L’asse Russia – Cina per la costruzione di Stati sovrani e indipendenti fa tremare l’imperialismo
Non ha manco finito di mettere in piedi il nuovo governo che ecco che Putin è già in visita a Pechino! D’altronde, che la prima visita ufficiale di Stato dopo una rielezione veda coinvolti i due paesi è ormai un’usanza da oltre 10 anni, da quando cioè Xi, nel 2013, inaugurò la sua presidenza con una visita a Mosca che vide i due leader intrattenersi in un faccia a faccia a porte chiuse durato la bellezza di 5 ore. Ora Putin non vuole certo essere da meno e in una lunga intervista pubblicata dall’agenzia cinese Xinhua – “una delle più importanti e affidabili al mondo” secondo le parole dello stesso Putin – il 5 volte presidente della Russia prova a delineare le direttrici fondamentali di questa amicizia senza limiti tra i due paesi, come viene definita nelle comunicazioni diplomatiche ufficiali. In questa fase di feroce revisionismo storico dove, piano piano, si fa spazio la narrazione che in realtà la seconda guerra mondiale è stata la guerra del mondo libero contro i due totalitarismi alleati tra loro, Putin decide di partire proprio dalla grande alleanza anticoloniale e antinazifascista tra Cina e Unione Sovietica cementata in quegli anni: “I nostri popoli” sottolinea Putin “sono legati da una lunga e forte tradizione di amicizia e cooperazione”; “Durante la seconda guerra mondiale” sottolinea “soldati sovietici e cinesi si opposero insieme al militarismo giapponese e noi oggi ricordiamo e celebriamo il contributo che il popolo cinese ha dato alla vittoria comune, perché fu la Cina a trattenere le principali forze militariste giapponesi, consentendo all’Unione Sovietica di concentrarsi sulla sconfitta del nazismo in Europa”. Ora gli eredi dei nazifascisti in Europa e in Giappone sono impegnati a terminare l’opera interrotta dalla gloriosa resistenza di cinesi e russi, come braccio armato dell’impero. Putin ricorda anche come l’URSS fu, in assoluto, il primo paese al mondo a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese nata dalla guerra anticoloniale; ricorda anche che, in questi tre quarti di secolo, il rapporto tra i due paesi ha attraversato momenti decisamente difficili, ma sottolinea come tutto questo sia servito da insegnamento e come oggi entrambi i Paesi siano pienamente consapevoli che “La sinergia di forze complementari fornisce un potente impulso per uno sviluppo rapido e globale”.
La complementarietà delle economie russe e cinesi, a questo stadio di sviluppo, è piuttosto palese: da una parte il paese più ricco di materie prime al mondo e, dall’altro, l’unica vera grande superpotenza manifatturiera globale che produce, da sola, circa un terzo di tutto quello che viene prodotto oggi in tutto il pianeta e che di quelle stesse materie prime ha una sete inesauribile; attenzione però, perché – ovviamente – questa complementarietà è anche il prodotto di uno squilibrio. Un’economia fondata sull’estrazione delle materie prime si colloca strutturalmente a uno stadio di sviluppo inferiore rispetto a un’economia trasformatrice e, se il rapporto fosse fondato esclusivamente sull’evoluzione spontanea delle dinamiche capitalistiche, con l’approfondirsi dell’integrazione economica questo squilibrio, nel tempo, necessariamente non farebbe che accentuarsi: la ragione è molto semplice e consiste nel fatto che nel capitalismo il più forte vince sempre e cannibalizza il più debole; quindi in regime di libero scambio puro, senza l’intervento di quelli che vengono definiti fattori esogeni (e quindi, in soldoni, della politica e dello Stato), quando due economie che hanno – in virtù delle dimensioni delle rispettive manifatture – due livelli di produttività così lontani come quella cinese e quella russa aumentano il livello di integrazione, alla fine del giro quella che è partita avvantaggiata non farà altro che aumentare il suo vantaggio sempre di più. Che è esattamente il motivo per cui nel mondo, anche dopo i processi di decolonizzazione (e, quindi, una volta terminata la sottomissione di un paese ad un altro tramite l’esercizio della forza bruta), invece di emanciparsi dai rapporti di dipendenza, i paesi sottosviluppati hanno spesso ulteriormente aggravato la loro subordinazione, in particolare laddove alla lotta di liberazione non ha fatto seguito la costruzione di uno Stato sovrano minimamente funzionante in grado, appunto, di intervenire e apportare dei correttivi sostanziosi.
Che è, appunto, il nocciolo della faccenda: cresciuti ed educati in un sistema dove gli Stati, scientemente, sono Stati privati della loro capacità di intervenire per apportare dei correttivi – e, anzi, dopo la parentesi democratica del dopoguerra sono tornati ad essere sempre di più essi stessi veri e propri agenti del capitale (e cioè strutture il cui unico scopo è velocizzare e rendere ancora più efficaci e inarrestabili i meccanismi interni del capitalismo), i pennivendoli della propaganda neoliberista, spesso anche in perfetta buona fede, non possono che vedere nel rafforzamento dei rapporti tra due economie così diverse, come quella russa e quella cinese, un inevitabile processo di subordinazione dell’una nei confronti dell’altra. Ed ecco così che da anni, un giorno sì e l’altro pure, le pagine dei giornalacci cercano di convincerci che la Russia ha ben poco da festeggiare perché se, dopo essere stata isolata dall’Occidente democratico e liberale, è costretta ad andare in ginocchio a Pechino alla ricerca di un’alternativa, questo non potrà che renderla un paese vassallo, col petto gonfio di retorica, ma totalmente incapace di esercitare una qualsivoglia sovranità reale; d’altronde, se cane mangia cane e sono scomparse tutte le museruole in circolazione, che alla fine quello più grosso e allenato prevalga è del tutto normale e inevitabile. Fortunatamente, però, in realtà esistono parecchie più variabili di quelle che solitamente è in grado di prendere in considerazione il pensiero binario dell’uomo neoliberale ed è su questo che insiste Putin che, nell’intervista, torna più volte in particolare su due semplici ma essenziali concetti: il perseguimento dei rispettivi interessi nazionali e il rispetto della sovranità. “Vorrei sottolineare” dichiara ad esempio Putin subito all’inizio dell’intervista, che il rapporto tra i nostri due Paesi “si è sempre basato sui principi di uguaglianza e fiducia, di rispetto reciproco della sovranità e di considerazione degli interessi reciproci”.
Al di là della retorica e del politichese, cosa significa in soldoni? Per capirlo bene facciamo un controesempio: i trattati di libero scambio e di libera circolazione dei capitali promossi dall’Occidente, in piena osservanza dei dogmi neoliberali; in questo caso si tratta, appunto, di limitazioni della sovranità degli Stati, che rinunciano a controllare la fuga dei capitali verso l’estero e l’ingresso di merci verso l’interno. Risultato: invece che gli interessi nazionali, a trionfare sono gli interessi specifici dei capitalisti. Il giochino lo conosciamo tutti (è il funzionamento di base della globalizzazione neoliberista): il primo punto è che i capitalisti possono andare liberamente a caccia dei posti più redditizi per i loro investimenti scatenando, così, una concorrenza al ribasso tra i vari paesi per offrire le condizioni migliori per attrarli, sforzandosi di contenere i salari dei propri lavoratori oppure adottando regole sempre più permissive in termini di standard ambientali o di sicurezza – che, in soldoni, significa sempre meno soldi che vanno in salari e sempre di più in profitti; il secondo è che i Paesi (o i pezzi di oligarchia) che partono avvantaggiati dividono il processo produttivo in tanti pezzetti diversi e mentre relegano il lavoro povero ai paesi che offrono vantaggi salariali e regolativi, si tengono la testa per loro. Si va così a consolidare una divisione internazionale del lavoro con una gerarchia ben precisa dove i paesi periferici perdono completamente il controllo della filiera produttiva a favore di quelli più avanzati, che continuano ad ampliare la loro superiorità tecnologica; insomma: prima magari producevi dei trattori che non si possono vedere, ma li producevi come volevi te e potevi decidere quanti produrne, come e quanto pagare i lavoratori, quante tasse far pagare ai proprietari della fabbrica o magari, addirittura, la fabbrica nazionalizzarla. Ora, magari, i trattori che contribuisci a costruire possono anche essere il top di gamma, ma della tua vecchia indipendenza non c’è più traccia e a determinare tutti i fattori è la concorrenza imposta da chi sta in cima alla piramide, tra tutti i suoi sottoposti: sei una specie di gladiatore in un’arena che si deve prendere a sciabolate con gli altri, mentre chi detiene la testa di tutta la catena sta sugli spalti a godersi lo spettacolo e a incassare il cash; e da questa spirale, finché ti affidi alle magnifiche sorti e progressive del mercato, non c’è verso di uscire.
E non abbiamo manco ancora introdotto il terzo punto, che è forse quello più rilevante in assoluto e, cioè, l’aspetto finanziario: chi ha il potere di decidere dove vanno i soldi per fare cosa. Ecco: quella è, in assoluto, la cima della piramide e che – grazie alla globalizzazione neoliberista – si stacca sempre di più da tutto il resto diventando irraggiungibile; grazie alla piena libertà di circolazione dei capitali garantita dalla globalizzazione neoliberista, i capitali hanno subìto un processo di concentrazione senza precedenti e chi detiene questi monopoli finanziari privati (e, quindi, decide dove vanno i soldi per farci cosa) ha il vero potere, ben al di sopra dei singoli Stati. Ecco: una cooperazione e un’integrazione economica fondata sul riconoscimento dei rispettivi interessi nazionali e della sovranità è, sostanzialmente, l’opposto di questo meccanismo; uno Stato sovrano, quindi, è uno Stato che decide politicamente le condizioni alle quali le merci possono entrare e i capitali uscire. Ed è per questo che nella neolingua dell’Occidente neoliberale, al termine sovrano abbiamo sostituito autoritario: per l’Occidente democratico, è autoritario ogni Stato abbastanza forte da limitare la libertà delle oligarchie di concentrare nelle loro mani il potere finanziario e trasformarlo, poi, in un potere politico superiore a quello dello Stato stesso; democratico, invece, è ogni Stato che lascia alle oligarchie il potere di fare un po’ cosa cazzo gli pare e le istituzioni possono accompagnare solo.
Da questo punto di vista, la Cina (di sicuro) e la Russia (in buona misura) sono senz’altro Stati autoritari e, quindi, la loro relazione è una relazione tra Stati autoritari, con nessuno dei due che è in grado di imporre niente all’altro e, men che meno, le rispettive oligarchie; per questo è un tipo di relazione che non ha niente a che vedere con quelle a cui siamo abituati nel giardino ordinato, sia perché – a differenza del rapporto tra impero e vassalli che regola le relazioni all’interno dell’Occidente collettivo – non c’è un rapporto gerarchico a livello militare e i due Paesi sono autonomi e indipendenti dal punto di vista prettamente geopolitico (e questo viene riconosciuto anche dagli analfoliberali), ma soprattutto perché, appunto, entrambi hanno mantenuto un discreto livello di sovranità rispetto allo strapotere delle rispettive oligarchie e quindi, di conseguenza, ognuno rispetto alle oligarchie dell’altro. Insomma: sotto tanti punti di vista, nonostante le enormi differenze e gli enormi squilibri che abbiamo già sottolineato, si tratta molto banalmente di un rapporto tra pari che per noi, nati e cresciuti nelle periferie dell’impero, è una cosa quasi inconcepibile ed ha molte conseguenze, anche contraddittorie. A differenza dei rapporti dove vige una gerarchia precisa, ad esempio, i rapporti tra pari sono incredibilmente complicati; lo sono all’interno di una coppia o tra amici: figurarsi tra Stati – e ancor di più tra due superpotenze del genere. E gli esempi abbondano: basti pensare a Forza della Siberia II, il gasdotto da 2600 chilometri che dovrebbe trasportare 50 miliardi di metri cubi di gas russo ogni anno in Cina, un’infrastruttura strategica che più strategica non si può; eppure, nonostante l’aria che tira e l’amicizia senza limiti, i negoziati sono ancora abbastanza in alto mare (come è giusto e normale che sia quando due enti autonomi e indipendenti devono trovare una quadra per una partita così complessa). Per fare un confronto, basta pensare alla vicenda dei due Nord Stream, quando uno Stato formalmente sovrano ha accettato che un suo supposto alleato compisse un atto terroristico di portata gigantesca sul suo territorio senza battere ciglio; oppure quando, in seguito allo scoppio della seconda fase della guerra per procura contro la Russia in Ucraina, i Paesi europei hanno aderito a delle sanzioni economiche progettate più per distruggere la loro economia che non quella dell’avversario. Ecco: se come parametro per capire la solidità di un’alleanza prendiamo questo, effettivamente no, l’alleanza tra Russia e Cina non è minimamente comparabile, ma da quando in qua il rapporto tra un imperatore e i suoi sudditi si chiama alleanza? E che fine hanno fatto tutte le filippiche degli analfoliberali sulla democrazia che è sì faticosa, ma, alla fine, è l’unica strada per stabilire legami sociali stabili e duraturi?
Ora, è proprio questo modello di rapporti democratici tra Stati autonomi e indipendenti che Russia e Cina stanno proponendo al resto del mondo; e uno degli organi multilaterali che dovrebbe servire da piattaforma per questo nuovo modello di relazioni internazionali sono ovviamente i BRICS che, quest’anno, vedono la presidenza di turno affidata proprio alla Russia che – afferma Putin – vuole utilizzare, appunto, il suo ruolo per “promuovere un’architettura più democratica, stabile ed equa delle relazioni internazionali”: Putin sottolinea che “la cooperazione all’interno dei BRICS si basa sui principi di rispetto reciproco, uguaglianza, apertura e consenso” ed è proprio per questo che, insiste, “i Paesi del Sud e dell’Est del mondo vedono nei BRICS una piattaforma in cui le loro voci possono essere ascoltate e prese in considerazione e trovano la nostra associazione così attraente”. La creazione di enti multilaterali fondati sulle relazioni paritarie e democratiche tra Paesi, però, è più complicata da fare che da dire perché il presupposto – appunto – è che gli Stati coinvolti siano davvero sovrani e quindi, appunto, autoritari (e, cioè, abbastanza forti da tenere a bada il potere delle loro oligarchie); ma molti dei paesi coinvolti hanno tutt’altro che terminato questo processo di emancipazione dal potere delle oligarchie, come è il caso – ad esempio – del Brasile o dell’India che, di fronte alle loro oligarchie perfettamente integrate nella finanza globale, sono in grado di esercitare soltanto una sovranità parziale. Per non parlare, poi, dei Paesi come l’Arabia Saudita, che sono premoderni e che esercitano una loro sovranità soltanto nella misura in cui lo Stato coincide esattamente con le loro oligarchie.
Se quindi, da un lato, l’imperialismo – che è, appunto, il sistema su cui si fonda il dominio dell’Occidente collettivo sul resto del pianeta e che annienta ogni sovranità in nome dello strapotere delle oligarchie finanziarie – è un sistema, oltre che barbaro e inaccettabile, anche oggettivamente in declino (e contro il quale la rivolta è ormai inarrestabile), la costruzione dell’alternativa è ancora lunga e piena di ostacoli; l’amicizia senza limiti tra Russia e Cina, però, costituisce un nucleo centrale per questo nuovo modello di relazioni internazionali più democratico, di una potenza senza precedenti, ed è per questo che rappresentano (e continueranno a rappresentare) il nemico principale dell’imperialismo, che vede nella loro disfatta l’unica possibilità di continuare a rimanere in piedi, costi quel che costi. A noi non rimane che fare la nostra parte contro la guerra finale dell’imperialismo e, per trasformare anche l’Italia e l’Europa in un insieme di Stati sovrani e indipendenti, pronti a dare il loro contributo per la costruzione di un mondo nuovo senza il quale la distruzione reciproca, più che un’ipotesi, diventa – giorno dopo giorno – una certezza; per farlo, nel nostro piccolo, come minimo ci serve un media che non faccia da megafono alla propaganda dell’impero, ma che dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
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