, con la cancellazione delle importazioni, ci fu “un’impetuosa crescita di una cinematografia nazionale”, come fa notare l’articolo di cinescuola.it. Inoltre il cinema russo era votato esclusivamente al profitto e c’era poco spazio per le avanguardie artistiche, che non potevano fare altro che stare a guardare. Mentre negli Stati Uniti la grammatica cinematografica che avrebbe fatto la futura fortuna di Hollywood iniziava a nascere con L’assalto al treno di Edwin Porter, nel 1908 in Russia fu prodotto il primo film narrativo russo, Stenka Razin, di poco più di sei minuti, basato su eventi narrati in una canzone popolare. Nel frattempo, proprio nel 1908, negli Stati Uniti accadeva un fatto epocale: fino a quel momento il cinema si girava fondamentalmente nell’est degli Stati Uniti, a New York e Chicago. Ma l’estrema competizione sui brevetti del cinematografo spinse molti a fuggire e a spostarsi a ovest, in California, dove tra l’altro il clima era più propizio per le riprese in esterni. Così nacque Hollywood. Il film di cortometraggio che decretò questo esodo fu Il conte di Montecristo, di Francis Boggs. Tra coloro che iniziarono a fare film ci fu David Wark Griffith, che stabilì per primo la grammatica definitiva – narrativa – del cinema imperialista e propagandistico di Hollywood soprattutto con Nascita di una nazione. Era il 1915. Come vedremo, i registi sovietici andarono nella direzione opposta. Intanto in Russia, due anni dopo, nel 1917, scoppiava la rivoluzione contro l’impero zarista. E la produzione cinematografica aumentò a 129 film l’anno, nel 1918. Ma a causa della guerra civile, tra il 1918 e il 1921, subito dopo il cinema russo fu cancellato.
Il nuovo governo dava molta importanza al cinema (Lenin dichiarò ‘di tutte le arti, per noi il cinema è la più importante’), ma in realtà non aveva fondi per promuoverlo. Ora non c’è tempo per approfondire cosa accadde esattamente in questo periodo e di parlare di un gigante come Kuleciov, regista e teorico del cinema, basta sapere che dopo l’avvio della Nuova Politica Economica voluta da Lenin, dal 1921 la pellicola riapparve sul mercato. Però la liberalizzazione economica fece sì che le sale cinematografiche russe venissero di nuovo inondate da film stranieri. In quell’anno i giganti che avrebbero di lì a poco rivoluzionato la cinematografia sovietica, come ci ricorda il libro su Francesco Misiano che ho citato prima, erano tutti giovanissimi: Pudovkin aveva 28 anni, Ejzenstejn 23, Kuleciov 22, Dziga Vertov 25. “Questa straordinaria gioventù creatrice”, scrivono gli autori del libro, “il clima di epopea rivoluzionaria che ebbe come fine ultimo di mettere il cinema al servizio della rivoluzione, l’assenza di preoccupazione finanziaria, consentì di produrre tra il 1924 e il 1933 una serie di film potenti”. Nel 1923 era nata la Mosfil’m, cioè una casa di produzione cinematografica risultato della nazionalizzazione di studi privati da parte dell’ente statale incaricato di organizzare e coordinare l’attività cinematografica in Unione Sovietica. Fu la Mosfil’m a produrre La corazzata Potemkin nel 1925, il secondo lungometraggio di Ejzenstejn. Avrebbe prodotto anche altri film eterni di Ejzenstejn come Ivan il terribile (notare coma la distribuzione italiana lo abbia ridenominato Sergio Eisenstein) e La congiura dei boiardi. Ma anche i primi film di Andrej Tarkovskji negli anni ’60. Ejzenstejn era un ingegnere di famiglia agiata. Nel 1906 era stato a Parigi e aveva visto i film di Méliès, che lo entusiasmarono. Diversamente dalla costruzione narrativa del cinema hollywoodiano, nei film di Ejzenstejn degli anni ‘20 i protagonisti sono le masse, non i singoli eroi, e la logica narrativa è messa da parte a favore del dinamismo reso dal montaggio. Praticamente, mentre a Hollywood si costruiva il cinema narrativo classico, dal cosiddetto “linguaggio invisibile”, per yankee incapaci di seguire nulla se non una narrazione semplice e lineare, in Unione Sovietica erano avanti di secoli.
L’anno prima della Corazzata Potemkin, nel 1924, la sede centrale del Soccorso Operaio Internazionale aveva incaricato il quarantenne Francesco Misiano, nato ad Ardore, nel basso Jonio cosentino, di padre sarto e madre maestra elementare, di fondare insieme a Pudovkin, la casa di produzione cinematografica che cambiò la storia del cinema sovietico: la Mezrabpom. Misiano aveva combattuto a fianco della Luxembourg durante i moti spartachisti in Germania. Dove era finito a sua volta perché, da fervente pacifista, aveva disertato la Prima Guerra Mondiale al punto che nel 1919 sarebbe diventato il principale nemico di D’Annunzio, che lo odiava come pochi. D’Annunzio, in seguito al viaggio di Misiano a Fiume per fare propaganda antimilitarista, diramò un messaggio delirante a lui dedicato: “Noi non sopporteremo che la città sia contaminata da tanta sozzura. Date la caccia al disertore e traditore Misiano, deputato al parlamento nazionale. Infliggetegli il castigo immediato, a ferro freddo. Questo è un ordine”. La Mezrabpom-film di Francesco Misiano e Pudovkin nacque insomma come impresa privata all’epoca della nuova politica economica introdotta da Lenin nei durissimi tempi dell’accerchiamento economico e della carestia. I fondi per la Mezrabpom furono raccolti nel mondo occidentale, tra i lavoratori e gli intellettuali, soprattutto americani. Tra questi: Albert Eistein, George Bernard Shaw, Thomas Mann, il nostro idolo e ormai amico intimo Upton Sinclair, di cui abbiamo parlato diverse volte, sceneggiatore socialista finito nella lista nera del maccartismo, André Malraux, Béla Bàlazs e molti altri famosi intellettuali dell’epoca.
Come ricorda il sito micciacorta.it, “nel giro di pochi anni la casa di produzione di Francesco Misiano produsse centosessanta film e duecentoquaranta documentari, da grandi capolavori come La madre, La fine di San Pietroburgo e Tempeste sull’Asia di Pudovkin a pellicole di genere (polizieschi, comici, sentimentali, commedie) più tantissimi film per bambini, soprattutto cartoni animati estremamente innovativi. Le sale cinematografiche di tutta la Russia si riempirono di spettatori incantati da storie in cui riconoscevano la loro vita di tutti i giorni, come ne La ragazza con la cappelliera, o si lasciarono trasportare nel mondo fantastico de Le avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi e perfino in mondi alieni come quello di Aelita di J.A. Protazanov che incita all’insurrezione i proletari del pianeta Marte. La Hollywood rivoluzionaria di Misiano investì in tutti i generi e i film della Mezrabpom facevano ridere, piangere e pensare milioni di cittadini sovietici. Affascinarono le platee di tutto il mondo con le vicende della rivoluzione d’Ottobre, grazie soprattutto alla Corazzata Potemkin che fu proprio Misiano a esportare e distribuire attraverso la Prometeus Film fuori dai confini dell’Unione Sovietica”. Sulle pagine del Reventino, una rivista calabrese, leggiamo un altro paio di notizie formidabili su Francesco Misiano. Per esempio riguardo l’esistenza di un film, Il bacio di Mary Pickford, che è incentrato sul resoconto del viaggio a Mosca di Douglas Fairbanks jr. e Mary Pickford – due degli attori più famosi di Hollywood dell’epoca (e guarda caso grandi amici di Charlie Chaplin col quale avevano fondato una delle rarissime case di produzione indipendenti a Hollywood, la United Artists) per promuovere l’industria cinematografica di una giovane Unione Sovietica. “Curiosamente”, si legge ancora sul Reventino, “uno dei primi film premiati a Venezia, nel 1932, è proprio un film prodotto da Misiano, Il cammino verso la vita di Nikolaj Ekk, anche primo film sonoro della storia del cinema sovietico”. Storia dell’educazione marxista di un gruppo di giovani sbandati. Nicolaj Ekk sarà anche il regista del primo film interamente a colori sovietico: Usignolo, piccolo usignolo, del 1936. “Ma la febbrile attività del comunista calabrese”, continua Reventino, non è limitata solo all’Unione Sovietica perchè si estende a tutta l’Europa e particolarmente alla Germania, dove, assieme al socio e amico Willy Munzenberg dà vita alla Prometheus film, struttura che importa in occidente i film girati in Russia, e che produce opere interessantissime di Brecht, Ivens, Piscator, dando vita al ‘Cinema proletario’, un cinema pensato per rappresentare le esigenze delle classi popolari”.
La Mezrabpom produsse anche il primo film di fantascienza russo, Gibel’ sensacii (che significa “perdita di sensazioni”, quello che succede a chi mi sente pronunciare termini russi), del 1935, diretto da Aleksandr Andrievsky. Un film su Robot dalle fattezze meccaniche che portano la scritta “R.U.R.” sulla parte frontale. R.U.R. significa “i Robot Universali di Rossum” ed era il titolo di un dramma fantascientifico del 1920 dello scrittore ceco Karel Capek. La prima volta nella storia in cui apparve il termine “robot”, che appunto in ceco significa “lavoro faticoso, servitù”. È interessante notare che i robot di Čapek sono in realtà umanoidi organici – cioè androidi – e non meccanici o metallici, come siamo stati poi abituati da Hollywood. Interessante perché l’ultimissima frontiera della robotica androide, a distanza di più di un secolo, è proprio un androide con scheletro sintetico e muscoli artificiali che imitano il sistema muscoloscheletrico del corpo umano. Il dramma di Capek ha influenzato Metropolis, di Fritz Lang, del 1929. Piccola curiosità: il regista di Dark City, Il corvo e Io, robot, Alex Proyas, ha dichiarato che sta girando un nuovo film tratto da R.U.R. di Capek. Nell’anno del film sui robot, il 1935, Misiano era ancora direttore della casa di produzione, ma come fa notare “Slavia”, rivista trimestrale di cultura, quello fu il suo ultimo anno. “La Mezrabpom fu l’unica casa di produzione, con capitale misto (privato e pubblico, nazionale e internazionale), che riuscì, per un lungo periodo, a sopravvivere alla totale nazionalizzazione dell’industria cinematografica e a mantenere una certa autonomia a livello di scelte produttive. Nel 1936, sia la casa di produzione che l’ufficio di Mosca del Soccorso Operaio Internazionale furono sciolti definitivamente e la Mezrabpom fu trasformata in casa di produzione specializzata in film per bambini.”
Sempre secondo micciacorta.it: “Agli inizi del 1934, il cognato di Togliatti accusò Misiano di aver sostenuto in un dramma teatrale del 1918 ‘una tesi antileninista’. Misiano venne pesantemente accusato anche sul giornale del Partito con nove articoli e due vignette. Anche la moglie, Maria, venne presa di mira. ‘So bene che nella vita del Partito, una parola mal collocata in una Commissione d’inchiesta può uccidere un uomo’, annotava Misiano già nel 1923. La profezia si avverò nel 1936. Venne proposta al partito bolscevico dell’Urss la sua espulsione. Misiano si ammalò e morì il 16 agosto del 1936 in un sanatorio. Si diffuse la voce che fosse stato assassinato. Tre giorni dopo, a Mosca, sarebbe iniziato il primo dei grandi processi staliniani”.
Molti dicono che se non fosse morto sarebbe comunque stato una delle vittime del Grande Terrore.
Ci ricorda Giuliano Vivaldi in un articolo su Jacobin: “Tra i militanti che fondarono il Partito Comunista Italiano (PCI) nel gennaio 1921, pochi hanno avuto una vita straordinaria come quella di Misiano. Eppure, a parte una biografia pubblicata in Italia nel 1972, i tentativi di mettere insieme i diversi fili della sua vita sono stati rari. Altri protagonisti della fondazione del PCI hanno lasciato un’eredità teorica di reale importanza (come nel caso di Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga), hanno lasciato la loro impronta nella storia italiana (come Palmiro Togliatti), o sono diventati nomi noti tra i militanti comunisti. L’eredità di Misiano è piuttosto complessa e non è riducibile a un corpo di scritti o di pensiero”. Ironicamente, sembra che l’unico filmato che abbiamo di Misiano sia quello che lo mostra seduto accanto alle superstar di Hollywood Douglas Fairbanks Jr e Mary Pickford durante il loro viaggio a Mosca. Organizzato dallo stesso Francesco Misiano. E grazie al quale è stato realizzato, appunto, il film Il bacio di Mary Pickford, che parla di un cassiere di teatro innamorato di un’attrice alle prime armi. Lei però ha una cotta per Douglas Fairbanks e vuole uscire solo con qualcuno di famoso come una star di Hollywood. Dopo un incontro casuale e un bacio di Mary Pickford, il cassiere diventa una celebrità locale e molte ragazze lo inseguono per le strade. La popolarità del suo ammiratore fa ingelosire l’attricetta, che si innamora di lui.
Misiano era arrivato in Russia intorno al 1920, dove lo attendeva una vita turbolenta, la rivoluzione aveva scatenato le forze creative e il cinema era visto come uno strumento essenziale per educare le masse e diffondere l’ideologia bolscevica. Per la sua esperienza politica e organizzativa, oltre che per la sua passione per le arti, fu chiamato a dirigere la sezione cinematografica del Soccorso Operaio Internazionale, un’organizzazione legata al Comintern. Nel 1924 divenne capo della Mezhrabpom-Rus (poi Mezhrabpomfilm), una casa cinematografica sovietica che sotto la sua guida divenne un bastione della propaganda rivoluzionaria. Purtroppo gli anni venti del cinema sovietico presto finirono, e Misiano con essi. Il cinema sovietico è scampato all’oblio, Misiano, purtroppo, no.
Wow…Questo/è/un/servizio!
❤️