L’Europa che dà il via libera all’impiego dei suoi missili a lungo raggio per colpire direttamente il territorio russo; Israele che, col sostegno incondizionato degli USA, si prepara ad attaccare il Libano e prova in ogni modo ad allargare il conflitto all’intero Medio Oriente; Africa e America Latina che tornano a incendiarsi tra golpe tentati, golpe riusciti, guerre per procura e guerre ignorate; e tutti gli alleati occidentali che insieme appassionatamente, come se non avessero già abbastanza guai sugli altri quattro fronti, trovano anche il tempo per andare a stuzzicare i cinesi nel loro giardino di casa, tra gite in barca di tedeschi e italiani nello stretto di Taiwan e sistemi d’arma Typhon installati in pianta stabile nelle isole settentrionali delle Filippine. Vista superficialmente, sembra una caotica guerra mondiale a pezzi, come la definiva il compagno Papa Ciccio; in realtà, però, è tutto meno caotico e improvvisato di quanto non appaia: lo spiega chiaramente e con dovizia di particolari questo lungo documento licenziato nel luglio scorso dal Congresso degli Stati Uniti e che, molto stranamente, era passato sostanzialmente inosservato. E’ il rapporto finale della commissione sulla National Defense Strategy, il documento che mette nero su bianco la strategia complessiva dell’impero a stelle e strisce; il rapporto ufficiale, che abbiamo descritto in lungo e in largo negli anni passati, era stato pubblicato nell’ottobre del 2022 con oltre un anno di ritardo perché, nel frattempo, con l’inizio della fase 2 della guerra per procura in Ucraina il mondo era cambiato. Evidentemente, però, il mondo continua a cambiare molto più rapidamente di quanto gli analisti del dipartimento della difesa USA impiegano a comprendere questi cambiamenti e a dire come andrebbero affrontati; ed ecco così che, a meno di due anni di distanza, una commissione di altissimo livello è costretta a rimettere mano all’intero dossier per arrivare ad ammettere, nel modo più chiaro possibile immaginabile, quello che da mesi continuiamo a ribadire in ogni occasione: gli Stati Uniti sono, a tutti gli effetti, già in guerra contro il Sud globale. E per vincere la guerra hanno bisogno di trasformare l’intera loro economia in un’economia di guerra a tutti gli effetti – stile seconda guerra mondiale – e devono urgentemente imporre di fare altrettanto a tutti gli Stati vassalli che concorrono alla sua rete di alleanze globale: “Le minacce che gli Stati Uniti devono affrontare” si legge nella prefazione al documento conclusivo della commissione “sono le più gravi e le più impegnative che la Nazione abbia incontrato dal 1945” (notare bene: dal 1945, non dalla guerra fredda). Qui di freddo non c’è rimasto proprio niente: qui si parla chiaramente di “una grande guerra a breve termine” che, per essere combattuta, richiede appunto “una chiamata alle armi bipartisan” che includa l’industria, l’intera macchina statale americana, l’intera opinione pubblica statunitense e tutti gli alleati e i partner degli Stati Uniti”. Ma prima di addentrarci nei meandri di questo vero e proprio piano per la guerra totale degli USA contro il resto del mondo, vi ricordiamo di mettere un like a questo video per permetterci, anche oggi, di combattere la nostra guerra quotidiana contro la dittatura degli algoritmi al servizio dell’imperialismo guerrafondaio e anche, nel caso non lo abbiate ancora fatto (e sappiamo tutti benissimo che molti di voi ancora non lo hanno fatto, bricconcelli) di iscrivervi a tutti i nostri canali e di attivare tutte le notifiche; a voi costa meno tempo di quanto non impieghi il Pentagono a mettere in scena un incidente farlocco che giustifichi la prossima escalation bellica – come un Golfo del Tonchino qualsiasi -, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di far sapere a sempre più persone quello che la propaganda suprematista a libro paga delle oligarchie fa di tutto per oscurare: nel disperato tentativo di mantenere il loro dominio incontrastato, le élite dell’imperialismo a guida USA hanno dichiarato la guerra totale al resto del pianeta e a pagarla saremo noi, prima con il portafoglio e poi col sangue.
“Nell’ottobre del 2022” si legge nell’introduzione del rapporto della commissione “il dipartimento della difesa statunitense ha pubblicato ufficialmente la National Defense Strategy”: il documento, sottolinea la commissione, elenca correttamente le “crescenti minacce agli interessi degli Stati Uniti e osserva come l’esercito americano non goda più di una superiorità dominante sui potenziali avversari”; ma rispetto a quando è stato scritto il rapporto – continua la commissione – “Il contesto strategico di questa estate 2024 presenta sfide più numerose e molto più serie agli interessi di sicurezza degli Stati Uniti” di quanto si sia mai visto dal culmine della seconda guerra mondiale. E quindi la commissione sostiene “che l’entità delle minacce che gli Stati Uniti devono affrontare sia stata sottostimata e sia significativamente peggiore rispetto a quando è stata pubblicata la National Defense Strategy”: “Dal momento della pubblicazione della National Defense Strategy” specificano “abbiamo assistito ma non pienamente tenuto conto dell’impatto strategico del partenariato senza limiti tra Russia e Cina, della collaborazione di entrambi con Iran e Corea del Nord, dello scoppio della guerra in Medio Oriente e della portata e della durata della guerra in Europa”; la National Defense Strategy, ad esempio – sottolinea la commissione – “descrive la Russia come una minaccia acuta. Ma questo termine rappresenta una sottovalutazione della minaccia reale proveniente dalla Russia, lasciando intendere che sia sì intensa, ma tutto sommata limitata nella durata. La minaccia posta dalla Russia al contrario è cronica, continua e persistente”. Dopo le difficoltà iniziali incontrate nella sua incursione ucraina infatti, riconosce la commissione, “La Russia ha rafforzato le sue linee di difesa, ha ampliato notevolmente la spesa e ha incrementato la produzione per la difesa, e oggi prevede di espandere massicciamente le sue forze di terra”; nonostante le perdite consistenti, inoltre, “ha dimostrato una capacità notevole di rigenerare la sua potenza convenzionale e mantiene, inoltre, il più grande arsenale nucleare del mondo, risorse e capacità strategiche sia a livello informatico che nello spazio di livello mondiale”: “Se la Russia acquisisse il controllo sull’Ucraina” continua la commissione “i suoi confini (compresa la Bielorussia) con gli Stati membri della NATO si estenderebbero dall’Artico al Mar Nero, imponendo un dispiegamento di forze significativamente superiore al presente. La Russia sarebbe una potenza incoraggiata e più forte, che imporrebbe alla NATO di schierare forze aggiuntive, a scapito di altri teatri in cui quelle risorse potrebbero essere impiegate”.
Insomma: un quadro un po’ diverso da quello che emerge dai commenti delle bimbe di Jacoboni e di Angrisani che, stranamente, venerdì scorso sono accorse a condividere con noi, nella nostra bacheca, le profonde e illuminanti analisi apprese in anni di imperdibili video di Ivan Grieco e Nene Cantatore. L’occasione è stata questo bellissimo video del nostro Alessandro che descriveva l’ultimo libro di Andrei Martyanov, l’analista militare russo con base negli USA famoso per sostenere apertamente la superiorità militare russa nei confronti degli stessi Stati Uniti: si tratta ovviamente di analisi
che, come tutte le analisi, vanno prese con le pinze e che a nessuno (ovviamente) è venuto nemmeno lontanamente in mente di spacciarle come verità rivelate, ma – molto semplicemente – come un’altra campana da tenere in considerazione, sicuramente più dei giornalisti e gli youtuber della galassia NAFO che, molto banalmente (com’è stato ampiamente dimostrato in questi due anni e mezzo) non hanno proprio la minima idea di quello che dicono. Come, ovviamente, i loro seguaci: “Attualmente la Russia non è in grado di respingere l’invasione Ucraina di Kursk, e non riesce neanche effettivamente a proteggere i propri depositi di munizioni” scrive concitato tale dreamcatcher con un italiano un po’ claudicante, ma efficace; “figuriamoci di reggere un confronto con gli USA. Ma neanche un confronto con un membro della NATO reggerebbe in una guerra convenzionale. Questi sono i fatti reali. Poi vabbe’ Ottolilinputin Tv vuol fare credere il contrario, da un canale filorusso cosa poi bisogna aspettarci” (@dreamcatcher_w7341). “State giocando a fantacalcio” rilancia Mario Terzi: “Da dove viene questa sopravvalutazione della Russia? Ma se l’ Ucraina sta tenendo in scacco la Russia da quasi 3 anni!” (@Mario_Terzi). “Povero te” ammonisce tale Angelo Monteforte: “gli Stati Uniti sono avanti di 100 anni … potrebbero annientare chiunque in poco tempo se volessero..” (@AngeloMonteforte). “Voi forse non vi rendete conto” rilancia tale Cosimo Grassi “che gli stati Uniti anno una tecnologia nascosta che se venisse mostrato farebbe impallidire Putin e tutto il mondo intero. velo posso assicurare” (@cosimograssi3686).
Nel rapporto della commissione, però, di tutta questa sicurezza sugli USA che sono avanti 100 anni e potrebbero annientare chiunque in poco tempo se volessero grazie a tecnologie nascoste che se venissero mostrate farebbero impallidire Putin non c’è traccia: che Cosimo Grassi, Angelo Monteforte e, in generale, chi si fa un’opinione seguendo Liberi Oltre su Youtube sia in possesso di informazioni inaccessibili anche al Congresso USA e ai massimi dirigenti del dipartimento della difesa? Ovviamente non lo possiamo escludere, ma ci sembra non del tutto verosimile: dal rapporto traspare, al contrario, in modo piuttosto esplicito una certa preoccupazione e non solo per la resilienza dimostrata dalla Russia, che è andata decisamente oltre quanto previsto dalla National Defense Strategy meno di due anni fa; “L’esercito iraniano” sottolinea, ad esempio, la commissione “si sta modernizzando e può vantare una flotta di aerei avanzati e il più grande inventario di missili balistici del Medio Oriente, dotati di una sempre maggiore portata, precisione e letalità”. Idem per la Corea del Nord che “nel 2023 ha stupito il mondo con il lancio di un veicolo spaziale che ha rappresentato un importante successo”; ma il problema principale, continua la commissione, è rappresentato dal crescente livello di coordinamento tra queste minacce che, in precedenza, venivano considerate sostanzialmente come fenomeni separati: a preoccupare la commissione, in particolare, appunto “la partnership senza limiti tra Russia e Cina” annunciata nel febbraio 2022 e che proprio la guerra per procura in Ucraina e la guerra economica e tecnologica degli USA contro la potenza produttiva cinese non hanno fatto altro che rendere più solida e irreversibile. Ma anche “’Iran e Corea del Nord hanno consolidato i legami con Russia e Cina, fornendo missili, droni e altre armi per alimentare gli attacchi russi contro l’Ucraina”: “Sebbene non sia né solida né ampia come le alleanze americane” sottolinea la commissione “questa partnership mira a sfidare la leadership americana a livello internazionale” e “aumenta la probabilità che un conflitto con uno si espanda su più fronti, amplificando le risorse necessarie da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati per farvi fronte”; grazie a questo coordinamento, insiste la commissione, “gli sforzi per isolare e fare pressione su questi Stati attraverso strumenti come le sanzioni, l’embargo e altre forme di censura, saranno enormemente più complicati da implementare con successo”. Ma, soprattutto, “Questa partnership indebolisce la capacità deterrente delle forze armate USA nello scoraggiare l’aggressione da parte di altri quando gli Stati Uniti sono coinvolti in conflitti altrove”.
Insomma: gli USA non possono impegnarsi in un teatro qualsiasi a un livello tale da poter ambire a una rapida vittoria senza scoprirsi al punto tale da diventare facile bersaglio di un’eventuale aggressione da parte di un’altra potenza; e quindi, attualmente, sono destinati a prendere schiaffoni un po’ a destra e a manca; ed ecco perché c’è bisogno, appunto, di una chiamata alle armi generalizzata che da tutti gli apparati statali, all’industria, agli alleati, alla popolazione tutta in generale, trasformi le nostre società che si sono cullate sull’illusione della pace e della superpotenza che i babbioni NAFO continuano a millantare in modo radicale e ci porti verso uno stato di guerra permanente e totalizzante, senza il quale siamo destinati a un rapido declino. La grande rivoluzione necessaria ovviamente, sottolinea la commissione, non può che partire dallo stesso dipartimento della difesa, dove “il business as usual è un lusso che non ci possiamo più permettere”. Per motivi di correttezza istituzionale, probabilmente, questo passaggio suona più diplomatico del necessario; quello che però in sostanza significa è che se, fino ad oggi, la difesa è stata una greppia sterminata per burocrazie e grandi corporation, ora la gigantesca spesa militare USA deve essere messa al servizio della guerra vera, pena la fine di tutte le greppie (anche quelle non direttamente collegate al comparto militare industriale). Per capire la portata del cambiamento richiesto, sottolinea la commissione, dobbiamo riportare la memoria allo sforzo fatto per “l’espansione nella produzione navale avvenuta a fine anni ‘30 e continuata per tutto il corso della seconda guerra mondiale, così come l’espansione che nello stesso periodo è avvenuta per la produzione di aerei, carri armati e munizioni”; “Crediamo che la minaccia odierna corrisponda a quella di quel periodo” sottolinea la commissione, e che quindi “richieda lo stesso livello di sforzo”. E questo sforzo sicuramente prevede, prima di tutto, di “spendere meglio” e di regalare meno soldi alle corporation parassitarie, ma soprattutto prevede di spendere di più: gli USA ad oggi, infatti, spendono in difesa sostanzialmente quanto tutto il resto del mondo messo assieme. Ma non basta: gli altri Paesi, infatti, non nutrono nessuna ambizione di dominare totalmente il resto del globo; si accontentano di garantire la loro sicurezza interna e, al limite, la loro proiezione regionale. Se, invece, vuoi imporre con le minacce il tuo dominio su tutti gli altri, per farlo hai bisogno di una forza ordini di grandezza superiore – e quindi, anche di una spesa: la commissione, infatti, ricorda come, quando gli USA erano un paese imperialista serio, la difesa pesava tra il 5 e il 17% del PIL; oggi, che ci siamo illusi che per dominare il mondo basta riempirlo di dollari invece che di mazzate nelle gengive, siamo appena al 3%. Cosa siete diventati, seguaci di Gandhi?
L’esigenza di menare le mani è così prevalente che la commissione sembra rimpiangere anche qualche dose di sano socialismo nazionale: “Per sostenere la spesa della difesa durante la Guerra Fredda” ricordano con nostalgia “si era arrivati a imporre aliquote marginali sui redditi più alti superiori al 70%, e del 50% sui redditi da impresa”; ora siamo rispettivamente al 37 e al 21%. Inoltre, oggi si riscontrano “carenze nella capacità di reclutamento che hanno costretto a ridurre
le dimensioni sia dell’Esercito, che dell’Aeronautica, che anche della Marina” e, quindi, bisogna mettere all’ordine del giorno l’idea di tornare a forme di “mobilitazione più ampie, a partire da maggiori livelli di servizio pubblico e civile per contribuire a fornire un rinnovato senso di impegno e di patriottismo nel popolo americano”. Ma per quanto colossale, l’impegno del dipartimento della difesa è soltanto il punto di partenza: la commissione ricorda come già la National Defense Strategy avesse introdotto il concetto di deterrenza integrata che, in soldoni, significa il concorso coordinato di tutte le strutture governative alla sicurezza nazionale, ma “da questo punto di vista, sono necessari maggiori sforzi”. Il punto, sostanzialmente, è che non basta il coordinamento: c’è bisogno di stabilire una relazione gerarchica tra il dipartimento della difesa e le altre strutture governative. Tutta l’azione del governo deve essere permeata dalla necessità di stabilire uno stato di guerra permanente dove la logica che prevale, ad ogni livello, è quella bellica: “Il dipartimento di Stato, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, i dipartimenti che si occupano delle questione economiche, dal tesoro, al commercio, alle piccole e medie imprese, come quelli che si occupano della creazione e della formazione di una forza lavoro forte e preparata, dal dipartimento del lavoro a quello dell’educazione” devono concorrere a porre le condizioni affinché gli USA possano prevalere nella Grande Guerra, almeno fino a quando qualcuno non gli svela le potenti tecnologie segrete che tengono gli USA al sicuro e che conoscono i nostri simpatici ascoltatori, ma non a Washington. Il coordinamento di tutte le strutture governative ai fini imposti dalla Grande Guerra, comunque, è ancora la cima dell’iceberg: come sottolinea la commissione, infatti, negli ultimi decenni si è registrato “il passaggio dal settore pubblico a quello privato come principale motore degli investimenti, della ricerca e dello sviluppo”; ma “la base industriale della difesa attualmente non è in grado di produrre armi, munizioni e altre attrezzature e software necessari per prepararsi e impegnarsi in un grande conflitto globale”. Siccome, però, non siamo impazziti e non siamo diventati socialisti, questo gap non può essere colmato dall’iniziativa pubblica manco fossimo ai tempi delle democrazie di massa keynesiane: quello che serve ora è aumentare si a dismisura la spesa militare, ma solo per garantire alle corporation private incassi fantasmagorici per i prossimi decenni, in modo da permettergli di avere ampi profitti garantiti che giustifichino adeguati investimenti. Perché tutti devono contribuire allo sforzo bellico, a parte l’1% più ricco: quello, comunque, ci deve sempre e solo guadagnare, perché va bene che per vincere la Grande Guerra serve una rivoluzione, ma i valori fondamentali dell’imperialismo fondato sulla dittatura degli ultra-ricchi non vanno toccati. E questo, ovviamente, comporta un’altra cosa: il punto è che se, mentre chiedi sacrifici inenarrabili a tutti, continui a riempire le tasche di una manciata di famiglie della nuova aristocrazia, ci sta che a un certo punto la gente normale si cominci anche a incazzare; e se si incazza sul serio, ci sta che riesca a usare quelle poche istituzioni vagamente democratiche che ci rimangono per chiedere di conto e, quindi, ostacolare il nostro infallibile piano. Ecco, allora, che tra le grandi rivoluzioni necessarie c’è anche quella di terminare la svolta antidemocratica del Congresso, che come è oggi, per quanto totalmente in balia delle lobby, è l’unica istituzione che mantiene comunque un minimo legame con i territori e “così come ha funzionato negli ultimi anni, è diventato un grave ostacolo al processo nazionale sicurezza”.
Ma anche una volta finito di trasformare il Congresso in uno strumento interamente in mano alle oligarchie, rimane comunque il problema dell’opinione pubblica che, per quanto marginale, mantiene comunque un ruolo anche negli stati oligarchici e totalitari: “Dopo la pace relativa seguita alla Guerra Fredda e due decenni di guerra globale al terrorismo” lamenta infatti la commissione “l’opinione pubblica americana considera remote le attuali sfide alla sicurezza nazionale” e, quindi, urge assolutamente “educare meglio il pubblico americano sulla natura delle minacce, e sull’importanza dell’impegno globale degli Stati Uniti”; “I leader statunitensi devono spiegare pubblicamente perché queste sfide sono importanti e perché gli Stati Uniti rimangono la Nazione indispensabile per mantenere la pace, la stabilità e un’economia fiorente. Questo ovviamente vale per il Presidente, come per i membri del Congresso e del governo, ma si estende ai leader civici ed economici, i media e tutti quelli che influenzano il pubblico”. D’altronde, non tutti sono rimbambiti come i NAFO e per convincere le persone normali (che non sono cascate dal seggiolone da piccole) serve uno sforzo molto maggiore che non semplicemente aver messo in piedi il più grande apparato propagandistico della storia dell’umanità: “Lo sforzo a tutti i livelli che invochiamo” continua la commissione “richiede il sostegno del pubblico per la mobilitazione dell’economia; volontariato più ampio per il servizio militare, e una maggiore disponibilità al sacrificio attraverso la tassazione, o possibili altre modifiche ai benefici derivanti dai diritti, in modo che la nazione possa sostenere i costi della leadership globale”. Ma imporre lo stato di guerra permanente sull’intera società statunitense è, comunque, ben lontano dall’essere sufficiente: “La National Defense Strategy descrive gli alleati e i partner come fondamentali per la sicurezza nazionale e le capacità di deterrenza e di impegnarsi nel combattimento del Dipartimento della Difesa”; “La commissione è pienamente d’accordo e crediamo che queste Nazioni rappresentino, insieme al popolo americano, il vantaggio più importante degli Stati Uniti su Cina e Russia. Gli Stati Uniti non possono avere successo nella deterrenza o nel combattimento senza i loro alleati e partner”. Ma “Tale cooperazione richiede di andare oltre l’accesso alle basi e i permessi di sorvolo”: bisogna andare verso “l’integrazione delle capacità, e l’interoperabilità nell’impiego di quelle capacità”. Insomma: bisogna costruire un vero e proprio esercito dell’imperialismo unitario dove gli alleati vassalli ci mettono risorse e carne da macello e gli Stati Uniti li usano come meglio credono: “La commissione propone una struttura multi-teatro” che “aumentando la collaborazione con i nostri alleati” mantenga “una presenza di base sia nel Pacifico orientale, che nel cuore dell’Europa, che anche in Medio Oriente, e che in tutti questi tre teatri sia in grado di proiettare potenza e scoraggiare l’aggressione grazie a una grande disponibilità di forze che possono essere inviata qualora necessario”; inoltre, questa struttura multi-teatro deve prevedere anche “una presenza militare e non in Africa, nelle Americhe e nell’Artico”. Ci manca solo la Luna e Marte. Anzi, no: “Proponiamo inoltre” rimedia, infatti, subito la commissione “di applicare il vantaggio tecnologico anche alle guerre spaziali”. Ecco; ora sì!
Insomma: uno stato di guerra permanente su tutti i fronti per l’intero Occidente collettivo; questa è la prospettiva dello Stato profondo USA. Al di là del teatrino elettorale al quale assisteremo negli USA da qua a novembre, chiunque prevalga dovrà necessariamente portare avanti questa agenda, che lo dichiari apertamente in campagna elettorale oppure no; altrimenti il prossimo attentato, magicamente (ci potete scommettere) andrà a segno. Invece che dibattere seriamente delle prospettive strategiche dell’imperialismo unitario a guida USA, il nostro circo
mediatico però, purtroppo, è lautamente foraggiato per distrarci con le puttanate; e anche un bel pezzo del cosiddetto mondo del dissenso fa la sua parte, presentando una delle parti in causa come la soluzione invece che come una parte del problema. Per questo non ci basta un altro media indipendente: abbiamo bisogno di un vero e proprio media autorevole, capace di dare voce, invece che a una fazione qualsiasi delle oligarchie imperialiste, agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Federico Rampini