L’Europa è impotente di fronte alla Russia: il report che sta terrorizzando le cancellerie europee
“L’Europa deve affrontare la realtà che una lunga guerra di logoramento è di nuovo in corso sul suolo europeo”. Il fine del rapporto del Kiel Institute è esplicito: dimostrare, numeri alla mano, che l’Europa nel suo insieme è completamente inadeguata a proteggersi dalla minaccia russa e che per garantire la sicurezza del vecchio continente è necessario, prima di subito, imprimere una svolta radicale quanto spendiamo per armarci, come lo spendiamo e che garanzie diamo al settore privato che ad ogni euro investito corrisponderanno, per decenni, margini di profitto stellari, tutti – ovviamente – a spese dei contribuenti e dei servizi essenziali che il welfare state europeo, fino a ieri, garantiva e oggi si appresta ad esternalizzare alla grande finanza USA. “Mentre inizialmente la speranza era che questa guerra fosse un breve confronto militare” sottolinea il rapporto “è ormai chiaro che si è trasformata in una guerra di logoramento di lunga durata” e a decidere le sorti di una guerra di attrito sono 3 fattori: “la volontà politica di sostenere la guerra, le capacità di produzione per fornire il materiale militare necessario e le risorse fiscali disponibili per finanziare il tutto”; inoltre, continua il rapporto, “Mentre la guerra si protrae, è sempre più probabile che gli Stati Uniti vengano assorbiti da altri teatri e che quindi aumenti la responsabilità europea per il sostegno dell’Ucraina e per la deterrenza”. Il rapporto riporta le affermazioni del generale Cavoli, il più alto in grado tra i militari USA di stanza sul suolo europeo, secondo il quale la Russia è “sulla buona strada per produrre o rimettere in funzione oltre 1.200 carri armati all’anno e per fabbricare almeno 3 milioni di proiettili di artiglieria o razzi all’anno” e, cioè, “oltre il triplo della quantità stimata dagli Stati Uniti all’inizio della guerra”, ma soprattutto “più di tutta la NATO messa assieme”.
Le sanzioni occidentali (nonostante gli editoriali dei pennivendoli occidentali) alla Russia sembrano avergli fatto come il cazzo alle vecchie: da un lato ci sono ormai troppi Paesi che dei diktat dell’Occidente se ne fregano e, dall’altro, le sanzioni hanno accelerato gli sforzi russi verso l’autosufficienza tecnologica in sempre più settori; nel frattempo, “L’approfondimento delle relazioni con la Corea del Nord ha sbloccato la sostanziale base industriale nordcoreana”. Ciononostante, lamenta il rapporto, a oltre due anni dall’inizio di quella che il rapporto definisce “la più grande guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale”, Thyssen Krupp annunciava i suoi piani di ridurre la produzione e la forza lavoro nell’impianto di Duisburg; “Com’è possibile” si chiede indignato l’istituto “che nel mezzo di una guerra la domanda di acciaio sia così bassa da permettere alla Germania addirittura di diminuire la produzione?”, il che fa emergere il dubbio amletico: “Dopo due anni e mezzo dall’inizio della guerra” si chiede il rapporto “i governi avranno ordinato abbastanza armi da garantire una qualche forma di deterrenza?”. Il collo di bottiglia sottolineato dall’istituto è sempre il solito: la garanzia di ordini duraturi e a prezzi che garantiscano buoni margini nel tempo. Insomma: se, oltre che fare la guerra, la tua priorità è comunque far fare un sacco di quattrini ai privati con soldi pubblici, è complicato. “Le aziende ovviamente vedono che gli attuali prezzi elevati rappresentano un’opportunità per investire nella capacità produttiva”, ma, allo stesso tempo, sono consapevoli che “Se oggi troppe aziende reagiscono al segnale di prezzo elevato e investono, domani potrebbe esserci un eccesso di capacità che porta a prezzi eccessivamente bassi e rende l’investimento ex post non redditizio”, oltre – appunto – al fatto che qui la domanda arriva solo dai governi e ci sono anche intollerabili restrizioni alle esportazioni che limitano la possibilità di fare palate di soldi sterminando la gente e svuotando le casse dello Stato; la buona notizia è che se prima del 2022 le aziende belliche avevano qualche problema a farsi finanziare dalle banche, da allora i finanziatori non mancano, a partire dal mercato che ha fatto schizzare le quotazioni, in particolare di Rheinmetall che, dai 100 euro scarsi di inizio 2022, ora è poco sotto quota 500. L’istituto sottolinea anche come se, per tutte le altre aziende, minore era la distanza dal confine con l’Ucraina, maggiore era stato il crollo dei titoli in borsa, per quelle legate alla difesa è valso esattamente il contrario: “Quanto più una società di difesa è vicina all’Ucraina, tanto più alto è stato l’aumento del prezzo delle sue azioni”.
Oltre alla base industriale e ai costi, a spaventare l’istituto è anche la capacità innovativa: il rapporto ricorda come sempre Cavoli, in aprile, in audizione al Congresso aveva sottolineato che “la Russia, dopo i fallimenti e l’incapacità di apprendere iniziale, è ora riuscita a trasformare il proprio esercito in un’organizzazione in grado di apprendere continuamente”; riuscirà l’Europa a fare altrettanto? “Droni, droni marini, missili ipersonici, guerra elettronica, capacità informatiche, sistemi potenziati dall’intelligenza artificiale e sistemi d’arma piccoli e agili sono sempre più importanti” e, per mitigare “la capacità dei droni economici di distruggere sistemi costosi come carri armati e persino navi da guerra”, bisogna sviluppare contromisure adeguate e la capacità di farlo dipende dall’innovare, in particolare “nella guerra elettronica e nelle armi ad energia diretta”; d’altronde, sottolinea l’istituto, i soldi spesi in questa direzione sono sempre e comunque soldi spesi bene, perché “la spesa in tecnologia militare può innescare un’innovazione che va a beneficio di tutti i settori dell’economia, aumentando così il PIL”: “Nel complesso” sottolinea il rapporto “economizzare sulla spesa per la difesa nella situazione attuale non solo minerebbe la sicurezza, ma creerebbe anche uno svantaggio per le prospettive di crescita a lungo termine dell’Europa”. D’altronde, sono preoccupazioni comprensibili: i Russi, infatti, sono sempre stati molto aggressivi con la Germania; figuratevi che durante la seconda guerra mondiale, quando ancora c’era un terribile regime dal nome esotico di Unione delle Repubbliche Sovietiche (che pare quasi il nome di un centro sociale) e dove si professavano cose astruse come la solidarietà internazionale contro l’imperialismo e, addirittura, l’abolizione della proprietà privata, non solo ebbero la faccia tosta di reagire con violenza a un’operazione denominata Barbarossa che causò 25 milioni di morti sovietici, ma addirittura – per dire quanto sono proprio gnoranti, feroci e spregiudicati – li rimandarono a calci in culo fino a Berlino. Giustamente, ai tedeschi questa cosa non l’è mai andata troppo giù anche perché, molto spesso, si tratta di eredi diretti di quelli che combattevano con entusiasmo allora (sempre per nobilissimi motivi) come, ad esempio, la ministra degli esteri Annalena Baerbock, nipote di un simpatico, entusiasta sostenitore del nazismo e della soluzione finale che, infatti, ora la simpatica e progressista Annelena ripropone con entusiasmo per Gaza e i palestinesi in generale, in particolare di quelli che cercano protezione nelle scuole e negli ospedali: “Il diritto alla difesa di Israele ovviamente non si limita a quello di attaccare i terroristi, ma di distruggerli. E’ per questo che ho detto con chiarezza quando i terroristi di Hamas si nascondono dietro le persone, nelle scuole, entriamo in un territorio difficile, ma non ci tireremo indietro, ed è per questo che ho chiesto espressamente all’assemblea delle Nazioni Unite di togliere alle infrastrutture civili lo status di protezione di cui godono oggi se i terroristi ne approfittano. E’ per questo che la Germania si deve battere, ed è questo che significa per noi la sicurezza di Israele”.
Il rapporto sottolinea allora come, anche a questo giro, “La Russia è e rimarrà la sfida più grave alla sicurezza per l’Europa” ed essendo quella in Ucraina, appunto, una guerra d’attrito, “la vittoria è determinata dalla generazione e dal sostegno della forza, e quindi dai tassi di produzione”; e “Al di là della guerra, l’aumento della produzione russa a partire dal 2022 si tradurrà in un esercito russo nel dopoguerra più grande, meglio equipaggiato ed esperto, nonché in un’impennata delle esportazioni verso regimi ostili all’Occidente, soprattutto nei cosiddetti Paesi Sud del mondo” come, ad esempio, dimostra la crisi del Mar Rosso, dove invece che lasciarci sostenere lo sterminio dei bambini palestinesi in pace (come piace alla Baerbock) ci ritroviamo di fronte ad “attori ostili che acquisiscono sostanziali arsenali di capacità un tempo riservate a Stati potenti”. Per fare una stima più o meno realistica della crescita della capacità produttiva russa, l’istituto ha deciso di adottare una metodologia piuttosto razionale: invece che affidarsi ai comunicati stampa delle forze armate ucraine o agli articoli di Di Feo, è partita dall’assunto che se sul fronte avanzi, vuol dire che i tuoi uomini al fronte – oltre alle pale e ai chip delle lavatrici – probabilmente hanno effettivamente quello che gli serve; l’istituto, allora, ha cercato di fare una lista esaustiva delle unità coinvolte nei combattimenti a partire dall’ottobre 2022 e poi, appunto, delle armi che servono per permettergli di combattere efficacemente: d’altronde, se non si va dietro ai racconti fantasy della propaganda (sistematicamente smentiti dalla realtà), la realtà, molto banalmente, è che “Il tasso di logoramento mensile delle forze russe corrisponde a parametri di riferimento ben consolidati per la guerra convenzionale del secondo dopoguerra” e, quindi, “possiamo stimare il tasso di produzione mensile necessario per mantenere l’efficacia in combattimento di tutte le formazioni russe prendendo la percentuale di sistemi per battaglione che verrebbero logorati ogni mese”. Inoltre, sottolinea l’istituto, a maggio 2023, proprio mentre sui nostri giornali i russi trafugavano denti d’oro e ricorrevano a pale arrugginite, nel mondo reale creavano ben 2 corpi d’armata (per un numero di effettivi stimato tra i 30 e i 40 mila) e anche una nuova armata al gran completo: la 25esima Armata di Armi Combinate che, da sola, di effettivi ne dovrebbe contare anche lei tra i 30 e i 50 mila; come sottolinea l’istituto, che tutti quelli che c’erano già – più questi che sono stati aggiunti – siano stati adeguatamente armati lo si evince da un po’ di episodi concreti che, per quanto reinterpretati con molta fantasia dalla propaganda analfoliberale, rimangono comunque reali. “La cattura di Bakhmut nel maggio 2023, la sconfitta della controffensiva ucraina dell’estate 2023, la cattura di Avdiivka nel febbraio 2024, la riduzione della testa di ponte ucraina sul Dnepr a Cherson e l’offensiva in corso nell’estate 2024 nel Donbass”, tutte operazioni che – non ce ne vogliano il colonnello Stirpe e il nostro amico Iacopo Jacoboni – “senza continui rinforzi, le forze russe non sarebbero state in grado di sostenere”.
In base a tutte queste considerazioni, il risultato ottenuto dall’istituto è piuttosto chiarificatore ed è riassunto in questa tabella:
la produzione trimestrale stimata di sistemi a medio e lungo raggio per la difesa antiaerea sarebbe passata dai 6 elementi dell’ultimo trimestre del 2022 ai 12 del secondo trimestre del 2024, segnando una crescita del 100% ed è, in assoluto, la produzione che è aumentata di meno: la produzione di veicoli corazzati diversi dai carri armati veri e propri, nello stesso lasso di tempo, è passata da 585 a trimestre a oltre 1400 a trimestre, segnando una crescita del 141%; quella degli MLRS (i lanciatori multi-razzo) da 15 a 38, che significa un bel +153%; quella dei tank veri e propri, da 123 a 387 (+ 215%); quella dei droni kamikaze Lancet, da 93 a 535 (+ 475%). Dove, invece, la crescita della produzione russa potrebbe non stare al passo con le esigenze del fronte sono le fantomatiche munizioni da 155mm: “Una cadenza di fuoco giornaliera di 10.000 proiettili è stata spesso invocata come linea di base per le forze russe in Ucraina” ricorda il rapporto; una cifra talmente spropositata che, nella migliore delle ipotesi, l’Europa nel suo insieme sarebbe in grado di sostenere per la massimo 70/80 giorni l’anno, ma che mette a dura prova anche la Russia, nonostante abbia raggiunto – stima il rapporto – una produzione che va dai 3 ai 3 milioni e mezzo di proiettili l’anno (5 volte l’Europa). Sfortunatamente, però, anche nel caso gli mancasse qualcosa hanno subito trovato la soluzione: si chiama Corea del Nord, che – sostiene il rapporto – “Entro la metà del 2024 aveva fornito fino a 4,8 milioni di proiettili e razzi dalle sue scorte”, ma soprattutto che “si stima abbia una produzione annua di 2 milioni che potrebbe aumentare addirittura fino a 6 milioni”; “La situazione” continua il rapporto “è altrettanto preoccupante per la produzione di altre munizioni, come missili di tutti i tipi, bombe plananti a guida di precisione, intercettori di difesa aerea e persino i missili ipersonici Zircon. I dati della guerra, finora, mostrano che la difesa aerea ucraina ha un tasso di intercettazione complessivo del 30% per i missili e del 66% per i droni: esempi particolarmente preoccupanti includono i tassi di consumo mensile russo di oltre 1.000 bombe plananti, il ritmo crescente di attacchi mirati da parte dei missili balistici Iskander in profondità nel territorio ucraino contro risorse di primo piano come le basi aeree e persino l’uso dimostrativo dei missili ipersonici Zircon. In tutti i casi, la Russia ha aumentato la produzione, il che molto probabilmente si tradurrà in grandi riserve di munizioni in tempo di pace”. A rappresentare una sfida particolarmente ostica, poi, sono anche i droni kamikaze Lancet, che “sono difficili da rilevare, possono essere potenziati dall’intelligenza artificiale, sono in grado di colpire in profondità nel territorio ucraino (fino a 70 km) e hanno una testata abbastanza potente da distruggere carri armati, artiglieria e sistemi di difesa aerea”: considerando che “la difesa aerea della NATO sul fianco orientale rimane frammentaria, così come le capacità di guerra elettronica, dove la NATO rimane un notevole ritardo, nel caso di un ipotetico conflitto sul fianco orientale, la saturazione dello spazio di battaglia con sciami di munizioni vaganti di tipo Lancet costituisce una seria preoccupazione operativa e strategica”.
Per capire cosa siamo in grado di contrapporre alla Russia, la prima cosa che fa il rapporto è una ricostruzione di tutto quello che abbiamo perso in termini di scorte di magazzino dalla fine della guerra fredda ad oggi; per farlo, l’Italia la snobba proprio e prende in considerazione solo 4 Paesi – Francia, Regno Unito, Germania e Polonia – e si limita a 6 sistemi d’arma, che assume come proxy dello stato generale: carri armati, veicoli corazzati da combattimento della fanteria, altri veicoli corazzati, artiglieria, armi anti-aereo e aerei da combattimento. La prima cosa che sottolinea il rapporto è che “Il declino dei numeri relativi alla Germania negli ultimi 20 anni è particolarmente impressionante: nel 2004 la Germania disponeva di migliaia di carri armati e veicoli da combattimento di fanteria e addirittura di quasi un migliaio di obici. Nel 2021, questi numeri erano scesi all’ordine delle centinaia, poiché la Germania aveva solo 339 carri armati e 121 obici”, ma la stessa identica cosa si estende a tutto l’insieme dei Paesi.
I quattro Paesi insieme, infatti, nel 1992 potevano contare poco meno di 13 mila carri armati, che nel 2004 erano diventati circa 4500 e nel 2021 poco più di 1500; i mezzi corazzati da fanteria prima erano circa 6300, poi 4500 e nel 2021 poco più di 3500; gli altri veicoli corazzati da oltre 25 mila, a meno di 14 mila, fino a meno di 10 mila; gli obici da poco meno di 7000, a poco più di 2500, a meno di 1000; i missili antiaereo a corto, medio e lungo raggio da oltre 2000, a poco più di 1200, a poco più di 300; aerei da combattimento da 1300, a (caso unico di aumento) 1500 nel 2004 – grazie, principalmente, al Regno Unito -, ma solo per poi ri-precipitare sotto quota 750.
Ricostruita la lunga storia del disarmo europeo degli ultimi 30 anni che (anche se il rapporto non lo sottolinea) era perfettamente coerente con l’idea della fine della storia e del ruolo degli USA come unica superpotenza globale e poliziotti del mondo, si passa a stimare ordini e prospettive future; per farlo, l’istituto ha elaborato un nuovo strumento ad hoc: l’hanno chiamato Kiel Military Procurement tracker e, appunto, “tiene traccia sistematicamente e comparativamente degli appalti militari dei paesi europei”. Per il momento, lo strumento è stato affinato solo per la Germania: grazie a questo strumento, il rapporto dovrebbe riuscire a restituire un quadro piuttosto attendibile ed esaustivo di tutti gli ordini di nuovi equipaggiamenti militari ufficialmente confermati a partire dal 2022; quello che l’istituto, in particolare, ci tiene a sottolineare è che nonostante, appunto, vi sia una gigantesca minaccia russa alle porte e nonostante i magazzini tedeschi – dal crollo del muro e dell’Unione Sovietica – ad oggi siano stati completamente svuotati, gli ordini effettuati dal 2022 ad oggi sono a malapena in grado di rimpiazzare quel poco che siamo riusciti a mandare in Ucraina.
Ma non solo; il rapporto sottolinea, infatti, come esistano due linee di finanziamento per tenere fede agli impegni presi: la prima è il piano Einzel 14 (che sta, banalmente, per sezione 14) e si riferisce al budget ordinario, che deve essere approvato anno per anno. La seconda è il Sondervermoegen, il fondo speciale da 100 miliardi di euro annunciato in fretta e furia pochi giorni dopo l’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina; il punto è che se per il fondo speciale le risorse sono già state impegnate, per il budget regolare non è stato preso nessun impegno per il futuro e se, nel 2024, il grosso degli ordini per il triennio successivo sono, appunto, coperti dalle risorse finanziarie già impegnate tramite il fondo speciale, per gli ordini che invece dovrebbero essere evasi nel triennio successivo (quindi dal 2028 al 2030) i quattrini dovrebbero arrivare dal budget regolare: peccato, però, che – come sottolinea il rapporto – “non vi è alcuna indicazione che il bilancio regolare della difesa verrà davvero aumentato in misura sufficiente nei prossimi anni per creare lo spazio di bilancio per tali impegni”. “Invece di incrementare gradualmente il bilancio regolare della difesa nel corso dei prossimi anni” denuncia il rapporto, sembra quasi che “il Bundestag tedesco si aspetti che nel 2028 il piano Einzel 14 aumenterà drasticamente e sarà sufficientemente elevato da sostenere livelli di impegni stanziati più elevati che mai”; “Una scommessa politica” che il rapporto definisce, con un eufemismo, “rischiosa”, anche perché i precedenti non sono buoni: nel 2023, in piena guerra, il budget relativo al piano Einzel 14 per il triennio successivo, infatti, invece che aumentare è, addirittura, diminuito e non solo rispetto all’anno prima, quando l’operazione militare speciale era già stata avviata, ma anche rispetto agli anni precedenti, prima che la guerra tornasse a infiammare il cuore del vecchio continente, una cosa che – sottolinea il rapporto – dimostra “una visione politica perlomeno ambigua delle future esigenze di bilancio”.
Un’ambiguità che ha riguardato anche gli ordini e gli impegni finanziari per le munizioni che, come è ben noto, sono tra i tasti più dolenti della capacità dell’Occidente collettivo di sostenere la difesa ucraina: mentre infatti, nel 2024, si è portato a casa un impegno finanziario certo e programmabile per il triennio successivo proprio grazie al ricorso al fondo speciale, per il triennio ancora successivo l’impegno finanziario programmato cadrebbe tutto di nuovo sul piano Einzel 14 e, quindi, sul budget regolare; si tratta, quindi, di una decisione rimandata nel tempo, mentre nel 2023 quello stesso impegno è stato previsto al ribasso. Un’ “incertezza sulla futura domanda tedesca che non è stata certamente un segnale utile all’industria per rafforzare le capacità produttive”; e “Uno schema simile” continua il rapporto “è visibile anche per i veicoli da combattimento”, per i quali “Nel bilancio 2023 gli impegni per futuri acquisti sembrano addirittura diminuiti rispetto agli anni precedenti”: “Le aziende della difesa” insiste quindi il rapporto “si trovano ad affrontare una sostanziale incertezza sugli impegni di bilancio della Germania per i futuri acquisti di armi, il che probabilmente significa che gli investimenti nelle capacità produttive continuano ad essere inferiori a quanto potrebbero e dovrebbero essere. La pianificazione finanziaria a medio termine del governo tedesco non garantisce ai produttori di armi che la domanda futura ci sarà. In particolare, l’attuale pianificazione di bilancio del governo prevede che il bilancio regolare della difesa, l’Einzelplan 14, rimanga praticamente invariato a circa 52 miliardi di euro fino al 2027. E Nel 2025, l’aumento dell’Einzelplan 14 compensa a malapena l’inflazione”. Da qui al 2027, come abbiamo già accennato, a coprire il gap che separa il budget ordinario alla soglia del 2% del PIL prevista per i membri NATO è il Sondervermoegen, il fondo speciale con copertura finanziaria già approvata; l’idea, poi, è – appunto – che nel 2028, finita questa fase di transizione, sia il budget regolare ad essere aumentato al 2%, ma “Uno spostamento di bilancio di tale portata non può avvenire da un anno all’altro senza una decisione politica importante” e “che si possa raggiungere un consenso politico per una tale decisione è più che incerto”. Risultato: “Nessun produttore di armi può essere certo della domanda oltre il 2027. E di conseguenza, gli investimenti nelle capacità militari tedesche rimangono modesti”; e se, di fronte alle incertezze, gli investimenti rimangono modesti, anche quello che è stato ordinato rischia di non arrivare esattamente nei modi e nei tempi previsti.
Per capire come siamo messi concretamente per quanto riguarda la variabile fondamentale dei tempi di consegna, il Kiel Military Procurement tracker tiene traccia anche della prima e dell’ultima data di consegna prevista: il risultato è questo grafico, che dimostrerebbe come “le date di consegna previste non siano né migliorate né peggiorate negli ultimi due anni: continuano ad arrivare con ritardi di 2-4 anni, il che significa, ovviamente, che tutto ciò che non è stato ancora ordinato non arriverà prima del 2026 o del 2028 al più presto”
“Per un numero critico di anni” sottolinea quindi il rapporto “i pianificatori militari tedeschi dovranno fare i conti con i livelli più o meno attuali di scorte, mentre le capacità della Russia di Putin si rafforzano in modo significativo e la leadership occidentale rischia di indebolirsi”. E non è ancora finita perché questo grafico, sottolinea il rapporto, “potrebbe in realtà essere eccessivamente ottimista”; il punto è che su 221 ordini monitorati, le date precise di prima e ultima consegna erano reperibili pubblicamente soltanto per 106 e sarebbe opportuno “partire dal presupposto che per le osservazioni senza date specificate, le date di consegna previste non possono ancora essere stimate e probabilmente non sono ancora fissate nei contratti. E questo suggerisce che questi articoli potrebbero arrivare più tardi rispetto a quelli per i quali le date di consegna previste sono già state fissate”, un presupposto che viene ulteriormente rafforzato da quest’altro grafico:
rappresenta l’andamento nel tempo del numero di ordini per i quali non veniva specificata una data ultima di consegna, rispetto al totale. Come si vede, la media è visibilmente in crescita e questo suggerisce che “poiché gli ordini sono in aumento, le aziende hanno incontrato difficoltà nell’impegnarsi a fissare le date di consegna finali. Questa tendenza, a sua volta, suggerisce che i colli di bottiglia nella produzione potrebbero essere diventati un problema maggiore”. Il problema a monte è che “La produzione europea negli ultimi due anni e mezzo è aumentata, ma rimane comunque ampiamente al di sotto del fabbisogno”: per quanto riguarda le munizioni, la Commissione si era data l’obiettivo del milione di pezzi per il 2024 e, addirittura, 2 milioni per il 2025; “Tuttavia” commenta il rapporto “le stime della Commissione sono probabilmente troppo ottimistiche”. La Francia, ad esempio, ha effettivamente quintuplicato le consegne di proiettili da 155mm per l’obice domestico Caesar; peccato, però, partisse sostanzialmente da zero: appena 3000 proiettili l’anno, che ora sono diventati sì 15 mila (che è 5 volte tanto), ma è sempre, sostanzialmente, niente.
A fare la parte del leone per quanto riguarda le munizioni è la tedesca Rheinmetall che, però, ha annunciato l’obiettivo di produrre 700 mila munizioni l’anno entro il 2025; chi dovrebbe produrre l’altro milione e 300 mila rimane un mistero. Anche per quanto riguarda l’artiglieria qualche passo avanti è stato fatto, ma difficilmente può essere considerato minimamente sufficiente: a fare la parte del leone, qui, è la Krauss-Maffei Wegmann Nexter Defense Systems (KNDS per gli amici) che, come suggerisce il nome, è nata dalla fusione della tedesca Krauss-Maffei Wegmann e della francese Nexter Systems ormai poco meno di 10 anni fa; gli stabilimenti francesi, prima dell’operazione militare speciale russa in Ucraina, sfornavano circa 2 cannoni Caesar al mese. Ora dovrebbero essere arrivati a 8 al mese. La Germania, invece, aveva ordinato agli stabilimenti tedeschi 22 PzH 2000, ma prima che lo stabilimento di Kassel ricominciasse concretamente a metterli in produzione s’è dovuto attendere addirittura il giugno del 2024 (e la consegna ora è fissata per metà 2025); gli altri 12 PzH 2000 ordinati nel 2023 dovrebbero venire consegnati nel 2026: il problema è anche che i PzH 2000 usano lo stesso scafo dei carri armati Leopard 2 e quindi, sottolinea il rapporto, “la competizione sarà alta”. Risultato: l’istituto stima che “la produzione potrebbe aggirarsi intorno ai 5-6 PzH 2000 all’anno”; “La produzione russa di obici, invece, ricordiamo, attualmente ammonta a quasi 40 al mese”. “Nel frattempo” insiste ancora il rapporto “nonostante la comprovata efficacia dei sistemi HIMARS e Tornado in Ucraina, non è stato ancora ricevuto alcun ordine europeo per MLRS” e, cioè, di Multiple Launch Rocket system (sistemi lanciarazzi multipli) “e la produzione è di conseguenza altrettanto bassa. La produzione dei missili da crociera Taurus in Germania, in compenso, è completamente cessata” e, ovviamente, “ordinare quantità basse implica invariabilmente piccole economie di scala e costi unitari relativamente elevati”. Che nel breve termine, anzi, sono destinati ad aumentare perché aumenta sì la domanda, ma il rischio è che, appunto, non aumenti in misura tale (e con garanzie nel tempo tali) da indurre a nuovi investimenti per aumentare la capacità produttiva e ridurre, quindi, i costi unitari: si produrrà quindi un po’ di più, ma – sostanzialmente – con la capacità produttiva che c’è già; e questo significa, appunto, invece che diminuire i costi unitari, aumentarli.
Per superare queste impasse, come una Baerbock qualsiasi, anche il Kiel Institute si rifà alla migliore tradizione tedesca: al III Reich e, in particolare, al sistema di incentivi congegnato dal ministro nazista Albert Speer a partire dal ‘41, che “fu centrale per il miracolo della corsa agli armamenti della Germania Nazista”. La morale della favola è che l’Europa – che ancora, in piccola misura, è un po’ imbrigliata dalle farraginosità ereditate dal suo passato democratico – nonostante le dichiarazioni, al momento non ha fatto le scelte necessarie per dare seguito concreto alla sua volontà di entrare definitivamente in guerra contro la Russia; e dal punto di vista delle élite completamente subalterne a Washington e ideologicamente schierate a favore della guerra totale che l’imperialismo USA ha dichiarato al resto del mondo, esistono solo due opzioni: o assomigliare sempre di più alla Germania Nazista – e quindi, con la scusa di difenderci da soli, provare per l’ennesima volta a sconfiggere la Russia sul terreno militare – oppure rassegnarci al fatto di essere rasi al suolo perché dobbiamo per forza assecondare la volontà USA di minacciare la sicurezza strategica del vicino russo, anche se gli USA saranno in altre faccende affaccendati e ci lasceranno soli soletti ad affrontare le conseguenze delle nostre provocazioni. Ovviamente, per le persone sane di mente c’è sempre una terza opzione, anche se per l’ideologia suprematista delle nostre élite è, evidentemente, troppo spregiudicata: farci – come suggerisce il nostro ideologo di riferimento Antonio Razzi – beatamente li cazzi nostri consapevoli che, come ci insegna Emmanuel Todd, la Russia (ovviamente) non ha nessunissima intenzione di invadere chicchessia, dal momento che se c’ha un problema (e un problema ce l’ha davvero), consiste nel trovare il modo di popolare i suoi giganteschi territori nell’era del declino dei valori tradizionali e della denatalità strutturale; in questo modo, per quanto possa sembrare incredibile, eviteremo sia di trasformarci in un nuovo, gigante Stato etico dedito alla guerra, che di farci nuclearizzare. Potremmo ricominciare a comprare gas a basso prezzo con cui alimentare la produzione di cose che servono a vivere (invece che a morire) e avremmo anche finalmente l’opportunità, dopo 80 anni, di mandare Washington (che appunto, porella, è in altre faccende affaccendata per occuparsi di noi) definitivamente affanculo.
Non so a voi, ma a me pare un programma piuttosto convincente e – tutto sommato – anche semplice e realistico: basta mandare a casa quei 4 scappati di casa che guidano i nostri governi nazionali e Bruxelles e che, ormai, rappresentano a malapena i loro familiari più stretti; per farlo, bisogna prima mandare a casa quegli altri 4 scappati di casa che siedono nelle redazioni dei giornali e in tutti i posti di comando dei mezzi di produzione del consenso e che, ormai, sono universalmente oggetto di pubblico ludibrio. E, per farlo, ci serve fondamentalmente una cosa: un vero e proprio media che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Annalena Baerbock
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