¡Desaparecinema! ep. 22 – La trilogia del piddino
Tu, critica de sinistra, de destra e de centro, dimentichi volutamente un regista scomodo? Lo abbandoni a un destino di oblio perché senza padroni né partiti smascherava il potere? Desaparecinema lo recupera, lo rispolvera e gli dà in mano un megafono, come quando dirigeva gli attori sul set. Il regista cui restituiamo il megafono oggi è Luciano Salce, a cui l’egemonia culturale di ogni colore l’ha tolto decenni fa. Iniziamo con una breve (ma efficace) descrizione del suo cinema tratta dal sito di Rapporto Confidenziale: “Tutti i suoi film, anche quelli meno riusciti, non sono mai banali e catalogabili in comodi (e rassicuranti) schemi: c’è sempre una zampata, volta a svelare l’assurdità del mondo che ci circonda, con effetti irresistibilmente comici, che non riescono mai, però, a sopprimere un’irriducibile malinconia di fondo. Le due facce di un regista/attore, la cui grandezza non è stata ancora compresa”. Oggi parleremo quindi di ciò che più amiamo qui a Desaparecinema: di un regista non innocuo, un regista che faceva venire mal di pancia all’intero arco parlamentare e agli abitanti dei Parioli, il contrario esatto della stragrande maggioranza dei registi italiani di oggi che pur di non affrontare gli argomenti più sensibili e scomodi del nostro Paese, quelli che non scadono mai (che poi è uno solo: la lotta di classe), si buttano sulla poesia o su storie ombelicali. Parliamo, cioè, di alcuni dei film più significativi del grande regista romano scomparso poche settimane dopo la caduta del muro di Berlino, il 17 dicembre del 1989, esattamente quando il mondo così causticamente descritto dal suo cinema scompariva per sempre. Cinema che potremmo sintetizzare con questa sua stessa massima: “Fare satira è sempre un esercizio difficilissimo, in un Paese dotato di così poco senso dell’umorismo come il nostro, e fa rischiare l’impopolarità”. E con questa riflessione amara che trovate sul sito lui dedicato: “Salce era partecipe con le sue armi satiriche della demolizione delle ideologie imperanti; e al contempo era vittima del suo distacco ironico-critico da ogni forma di pensiero dominante”. Abbiamo detto altre volte quanto invece l’ironia e il sarcasmo siano segno di profonda e sofisticata intelligenza, come affermerebbe senz’altro anche zio Bertoldo (Brecht), che infatti Salce amava.
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