La Meloni distrugge l’Italia e accoglie a braccia aperte i coloni statunitensi che invadono l’Europa
Mercoledì, CNN: Il NASDAQ registra il suo giorno peggiore dal 2022 (dipende un po’ per chi). Ed ecco i titoli del giorno dopo: Bloomberg – La crescita dell’Eurozona si ferma a causa della crisi tedesca, mentre sul Wall Street Journal – La crescita economica degli USA accelera, raggiungendo il tasso del 2,8% nel secondo trimestre. Cosa diavolo sta succedendo? Il punto è che il declino dell’Occidente non va in vacanza e l’imperialismo a guida USA continua imperterrito la sua guerra contro il resto del mondo; peccato, però, che dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per la guerra commerciale contro la Cina, la stia perdendo malamente e, mano a mano che cominciano a realizzarlo, si incendia lo scontro sul fronte interno e, con le presidenziali che si avvicinano, negli Stati Uniti è scoppiata una sorta di vera e propria guerra civile che però – guarda un po’ a volte il caso – non ha assolutamente niente a che fare con le analisi strampalate diffuse in egual misura da propaganda analfoliberale e analfosovranista. In campo, infatti, non c’è nessuna battaglia epocale in difesa della democrazia (che analfoliberali e analfosovranisti di tutto l’Occidente sono ugualmente impegnati a finire di demolire completamente) e non c’è nemmeno nessun conflitto tra pacifisti e guerrafondai, dal momento che l’uso sistematico della violenza, per l’imperialismo, è fondamentale e inevitabile, a prescindere da chi è al timone in un determinato momento. Entrambi gli schieramenti, in realtà, sono parimenti determinati a fare tutto quanto in loro potere per portare avanti senza indugi la doppia rapina che caratterizza il mondo libero da qualche decennio a questa parte e che consiste, appunto, da una parte nella rapina che gli USA, in quanto centro imperiale, compiono nei confronti della periferia dell’impero e, cioè, noi (noi italiani, noi francesi, noi tedeschi, ma anche, se non di più, noi giapponesi o noi coreani; insomma, i vassalli) e, dall’altra, la rapina che le oligarchie compiono col sostegno di tutti i governi occidentali nei confronti di tutte le altre fasce di popolazione e che, giusto per fare un esempio – come ha certificato Oxfam proprio negli ultimi giorni – dal 2013 al 2022 ha permesso all’1% più ricco del pianeta di aumentare il suo patrimonio di oltre 42 mila miliardi e cioè “un incremento pari a 34 volte quello registrato, nello stesso periodo, dalla metà più povera della popolazione mondiale”; da allora, il problema che le oligarchie rapinatrici hanno cominciato a trovarsi di fronte è che questa benedetta metà più povera della popolazione mondiale che, in larghissima parte, ovviamente abita le ex vecchie e nuove colonie, ha cominciato ad esprimere la sua ostilità nei confronti di questa rapina infinita e, soprattutto, ha cominciato a dimostrare di avere ormai gli strumenti per provare a mettergli (almeno in parte) fine – com’è il caso, ad esempio, di una ex colonia molto recente e, cioè, la Federazione Russa che, col crollo dell’Unione Sovietica, era diventata una vera e propria colonia pronta a farsi saccheggiare dalle oligarchie finanziarie dell’impero, in combutta con un manipolo di prenditori autoctoni elevati, in Occidente, a paladini della democrazia e della libertà.
Da un paio d’anni a questa parte, però, la musica sembra essere drasticamente cambiata: Il sorprendente boom della spesa al consumo in Russia titolava venerdì il Financial Times il suo lungo e dettagliato approfondimento giornaliero; “Mentre la guerra si trascinava” si legge nell’articolo “l’aumento dei salari in un’industria della difesa in forte espansione in tempo di guerra ha costretto le imprese civili a seguire l’esempio per attrarre lavoratori in un momento di grave carenza di manodopera. Il risultato è che la Russia si è trovata inaspettatamente nel mezzo di un boom della spesa al consumo”. “I salari reali sono alle stelle” avrebbe dichiarato al Times Janis Kluge, esperta di economia russa presso l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza: “Ci sono persone che difficilmente guadagnavano soldi prima che, improvvisamente, hanno enormi quantità di denaro”. Ecco: per capire perché lo scontro tra diverse fazioni dell’oligarchia del centro dell’impero sta degenerando verso una specie di guerra civile, invece che dalle narrazioni strampalate della propaganda, sarebbe il caso di partire da qua; la nave dell’imperialismo unitario sta inesorabilmente affondando ed è arrivata l’ora di farsi letteralmente la guerra in casa per decidere chi si spartirà il bottino prima di darsi alla fuga. Ma prima di snocciolare nel dettaglio tutti i numeri e i fatti accaduti la scorsa settimana che, a nostro avviso, dimostrano questa tesi, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra guerra quotidiana contro gli algoritmi e (se ancora non lo avete fatto) anche di iscrivervi a tutti i nostri canali social e di attivare tutte le notifiche; a voi costa solo pochi secondi di tempo, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di portare un’alternativa concreta alla propaganda guerrafondaia e classista dei media mainstream in casa e sui telefoni di sempre più persone.
Da un paio d’anni a questa parte non abbiamo fatto altro che parlare delle Tre Sorelle del risparmio gestito, le ormai famigerate BlackRock, Vanguard e State Street; vi abbiamo raccontato di come, col sostegno di Washington e dei governi dei paesi vassalli, siano riuscite a costruire dei veri e propri monopoli finanziari di dimensioni mai viste nell’intera storia del capitalismo e di come abbiano utilizzato questa gigantesca liquidità, di gran lunga superiore addirittura all’intero PIL dell’Eurozona, per gonfiare a dismisura la bolla finanziaria dei mercati azionari statunitensi riuscendo a garantirne l’ascesa addirittura anche quando, tutto attorno, l’economia mondiale e l’intera architettura dell’ordine neo-liberale cadeva letteralmente a pezzi. Negli ultimi 2 anni, proprio mentre gli USA accumulavano una mazzata dietro l’altra sul campo in Ucraina, le borse statunitensi continuavano a galoppare felici sui prati come se niente fosse, raggiungendo capitalizzazioni mai viste e senza mai un minimo accenno di tentennamento fino almeno a mercoledì scorso, quando le borse USA hanno vissuto una vistosa battuta d’arresto e, in particolare, proprio il NASDAQ, il listino dei principali titoli tecnologici a stelle e strisce – e quindi proprio di quei titoli che maggiormente hanno beneficiato, negli ultimi anni, della gigantesca immissione di liquidità operata dalle Tre Sorelle: in un solo giorno, l’indice è crollato del 3,6%, il peggior risultato dall’ormai lontanissimo ottobre 2022.
I media specializzati sono immediatamente corsi a gettare acqua sul fuoco: il problema – è la tesi che va per la maggiore – starebbe nelle aspettative legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale; sostanzialmente, la prospettiva di una nuova grande rivoluzione tecnologica ha creato aspettative gigantesche che hanno attirato una quantità sconfinata di capitali, che hanno alimentato una corsa al rialzo delle azioni del settore. Ora, però, ci si comincia a chiedere se – al di là delle magnifiche sorti e progressive della nuova frontiera tecnologica – l’intelligenza artificiale possa concretamente essere tradotta (e in che tempi) in una serie di prodotti tangibili in grado di creare un flusso di denaro sufficiente a giustificare tutti questi investimenti – e questa riflessione sicuramente avrà giocato un suo ruolo, per carità; io però, che sono complottista e che alla favoletta dei mercati trasparenti che reagiscono in modo razionale alle informazioni non c’ho mai creduto, ho sempre l’impressione che queste spiegazioni, più che cogliere le cause profonde di quanto accade (anche quando sono, come questa, abbastanza verosimili), siano in buona parte riflessioni ex post che le cause profonde, più che svelarle, corrono sempre il rischio di dissimularle. E quindi, consapevole del rischio di sovra-interpretare un po’ quello che è successo, non posso fare a meno di vederci qualcosa di decisamente più strutturale.
Ora, sgombriamo il campo da malintesi: nessuno (e men che meno noi) ha interpretato questa battuta d’arresto come qualcosa di apocalittico, l’esplosione della bolla. Assolutamente no: la potenza di fuoco dei fondi è ancora tutta lì, più salda che mai, e la loro liquidità è più che sufficiente per continuare a mantenere intatta la bolla speculativa. Piuttosto, molto più laicamente, credo il tutto possa anche essere letto come un primo timido episodio di una nuova tendenza che, in vario modo, preannunciamo da qualche tempo: il ritorno della volatilità dei mercati e cioè, appunto – contro la logica dei grandi fondi del risparmio gestito – il ritorno a forti oscillazioni dei prezzi dei titoli azionari, e che questo ritorno della volatilità sia il risultato della guerra civile tra fazioni delle oligarchie finanziarie che è scoppiata con l’avvicinarsi della scadenza elettorale negli Stati Uniti. Come si stanno delineando, con sempre maggiore chiarezza, i due blocchi sociali in guerra tra loro lo abbiamo provato a descrivere in numerosi altri video e durante le ormai consuete chiacchierate con Alessandro Volpi e quindi non mi dilungo; in estrema sintesi, da un lato – appunto – c’è l’asse di ferro tra i giganti del risparmio gestito e i democratici, che potremmo chiamare il partito del derisking: l’obiettivo del partito del derisking è allargare a dismisura la platea dei soggetti che delegano ai fondi la gestione dei loro risparmi e, con questa potenza di fuoco, consolidare il dominio monopolistico di alcuni grandi gruppi nei rispettivi settori e stabilizzare i mercati azionari. Dall’altro c’è il blocco sociale composito che tiene insieme i fondi speculativi e un pezzo di vecchio capitalismo produttivo e che ha trovato nel Trump di Make America Great Again e nel suo vice (cresciuto tra i capitali di ventura della Silicon Valley) JD Vance la migliore sintesi politica possibile, che potremmo definire il partito degli spiriti selvaggi; il partito degli spiriti selvaggi punta a rilanciare la concorrenza, più che alla costruzione di monopoli, e vede nella volatilità dei mercati – invece che un nemico – un’opportunità per ricreare un habitat dove only the strong survive: partito del derisking e partito degli spiriti selvaggi hanno interessi contrapposti, in particolare modo per quel che riguarda le politiche monetarie.
Il partito del derisking vede di buon occhio politiche monetarie restrittive e, quindi, alti tassi d’interesse da parte della Banca Centrale e un dollaro forte – e questo perché, in questo modo, la liquidità che manca al sistema ce la mettono direttamente le Tre Sorelle che diventano il centro non solo finanziario, ma anche politico dell’intero sistema; il partito degli spiriti selvaggi vede invece di buon occhio politiche monetarie più espansive e, quindi, tassi d’interesse più contenuti e un dollaro più debole: le politiche monetarie espansive servono a fornire ai fondi la liquidità che serve per fare le classiche operazioni di leverage buy-out e, cioè, di comprare aziende ricorrendo al debito, ristrutturarle, spezzettarle e rivenderle con ampi margini. Un dollaro più debole, invece, serve a rendere le aziende statunitensi più competitive sui mercati internazionali e tornare a fare profitti anche attraverso gli investimenti produttivi e non più solo ed esclusivamente attraverso la finanza; ma la cosa che qui ci preme sottolineare, in particolare, è che il conto della guerra feroce che si è scatenata tra questi due partiti del derisking e degli spiriti selvaggi, tanto per cambiare, lo paghiamo noi: per una strana coincidenza, subito dopo il mercoledì nero del ritorno della volatilità sui mercati azionari, Standard&Poors ha pubblicato il suo Purchasing Managers Index, il famigerato indice PMI; come chi ci segue ha imparato da tempo, l’indice PMI è un indice che viene costruito a partire da una lunga serie di interviste ai responsabili agli acquisti delle principali aziende di ogni paese ai quali vengono chieste informazioni dettagliate su produzione, ordini, livelli occupazionali, prezzi (e molto altro ancora) e indica le prospettive di crescita dei relativi settori che, nel caso della manifattura dell’Eurozona, sono disastrose. L’indice indica una prospettiva di crescita quando è sopra i 50 punti, di flessione quando è inferiore; il PMI manifatturiero dell’Italia è a 45,7 – e non siamo manco quelli messi peggio, anzi: la Polonia è a 45, la Francia a 44,1, l’Austria a 43,6, la Germania – addirittura – a 42,6. E il problema non è solo che sono cifre drammatiche, ma che sono decisamente peggiori del previsto e non tanto perché sono peggiori, ma perché pone un grosso interrogativo sulle capacità di comprendonio dei nostri quadri aziendali.
Poche ore dopo la pubblicazione degli indici PMI, infatti, sono arrivati altri dati significativi: questa volta riguardano la crescita effettiva del PIL statunitense nel secondo trimestre del 2024; anche qui i migliori economisti in circolazione hanno preso una cantonata, ma questa volta in meglio. Si aspettavano una crescita del 2%; s’è avvicinata al 3 e indovinate un po’ cos’è che, in particolare, ha contribuito a questo risultato? Come sottolineiamo da tempo, a trainare sono gli investimenti delle imprese, che sono cresciuti di un corpulento 5,2% a discapito degli investimenti in Europa e il tutto, come ormai avrete imparato, grazie ai finanziamenti pubblici che Washington ha messo in campo per convincere le aziende ad abbandonare a se stessi i paesi vassalli e a concentrarsi tutte per Make America Great Again, finanziamenti che, ormai, fanno letteralmente esplodere il debito pubblico statunitense che cresce di mille miliardi ogni 60 giorni che, in buona parte, finanziamo noi con il 70% dei nostri risparmi che ogni anno abbandonano l’Italia (come gli altri paesi europei) per dirigersi oltreoceano. Insomma: tutto ampiamente prevedibile, a parte per i nostri dirigenti e i nostri economisti che continuano a pensare che la propaganda che leggono sui media mainstream corrisponda alla realtà. Per la cronaca: indovinate a quanto sta, nel frattempo, l’indice manifatturiero dei paesi contro i quali l’invincibile Occidente collettivo ha ingaggiato la sua inarrestabile guerra economica (e non solo)? La Cina – che, secondo i nostri media, è anche a questo giro sull’orlo della bancarotta – è a 51,8, in forte crescita; la Russia, a 54,9. Gli USA, nonostante tutto il debito che stanno accumulando a spese nostre, registrano un non esattamente incoraggiante 49,5, in calo rispetto al mese precedente e al di sotto delle aspettative, una vera beffa: non solo per permettere agli USA di mantenere il loro primato, nella speranza che l’Occidente collettivo continui ancora a dominare sul resto del pianeta, ci facciamo serenamente derubare, ma poi questo benedetto primato (che non si capisce chi dovrebbe favorire concretamente) manco arriva. Cornuti e mazziati.
Anzi no, perché, in realtà, qualcosa da guadagnare ce lo abbiamo anche noi; lo annunciava entusiasta a 6 colonne in prima pagina l’inserto economico de La Repubblichina lunedì scorso: Boom degli arrivi dagli Stati Uniti – titolava – ossigeno per la crescita dei paesi del sud Europa. L’articolo riporta festante come addirittura “Gli americani sono la prima nazionalità a Capri, Forte dei Marmi e Portofino” e come “a settembre 2023 il 55% del volume degli acquisti dell’isola di Capri è stato effettuato da cittadini americani”; “Negli ultimi anni temevamo di avere perso una quota importante di turisti alto-spendenti” avrebbe dichiarato la presidente di Federturismo Marina Lalli: “La crescita del turismo americano ha abbondantemente compensato quel calo”. “Gli americani” continua la Lalli “sono in assoluto i turisti che spendono di più, alloggiano in alberghi di lusso, mangiano nei migliori ristoranti” (e a quanto pare, se ti comporti bene, ti lanciano pure le noccioline): ed ecco così che, dopo aver perso la possibilità di una brillante carriera in un’azienda ad alto tasso d’innovazione perché s’è spostata negli USA a caccia dei finanziamenti pubblici, l’ingegnere medio italiano potrà finalmente puntare a preparare una bella pizza ai grani antichi con la burrata a qualche analfabeta funzionale texano, magari al nero e senza un vero salario (tanto si sa che i texani, con le mance, sono di manica larga) e quando avrà finito di stare intorno a un forno a legna per 12 ore per un salario da Africa subsahariana, sarà costretto a stare in una città completamente rasa al suolo socialmente e culturalmente dal divertentificio per vecchi rincoglioniti di tutte le età che è quest’abominio chiamato industria turistica. Anzi, no; giusto questo non se lo dovrà accollare: nella città turistica dove lavora, una casa (nonostante le laute mance dei petrolieri fai da te texani) non se la potrà permettere perché, nel frattempo, la piaga degli affitti brevi ha fatto esplodere il prezzo degli affitti. A parte la schiavitù nelle piantagioni di cotone, sinceramente faccio fatica a pensare a un modello di sviluppo più degradante e aberrante di questo, tant’è che in tutta Europa la gente, piano piano, si comincia a ribellare; l’altro giorno a Barcellona, durante una manifestazione di circa 3000 persone, un gruppo di turisti bello spaparanzato sulla terrazza di un caffè è stato bullizzato dai colpi di centinaia di pistole ad acqua, che gli avrà anche comportato uno shock culturale: “A casa nostra” avrà pensato il turista colonizzatore statunitense medio “le pistole le usiamo diversamente”. Alcune amministrazioni particolarmente illuminate hanno cominciato a prendere delle contromisure: a Lisbona il rilascio di nuove licenze per l’affitto a breve è stato congelato e, sempre a Barcellona, l’amministrazione ha promesso di chiudere i 10 mila appartamenti in affitto su Airbnb entro il 2028; spinti da questa ondata di proteste, anche il PD (in cerca di un rapido restyling d’immagine, ora che – finalmente – è all’opposizione e può far finta di essere minimamente progressista in alcune vertenze senza indispettire troppo i suoi mandanti) ha depositato una legge che mirerebbe a ostacolare perlomeno gli eccessi più palesi. Una legge farlocca, che lascerebbe la facoltà ai Comuni di porre qualche limite al numero di abitazioni che è possibile destinare agli affitti brevi esentando, inoltre, dai limiti chiunque abbia ottenuto un finanziamento non ancora estinto per l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile – ovviamente per trasformarlo da abitazione per residenti a scannatoio per il divertentificio. Insomma: una legge che dire all’acqua di rose è un eufemismo, eppure più che sufficiente per far chiudere la vena alle bimbe del governo Meloni. Agguato PD agli affitti brevi titolava Libero indignato la scorsa settimana: Attacco alla proprietà privata. Cioè, per questi svendere la patria è proprio un istinto; gli viene naturale: dalla Germania hitleriana agli USA della guerra civile tra oligarchi, l’importante è stendere tappeti rossi al prepotente e all’invasore di turno, alla faccia del sovranismo.
Sarebbe arrivata l’ora di organizzarsi per mandarli tutti a casa e riprenderci tutto quello che è nostro: per farlo, ci serve un vero e proprio media che, invece che agli interessi dei parassiti che campano di rendita, dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Flavio Briatore
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