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Tag: rapporto

Il Regime USA viola i diritti umani – Il rapporto cinese che imbarazza Washington

Il governo degli Stati Uniti sta sistematicamente violando i diritti umani dei propri cittadini: razzismo, condizioni disumane nelle carceri, violazione dei diritti di donne e bambini e discriminazione dei migranti; per questo, Ottolina Tv ha ufficialmente chiesto alla comunità internazionale di imporre severe sanzioni economiche contro il governo di Washington e, qualora queste non portassero nel breve termine a un cambio ai vertici del potere, di valutare un intervento militare diretto volto a far cadere l’attuale regime liberticida e a ristabilire la democrazia e lo stato di diritto nel Paese. E se anche tu vuoi sostenere questo nostro appello rivolto alle democrazie di tutto il mondo, basta iscriversi al nostro canale Youtube e a tutti i nostri canali social. Scherzi a parte, dopo i numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch sulla violazione dei diritti umani universali negli Stati Uniti, anche il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha deciso di fare le pulci alla politica interna del regime dei doppi standard e, in questi giorni, ha pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani negli Usa nel 2023; in questo clima di crescente propaganda anticinese, infatti, che – a forza di menzogne e fake news – sta cercando di convincerci che ci sarà presto bisogno di una nuova crociata in nome della democrazia e della libertà per difenderci contro il malvagio e dittatoriale governo cinese, Pechino, da qualche anno, ha deciso di passare al contrattacco e ormai ogni anno pubblica un rapporto di una trentina di pagine su tutte le violazioni dei diritti che i cittadini americani sono costretti a subire dal proprio regime. In maniera molto intelligente, per prevenire possibili accuse di parzialità rispetto ai dati e ai numeri riportati il rapporto cinese cita solamente risultati di ricerche svolte da università americane e organizzazioni occidentali: quello che emerge è che non solo, come noto a tutti, i diritti sociali universali – come quello all’istruzione, alle cure e alla casa – sono sistematicamente violati dal governo capitalista americano contravvenendo così, nel silenzio generale, agli articoli dal 22 al 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, ma anche per quanto riguarda i diritti civili e politici, di cui (pure nel nostro immaginario di sudditi) gli Stati Uniti sarebbero i massimi difensori quando non i legittimi esportatori, la situazione è drammatica.
Lo Stato leader dell’Occidente e dei valori democratici infatti, a causa della sua struttura economico-politica sempre più oligarchica e imperialista, preferisce spendere centinaia di miliardi di dollari per mantenere la propria egemonia in Europa orientale e in Medio Oriente o per finanziare le proprie basi militari sparse per il pianeta piuttosto che prendersi cura del benessere materiale dei propri cittadini e tutelarne i diritti sociali e civili. Questo fatto elementare, che è chiaro ed evidente a tutto il mondo e da cui tutto il mondo sta traendo le sue conseguenze, qui da noi non è chiaro per nulla: in Italia, ad esempio, dosi da cavallo di propaganda collaborazionista riesce a farlo passare come qualcosa di cui si sa, ma che è sostanzialmente irrilevante, e continuiamo a parlare del regime americano come di un baluardo di libertà e democrazia. Come avrete notato, difficilmente a Ottolina Tv mettiamo becco negli affari interni degli altri Stati; in questa fase di massima aggressività dell’imperialismo – anche culturale – nei confronti di ciò che non è allineato ai nostri canoni, andare in giro con il ditino alzato a giudicare quella o quell’altra comunità per i suoi valori, le sue tradizioni o per come viene regolato il rapporto tra l’individuo e lo Stato, non ci interessa; per quanto ci riguarda, infatti, le nazioni dovrebbero avere tutte pari dignità e sovranità nei consessi internazionali indipendentemente dai loro regimi politici interni e, a meno che non si mettano a bombardare altri popoli o a cercare di esportare il proprio modello con la forza, tutte le collettività devono essere libere di esprimere in base alla propria storia e sensibilità le istituzioni politiche e giuridiche che preferiscono. La regola aurea, insomma, di un rinnovato diritto internazionale e di una rinnovata cultura anti-imperialista, oltre alla solidarietà dovrebbe essere grossomodo quella che ciò che fanno gli altri a casa loro sono, sostanzialmente, fatti loro. Nel caso della violazione dei diritti umani negli Stati Uniti, però, purtroppo la cosa ci riguarda direttamente: in quanto poco più che province del loro impero, infatti, stiamo da tempo importando con le buone o con le cattive la loro mentalità e le loro forme politiche ed economiche; e, infatti, l’ideologia dominante in Italia vuole che, per diventare pienamente moderni, gli italiani e gli europei dovrebbero americanizzarsi il più possibile. Ancora nel 2014, alla Stampa, nientepopodimeno che Walter Veltroni dichiarava che, per progredire e svilupparsi, il sistema politico italiano sarebbe dovuto diventare più anglosassone; a causa di tutto questo, purtroppo, quello che fanno negli USA anche in tema di diritti civili ci riguarda eccome e siamo chiamati a valutarlo e giudicarlo politicamente. Il rapporto del governo cinese è inquietante e se volessimo ripagare gli americani con la loro stessa moneta, invocheremmo guerre umanitarie e bombe democratiche sul paese per ristabilire il pieno rispetto diritti umani e della dignità della persona, ma (per fortuna) noi non siamo come loro, perché a diventare più anglosassoni proprio non ci vogliamo rassegnare.
Come c’era da aspettarsi, dell’ultimo rapporto della Repubblica Popolare Cinese sulla violazione dei diritti umani in America non ha parlato praticamente nessuno con poche meritevoli eccezioni: Centro studi Eurasia- Mediterrano e Marx 21, che hanno ripubblicato anche la versione tradotta in italiano. Quella cinese è un’operazione politica e propagandistica intelligente: utilizza i criteri politici occidentali – tutti incentrati, ormai da decenni, solo sui diritti umani intesi (non si sa perché) solo come diritti civili – proprio per dimostrare come quella che, nel nostro immaginario, è la società occidentale per eccellenza i diritti civili sia la prima violarli; obnubilati dalla vostra propaganda siete convinti che la Cina sia il regno della violazione delle libertà e dei diritti umani? Bene. Allora vi dimostriamo che la vostra nazione leader fa quantomeno altrettanto. Ma non c’è solo questo, perché già l’incipit del rapporto è molto interessante e dimostra come, da una sana prospettiva socialista, anche i cosiddetti diritti civili, per non restare un qualcosa di meramente astratto e sulla carta per la maggior parte delle persone, possono essere realizzati solo in un contesto economico politico giusto e redistributivo. Nelle società a capitalismo avanzato come gli USA, invece, anche i diritti civili – come, naturalmente, quelli sociali – diventano pura retorica e vuote chiacchiere in quanto, nella sostanza delle cose, diventano possesso esclusivo di una cerchia sempre più ristretta di persone (quella più ricca): “La situazione dei diritti umani negli Stati Uniti ha continuato a peggiorare nel 2023” si legge nella prefazione; “Negli Stati Uniti, i diritti umani stanno diventando sempre più polarizzati. Mentre una minoranza al potere detiene il dominio politico, economico e sociale, la maggioranza della gente comune è sempre più emarginata e i suoi diritti e le sue libertà fondamentali vengono ignorati.” E, a questo punto, si parte con gli esempi e con i dati.
La prima piaga sociale menzionata è quella delle vittime delle armi da fuoco: “I dati mostrano che negli Stati Uniti sono in aumento tutti i tipi di violenza armata. Secondo il Gun Violence Archive, nel 2023 negli Stati Uniti si sono verificate almeno 654 sparatorie di massa. La violenza armata è responsabile di quasi 43.000 morti, una media di 117 al giorno”; come sottolinea giustamente il rapporto, la stragrande maggioranza degli americani vorrebbe leggi più severe sul controllo delle armi e, tuttavia, i politici americani ignorano la richiesta della propria popolazione in quanto ostaggi delle lobby delle armi e dei cartelli oligarchici di cui fanno parte. Sempre sul tema delle morti violente, il rapporto cita poi i decessi dovuti alle brutalità della polizia che hanno raggiunto, nel 2023, un livello record: “Secondo Mapping Police Violence, l’anno scorso la polizia negli Stati Uniti ha ucciso almeno 1.247 persone, circa 3 persone al giorno”. Un problema ancora più grave e strutturale riguarda, però, la popolazione carceraria: “Gli Stati Uniti ospitano il 5% della popolazione mondiale, ma ospitano il 25% dei prigionieri del mondo, il che li rende il Paese con il più alto tasso di carcerazione e il maggior numero di individui incarcerati a livello globale”. Per non parlare del razzismo, altro problema strutturale – come sottolinea giustamente il rapporto – mai veramente risolto; ad esempio, uno studio pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite nel 2023 ha rivelato che i tassi di mortalità materna tra gli afroamericani erano più alti rispetto a quelli di tutte le altre etnie a causa del razzismo sistemico nel sistema sanitario: “Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, 69,9 donne incinte di origine africana su 100.000 muoiono durante la gravidanza o il parto, quasi tre volte il tasso delle donne bianche, e questa disparità è prevalente tra le donne afroamericane con livelli di istruzione e reddito più bassi”. Anche i neonati afroamericani hanno il tasso di mortalità più alto di qualsiasi altro gruppo etnico, con quasi 11 decessi ogni 1.000, circa il doppio del tasso medio.
E in questo clima di crescente sinofobia, causato dall’atteggiamento sempre più ostile delle oligarchie americane nei confronti di Pechino, anche la discriminazione nei confronti degli asiatici non poteva che intensificarsi: “Un sondaggio pubblicato il 27 aprile 2023 dalla School of Social Work and Committee della Columbia University” scrivono gli autori del rapporto “ha mostrato che quasi tre quarti dei cinesi americani avevano subito discriminazioni razziali nell’ultimo anno e il 55% temeva che i crimini d’odio o le molestie avrebbero potuto mettere a repentaglio la loro sicurezza personale”; alla dogana, afferma il report, gli studenti cinesi che studiano negli Stati Uniti stanno subendo sempre più spesso controlli e pressioni al limite della violenza psicologica. Per quanto riguarda i diritti delle donne e dei bambini, gli Stati Uniti hanno il tasso di mortalità materna più alto tra i paesi industrializzati: “Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of American Medical Association nel luglio 2023, il numero di persone che muoiono per cause legate alla gravidanza negli Stati Uniti è più che raddoppiato negli ultimi 20 anni. Il problema è che più di 2,2 milioni di donne statunitensi in età fertile non hanno accesso alle cure ostetriche e altri 4,8 milioni vivono in contee con accesso limitato alle cure di maternità”. Anche la discriminazione di genere, come ad esempio quella sul posto di lavoro, è dilagante: secondo un rapporto del Times dell’8 agosto 2023, riportato nel documento del governo cinese, “Il divario salariale tra uomini e donne continua ad ampliarsi, dal 20,3 % nel 2019 al 22,2 % nel 2022”. Per fortuna, almeno la ricchezza, negli ultimi anni, è stata maggiormente distribuita e la forbice tra ricchi e poveri si è ridotta. Scherzo: “Il divario tra ricchi e poveri si è ulteriormente ampliato” si legge nel rapporto; “Il divario ha raggiunto il livello peggiore dalla Grande Depressione del 1929. Secondo i dati diffusi da Statistics il 3 novembre 2023, il tasso di povertà negli Stati Uniti nel 2022 ha raggiunto l’11,5%”. Nel terzo trimestre del 2023, il 66,6% della ricchezza totale negli Stati Uniti era posseduto dal 10% dei percettori di reddito più ricchi; l’accumulo di ricchezza e la ridotta mobilità sociale nella società americana, conclude il rapporto (a questo proposito con una certa lucidità politica), “sono radicati in un triplice disegno istituzionale: sfruttare i poveri, sovvenzionare i ricchi e segregare le classi”.
Attualmente, mentre decine di miliardi di dollari vengono mandati al governo israeliano per poter compiere una pulizia etnica a Gaza, anche le famiglie a basso reddito americane riescono a malapena a soddisfare i loro bisogni primari: “Poiché i prezzi delle materie prime negli Stati Uniti nel 2023 rimangono elevati, insieme al peso dei continui aumenti dei tassi di interesse, il costo della vita degli americani continua ad aumentare da diversi anni. Secondo l’indice dei prezzi al consumo del Bureau of Labor Statistics, un dollaro nel 2023 può acquistare circa il 70% di ciò che avrebbe potuto acquistare nel 2009”; e secondo un rapporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2022 quasi il 13% delle famiglie americane soffriva di insicurezza alimentare. Anche il numero dei senzatetto è al livello più alto da 16 anni: “Secondo un rapporto pubblicato dal Dipartimento statunitense per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano il 15 dicembre 2023, il numero di senzatetto negli Stati Uniti in questa fase supera i 650.000, il più alto dall’inizio della segnalazione nel 2007” e, come viene giustamente ricordato nel rapporto, la legislazione USA nei confronti dei senzatetto è tra le più severe al mondo; i loro diritti umani basilari vengono costantemente violati e “Questa violazione dei diritti umani fondamentali dei senzatetto negli Stati Uniti è stata ampiamente criticata. Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha esortato gli Stati Uniti ad abolire le leggi e le politiche che criminalizzano i senzatetto a tutti i livelli e ad adottare misure legislative e di altro tipo che ne tutelino i diritti umani”. In un contesto sociale del genere – davvero paradossale se si pensa che l’attuale ricchezza nazionale americana potrebbe garantire sicurezza e benessere sociale a tutti i proprio cittadini per generazioni e generazioni a venire – i tassi di suicidio non potevano che aumentare: “Secondo un rapporto pubblicato il 29 novembre 2023 dal sito web USA Today, il tasso di suicidio tra gli americani è aumentato costantemente negli ultimi decenni. Il tasso di suicidio per 100.000 persone nel 2022 è stato di 14,3, il più alto dal 1941”. E anche la credibilità del governo di fronte ai propri cittadini continua a diminuire: “Secondo i dati dell’indagine del Pew Research Center, la fiducia del pubblico americano nel governo è vicina ai minimi storici e, nel 2023, si è attestata al 16%”.
Che ci sia Trump o Biden, il regime oligarchico e imperialista americano è sostanzialmente disprezzato e delegittimato agli occhi dei propri cittadini che non vivendo, però, in un regime democratico, non sono in grado di cambiare le cose; e per quanto stiano cercando di convincerli che i loro problemi si chiamano Russia, Cina o Maometto, stanno invece cominciando a capire che si chiamano capitalismo finanziario, neoliberismo e imperialismo. Infine, il rapporto si sofferma sulle crisi umanitarie che l’intervento militare americano ha causato alle popolazioni del pianeta: “Un rapporto di ricerca pubblicato nel maggio 2023 dal sito web del progetto Costs of War della Brown University rivela che nei teatri di guerra in cui gli Stati Uniti hanno condotto operazioni di antiterrorismo all’estero in seguito agli attacchi dell’11 settembre, il bilancio totale delle vittime conta almeno 4,5 – 4,7 milioni di persone. Tra questi, si stima che il numero di morti indirettamente causati da sconvolgimenti economici legati alla guerra, danni ambientali, perdita di servizi pubblici e infrastrutture sanitarie sia compreso tra 3,6 e 3,8 milioni di persone”. A tutto ciò ha contribuito anche l’uso prolungato e indiscriminato di sanzioni economiche unilaterali: dal 1950, gli Stati Uniti hanno utilizzato più sanzioni di qualsiasi altro Paese al mondo; lo sanno bene i siriani, i venezuelani, i cubani e gli iraniani, popoli che hanno avuto la colpa di non allinearsi. Insomma: per quanto riguarda la società americana, conclude il report, i diritti umani “si sono trasformati in un privilegio di cui godono solo pochi”. E in politica estera il regime nordamericano sta “seriamente minacciando e ostacolando il sano sviluppo della causa mondiale dei diritti umani. Le azioni parlano più forte delle parole. Riusciranno gli Stati Uniti a superare l’impasse con idee e iniziative in linea con le caratteristiche dei tempi e delle correnti della storia? Il popolo americano sta aspettando, la comunità internazionale sta guardando e il governo degli Stati Uniti deve rispondere”.
Con queste parole si conclude il rapporto, ma se anche tu pensi che il regime autoritario e liberticida americano non risponderà mai e che solo un grande mobilitazione popolare che possa rovesciare il regime e ristabilire la democrazia, la libertà e lo stato di diritto (magari con l’aiuto di qualche potenza estera) potrà veramente cambiare le cose, allora Ottolina Tv è il canale giusto per te: iscriviti a tutti i nostri canali e aiutaci a mantenerci liberi ed economicamente indipendenti aderendo alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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L’asse Russia – Cina per la costruzione di Stati sovrani e indipendenti fa tremare l’imperialismo

Non ha manco finito di mettere in piedi il nuovo governo che ecco che Putin è già in visita a Pechino! D’altronde, che la prima visita ufficiale di Stato dopo una rielezione veda coinvolti i due paesi è ormai un’usanza da oltre 10 anni, da quando cioè Xi, nel 2013, inaugurò la sua presidenza con una visita a Mosca che vide i due leader intrattenersi in un faccia a faccia a porte chiuse durato la bellezza di 5 ore. Ora Putin non vuole certo essere da meno e in una lunga intervista pubblicata dall’agenzia cinese Xinhua – “una delle più importanti e affidabili al mondo” secondo le parole dello stesso Putin – il 5 volte presidente della Russia prova a delineare le direttrici fondamentali di questa amicizia senza limiti tra i due paesi, come viene definita nelle comunicazioni diplomatiche ufficiali. In questa fase di feroce revisionismo storico dove, piano piano, si fa spazio la narrazione che in realtà la seconda guerra mondiale è stata la guerra del mondo libero contro i due totalitarismi alleati tra loro, Putin decide di partire proprio dalla grande alleanza anticoloniale e antinazifascista tra Cina e Unione Sovietica cementata in quegli anni: “I nostri popoli” sottolinea Putin “sono legati da una lunga e forte tradizione di amicizia e cooperazione”; “Durante la seconda guerra mondiale” sottolinea “soldati sovietici e cinesi si opposero insieme al militarismo giapponese e noi oggi ricordiamo e celebriamo il contributo che il popolo cinese ha dato alla vittoria comune, perché fu la Cina a trattenere le principali forze militariste giapponesi, consentendo all’Unione Sovietica di concentrarsi sulla sconfitta del nazismo in Europa”. Ora gli eredi dei nazifascisti in Europa e in Giappone sono impegnati a terminare l’opera interrotta dalla gloriosa resistenza di cinesi e russi, come braccio armato dell’impero. Putin ricorda anche come l’URSS fu, in assoluto, il primo paese al mondo a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese nata dalla guerra anticoloniale; ricorda anche che, in questi tre quarti di secolo, il rapporto tra i due paesi ha attraversato momenti decisamente difficili, ma sottolinea come tutto questo sia servito da insegnamento e come oggi entrambi i Paesi siano pienamente consapevoli che “La sinergia di forze complementari fornisce un potente impulso per uno sviluppo rapido e globale”.
La complementarietà delle economie russe e cinesi, a questo stadio di sviluppo, è piuttosto palese: da una parte il paese più ricco di materie prime al mondo e, dall’altro, l’unica vera grande superpotenza manifatturiera globale che produce, da sola, circa un terzo di tutto quello che viene prodotto oggi in tutto il pianeta e che di quelle stesse materie prime ha una sete inesauribile; attenzione però, perché – ovviamente – questa complementarietà è anche il prodotto di uno squilibrio. Un’economia fondata sull’estrazione delle materie prime si colloca strutturalmente a uno stadio di sviluppo inferiore rispetto a un’economia trasformatrice e, se il rapporto fosse fondato esclusivamente sull’evoluzione spontanea delle dinamiche capitalistiche, con l’approfondirsi dell’integrazione economica questo squilibrio, nel tempo, necessariamente non farebbe che accentuarsi: la ragione è molto semplice e consiste nel fatto che nel capitalismo il più forte vince sempre e cannibalizza il più debole; quindi in regime di libero scambio puro, senza l’intervento di quelli che vengono definiti fattori esogeni (e quindi, in soldoni, della politica e dello Stato), quando due economie che hanno – in virtù delle dimensioni delle rispettive manifatture – due livelli di produttività così lontani come quella cinese e quella russa aumentano il livello di integrazione, alla fine del giro quella che è partita avvantaggiata non farà altro che aumentare il suo vantaggio sempre di più. Che è esattamente il motivo per cui nel mondo, anche dopo i processi di decolonizzazione (e, quindi, una volta terminata la sottomissione di un paese ad un altro tramite l’esercizio della forza bruta), invece di emanciparsi dai rapporti di dipendenza, i paesi sottosviluppati hanno spesso ulteriormente aggravato la loro subordinazione, in particolare laddove alla lotta di liberazione non ha fatto seguito la costruzione di uno Stato sovrano minimamente funzionante in grado, appunto, di intervenire e apportare dei correttivi sostanziosi.

Xi Jinping e Vladimir Putin

Che è, appunto, il nocciolo della faccenda: cresciuti ed educati in un sistema dove gli Stati, scientemente, sono Stati privati della loro capacità di intervenire per apportare dei correttivi – e, anzi, dopo la parentesi democratica del dopoguerra sono tornati ad essere sempre di più essi stessi veri e propri agenti del capitale (e cioè strutture il cui unico scopo è velocizzare e rendere ancora più efficaci e inarrestabili i meccanismi interni del capitalismo), i pennivendoli della propaganda neoliberista, spesso anche in perfetta buona fede, non possono che vedere nel rafforzamento dei rapporti tra due economie così diverse, come quella russa e quella cinese, un inevitabile processo di subordinazione dell’una nei confronti dell’altra. Ed ecco così che da anni, un giorno sì e l’altro pure, le pagine dei giornalacci cercano di convincerci che la Russia ha ben poco da festeggiare perché se, dopo essere stata isolata dall’Occidente democratico e liberale, è costretta ad andare in ginocchio a Pechino alla ricerca di un’alternativa, questo non potrà che renderla un paese vassallo, col petto gonfio di retorica, ma totalmente incapace di esercitare una qualsivoglia sovranità reale; d’altronde, se cane mangia cane e sono scomparse tutte le museruole in circolazione, che alla fine quello più grosso e allenato prevalga è del tutto normale e inevitabile. Fortunatamente, però, in realtà esistono parecchie più variabili di quelle che solitamente è in grado di prendere in considerazione il pensiero binario dell’uomo neoliberale ed è su questo che insiste Putin che, nell’intervista, torna più volte in particolare su due semplici ma essenziali concetti: il perseguimento dei rispettivi interessi nazionali e il rispetto della sovranità. “Vorrei sottolineare” dichiara ad esempio Putin subito all’inizio dell’intervista, che il rapporto tra i nostri due Paesi “si è sempre basato sui principi di uguaglianza e fiducia, di rispetto reciproco della sovranità e di considerazione degli interessi reciproci”.
Al di là della retorica e del politichese, cosa significa in soldoni? Per capirlo bene facciamo un controesempio: i trattati di libero scambio e di libera circolazione dei capitali promossi dall’Occidente, in piena osservanza dei dogmi neoliberali; in questo caso si tratta, appunto, di limitazioni della sovranità degli Stati, che rinunciano a controllare la fuga dei capitali verso l’estero e l’ingresso di merci verso l’interno. Risultato: invece che gli interessi nazionali, a trionfare sono gli interessi specifici dei capitalisti. Il giochino lo conosciamo tutti (è il funzionamento di base della globalizzazione neoliberista): il primo punto è che i capitalisti possono andare liberamente a caccia dei posti più redditizi per i loro investimenti scatenando, così, una concorrenza al ribasso tra i vari paesi per offrire le condizioni migliori per attrarli, sforzandosi di contenere i salari dei propri lavoratori oppure adottando regole sempre più permissive in termini di standard ambientali o di sicurezza – che, in soldoni, significa sempre meno soldi che vanno in salari e sempre di più in profitti; il secondo è che i Paesi (o i pezzi di oligarchia) che partono avvantaggiati dividono il processo produttivo in tanti pezzetti diversi e mentre relegano il lavoro povero ai paesi che offrono vantaggi salariali e regolativi, si tengono la testa per loro. Si va così a consolidare una divisione internazionale del lavoro con una gerarchia ben precisa dove i paesi periferici perdono completamente il controllo della filiera produttiva a favore di quelli più avanzati, che continuano ad ampliare la loro superiorità tecnologica; insomma: prima magari producevi dei trattori che non si possono vedere, ma li producevi come volevi te e potevi decidere quanti produrne, come e quanto pagare i lavoratori, quante tasse far pagare ai proprietari della fabbrica o magari, addirittura, la fabbrica nazionalizzarla. Ora, magari, i trattori che contribuisci a costruire possono anche essere il top di gamma, ma della tua vecchia indipendenza non c’è più traccia e a determinare tutti i fattori è la concorrenza imposta da chi sta in cima alla piramide, tra tutti i suoi sottoposti: sei una specie di gladiatore in un’arena che si deve prendere a sciabolate con gli altri, mentre chi detiene la testa di tutta la catena sta sugli spalti a godersi lo spettacolo e a incassare il cash; e da questa spirale, finché ti affidi alle magnifiche sorti e progressive del mercato, non c’è verso di uscire.
E non abbiamo manco ancora introdotto il terzo punto, che è forse quello più rilevante in assoluto e, cioè, l’aspetto finanziario: chi ha il potere di decidere dove vanno i soldi per fare cosa. Ecco: quella è, in assoluto, la cima della piramide e che – grazie alla globalizzazione neoliberista – si stacca sempre di più da tutto il resto diventando irraggiungibile; grazie alla piena libertà di circolazione dei capitali garantita dalla globalizzazione neoliberista, i capitali hanno subìto un processo di concentrazione senza precedenti e chi detiene questi monopoli finanziari privati (e, quindi, decide dove vanno i soldi per farci cosa) ha il vero potere, ben al di sopra dei singoli Stati. Ecco: una cooperazione e un’integrazione economica fondata sul riconoscimento dei rispettivi interessi nazionali e della sovranità è, sostanzialmente, l’opposto di questo meccanismo; uno Stato sovrano, quindi, è uno Stato che decide politicamente le condizioni alle quali le merci possono entrare e i capitali uscire. Ed è per questo che nella neolingua dell’Occidente neoliberale, al termine sovrano abbiamo sostituito autoritario: per l’Occidente democratico, è autoritario ogni Stato abbastanza forte da limitare la libertà delle oligarchie di concentrare nelle loro mani il potere finanziario e trasformarlo, poi, in un potere politico superiore a quello dello Stato stesso; democratico, invece, è ogni Stato che lascia alle oligarchie il potere di fare un po’ cosa cazzo gli pare e le istituzioni possono accompagnare solo.
Da questo punto di vista, la Cina (di sicuro) e la Russia (in buona misura) sono senz’altro Stati autoritari e, quindi, la loro relazione è una relazione tra Stati autoritari, con nessuno dei due che è in grado di imporre niente all’altro e, men che meno, le rispettive oligarchie; per questo è un tipo di relazione che non ha niente a che vedere con quelle a cui siamo abituati nel giardino ordinato, sia perché – a differenza del rapporto tra impero e vassalli che regola le relazioni all’interno dell’Occidente collettivo – non c’è un rapporto gerarchico a livello militare e i due Paesi sono autonomi e indipendenti dal punto di vista prettamente geopolitico (e questo viene riconosciuto anche dagli analfoliberali), ma soprattutto perché, appunto, entrambi hanno mantenuto un discreto livello di sovranità rispetto allo strapotere delle rispettive oligarchie e quindi, di conseguenza, ognuno rispetto alle oligarchie dell’altro. Insomma: sotto tanti punti di vista, nonostante le enormi differenze e gli enormi squilibri che abbiamo già sottolineato, si tratta molto banalmente di un rapporto tra pari che per noi, nati e cresciuti nelle periferie dell’impero, è una cosa quasi inconcepibile ed ha molte conseguenze, anche contraddittorie. A differenza dei rapporti dove vige una gerarchia precisa, ad esempio, i rapporti tra pari sono incredibilmente complicati; lo sono all’interno di una coppia o tra amici: figurarsi tra Stati – e ancor di più tra due superpotenze del genere. E gli esempi abbondano: basti pensare a Forza della Siberia II, il gasdotto da 2600 chilometri che dovrebbe trasportare 50 miliardi di metri cubi di gas russo ogni anno in Cina, un’infrastruttura strategica che più strategica non si può; eppure, nonostante l’aria che tira e l’amicizia senza limiti, i negoziati sono ancora abbastanza in alto mare (come è giusto e normale che sia quando due enti autonomi e indipendenti devono trovare una quadra per una partita così complessa). Per fare un confronto, basta pensare alla vicenda dei due Nord Stream, quando uno Stato formalmente sovrano ha accettato che un suo supposto alleato compisse un atto terroristico di portata gigantesca sul suo territorio senza battere ciglio; oppure quando, in seguito allo scoppio della seconda fase della guerra per procura contro la Russia in Ucraina, i Paesi europei hanno aderito a delle sanzioni economiche progettate più per distruggere la loro economia che non quella dell’avversario. Ecco: se come parametro per capire la solidità di un’alleanza prendiamo questo, effettivamente no, l’alleanza tra Russia e Cina non è minimamente comparabile, ma da quando in qua il rapporto tra un imperatore e i suoi sudditi si chiama alleanza? E che fine hanno fatto tutte le filippiche degli analfoliberali sulla democrazia che è sì faticosa, ma, alla fine, è l’unica strada per stabilire legami sociali stabili e duraturi?
Ora, è proprio questo modello di rapporti democratici tra Stati autonomi e indipendenti che Russia e Cina stanno proponendo al resto del mondo; e uno degli organi multilaterali che dovrebbe servire da piattaforma per questo nuovo modello di relazioni internazionali sono ovviamente i BRICS che, quest’anno, vedono la presidenza di turno affidata proprio alla Russia che – afferma Putin – vuole utilizzare, appunto, il suo ruolo per “promuovere un’architettura più democratica, stabile ed equa delle relazioni internazionali”: Putin sottolinea che “la cooperazione all’interno dei BRICS si basa sui principi di rispetto reciproco, uguaglianza, apertura e consenso” ed è proprio per questo che, insiste, “i Paesi del Sud e dell’Est del mondo vedono nei BRICS una piattaforma in cui le loro voci possono essere ascoltate e prese in considerazione e trovano la nostra associazione così attraente”. La creazione di enti multilaterali fondati sulle relazioni paritarie e democratiche tra Paesi, però, è più complicata da fare che da dire perché il presupposto – appunto – è che gli Stati coinvolti siano davvero sovrani e quindi, appunto, autoritari (e, cioè, abbastanza forti da tenere a bada il potere delle loro oligarchie); ma molti dei paesi coinvolti hanno tutt’altro che terminato questo processo di emancipazione dal potere delle oligarchie, come è il caso – ad esempio – del Brasile o dell’India che, di fronte alle loro oligarchie perfettamente integrate nella finanza globale, sono in grado di esercitare soltanto una sovranità parziale. Per non parlare, poi, dei Paesi come l’Arabia Saudita, che sono premoderni e che esercitano una loro sovranità soltanto nella misura in cui lo Stato coincide esattamente con le loro oligarchie.
Se quindi, da un lato, l’imperialismo – che è, appunto, il sistema su cui si fonda il dominio dell’Occidente collettivo sul resto del pianeta e che annienta ogni sovranità in nome dello strapotere delle oligarchie finanziarie – è un sistema, oltre che barbaro e inaccettabile, anche oggettivamente in declino (e contro il quale la rivolta è ormai inarrestabile), la costruzione dell’alternativa è ancora lunga e piena di ostacoli; l’amicizia senza limiti tra Russia e Cina, però, costituisce un nucleo centrale per questo nuovo modello di relazioni internazionali più democratico, di una potenza senza precedenti, ed è per questo che rappresentano (e continueranno a rappresentare) il nemico principale dell’imperialismo, che vede nella loro disfatta l’unica possibilità di continuare a rimanere in piedi, costi quel che costi. A noi non rimane che fare la nostra parte contro la guerra finale dell’imperialismo e, per trasformare anche l’Italia e l’Europa in un insieme di Stati sovrani e indipendenti, pronti a dare il loro contributo per la costruzione di un mondo nuovo senza il quale la distruzione reciproca, più che un’ipotesi, diventa – giorno dopo giorno – una certezza; per farlo, nel nostro piccolo, come minimo ci serve un media che non faccia da megafono alla propaganda dell’impero, ma che dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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