Il Giornale ospita un lungo editoriale di Mike Pompeo, l’ex direttore della CIA poi promosso all’incarico di Segretario di Stato al posto del petroliere miliardario Rex Tillerson durante la prima amministrazione Trump; da allora, però, la luna di miele tra Trump e Michelino si è andata decisamente logorando: Pompeo, per un certo periodo, ha addirittura continuato ad ambire alla nomination repubblicana per le presidenziali invece di rimanere al fianco del presidente nella sua battaglia contro deep State e quinte colonne neocon all’interno del partito repubblicano e Trump, ovviamente, non glielo ha mai perdonato. Nel Trump 2.0 per Pompeo l’opportunista non c’è spazio: ed ecco il suo tentativo di posizionarsi come referente della parte più ragionevole e conservatrice del good old party, col sostegno anche dei liberali, nel tentativo di creare qualche contrappeso allo strapotere di Re Donald; questo endorsement dell’establihment liberal si è tradotto giusto ieri in una cattedra presso la progressista Columbia University e oggi, appunto – te guarda a volte le coincidenze – in questo editoriale sul Giornale, che non è una testata a caso.
L’ex giornale della famiglia Berlusconi, dal 2022 è diventato di proprietà Angelucci, come Libero e Il Tempo; la presidenza onoraria, però, è rimasta a Paolo Berlusconi e la famiglia Berlusconi, a partire dalla compagna Marina, nel gioco delle parti tra le varie fazioni della destra ultraliberista gioca il ruolo di mediatore per stemperare gli eccessi della Meloni filo-trumpiana e guida dei finto-sovranisti. Nell’editoriale, Pompeo racconta di come, appena nominato Segretario di Stato nel 2018, sia andato a Bruxelles per un summit NATO, dove avrebbe sottolineato “agli amici europei, l’urgente necessità di aumentare i loro bilanci militari”: “Molti media europei” si lamenta Pompeo “si sono comportati come se si trattasse di un attacco politico all’Europa, volto a raccogliere consensi in patria”; in realtà, spiega Pompeo, come amministrazione vedevamo “le minacce incombenti di Russia e Cina e sapevamo che se l’Occidente avesse voluto trionfare sulle sfide future, le nazioni europee avrebbero dovuto affrancarsi dalla dipendenza dall’energia russa, sganciare le loro economie dalla Cina e investire nelle forze armate in modo che, insieme alla potenza americana, insieme avremmo avuto i mezzi” da un lato “per scoraggiare l’aggressione russa” e, dall’altro, per combattere la guerra economica contro l’unica vera superpotenza manifatturiera del pianeta, che è la Cina.Quei mattacchioni degli europei però, lamenta Pompeo, non hanno fatto i compiti a casa e la svolta trumpiana è la risposta alla necessità di imporre con la forza all’Europa quello che Biden, con le buone maniere, non è riuscito a ottenere, portando l’intero Occidente collettivo all’umiliazione sul campo in Ucraina. Le esigenze strategiche però, sottolinea Pompeo, non sono cambiate, solo che appunto, nel frattempo, abbiamo perso altro tempo e abbiamo subìto una sconfitta di portata storica; quindi ora i vassalli europei, se vogliono davvero tenere in piedi “un’alleanza atlantica… forte e prospera” devono recuperare il tempo perduto e, cioè, affrettarsi a “deregolamentare” il deregolamentabile e “impegnarsi nelle spese militari”.
mM la guerra non si vince solo con le armi e con i soldi: serve anche un’ideologia che convinca i poveri cristi a fare da carne da macello al fronte per proteggere e arricchire le oligarchie e, quindi, l’Europa deve “abbracciare la libertà individuale come ha fatto il governo del primo ministro Meloni in Italia”; ma “se invece” ammonisce Michelino “l’Europa continuerà a percorrere una strada segnata dalla follia dell’energia verde, da leggi che limitano la libertà di parola e da bilanci della difesa poco seri, il futuro dell’alleanza atlantica diventerà sempre più incerto, mentre i nostri avversari si rafforzeranno. E non certo per una decisione degli Stati Uniti, ma solo per l’inefficacia dell’Europa”. Meraviglioso! Al giorno d’oggi, anche continuare a fare lo schiavo, a condizioni ancora peggiori, è un obiettivo che ti devi guadagnare: Pompeo sottolinea come gli USA non abbiano nessunissima intenzione di abbandonare il loro schiavetto da giardino al suo destino, però deve capire chiaramente che gli interessi del suo padrone sono anche i suoi e che “non si tratta di una lotta tra Stati Uniti da una parte e Russia, Cina e Iran dall’altra”, ma “tra nazioni libere costruite su principi democratici, sulla libertà individuale e sul libero mercato da un lato, e regimi autoritari dall’altro”; “L’America non ha intenzione di abbandonare l’Europa e non l’ha mai fatto: è semplicemente ora che lo status quo, in cui gli Stati Uniti hanno contribuito alla difesa dell’Europa molto più di quanto l’Europa stessa abbia fatto, si adatti alle nuove realtà” perché “se siete dalla parte della nazioni libere” ammonisce Pompeo “dovete comportarvi come tali”. E quindi basta dittatura dell’establishment liberal, basta questa puttanata del green, che necessariamente vi lega alla Cina, leader indiscusso e irraggiungibile della tecnologia per la transizione energetica, e subito mano al portafoglio per armarci fino ai denti: “Posso assicurarvi che gli americani vogliono soltanto questo”, esattamente in linea col nostro governo dei patrioti; “Il vostro Paese” sottolinea Pompeo “ha stracciato l’accordo per la Via della Seta, ha eliminato le norme che limitavano il libero mercato e ha dato la priorità all’aumento delle spese militari”. Se solo anche il resto d’Europa seguisse l’esempio senza rompere tanto i coglioni, “abbracciasse queste idee e lavorasse al fianco degli Stati Uniti, sono certo che il partenariato transatlantico potrebbe essere più forte che mai”. Ora, ovviamente, Pompeo ormai è un personaggio in cerca di autore che prova un po’ a ritagliarsi un ruolo facendo da pontiere tra la parte sconfitta dell’establishment e la parte trionfante e l’editoriale, palesemente, è una marchettona a basso costo al nostro governo, ma, sostanzialmente, credo colga la vera entità della partita in corso. L’assalto frontale di Forrest Trump all’Europa non è una rottura della sacra alleanza: è una conferma on steroid dei rapporti di forza al suo interno e una ridefinizione della strategia.
La Meloni, che tra tutti i servi europei è forse quella più servile in assoluto, in continuità con i suoi predecessori è già promossa di default; gli altri, o si danno una mossa a mettersi in riga o sono destinati a fare una finaccia. O, almeno, è quello che vuole far credere Trump, che non è certo nuovo a mostrare muscoli che non ha: in Germania, ad esempio, non sembra essere riuscito a dettare completamente la linea. I 4 attentati terroristici degli ultimi 2 mesi, dopo 8 anni di pace totale, puzzano di strategia della tensione da lontano mille chilometri; e che l’intelligence tedesca sia una succursale degli USA non è certo un mistero. Non sembrano, però, aver destato un terremoto delle dimensioni sperate: l’Afd ha sì raddoppiato i voti, ma niente di più del previsto. Il candidato cancelliere che, come ampiamente previsto, è uscito vincitore, è sì il più atlantista degli atlantisti, ma di un team un po’ diverso da quello del cerchio magico di Re Donald: ex capoccia di BlackRock Germania, il compagno Merz ha fatto sapere che l’obiettivo è mettere i mattoncini affinché l’Europa sia in grado di diventare gradualmente sempre più indipendente dagli USA; ovviamente sono un po’ parole in libertà, perché nel gioco tra chi deregolamenta di più per concentrare i capitali e creare campioni continentali con gli USA, molto banalmente, non c’è partita. Però, comunque, lascia intravedere una certa dialettica e la volontà del capitalismo tedesco di non sbracarsi completamente; ovviamente, la Germania avrebbe tutti i mezzi per reagire all’offensiva del gigante dai piedi d’argilla guidato da Re Donald: per farlo, però, dovrebbe rinunciare ai dogmi neoliberisti e al dominio incontrastato delle oligarchie in miniatura europee sul continente, e per un funzionario del capitale è più facile immaginare di affrontare un fungo atomico che non pensare di mettere un freno agli appetiti dell’accumulazione capitalistica.
Le dichiarazioni di Merz non sono l’unico tentativo da parte europea di provare a far credere al pubblico a casa che hanno intenzione di vendere cara la pelle: una bella sceneggiata è andata in onda anche ieri al Palazzo di vetro dell’ONU (tanto che je frega… L’internazionale trumpiana ha già deciso che è un’istituzione finita); è come se qualcuno che fa finta di giocare in serie A puntasse tutto sulla vittoria di un match di calcetto a 5 scapoli contro ammogliati. E, comunque, anche lì la finale l’hanno persa; ieri, infatti, all’ONU si sono tenute tre votazioni: le prime due, esclusivamente di facciata, all’assemblea generale, e queste l’Europa e le bimbe di Zelensky le hanno vinte facili (pure troppo). Il motivo del contendere è che Trump per provare a lisciare il pelo al vincitore della guerra, nella speranza di ingraziarselo, giustamente non vuole più che dica che la guerra è stata causata da un’aggressione della Russia; gli europei, invece, ci tengono parecchio, visto che l’unica cosa che gli è rimasta è l’indignazione dell’elettorato analfoliberale. Quindi prima hanno presentato una risoluzione dove si ripeteva la solita manfrina contro il sanguinario dittatore plurimorto del Cremlino e delle sue tendenze predatorie e imperiali (ed è passata) e poi hanno imposto di introdurre le solite formulette anche su un altra risoluzione presentata invece dagli USA stessi che, a quel punto, hanno deciso di astenersi: una doppia vittoria di Pirro (anzi, del suo fratello scemo) perché quando la diatriba, invece, è arrivata in Consiglio di sicurezza – che conta il giusto, ma sicuramente più dell’assemblea generale – la schiena dritta dell’Europa difensore del diritto internazionale immaginario s’è tornata a piegare, e l’opposizione alla formulazione voluta da Russia, Cina e USA s’è trasformata in astensionismo e mancato ricorso al diritto di veto. E questi, diciamo, sono un po’ gli atti di forza; figurarsi le figure di merda.
La più pittoresca è quella che ha raccattato il compagno Macron che, dopo aver fatto 3 buchi nell’acqua di fila con i suoi tentativi patetici di trasformare una gita di pensionati a Parigi in un summit dove concordare una linea europea comune da contrapporre a Forrest Trump, è corso a Washington con la coda tra le gambe a chiedere un po’ di considerazione. D’altronde, va capito: Merz almeno, anche se ha solo armi spuntate, ha appena vinto le elezioni; lui le elezioni non le vincerà mai più nemmeno nel suo condominio, o per decidere chi tira su i numeri della tombola a capodanno. Con questo viaggio, Macron sostanzialmente ha cercato di convincere Trump che affinché l’Europa si allinei completamente al nuovo corso della Casa Bianca, non c’è necessariamente bisogno di rivolgersi a chi era trumpiano già da prima, come la nostra Meloni: anche i liberali come lui sono tranquillamente in grado di fare tutte le giravolte necessarie e garantire fedeltà eterna (un po’ sulla scia di Mark Zuckerberg, diciamo), basta che Trump la smetta di umiliarli in pubblico. Messaggio che Trump, però, non sembra aver recepito; palesemente a presa di culo, di fronte alle telecamere con Macron a fianco, Trump, invece di parlare di lui, è tornato a elogiare infatti la nostra Giorgia: “Una grande leader” ha affermato, così, de colpo, senza senso.
Il bello è che, tra tutti, invece di affrontare il problema della sudditanza, lo usano per affossarci ancora di più; Merz ora lo sta usando per fare un giochino che piace tanto alla propaganda analfoliberale che piace: la narrazione sulla quale hanno sempre puntato è che la causa della nostra mancata indipendenza è l’assenza di un esercito europeo all’altezza. Merz, allora, ha proposto di fare uno strappo al protocollo per mettere una toppa: per riarmarsi a dovere, infatti, la Germania deve prima cancellare un articolo della Costituzione che pone un tetto al deficit dello 0,35%, una regola demenziale (tra le tante introdotte dai paesi europei) per far vincere la lotta di classe ai più ricchi a suon di austerity. Ma c’è solo una cosa peggiore di avere regole che impediscono di fare manovre anticicliche per far ripartire l’economia: usare i soldi di tutti, invece che per gli ospedali e l’istruzione, per le armi. E non si tratta di buonismo: uno Stato sovrano, ovviamente, deve pensare anche alla difesa e gli investimenti in difesa, se ben indirizzati, sono un ottimo driver tecnologico e fonte di innovazione. Nel nostro caso, però, riarmarsi non serve a garantire la sicurezza, ma esattamente il contrario: riarmarsi con la scusa della minaccia russa che esiste solo nella testa di Michele Boldrin e di Pina Picierno, in realtà, serve solo a renderci più insicuri, perché dopo essersi prestati per 15 anni alla guerra per procura degli USA contro la Russia, ovviamente la Russia non ha nessun motivo per fidarsi di noi,
Ma non solo: il punto è anche che il problema principale dell’Europa oggi, soprattutto di fronte alle minacce protezioniste di Forrest Trump, è che dopo (appunto) 20 anni di austerity mancano i consumi interni; e le risorse dovrebbero andare lì e a tutto il welfare che permette ai consumi di crescere. Se serviva ancora una prova, ce la dà il Wall Street Journal; la nostra dipendenza dai consumi USA, infatti, è ancora più pericolosa di quanto pensavamo. Il punto è che negli USA – nonostante la propaganda dei Francesco Costa e dei Rampini – a consumare è una fascia ristrettissima della popolazione: il 10% più ricco pesa per poco meno della metà dei consumi. Vent’anni fa pesavano per poco più del 35: questo significa che anche le nostre sorti di Paesi esportatori dipendono dai consumi di questo minuscolo gruppo sociale; il problema è che questo gruppo sociale deve la sua capacità di spesa fondamentalmente alle gigantesche bolle finanziarie ed immobiliari che, se dovessero esplodere, ci getterebbero tutti sul lastrico. E se noi, invece che regalare i nostri risparmi agli statunitensi, ce li tenessimo per investire in casa nostra, quella bolla esploderebbe domattina: ecco perché, al di là delle armi di distrazione di massa, la nostra classe dirigente è strutturalmente interamente al servizio della rapina che Washington e Wall Street portano avanti da decenni e tutte le divisioni, stringi stringi, sono un po’ un teatrino.
Questo rapporto di sudditanza fa particolarmente specie quando si guarda come si relazionano tra loro i Paesi fuori dall’Occidente collettivo: ieri, per la seconda volta dall’inizio dell’anno, Putin e Xi Jinping si sono intrattenuti a lungo al telefono in una chiamata che il Cremlino ha definito approfondita e molto cordiale. Del tentativo di Trump di concedere tutto in fretta a Putin per sganciarlo da Pechino abbiamo parlato svariate volte nelle ultime settimane; quello che il contenuto di questa telefonata, ancora una volta, ci sbatte davanti agli occhi è che il tentativo di Trump potrebbe essere del tutto velleitario: il punto è che non c’è nessun rapporto di subordinazione tra i due da invertire andando in soccorso della parte più debole. Che la guerra in Ucraina avesse reso la Russia dipendente dalla Cina è una favoletta che si sono voluti raccontare i nostri propagandisti analfoliberali che, appunto, tra Stati diversi conoscono soltanto rapporti di subordinazione, “Tuttavia” scrive il Global Times “tali prospettive sottovalutano le relazioni Cina-Russia, vedendole ancora attraverso l’obsoleta mentalità della Guerra Fredda senza cogliere l’essenza del nuovo paradigma delle principali relazioni tra Cina e Russia”. Il rapporto tra Cina e Russia è un rapporto tra Stati sovrani che, come sottolineano in ogni occasione, “non si rivolge a terzi, né è soggetto a interferenze esterne o coercizione”. Tradotto: la Russia non ha nessuna intenzione di allearsi con qualcuno a discapito delle relazioni con qualcun altro; la Russia persegue il suo interesse nazionale e “lo sviluppo delle relazioni con la Cina” ha affermato Putin “è una scelta strategica fatta dalla Russia in vista del lungo termine; non è un atto di convenienza, non è influenzato da incidenti temporanei e non è soggetto a interferenze da fattori esterni. Al contrario, queste relazioni sono destinate a diventare più mature, resilienti e dinamiche – e questa è una certezza e contribuirà a una maggiore stabilità nel mondo”.
Com’è possibile? Sono buoni? Dei pucciosissimi teneroni? No. Sono, appunto, Stati sovrani, esattamente quello che i Paesi europei hanno strutturalmente rinunciato ad essere da tempo in nome dell’ordoliberismo; quindi, ora, se davvero Trump ci è servito ad aprire gli occhi sul fatto che gli USA sono il centro di un impero fondato sulla rapina e sulla sopraffazione, tutti quelli che hanno contribuito al fatto che i Paesi europei non avessero più gli strumenti per reagire, devono andare TUTTI A CASA e bisogna ripartire da capo. Per farlo, ci servirà anche un vero e proprio media che, invece che le vaccate dei sacerdoti dell’austerity, dia voce al 99%; aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Emma Bonino