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Tag: meloni

Il governo Meloni abolisce il reato di abuso d’ufficio – ft. Claudia Candeloro

Oggi i nostri Irene e Gabriele intervistano Claudia Candeloro (avvocata del lavoro) riguardo alla riforma dell’abuso di ufficio voluta dal governo Meloni. La riforma permetterà ai singoli ufficiali pubblici una maggiore libertà di movimenti, al limite dell’abuso; particolarmente gravi le implicazioni che questa potrebbe avere sulla sicurezza pubblica. Come al solito i governi sovranisti di cartapesta confondono lo smantellamento della burocrazia con la creazione di zone grigie nel diritto, dalle conseguenze imprevedibili. Buona visione!

#AbusoDiUfficio #RiformaMeloni #Sicurezza #legalità

G7: i Big della terra banchettano mentre il mondo va alla deriva – ft. Alberto Fazolo

Per il consueto appuntamento del sabato Gabriele e Alberto Fazolo si concentrano su quanto sta accadendo al G7 di Fasano. I grandi della terra sono rinchiusi in un prato verde, mentre attorno il territorio arde nella calura estiva, mai migliore metafora dello scippo delle risorse a cui i grandi del mondo sottopongono il resto della popolazione mondiale. Spicca la prima visita di un Pontefice al G7: di cosa parlerà Papa Francesco? Cosa chiederà ai grandi del mondo? Scopriamolo assieme.

#G7 #PapaFrancesco #Meloni #capitalismo

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Disastro G7: l’Europa a guida Meloni prende ordini da Biden e dichiara guerra a Russia, Cina ed Euro

Negli ultimi giorni ne sono successe di ogni: proviamo ad andare, più o meno, in ordine cronologico. Lunedì scorso l’Arabia Saudita ha ufficialmente messo fine all’accordo, siglato ormai ben 50 anni fa, con gli USA che, in cambio della protezione militare a stelle e strisce, le imponeva di prezzare e commerciare petrolio esclusivamente in dollari; abbandonata la convertibilità in oro su cui si era fondata la centralità del dollaro da Bretton Woods in poi, la nascita dei petrodollari era stata la principale garanzia che gli USA avrebbero potuto stampare denaro all’infinito – e tutti i problemi che questo creava potevano essere agilmente scaricati sul resto del mondo. L’emancipazione del mercato del petrolio dalla dittatura del dollaro era già in corso dal tempo, ma – fino ad oggi – era ostacolata da questo accordo e si fondava su vari sotterfugi; con questo ultimo atto formale, il processo di dedollarizzazione subisce un’accelerazione (anche simbolica) epocale e comincia a rivelarsi in tutta la sua irreversibilità. Mercoledì scorso, invece, la Commissione europea ha annunciato la sentenza preliminare a seguito dell’indagine sugli aiuti di stato cinesi all’industria dell’automotive elettrico e che prevede l’introduzione di dazi aggiuntivi fino al 38,1% sui veicoli elettrici cinesi importati a partire da luglio. Come denuncia il Global Times “Questa cosiddetta indagine si è fondata sin dal principio sulla presunzione di colpevolezza, ed è stata condotta con modalità che non rispettano le regole del WTO”; nonostante questo, “L’industria automobilistica cinese ha collaborato attivamente all’indagine”, ma “la parte europea ha scelto selettivamente le società campione, ha ampliato arbitrariamente la portata dell’indagine e ha gravemente distorto i suoi risultati”. Come si spiega tanta manipolazione, soprattutto visto che l’industria dell’auto europea si opponeva a questa conclusione? Semplice: come sapete, meno di un mese fa papà Biden aveva deciso di superare in protezionismo i toni della campagna elettorale di Trump e aveva inaspettatamente aumentato, di punto in bianco, le tariffe sui veicoli elettrici cinesi dal 25 al 100%; l’Europa senza sovranità e senza dignità ha messo il pilota automatico, ha recepito il messaggio e si è affrettata a fare altrettanto, con la differenza che negli USA, comunque, hanno il dollaro e finanziano la reindustrializzazione a suon di mille miliardi di nuovo debito ogni 100 giorni. Noi invece c’abbiamo l’euro. E l’austerity.
L’euro arretra a livello globale titolava ieri Milano Finanza: “Nel 2023” sottolineava l’articolo “le banche centrali hanno ridotto di 100 miliardi gli asset in moneta unica”. La notizia è particolarmente grave visto che, nonostante la crisi economica, la BCE ha mantenuto tassi di interesse altissimi; ovviamente, tassi di interesse alti dovrebbero attirare capitali e, invece, il capitale continua a migrare tutto contento verso il nostro carissimo alleato a stelle e strisce, che rilancia: come riportava, sempre ieri, il Financial Times infatti, “I funzionari della Federal Reserve americana hanno annunciato che prevedono di tagliare i tassi di interesse solo una volta quest’anno, assumendo una posizione aggressiva sull’inflazione”. Quindi, come da mesi ormai sottolineiamo insieme ad Alessandro Volpi, al contrario delle aspettative del mainstream la guerra dei tassi continua e le vittime e i feriti sul campo siamo noi europei; ed è solo l’antipasto: le agenzie di stampa che ieri provenivano dal G7, infatti, davano come sostanzialmente conclusa la partita del furto degli asset congelati russi. Congelati sin dall’inizio del conflitto, 325 miliardi di asset russi generano ogni anno 3 miliardi di dollari di interessi: ora questi 3 miliardi dovrebbero essere usati per prendere un prestito da 50 miliardi da dare all’Ucraina per prolungarne un po’ l’agonia; il punto, però, è che – caso più unico che raro – questi 325 miliardi di asset russi non stanno negli USA o nel Regno Unito, ma nell’Unione europea, in Belgio per l’esattezza. Dimostrare, dati alla mano, che se porti le tue riserve in Europa e non sei simpatico a Joe Biden poi l’Europa li usa per armare i tuoi nemici, potrebbe non essere esattamente la migliore pubblicità possibile per attrarne di altri; quindi, riassumendo, proprio mentre c’è una gigantesca fuga dall’euro dovuta alle politiche monetarie del nostro alleato USA, noi decidiamo di accelerare ulteriormente la fuga dall’euro per rimanere fedeli alla guerra voluta dagli USA stessi contro la Russia e contro l’Europa. E – è bene sempre sottolinearlo – a prendersi il merito di questo capolavoro è stata la regina dei patrioti e dei sovranisti, Giorgia Meloni, fresca fresca di un più che buono risultato alle urne che ha deciso di spendere subito per essere eletta reginetta della svendita degli interessi dell’intero continente al padrone che non solo è statunitense, ma pure democratico; ci siamo lamentati per decenni di quanto fossero fessi gli elettori di sinistra che continuavano a votare il partito della lotta di classe dall’alto contro il basso per eccellenza come il PD, convinti di votare l’erede del PCI e della sinistra DC, ma bisogna ammettere che, rispetto agli elettori patrioti e nazionalisti che continuano a votare la più grande svenditrice della patria di sempre, erano comunque dei dilettanti allo sbaraglio.
Nel frattempo, Nikkei Asia ieri c’ha graziato con un’altra notizia bella succulenta; nel primo trimestre del 2024, infatti, gli USA sono diventati la prima destinazione delle esportazioni dei paesi dell’ASEAN, sorpassando la Cina e manco di poco: 67 miliardi contro 57. Oh, lo vedi? Decoupling e friendshoring funzionano! Beh, se continuano a crederci a noi certo non ci dispiace, perché la realtà è diametralmente opposta; la settimana precedente, infatti, erano usciti i dati sull’export cinese: Il boom dell’export cinese verso il Sud globale continua titolava il solito David Goldman su Asia Times; “Il meme occidentale sulla sovracapacità cinese” scrive Goldman “non funziona bene nel Sud del mondo, dove la domanda di infrastrutture di telecomunicazioni cinesi, veicoli elettrici a basso costo, pannelli solari e acciaio è in crescita”. Il processo suicida messo in moto dal suprematismo del centro imperiale – e dai fintisovranisti europei che gli vanno dietro – lo abbiamo raccontato svariate volte e ogni giorno che passa si consolida di più: in sostanza gli USA, invece che importare dalla Cina, importano merci cinesi (o che comunque contengono una marea di componentistica cinese) dai paesi che considerano amici, ma che, giustamente e inevitabilmente, più che essere amici dell’imperialismo USA sono semplicemente amici di se stessi. L’esempio del Vietnam è paradigmatico, come si vede da questo grafico:

da quando Trump ha avviato le politiche protezionistiche, l’import USA dal Vietnam è esploso, ma quello vietnamita dalla Cina è esploso ancora di più e ancora più rapidamente; risultato? Il Vietnam è ancora più legato alle catene del valore cinesi e la Cina non ha fatto che aumentare la sua influenza economica.
Un’altra notizia piuttosto succulenta che dà un segno preciso dei tempi riguarda Apple: da poco Apple, infatti, aveva annunciato che tutti i suoi mega investimenti nel campo dell’intelligenza artificiale non avevano portato, sostanzialmente, a una sega niente; questo fallimento si andava a sommare al crollo sui mercati cinesi, al che Warren Buffet – che è un finanziere, si, ma un po’ old school e investe fondamentalmente in aziende che crede abbiano ampi margini di crescita, come dimostra la sua partecipazione nel colosso cinese dell’automotive elettrico BYD – ha venduto un po’ di azioni. Ma il mondo non funziona più come è abituato a pensare Warren Buffet: nonostante il doppio fallimento, le azioni di Apple, alla fine, sono tornate a crescere; com’è possibile? Le risposte sono due: lo Schema Ponzi della finanza USA e il regime monopolistico del tecno-feudalesimo. Lo Schema Ponzi funziona che non importa se sei un’azienda del cazzo che non ne coglie una e butti via più soldi del Corpo Forestale in Calabria: i monopoli finanziari hanno deciso che le tue azioni devono valere tot e le tue azioni quello valgono, anche se sei sull’orlo della bancarotta. Il regime monopolistico del tecno-feudalesimo, invece, funziona che proprio grazie alla quantità senza senso di risorse finanziarie che ti vengono garantite dai fondi, se qualcosa non la sai fare (o, almeno, non sei all’altezza di competere), molto semplicemente te la compri, che è proprio quello che ha annunciato Apple: non siamo in grado di sviluppare intelligenza artificiale in modo competitivo come azienda? Vorrà dire che compreremo quella di OpenAI; che problema c’è? La differenza tra Apple e il servizio informatico del comune di Pizzo Calabro, stringi stringi, è che c’hanno li sordi; anzi, meglio ancora: manco gli servono li sordi. Come ricordava ieri Bloomberg, infatti, “Apple pagherà OpenAI per ChatGPT attraverso la distribuzione, non in contanti”: cioè, siccome c’hanno il monopolio delle app con gli App store proprietari, se vuoi conquistare il mercato devi passare da loro e paghi il dazio, come il fiorino in Non ci resta che piangere, un sistema feudale che bisogna difendere con ogni mezzo necessario.
Nel week end, subito dopo il G7 pugliese, in Svizzera si terrà il fantomatico Summit per la Pace in Ucraina, un summit piuttosto eccentrico dal momento che non vedrà la partecipazione di una delle due parti in causa e, a cascata, di nessun paese che più o meno è allineato a quello che Bloomberg ieri definiva l’asse della resistenza russo-cinese. Ovviamente i paesi del Nord globale parteciperanno, ma (a quanto ci è dato sapere) tra questi paesi la pace c’è già; a cosa dovrebbe servire quindi? Come sottolinea su Asia Times Jon Richardson della Australian National University, “Il principale target dell’Ucraina dovrebbero essere tutti gli altri paesi del Sud del mondo” e, cioè, quelli non più o meno esplicitamente schierati con Mosca, vale a dire la stragrande maggioranza. L’idea, appunto, sarebbe quella di provare a strappare un po’ di sostegno ai paesi che fino ad oggi hanno optato per farsi gli stracazzi loro e, laddove era possibile, hanno approfittato della situazione per strappare qualche fornitura di petrolio a prezzi di saldo, oppure hanno fatto qualche spicciolo triangolando merci e beni altrimenti preclusi ai russi: ora si tratterebbe di spiegargli che le sanzioni secondarie – cioè quelle che gli USA impongono con la forza del loro imperialismo finanziario a tutto il mondo contro la sua volontà – diventeranno mano a mano sempre più severe e inaggirabili; convincerli che Putin – come titolava ancora ieri il suo articolo Dan Altman della Georgia State University su Foreign Affairs – comunque perderà e che questa è l’ultima chance per salire sul carro del vincitore. A quanto pare, però, questa narrazione non è risultata esattamente molto convincente: “Non è chiaro” infatti, sottolinea sempre Richardson, “quanti dei maggiori attori, come Brasile, India, Indonesia, Turchia e Sud Africa, saranno rappresentati – o se invieranno funzionari anziché leader o ministri. E ci sono indicazioni che l’Arabia Saudita e il Pakistan, tra gli altri, non saranno presenti, il che non potrà che deludere amaramente l’Ucraina”.
Insomma: come abbiamo sottolineato milioni di volte, gli USA, a parte l’arroganza dei monopoli finanziari, non hanno più niente da offrire; nel Sud del mondo lo sanno e a fatica, giorno dopo giorno, cercano (e a volte di più, a volte di meno, trovano) il modo di sganciarsi. Se in Europa ci fosse una classe dirigente minimamente rappresentativa dei nostri interessi, sarebbe un’occasione straordinaria per cominciare ad emanciparci come mai siamo riusciti fino ad ora; certo, con patrioti come la Meloni e progressisti come Elly Schlein e alleati verdi e sinistri, diciamo che questo è un piano sul quale proprio non si arriva nemmeno concettualmente. Figurarsi concretamente! Per costruire dal basso una classe dirigente all’altezza dei tempi bisogna studiare, discutere e lottare e, per farlo, c’è bisogno di un vero e proprio media che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Walter Veltroni

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Al G7 Giorgia riceve l’incarico da Biden di trascinare l’Europa in guerra contro la Cina

Colonna portante di Ottolina Tv e canonica compagnia mattutina della rassegna stramba del giovedì, a leggere fatti e misfatti del mainstream, c’è Clara Statello.

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Contro il governo del partito unico liberal-imperialista – ft. Michela Arricale, Marta Collot, Giorgio Cremaschi

Oggi il nostro Gabriele intervista Michela Arricale, Marta Collot e Giorgio Cremaschi per parlare con loro del partito unico liberal-liberista che dal governo all’opposizione amministra con continuità da decenni il nostro paese. Mentre le elezioni sono roventi e piene di parole forti, le scelte politiche del centrodestra e del centrosinistra sembrano mirate tutte a compiacere le classi dirigenti e gli Stati Uniti. Mentre tutti parlano di pace, pochi discutono l’adesione del paese alla NATO, le sanzioni all’Ucraina o il supporto ad Israele; queste politiche scellerate si associano a decenni di deindustrializzazione, attacco al mondo del lavoro, alla nostra Costituzione antifascista e al welfare state. Per questo motivo, varie associazioni si sono date appuntamento il 1 giugno a Roma, a piazza Vittorio Emanuele alle ore 14.30 per protestare contro il governo Meloni e il suo portato ideologico radicalmente conservatore, liberista e guerrafondaio. Vi aspettiamo numerosi! Buona visione!

#Meloni #1giugno #manifestazione

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Meloni e Giorgetti curatori fallimentari svendono l’Italia a BlackRock

Fra una notizia e una dritta sul cavallo migliore del giorno, torna l’appuntamento del venerdì con il formidabile, imprevedibile ed inossidabile Nencio.

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Rimbambiden benedice la Le Pen e affida alla destra reazionaria il compito di svendere l’Europa

Oohhh, ora sì! Ne sentivamo veramente il bisogno! Come titolava a 6 colonne Libero ieri, finalmente Nasce la nuova destra: “Salvini e Le Pen” riporta la testata di Angelucci, il KingMaker della destra arraffona e svendipatria italiana, “rompono con i tedeschi di AfD, rimuovendo l’ultimo ostacolo per la formazione di una grande alleanza anti-sinistra che punti a governare l’Europa”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso delle tensioni fra ultradestra italiana e francese e quella tedesca in ascesa sarebbe stata nientepopodimeno che l’intervista pubblicata sabato scorso su La Repubblichina all’uomo indicato dall’AfD come il suo candidato alla presidenza della commissione europea, Maximilian Krah: “Non dirò mai che chi aveva un uniforme delle SS era automaticamente un criminale” aveva affermato. Non aspettavano altro: nell’arco di poche ore, Rassemblement National della Le Pen ha annunciato ufficialmente di aver tagliato definitivamente i ponti con l’AfD e che nel parlamento che verrà ridisegnato con le elezioni europee del 9 giugno non siederà più nello stesso gruppo parlamentare degli ex amici tedeschi; e, subito dopo, immancabilmente gli ha fatto eco la Lega di Matteo Salvini.
E’ l’esito scontato, anche se probabilmente più rapido e repentino del previsto, delle parole pronunciate la settimana scorsa dal portavoce delle oligarchie euroatlantiche, il presidente del parlamento europeo in carica Charles Michel, che avevamo già riportato in quest’altro video qua: “Nei partiti che vengono definiti di estrema destra” aveva dichiarato “vi sono personalità con cui si può collaborare”; il parametro da adottare per fare la selezione alla porta ovviamente non ha niente a che vedere con il nazifascismo e le SS che, anzi, negli ultimi due anni sono stati ripetutamente sdoganati tra leggende metropolitane sui lettori di Kant e vecchi stragisti antisemiti salutati come eroi della patria in giro per i parlamenti dell’Occidente collettivo. Quella è semplicemente la scusa: una trappola ben architettata che hanno teso all’impresentabile Maximilian Krah e nella quale, da sprovveduto quale è, è precipitato serenamente senza rendersene minimamente conto. Il discrimine vero, ovviamente, è tutt’altro e l’aveva sottolineato esplicitamente Michel stesso: l’importante, aveva affermato, è che siano “pronti a collaborare per sostenere l’Ucraina, e a rendere l’Ue più forte” che, tradotto, significa “che siano schierati dalla parte giusta nella guerra che l’imperialismo ha dichiarato ai paesi sovrani di tutto il mondo e che siano pronti a rinunciare ancora di più alla sovranità dei rispettivi paesi (dove – nonostante tutto – vigono ancora sistemi almeno parzialmente democratici) per trasferire ancora più potere a una struttura sovranazionale completamente post democratica come l’Unione europea e mettere, così, definitivamente al sicuro l’adesione all’agenda ultra-atlantista senza rischiare che venga messa almeno parzialmente in discussione dal voto popolare”; due paletti che l’AfD, al momento, non sembra essere troppo propensa a rispettare.

Maximilian Krah

Ed ecco quindi, casualmente, che arriva il casus belli e l’opportunità per fare, come titolava il suo editoriale di ieri sempre su Libero Mario Sechi, “la mossa giusta per contare di più” che, sostanzialmente, significa fare a livello europeo quello che Giorgia lamadrecristiana ha già portato a termine nel laboratorio politico italiano: sostituirsi alla sinistra ZTL come la fazione del partito unico della guerra e degli affari più affidabile agli occhi dell’imperialismo a guida USA e delle sue oligarchie in questa lunga stagione di guerra totale contro il resto del mondo. Ma prima di provare a capire cosa significa e cosa può comportare questo epocale spostamento del baricentro politico dell’intero vecchio continente, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra di guerra (quella contro la dittatura degli algoritmi) e, se non lo avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutte le nostre pagine social e attivare tutte le notifiche; un’operazione che a voi costa pochi secondi di tempo, ma che per noi può fare davvero la differenza e aiutarci a costruire un vero e proprio media che, invece di fare da cassa di risonanza alle boiate della sinistra ZTL e della destra svendipatria, dà voce agli interessi del 99%.
“La mossa di Le Pen e Salvini è giusta” scrive Mario Sechi nel suo editoriale di ieri che trasuda entusiasmo da tutti i pori: “è un’opportunità, tutta da costruire e con poco tempo per spiegarla. Il risultato lo vedremo presto: siamo nella fase in cui si fanno le scommesse, siamo tra il razionale e l’irrazionale. E’ il fascino del voto, fate il vostro gioco” (Mario Sechi, Libero). La quantità di fuffa messa sul tavolo dai pennivendoli della destra fintosovranista per cercare di dare una qualche forma di nobiltà alle spericolate acrobazie politiche che sta cercando di compiere per accreditarsi come il più fedele dei cani da guardia dell’impero agli occhi del padrone di Washington, ricorda i tempi migliori delle supercazzole di Vendola e Bertinotti; ci manca giusto la mossa del cavallo e abbiamo fatto l’en plein. Un parallelismo che non dovrebbe sorprendere troppo, tutto sommato: proprio come allora, infatti, la sinistra cosiddetta radicale si doveva inventare teorie astruse per giustificare il sostegno a governi che, con la loro foga riformatrice in chiave ferocemente neoliberista, ne contraddicevano alla radice la stessa ragion d’essere; ora la mission impossible di dover giustificare – a suon di parabole e frasi ad effetto – il sostegno a un’ipotesi di governo in netto contrasto con l’euroscetticismo e il Pivot to Russia professato fino ad oggi, tocca alla destra fintosovranista e svendipatria.
Come sottolineiamo continuamente, nell’ambito dell’imperialismo unitario, tanto nel centro imperiale USA quanto – a maggior ragione – nella periferia europea, non c’è nessunissima alternativa concreta di governo che possa essere espressa dalle urne; lo stato profondo dell’imperialismo unitario ha optato, per ragioni strutturali che ci sforziamo continuamente di sviscerare, per una guerra totale contro il resto del mondo e le elezioni non possono che essere una sorta di concorso interno al partito unico della guerra e degli affari per decidere quale fazione dovrà governare questa lunga e travagliata fase. Di default, il referente più accreditato sarebbe quel guazzabuglio della maggioranza Ursula, un’accozzaglia talmente informe da garantire che non venga mai messo in discussione il pilota automatico che guida la politica della colonia europea; il vecchio e paludato establishment, con il suo sterminato curriculum in tema di utilizzo di doppi standard, presenta inoltre anche l’innegabile vantaggio di conoscere il galateo e di avere un volto presentabile, requisito piuttosto utile per poter continuare a ricorrere alla barzelletta dello scontro tra società aperte e responsabili, da un lato, e sconsiderati e feroci regimi autoritari dall’altro. Fino ad oggi, questa favoletta per analfoliberali ha sempre rappresentato un potente dispositivo egemonico che faceva credere a una parte consistente di popolazione che anche se era chiamata a sopportare giganteschi sacrifici (mentre le sue élite economiche non facevano che arricchirsi) alla fine, perlomeno, era per una buona causa; ma questo dispositivo egemonico – e, cioè, questo artificio retorico che fa credere a chi è bastonato che, alla fine, sia per il suo bene – nonostante tutti gli sforzi della propaganda, mano a mano che le bastonate diventavano più forti non ha fatto che perdere il suo appeal. Ma non solo: per quanto, con ogni probabilità, del tutto velleitarie nel cuore stesso della sinistra delle ZTL, mano a mano che la totale subordinazione all’agenda delle oligarchie USA ne faceva precipitare i consensi si sono cominciate a vedere alcune crepe.
Il primo ministro socialdemocratico tedesco, ad esempio, spinto dai malumori crescenti di una fetta consistente della sua borghesia nazionale, prima ha opposto qualche flebilissima resistenza all’invio delle armi più distruttive in Ucraina – dai Leopard ai Taurus – e poi ha anche abbozzato qualche forma di dialogo con il nemico pubblico numero 1, la Repubblica Popolare Cinese; qualche mal di pancia, poi, è emerso per il sostegno incondizionato allo sterminio dei bambini palestinesi perpetrato dal regime fasciosionista di Tel Aviv: prima, in particolare, da parte del governo di centrosinistra spagnolo e poi, addirittura, dall’amministrazione del sempre pimpantissimo Manuelino Macaron che, giusto ieri, ha espresso il suo sostegno alla richiesta da parte del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja di un mandato di cattura per Bibi Sterminator Netanyahu e il suo fedele ministro dello sterminio, Yoav Gallant. Ma soprattutto – come abbiamo sottolineato a più riprese – nel caso specifico di Macron, questo sussulto di dignità sulla questione genocidio non è un episodio isolato: il protagonismo degli ultimi mesi del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, non è passato certo inosservato; in principio furono le parole che Manuelino pronunciò nel viaggio di ritorno dalla Cina, quando Manuelino si azzardò a sottolineare che “Per troppo tempo l’Europa” non avrebbe perseguito con sufficiente convinzione la strada per la costruzione di una sua “autonomia strategica”, che non dovremmo farci coinvolgere “in una logica di blocco contro blocco“ e che non dovevamo lasciarci coinvolgere in scenari di “crisi che non sono nostre”, alludendo chiaramente alle tensioni nel Pacifico e nello Stretto di Taiwan. Poi c’è stata la sparata sull’invio di truppe in Ucraina, che in molti hanno letto come un atto di fedeltà suprema alla guerra USA contro la Russia, ma in realtà, molto probabilmente, anche qui la realtà è decisamente più complessa: dopo essere stato – in assoluto – il paese europeo che ha mandato meno aiuti a Kiev, la fuga in avanti sull’invio di truppe, in realtà, poteva anche essere letta come un tentativo di forzare la creazione di una difesa comune europea con la Francia e il suo ombrello nucleare al centro e in grado di garantire, appunto, una certa autonomia strategica. Dopo ancora è arrivato il famoso rapporto di Enrico Baionetta Letta, uomo legato a doppio filo alle élite d’oltralpe che, sostanzialmente, invocava la creazione di un monopolio finanziario privato autonomo europeo, ovviamente a guida francese; traiettoria che, subito dopo, il sempre pimpantissimo Manuelino ha ribadito aprendo all’ipotesi di operazioni di fusione e acquisizione tra grandi banche europee con un occhio di riguardo, in particolare, a operazioni che vedano coinvolti gruppi spagnoli e francesi.
Intendiamoci: non si tratta certo di atti di insubordinazione sovranista all’imperialismo unitario. Lo schema all’interno del quale si muove Macron è comunque sempre quello della globalizzazione neoliberista e della finanziarizzazione spinta dell’economia a favore delle oligarchie transnazionali; e infatti il suo nuovo protagonismo ha trovato grande risalto nella grande stampa finanziaria internazionale che gli ha dedicato prime pagine su prime pagine, da Bloomberg all’Economist, che oltre ad aver sottolineato più volte tutte le sue perplessità nei confronti della svolta neoprotezionista degli Stati Uniti, ricordiamo essere anche legata a doppio filo proprio alla finanza francese in quanto di proprietà della Exor della famiglia Agnelli/Elkann, tra i principali azionisti – tra l’altro – della ormai sostanzialmente francese Stellantis. Ciononostante, appunto, segnala una qualche ripresa della volontà di grandeur francese e, in continuità con il gaullismo (che, comunque, rappresenta una componente importante dello stato profondo francese), anche di volontà – appunto – di ritagliarsi un posto al sole in un sistema imperialistico riformato e non completamente appiattito sulle esigenze di Washington e di Wall Street. Ora, intendiamoci, si tratta chiaramente, in buona parte, di ambizioni velleitarie: ciononostante, per una Washington che comunque – nonostante il suo fondamentalismo eccezionalista – non può non riconoscere il progressivo declino del sistema superimperialista incentrato sul suo dominio, sicuramente rappresentano motivo di più di qualche preoccupazione, soprattutto in prospettiva; l’attivismo del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, può anche essere letto come la necessità di costruire una exit strategy sostenibile per le sue oligarchie nazionali – e non solo nel caso il gigantesco schema Ponzi che è l’economia ultra-finanziarizzata degli USA (e che sta in piedi se e solo se nessuno riesce a mettere in discussione l’egemonia globale del dollaro) a un certo punto dovesse crollare: d’altronde, per capire che aleggi questo retropensiero basta guardare al cambio repentino di una rivista come Limes che, ormai, parla di fine dell’impero USA in termini quasi più perentori di quanto non facciamo noi e che, non a caso, è degli stessi proprietari dell’Economist.

Emmanuel Macron

Mettere fine a questo rinnovato protagonismo di Macron e smorzare le ambizioni indipendentiste francesi è quindi, con ogni probabilità, uno degli obiettivi di Washington; ed ecco così che, improvvisamente, la Le Pen – contro la quale per decenni tutto l’establishment europeo, al momento della bisogna, si è sempre compattato senza sbavature – magicamente diventa potabile. Per diventarlo, ovviamente, ha dovuto superare alcune prove di fedeltà: la prima risale ormai a un paio di mesi fa, quando la Marine ha spiazzato tutti annunciando il suo “appoggio incondizionato all’eroica resistenza ucraina”; un cambio di atteggiamento che però da solo, ovviamente, non poteva bastare. Bisognava che Marine ricalcasse la traiettoria già intrapresa dalla prima della classe del trasformismo della destra fintosovranista europea, la nostra Giorgia Nazionale, e che tagliasse in modo eclatante i ponti con quelle forze che ai dictat di Washington continuano ostentatamente a non volersi sottomettere, a partire, appunto, dall’AfD.
L’AfD, infatti, rappresenta per Washington uno dei principali spauracchi politici del vecchio continente e, da un certo punto di vista, è anche un bene, perché se è vero che ai tempi del declino dell’impero il fintoliberalismo globalista è il nemico principale, i danni che può fare una forza politica che non ha fatto nemmeno i conti col nazifascismo in una Germania in crisi e sotto attacco economico come tra le due guerre mondiali sono sinceramente incalcolabili. Ma, ovviamente, non è questa cautela a muovere i leader del mondo libero; d’altronde, il nazifascismo – in soldoni – altro non è che l’espressione più feroce delle logiche comuni a tutte le forze imperialiste e, al netto dei deliri ideologici, deve il suo sovrappiù di ferocia, in buona misura, al fatto di essersi fatto strada quando le altre potenze si erano già spartite il pianeta. Alla Germania e ai suoi alleati allora non rimaneva che trasformare in loro colonie il mondo slavo che però, rispetto a un qualsiasi paese africano o dell’estremo Oriente, aveva due svantaggi: il primo era che ci assomigliano un po’ di più; e quindi per noi che, volenti o nolenti, siamo ancora comunque profondamente razzisti, vedere le stesse identiche violenze che gli altri hanno perpetrato contro popoli non bianchi, di default ci fa più impressione. Il secondo è che erano armati (altrimenti li avevano già colonizzati) e quindi il tentativo di conquista coloniale, da un semplice massacro di popoli considerati inferiori, si è trasformato in una guerra di dimensioni spaventose. E, tra l’altro, oggi il sacrificio di quelle popolazioni noi manco lo riconosciamo: facciamo finta che a combattere e vincere la guerra siano stati gli USA e celebriamo solo le vittime che ci tornano più comode – che tra l’altro, a ben vedere, a livello ideologico (che conta il giusto, ma qualcosa pur sempre conta) è anche il motivo per cui ai postfascisti de noantri (a partire dalle bimbe di Benito come La Russa & company) la svolta filoatlantista, che d’altronde ha radici piuttosto lontane, non è che sia costata poi tanto. Dalla parte dell’imperialismo più feroce erano allora e dalla parte dell’imperialismo più feroce stanno oggi; tutto sommato, da questo punto di vista, so’ pure coerenti (anche quando, magicamente, superano in filosionismo i colleghi della sinistra ZTL).
Il superomismo amorale ti fa anche cambiare idea su chi è da considerare umano e chi, invece, appartiene agli untermensch. Il problema di fondo con l’AfD – come, a suo tempo, fu anche con la Lega che, per essere ammessa nella compagine di governo, ha visto il compagno Adolfo Urso recarsi di persona a Washington per fornire personalmente la garanzia che, al momento del bisogno, si sarebbero comunque sempre schierati dalla parte dell’imperialismo – è che rappresenta un blocco sociale che, strutturalmente, dalla guerra delle oligarchie contro la Russia e contro l’economia europea ha tutto da perdere e che è ben disposta a scendere a patti con i protagonisti del nuovo ordine multipolare pur di continuare a difendere l’economia reale tedesca; fatti fuori loro, gli altri partiti dell’ultradestra europea si sono guadagnati la benedizione di Washington che, in un’ipotetica nuova maggioranza politica fondata sull’alleanza tra l’ultradestra e la destra conservatrice dei popolari, vede alcuni vantaggi importanti. In primis, il fatto che, mano a mano che il declino dell’impero continuerà a far sentire i suoi effetti, anche le garanzie prettamente formali delle democrazie liberali cominceranno ad essere percepite come troppo vincolanti per il ricorso alla forza bruta contro i sempre crescenti malumori delle masse popolari; insomma: ci sarà da menare forte e la destra destra potrebbe risultare meglio attrezzata.
Il punto è come pensiamo di organizzarci noi per reagire, senza cadere di nuovo nella trappola della sinistra delle ZTL che utilizza questi timori (che, più che legittimi, a questo punto sono doverosi) per portare avanti la stessa identica agenda fondata su guerra e rapina, solo magari con qualche nozione di galateo in più. Quello che, di sicuro, ci serve come il pane è un vero e proprio media che sia in grado di contrastare la propaganda che ci rifilano per giustificare questa discesa verso gli inferi. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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Meloni e Le Pen: la destra atlantista contro Macron, l’AfD e ogni rischio di sovranità europea

Appuntamento della rassegna stramba del mercoledì con non uno, ma ben due Giuliano! Appuntamento alle 08.30 per raccontarvi le notizie del giorno.

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L’ignobile teatrino di Meloni la svendipatria in ginocchio a Bruxelles per trattare la resa italiana

Come cambiano rapidamente le cose! Soltanto lunedì, tutta la propaganda filogovernativa era in brodo di giuggiole e annunciava una rivoluzione imminente: Meloni alza la posta titolava il Giornanale; cambieremo anche l’Europa. Nuova UE? si chiedeva il combattivo Maurizio Beldidietro su La Verità; Meloni ci mette la faccia: “Grazie a una donna che non ha mai rinnegato il suo passato” sottolineava Beldidietro “il nostro Paese ha più peso di prima, forse addirittura di quando a condurlo era san Mariopio da Goldman Sachs”. A galvanizzare l’orgoglio dei fintosovranisti era stata l’astensione dei partiti di maggioranza quando, pochi giorni prima, era arrivata nell’aula del parlamento europeo la riforma del patto di stabilità, una non riforma che, dopo una breve pausa, reintroduce i dogmi religiosi dell’austerity, ma on steroids perché, nel frattempo, il debito pubblico è aumentato a dismisura e i tassi d’interesse sono letteralmente esplosi e, nonostante gli annunci, al momento non sembrano destinati a diminuire granché. Come ha affermato Madis Muller, il governatore della Banca centrale estone, a Bloomberg “I rischi geopolitici comportano rischi per l’inflazione” e “la Banca centrale europea non dovrebbe affrettare ulteriori tagli dei tassi dopo giugno”, un concetto che ha ribadito anche il vicepresidente della Banca centrale Luis de Guindos lunedì da Londra davanti ai membri dell’Euro 50 group, una delle tante conventicole informali che collaborano alla definizione dell’agenda delle oligarchie finanziarie dell’Occidente collettivo: “Anche se prevediamo che l’inflazione ritorni al nostro obiettivo del 2% l’anno prossimo, le prospettive sono circondate da rischi sostanziali” ha affermato; “La situazione geopolitica, soprattutto in Medio Oriente, pone un particolare rischio al rialzo per l’inflazione”. Tradotto: non scommettete su una riduzione rapida dei tassi d’interesse perché ci rimarreste scottati.
La reintroduzione del patto di stabilità, anche se riformato, con un debito esploso e i tassi di interesse alle stelle significa una cosa sola: la mazzata definitiva allo stato sociale e una bella lunga fase di recessione senza via d’uscita che, alla fine del giro, si traduce immancabilmente esattamente in quello che – a chiacchiere – avrebbe dovuto scongiurare e, cioè, un rapporto debito/PIL sempre peggiore, perché se mentre provi a tagliare la spesa il PIL, inevitabilmente, crolla, il rapporto sempre lì rimane (quando non peggiora); una spirale perversa che conosciamo già benissimo e che, a questo giro in particolare, più di ogni altro paese riguarda proprio l’Italia, che non ha nessuna chance di uscirne viva. Se non fosse per la cazzimma dei patrioti della maggioranza che, la settimana scorsa, hanno mostrato i denti: ricordate? 24 aprile, Libero: Patto di stabilità, gli italiani si astengono. I partiti del centrodestra: riforma poco coraggiosa, la cambieremo dopo il voto. La riforma del patto è “un’occasione mancata da parte della UE” denunciava la Lega; “Anziché puntare su un netto cambiamento rispetto al passato, la UE ha scelto di non voltare pagina rispetto a un modello economico che ha mostrato tutti i suoi limiti, in cui prevale l’aspetto dell’austerità”. La cosa divertente è che a fargli la pubblicità migliore, come spesso accade, anche a questo giro è stata l’opposizione e la sua incredibile macchina propagandistica: No al patto UE, Meloni dà battaglia titolava La Stampa; La Repubblichina rilanciava con un gigantesco UE, il patto tradito: incoerenti e inaffidabili, la retromarcia della destra ci allontana dall’Europa. Il Domani, che ormai sembra proprio una caricatura degli aspetti più cringe della sinistra ZTL, era letteralmente in lacrime: Patto di stabilità, figuraccia dell’Italia: la destra si astiene; completamente scollegati dalla realtà e obnubilati dai fiumi di alcol che innaffiano, giustamente, le innumerevoli apericene delle terrazze romane in stile La grande bellezza, i sinistronzi sono davvero convinti che accusando Meloni & company di essere scorretti nei confronti dell’establishment di Bruxelles, l’elettore medio si ravveda e corra a confessare i suoi peccati a Carletto librocuore Calenda.
E’ esattamente lo stesso, identico, tragicomico film che era andato in scena ai tempi della tassa sugli extraprofitti delle banche: ricordate? La propaganda fintosovranista filogovernativa aveva annunciato in pompa magna l’introduzione, da parte del governo dei patrioti, di una sacrosanta tassa sui giganteschi profitti che le banche hanno realizzato truffando letteralmente i loro correntisti, che non avevano ricevuto un euro di interessi sui loro depositi mentre le banche incassavano cifre stratosferiche da mutui che, grazie all’aumento dei tassi di interesse, erano raddoppiati; la sinistra ZTL allora, invece che sottolineare la portata limitata dell’iniziativa e fomentare le folle a non accontentarsi delle briciole, aveva avuto la geniale trovata di difendere le banche e i banchieri multimiliardari: “E’ un attentato al libero mercato”; “Così metti a rischio i conti delle banche”. Quando si dice essere in sintonia col sentimento popolare… Allora, ovviamente, noi ci buttammo come degli avvoltoi a banchettare sulle carcasse della sinistra ZTL e dedicammo un intero video a questo epic fail dei progressisti che odiano il volgo e l’interesse nazionale; come ampiamente prevedibile, però, manco il tempo di festeggiare la prima misura vagamente popolare di questo governo di svendipatria ed ecco che erano già cominciati ad arrivare i primi indizi di marcia indietro fino a che, in mezzo al silenzio totale, la tassa non è scomparsa nel nulla: era stato uno scherzo che, tra l’altro, nel frattempo aveva permesso a una manciata di speculatori di incassare qualche centinaio di milioni con la più banale e prevedibile manovra di scommesse al ribasso che puzza di vera e propria truffa da chilometri di distanza. Alla fine di quel giro, nella sfrenata competizione a chi svende meglio gli interessi del Paese, il governo dei fintosovranisti era riuscito a superare anche la sinistra ZTL; come sarà andata a finire a questo nuovo giro?
Prima di scoprirlo, ricordatevi di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra piccola battaglia quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e, se ancora non l’avete fatto, anche di iscrivervi sui nostri canali e attivare tutte le notifiche: a voi porta via 10 secondi di tempo; per noi fa la differenza e ci aiuta a provare a evitare la guerra a colpi di armi di distrazione di massa combattuta, fino all’ultima puttanata, da sinistra ZTL e alt right.
Dopo l’esperienza traumatica dell’inspiegabile scomparsa della tassa del governo dei patrioti sugli extraprofitti della banche rapinatrici, a questo giro, prima di accanirci sull’ennesimo epic fail delle groupies di Mario Monti ed Elsa Fornero, abbiamo deciso di aspettare di vedere come andava a finire la faccenda e – devo confessare – non è stato per niente facile; la serie di assist che c’hanno fornito, infatti, è veramente ragguardevole: tra tutti, una menzione speciale per il prestigioso premio analfoliberale della settimana va senz’altro all’editorialista della Repubblichina Andrea Bonanni. Bonanni sottolinea come quello che è andato in scena al parlamento europeo è “il plateale fallimento dell’attuale classe politica italiana” perché “il ritorno del patto pone dei limiti alla spesa”, ma “le nuove norme sono molto più morbide” che in passato e, per un paese indebitato come l’Italia, rappresentano “una scelta obbligata dal buon senso”, soprattutto dal momento che permettono comunque “di continuare gli investimenti produttivi”, che è un po’ come dire che dare una vaschetta di prugne a uno che si sta squagliando per la cacherella è una scelta di buon senso, dal momento che – altrimenti – le prugne andrebbero buttate per terra e si sporcherebbe il pavimento e che, comunque, bisogna essere felici perché a queste prugne c’hanno levato il nocciolo (e quindi morirai disidratato entro un paio di settimane, ma almeno, nel frattempo, non ti strozzi).

Francesco Lollobrigida

Ciononostante abbiamo resistito e, immancabilmente, anche a questo giro il governo degli svendipatria non ci ha tradito: Via libera al nuovo patto di stabilità titolava martedì La Stampa: sì dell’Italia dopo l’astensione in Aula. Il sì definitivo del governo è arrivato nell’ambito della riunione dei ministri dell’Agricoltura dove, ad astenersi, i barricaderi italiani hanno lasciato da soli i poveri belgi: una figura di merda talmente epica che il titolare del dicastero, l’uomo che fermava i treni, il cognato d’oro d’Italia, al secolo Francesco Lollobrigida, non ha avuto manco il coraggio di presentarsi; c’ha mandato il suo vice che, tra l’altro, è un leghista. Uno sgambetto in piena regola che il principale partito di governo aveva pianificato da tempo: quando, la scorsa settimana, anche Fratelli d’Italia aveva sconfessato l’azione del governo con l’astensione, infatti, la colpa era stata attribuita proprio ai leghisti che avevano deciso di astenersi comunque; e così, per non fare la figura dell’unico partito che obbediva ciecamente alla disciplina anti-italiana di Bruxelles, regalando una marea di voti ai loro alleati/competitor aveva costretto a fare altrettanto anche al partito della madrecristiana. D’altronde Il Giornanale lo rivendicava pure: “Il nodo politico” scriveva “era tenere la maggioranza compatta per evitare fughe del Carroccio in vista delle elezioni”. Ad esser maligni, viene quasi da sospettare che Giorgia la madrecristiana, sempre alla ricerca dell’approvazione dei suoi superiori (come col bacino sulla fronte di Rimbabiden) sia magari pure andata a chiedere il permesso, della serie fateci lanciare quest’arma di distrazione di massa, che tanto non comporta niente, altrimenti capace alle europee vi trovate con una marea di parlamentari leghisti in più ed è peggio per tutti, che quelli sono amici di Putin e non è detto siano sempre completamente appecorati come noi. Con l’approvazione definitiva della riforma, ora, come riassume La Stampa, si va incontro a un “taglio deciso e a ritmi serrati del debito, maggiore riduzione del deficit, e poi riforme strutturali a gogo” e a differenza del vecchio patto di stabilità che sì, era più rigido, ma era talmente rigido e irrealistico che alla fine nessuno l’aveva mai rispettato e le infrazioni ormai finivano sistematicamente nel dimenticatoio, col patto riformato “Le regole dovranno essere attuate da subito, pena multe salate che potrebbero arrivare già a giugno”.
Ma perché Giorgiona la madrecristiana e il suo cerchio magico, cresciuti nel mito di Mussolini che Tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per l’Italia (cit. Giorgia Meloni), si riducono a imporre all’Italia manovre lacrime e sangue per fare contento l’establishment globalista e liberale di Bruxelles che tanto odiano? Prima di tutto perché è gratis: l’unica opposizione reale al partito unico della guerra e degli affari temporaneamente rappresentato da Giorgia la madrecristiana, infatti, è quella di Giuseppe Conte e dei 5 stelle, l’unico che non si è limitato a mettere la testa sotto la sabbia con l’astensione, ma ha votato contro; “Questo è un governo di patrioti che sta svendendo l’Italia” ha commentato in modo molto ottolino. Ma lo spettro di Daddy Conte non sembra poter impensierire minimamente Giorgia la madrecristiana anche perché, come è stato ampiamente dimostrato, non gode del sostegno dell’establishment di Bruxelles e di Washington senza il quale, molto banalmente, in Italia al governo non ci vai o se, per qualche bug temporaneo nel sistema, ci vai, duri come un gatto in tangenziale.
L’unica opposizione possibile perché organica all’establishment (ancora più di Giorgia stessa) rimane, appunto, quella della sinistra ZTL, dove regna sovrana l’egemonia delle oligarchie transnazionali rappresentate dal gruppo GEDI, un’opposizione che condivide con Giorgia tutte le misure anti-italiane e antipopolari – dalla politica internazionale all’austerity come strumento della lotta di classe dall’alto contro il basso – e che basa tutta la sua battaglia politica sulla guerra culturale che però, ormai, sembra aver definitivamente perso. Giorgia lo sa benissimo ed è per questo che domenica scorsa gli ha dedicato il grosso del lungo comizio che ha tenuto per la chiusura della convention di Fratelli d’Italia a Pescara, scaldando i cuori della sua fan base: La Meloni si candida e promette una spallata alle follie green dell’UE titolava entusiasta La Verità, il giornale di riferimento dell’alt right italiana. Oltre all’immancabile crociata contro l’ideologia green, il discorso di Giorgia è un decalogo esaustivo di tutte le armi di distrazione di massa messe in campo negli anni dai fintosovranisti: dall’Europa che volevano si liberasse della sua identità religiosa e oggi invoca la chiusura delle scuole per la fine del Ramadan al politicamente corretto, tanto di moda nei salotti bene dei quartieri chic delle grandi città occidentali, per finire con l’esigenza di continuare a parlare di mamma e di papà in un’epoca che ha perso il senso dei confini dettati dalla natura, Giorgia coglie con maestria tutte le occasioni che un dibattito pubblico a dir poco demenziale gli ha offerto su un piatto d’argento; e allo zoccolo duro del blocco sociale che la sostiene, tanto basta.
E alla fine anche agli altri, tutto sommato, va bene così perché, nel frattempo, l’agenda del partito unico degli affari e della guerra procede incontrastata su entrambe le gambe: quella militare da un lato – e, cioè, la costruzione della NATO globale e la guerra totale contro i paesi che si ribellano all’imperialismo fondato sul dominio del dollaro e del pentagono – e quella finanziaria – e, cioè, la finanziarizzazione dell’economia degli alleati vassalli di Washington, che è la precondizione affinché gli USA possano permettere alle colonie di armarsi senza temere che le colonie stesse usino la loro forza militare per ritagliarsi uno spazio di autonomia strategica, perché totalmente dipendenti e subordinati al capitale finanziario gestito dai monopoli finanziari privati a stelle e strisce. L’approvazione della riforma del patto di stabilità da parte del governo degli svendipatria dopo il teatrino dell’astensione della settimana scorsa, fa parte esattamente di questo vero e proprio progetto eversivo e anticostituzionale e totalmente bipartisan: una fetta enorme della nostra spesa pubblica, infatti, serve a finanziare il sistema previdenziale e quello sanitario; obbligare il nostro paese, grazie al vincolo esterno, a contenere il deficit mentre sempre più soldi servono per pagare gli interessi sul debito, significa – in soldoni – tagliare drasticamente pensioni e sanità. E quello che manca dovranno pagarlo direttamente i cittadini che, dopo 30 anni di stagnazione salariale, devono essere costretti a destinare una quota sempre maggiore del loro misero reddito residuo ai fondi privati che gli garantiranno di avere una pensione dignitosa e di potersi curare in qualche modo; e questi fondi che gestiscono i soldi (che prima potevamo spendere allegramente per vivere dignitosamente e, d’ora in poi, serviranno per evitare di morire di fame o di malattie) sono i mattoncini di base dell’economia completamente finanziarizzata che le diverse fazioni del partito unico degli affari e della guerra stanno costruendo sulla nostra pelle. Ma non vi incazzate, mi raccomando: pensate che, secondo quanto prospettato da Draghi e da Letta, una bella fetta di queste risorse serviranno per più che raddoppiare la nostra industria bellica, che è indispensabile per andare a sterminare i bambini palestinesi e chissà di quale altro popolo in futuro; insomma, è un sacrificio, ma tutto sommato è per una buona causa.
Al piano distopico della privatizzazione di pensioni e sanità (che la Meloni rende sempre più necessario grazie al suo sì al nuovo patto di stabilità) dedica un paio di articoli molto istruttivi l’inserto economico de La Repubblichina, il principale giornale della finta opposizione al governo dei fintosovranisti: il primo pubblicizza un grande evento di Affari & Finanza dedicato alla previdenza complementare e fa un quadro esaustivo della cuccagna che attende le oligarchie finanziarie; l’articolo, infatti, ricorda come se oggi, in media, la nostra pensione è pari all’81,5% del nostro ultimo stipendio, nel 2050 questa percentuale, nonostante l’aumento dell’età lavorativa, scenderà al 67,6% che per la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, molto banalmente, non è sufficiente per vivere. “In questo scenario” sottolinea l’articolo “ben si capisce come il ricorso alla previdenza complementare possa ribilanciare la componente pubblica destinata ad assottigliarsi sempre più”; eppure, continua rammaricato l’articolo, “nel nostro paese sono ancora in pochi ad aver intrapreso questa strada”: secondo le stime dello Studio Ambrosetti “La previdenza pubblica oggi contribuisce per il 75% al reddito degli individui con più di 65 anni, mentre la previdenza complementare solo per il 5,3%”. In Germania, elenca con malcelata invidia, sono già al 13,7; in Francia al 15,4 – e questi sono i dilettanti; tra i professionisti, nel Regno Unito si arriva al 41,8, nei Paesi Bassi al 44,9. Le risorse gestite dalla previdenza complementare in Italia sono, in soldoni, ancora spiccioli: appena 223 miliardi, il 12,7% del PIL; non ci compri nemmeno il 10% di una big tech americana (e infatti siamo a un decimo della media OCSE). Quel che manca ancora è una vera e propria miniera d’oro.

Il gruppo JEDI

Il gruppo GEDI sul tema ha organizzato una mega convention che vedrà la partecipazione di tutti i peggiori squali della finanza che discuteranno di come accelerare la finanziarizzazione; ovviamente si parlerà anche di un po’ di cazzate, come l’educazione finanziaria che oggi “colloca l’Italia tristemente all’ultimo posto tra i paesi europei”, ma la ciccia, ovviamente, sta tutta da un’altra parte: rendere il ricorso alla previdenza integrativa sempre più urgente e inevitabile tagliando tutto il tagliabile e, in questo senso, la previdenza deve lavorare in tandem con la sanità. Gli italiani, infatti, possono ancora illudersi di potersi accontentare di sopravvivere con pensioni nettamente inferiori ai loro salari in uscita perché, comunque, hanno ancora accesso a un servizio sanitario che, per quanto devastato, è ancora universale e gratuito; per incentivarli, quindi, il modo migliore è raderlo letteralmente al suolo e, già che ci siamo, affidare quel poco che rimane ad altri fondi integrativi.
Ed è a questo che è dedicato l’altro articolo di Affari & Finanza: Per la sanità integrativa l’obiettivo è far crescere la platea degli iscritti titola. La frustrazione per i privati, nel caso della sanità integrativa, è ancora maggiore che nel caso della previdenza perché la torta, ad oggi, è stata appena appena intaccata: in tutto, infatti, in Italia ad oggi sono iscritti a fondi sanitari integrativi soltanto 16,5 milioni di italiani e raccolgono appena 4 miliardi di euro all’anno; e in grandissima parte si tratta di fondi di categoria, previsti dai contratti collettivi nazionali. Una roba che puzza ancora troppo di socialismo anche se, sottolinea Nino Cartabellotta della Fondazione GIMBE, ha già fatto i suoi bei danni: quando sono stati istituiti nel 1992, infatti, i fondi integrativi dovevano essere dedicati sostanzialmente solo alle prestazioni che non rientrano nei livelli essenziali di assistenza che dovrebbero essere garantiti dal servizio sanitario pubblico; parliamo quindi di prestazioni odontoiatriche, fisioterapia, check up, prevenzione e robe simili, “ma nel corso degli anni” ricorda Cartabellotta “una serie di provvedimenti normativi varati da diversi governi ha previsto che i fondi possano erogare anche fino all’80% delle prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale”. Ora, quindi, che l’idea dei fondi integrativi, passo dopo passo, si è evoluta verso una sostituzione del servizio sanitario e con la spesa sanitaria pubblica che è già oggi il fanalino di coda dell’Europa (ed era già previsto venisse ridotta di poco meno del 15% nei prossimi 3 anni prima ancora che si tornasse a parlare di austerity), la torta è bella pronta per essere infornata e servita agli oligarchi. E su questo, i fautori delle follie green e del politicamente corretto e quelli della grande rivoluzione conservatrice, come la definisce Sechi su Libero, un modo di fare pace lo trovano sempre.
Contro il disegno eversivo del partito unico della guerra e degli affari e contro le armi di distrazione di massa della guerra culturale tra scemo e più scemo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Roberto Saviano

L’Italia non ha mai fatto i conti col suo passato – ft. Luciano Canfora

Oggi il nostro Gabriele intervista Luciano Canfora per parlare delle recenti vicende giudiziarie che lo riguardano e che lo vedono contrapposto al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. La vicenda risale al 2022, prima che la presidentessa ricevesse il suo successivo incarico. Buona visione.

#fascismo #Canfora #Meloni #Giorgia #25aprile

La Meloni ha distrutto la possibilità di superare l’euro – ft. Stefano Sylos Labini

Oggi Gabriele Germani e Vadim Bottoni parlano di moneta fiscale e super bonus con uno dei maggiori esperti del tema in Italia: Stefano Sylos Labini. Nel corso dell’intervista si approfondirà il concetto di moneta fiscale, la sua applicabilità all’interno del progetto europeo (nel rispetto dei trattati) e la scelta politica nella sua cancellazione da parte di Draghi e del governo di centrodestra. Occhio critico sul mondo politico nel suo insieme, giudicato instabile e troppo condizionato ideologicamente dai dogmi del neoliberismo. In realtà, non è l’Europa a chiederci un bel nulla, ma è l’adesione quasi religiosa ai dogmi del debito e del neoliberismo a schiacciare l’economia italiana, a costringerci a precarietà e decrescita (infelice e non voluta).
Buona visione!

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