Ben ritrovati a tutti, amici! Puntata speciale dedicata ai 10 migliori libri usciti nel 2024 per capire veramente la politica mondiale, una classifica stilata dalla redazione di Ottolina Tv e Ottosofia in cui troverete tutti i testi fondamentali per comprendere cosa sta realmente succedendo nel mondo in questo momento. Prima di iniziare, iscrivetevi a tutti i nostri canali (e chi non si iscrive è Federico bretella Rampini).

Al decimo posto troviamo La guerra finale dell’America dell’analista militare russo Andrei Martyanov. Martyanov è stato tra i primi ad aver sfatato, numeri e dati alla mano, uno dei più potenti miti del nostro tempo, un mito sul quale un intero nuovo ordine mondiale era stato costruito e governato e un mito che oggi, a causa della guerra in Ucraina (e non solo), si sta dissolvendo giorno dopo giorno: sto parlando della leggendaria e indiscutibile superiorità militare degli Stati Uniti, una superiorità che si baserebbe (per la nostra propaganda) sul primato tecnologico nordamericano, sulla qualità ed efficacia dei loro armamenti, nonché sulle praticamente infinite risorse economiche a loro disposizione. Bene: tutto questo è clamorosamente smentito dai fatti perché, come già sosteneva Martyanov nel 2018 nel suo libro Losing Military Supremacy: The Myopia of American Strategic Military Planning, e come sostiene con ancora più forza alla luce della sconfitta militare della NATO in Ucraina in questo suo ultimo lavoro, militarmente, sul piano convenzionale, gli Stati Uniti sono molto più deboli di quanto non vogliono far credere. La grandezza del PIL e la liquidità a disposizione della finanza, scrive Martyanov, non servono a vincere le guerre, anzi! Se si guarda agli Stati Uniti – per non parlare dell’Europa – la deindustrializzazione, la perdita di qualità del ceto militare e dirigente e un’economia, anche nel campo degli armamenti, tutta improntata al profitto e non all’effettiva capacità militare, hanno reso la superpotenza occidentale un vera e propria tigre di carta.
“La Russia sconfiggerebbe gli USA in una guerra convenzionale” – L’analista militare russo che ci svela perché l’Occidente è sempre più debole – OttolinaTV

Al nono posto troviamo la storica statunitense Caroline Elkins con Un’eredità di violenza. Una storia dell’impero britannico. Se non si conosce il passato coloniale occidentale dal punto di vista economico, politico e ideologico, diventa praticamente impossibile comprendere cosa stia succedendo oggi nel mondo – dall’affermarsi dei BRICS e del nuovo ordine multipolare alla guerra che gli Stati Uniti stanno preparando (e in parte già conducendo) contro di loro per difendere con la violenza il proprio impero. In queste pagine la Elkins, storica statunitense già vincitrice del premio Pulitzer per la saggistica, porta alla luce il sistema di dominio e sfruttamento su cui si reggeva il sistema coloniale britannico e ne ricostruisce le origini, le istituzioni e le pratiche: particolarmente attuali sono le terribili sofferenze inflitte a milioni di persone con la scusa di dover portare sulle spalle il fardello dell’uomo bianco o la responsabilità di educare i selvaggi, come amavano raccontarsi gli inglesi per legittimare a se stessi le proprie atrocità commesse per soldi e potere. La mentalità imperialista non sembra affatto cambiata: basta infatti sostituire quelle parole con altre più attuali come esportare la libertà e la democrazia oppure difendersi dai terroristi e dalle autocrazie ed ecco che il gioco è fatto; ci ritroviamo catapultati nel 1924 e non nel 2024 e oggi, come allora, per le potenze imperialiste tutto è permesso.

Arrivati a questo punto, abbiamo fatto una piccola eccezione e abbiamo deciso di mettere in classifica un libro che proprio un vero libro non è: si tratta di Iperimperialismo, uno straordinario lavoro di ricerca condotto dall’istituto internazionale Tricontinental che potete scaricare gratuitamente come pdf direttamente dal sito dell’istituto; meglio, no? Si tratta di un lavoro collettivo durato oltre un anno e guidato da Vijai Prashad, uno dei più importanti pensatori anti-imperialisti contemporanei che abbiamo avuto la fortuna di intervistare in diverse occasioni. Iperimperialismo fotografa con analisi, mappe e dati alla mano l’attuale contesto geopolitico e geo-economico meglio di quanto 300 volumi di Limes messi assieme sarebbero in grado di fare: dall’Ucraina alla Palestina, dal Pacifico al Medio Oriente – si legge nel documento – non è un’esagerazione affermare che il Nord globale abbia dichiarato uno stato di aperta ostilità e guerra contro qualsiasi parte del Sud globale che non chini la testa e si conformi alle sue politiche. Celebre e indicativa in questo senso è stata, ad esempio, la dichiarazione congiunta sulla cooperazione Ue – NATO pubblicata il 9 gennaio 2023: “Mobiliteremo l’insieme degli strumenti a nostra disposizione” si legge, “siano essi politici, economici o militari, per perseguire i nostri obiettivi comuni a beneficio del nostro miliardo di cittadini”. La tesi del Tricontinental è questa: l’imperialismo occidentale ha iniziato la sua trasformazione verso una nuova fase – l’iper-imperialismo – e, cioè, non più il vecchio imperialismo in salute e sicuro di sé che pensa alla globalizzazione sotto il proprio domino come certo e inevitabile, ma un imperialismo declinante, proprio di chi è sempre più consapevole del proprio ridimensionamento dato dall’emergere di nuovo potenze mondiali, ma proprio per questo ancora più pericoloso in quanto più si sente fragile, più mostra le zanne ed è disposto a tutto per salvarsi la vita. “Lo sanno bene i milioni di congolesi, palestinesi, somali, siriani e yemeniti che vivono sotto il militarismo statunitense, le cui teste si abbassano istintivamente per cercare riparo al minimo rumore improvviso” scrivono gli autori del Tricontinental. Oltre ai bombardamenti, da sempre un evergreen per la più grande democrazia dell’Occidente, le tattiche dell’iper-imperialismo sono in parte modellate dalla modernizzazione della guerra ibrida, che include strumenti come il diritto internazionale usato come arma (lawfare), sanzioni, il sequestro di riserve nazionali e di beni e altre forme di guerra non militare. E, cosa ancora più importante, il controllo della verità: più si sente debole ed è costretto a mostrare il suo volto feroce e spietato, più l’impero ha bisogno di rinserrare il controllo sui media l’informazione (come noi, purtroppo, sappiamo molto bene): “I nuovi strumenti tecnologici di sorveglianza e comunicazione mirata tipici dell’era digitale sono impiegati per condurre il controllo imperialista nella battaglia delle idee”.
“Spezzeremo le reni alla Russia” – Perché l’iper-imperialismo ha scelto la guerra mondiale – ft. Vijay Prashad – OttolinaTV

In settimana posizione troviamo un importante storico italiano che abbiamo intervistato circa un mesetto fa su Ottosofia, un’intervista che invito tutti a recuperare: sto parlando di Salvatore Minolfi e del suo Le origini del conflitto russo-ucraino pubblicato dalla casa editrice dell’Istituto italiano per gli studi filosofici. Che la guerra russo-ucraina sia stata soprattutto l’effetto di un insieme di scelte occidentali e che queste siano l’esito di tendenze profonde presenti da decenni nelle due sponde dell’Atlantico, è cosa di cui tutti ormai sono più o meno consapevoli; e in questi quasi 3 anni di guerra sono usciti in Italia decine e decine di testi che analizzano le cause profonde della guerra. Ma il merito di questo rigorosissimo saggio di Salvatore Minolfi è quello di farci leggere gli stessi documenti prodotti dall’amministrazione statunitense e think tank annessi dagli inizi degli anni novanta a oggi; e carta canta, verrebbe da dire: sono documenti in cui emerge con tutta chiarezza la consapevole strategia egemonica delle oligarchie economiche e delle élite statunitensi in Europa orientale, almeno a partire dalla presidenza Clinton, appena finita la guerra fredda. Per restare anche solo agli ultimissimi anni, basta guardare lo studio dell’influentissima Rand Corporation, significativamente intitolato Extending Russia, che riproponendo nel 2019 una versione aggiornata della strategia afghana anti URSS, invita a costringere Mosca ad azioni militari talmente onerose da portare al suo collasso interno; oppure il documento strategico del 2021 della Casa Bianca dove si esplicita l’intenzione di dar vita a un nuovo ordine attraverso distruzione e costruzione anche riprendendo apertamente la strategia delle presidenze Bush. Ma adesso basta con la guerra in Ucraina: anche noi qui a Ottolina non ne possiamo più di ripetere da 3 anni sempre le stesse cose.
La guerra in Ucraina come risultato del “nuovo pensiero strategico americano” – Live – OttolinaTV

E’ il turno, invece, di uno dei nostri migliori amici; io ci sono stato a cena insieme e vi posso dire che oltre ad essere simpaticissimo, si tratta di un vero Ottoliner. Stiamo parlando di quello che è forse il più lucido intellettuale francese vivente: Emmanuel Todd, autore uno dei casi letterari dell’anno, La sconfitta dell’Occidente, pubblicato dalla sempre ottima Fazi editore. Non c’è forse nessuno meglio di Todd che ha descritto i nuovi rapporti tra gli Stati Uniti e gli alleati vassalli europei a partire dalla crisi del 2008 e, cioè, da quanto gli Stati Uniti prendono consapevolezza di non poter più esercitare il controllo militare di tutto il pianeta e il loro obiettivo principale diventa quello di rafforzare il controllo sui cosiddetti alleati: dall’Europa occidentale al Giappone, passando per la Corea del Sud e Taiwan. Dopo anni di tentato disaccoppiamento dall’economia cinese, infatti, gli USA importano ormai più dagli alleati vassalli che non dalla Cina e, ancor più che per i beni materiali, per i capitali che sostengono la sua finanza passando attraverso i paradisi fiscali. In termini molto pragmatici, quindi, oggi – scrive Todd – “La sopravvivenza materiale degli Stati Uniti dipende dal controllo dei propri vassalli”, come sottolineava anche Giuliano Marrucci nel suo primo pamphlet, Riscossa Multipopolare. C’è un dato incredibile che dovrebbe occupare da anni quotidianamente le prime pagine di tutti i giornali del vecchio continente e che, invece, viene sistematicamente e volutamente ignorato: ancora poco più di 15 anni fa, i Paesi dell’eurozona in media (e l’Italia in particolare) avevano un reddito e un patrimonio pro capite più o meno pari a quello statunitense; oggi, invece, viaggiamo poco sopra la metà del loro. Che fine hanno fatto i nostri soldi? Molto semplice: abbiamo subito non una rapina, ma due, che vanno a braccetto; la prima è la quota di ricchezza (e anche di reddito) che a noi che viviamo in fondo alla piramide è stata letteralmente rubata da chi sta in cima e la seconda è la rapina che i mercati finanziari USA, con la complicità delle nostre oligarchie autoctone, hanno compiuto nei confronti dei nostri mercati di capitali. Il risultato è che nei mercati finanziari USA c’è oggi la massima concentrazione di capitali (e, quindi, di potere politico) della storia dell’umanità e in Europa è sopraggiunta la crisi economica e l’irrilevanza politica. Celebre è poi la definizione di Todd dei regimi occidentali come delle oligarchie liberali e, cioè, dei regimi in cui vi è una tale concentrazione di ricchezza e di potere politico e mediatico da rendere proprio impossibile tecnicamente parlare di democrazia; e però liberali perché leggiamo “Le leggi non sono mutate. Formalmente sono ancora democrazie liberali, con tanto di suffragio universale, di parlamenti e talvolta presidenti eletti, nonché di una stampa libera. A sparire piuttosto sono stati quelli che potremmo definire i costumi democratici. Le classi più istruite si ritengono intrinsecamente superiori e le élite si rifiutano di rappresentare il popolo, le cui rivendicazioni vengono bollate come populismo”. Rimanendo l’istituto delle libere elezioni ancora in vigore, ma dovendo categoricamente tenere il popolo “fuori dalla gestione economica e dalla distribuzione della ricchezza”, il popolo quindi, molto banalmente, “deve essere ingannato”, sistematicamente; anzi, sottolinea Todd: ingannare il popolo è “diventato il lavoro a cui le élite riservano l’assoluta priorità”. La nostra impressione è che in questa nuova fase di guerra queste oligarchie liberali si stiano trasformando in oligarchi autoritarie, ma insomma: se vi interessa approfondire, andatevi a recuperare l’intervista che abbiamo fatto a Todd a settembre.
Siamo arrivati a metà classifica; da adesso in poi, però, cerchiamo di andare un po’ più veloci visto che non vogliamo tediarvi troppo durante le vacanze natalizie. Non poteva mancare un approfondimento sul vicino Oriente e sulla pulizia etnica in corso a Gaza, visto che il 2024 ha definitivamente tolto qualunque maschera al progetto sionista di espellere palestinesi dalle loro terre o, al massimo, fargli fare la stessa fine degli indiani d’America confinandoli in delle riserve.
Emmanuel Todd – Ecco come gli USA spiano e ricattano le nostre classi dirigenti – OttolinaTV

In quinta posizione, quindi, troviamo Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina del celebre storico israeliano (ma siamo sicuri che Italo Bocchino lo accuserebbe comunque di antisemitismo) Ilan Pappé: si tratta di una storia della colonizzazione israeliana della Palestina dalla seconda metà dell’800 ad oggi, il libro giusto per smascherare chi vorrebbe far partire la storia dal 7 ottobre e per conoscere tutto l’essenziale su questa ennesima, atroce pagina nella storia delle colonizzazioni e pulizie etniche occidentali.
¡Desaparecinema! ep. 17 – Dalla propaganda nazista al film maledetto di Jerry Lewis – OttolinaTV

Al quarto posto, un’opera a cui ha contribuito un autore piuttosto ambiguo e controverso: Giuliano Marrucci, un pensatore che, dopo una lunga carriera nel mondo della moda, ha deciso di fondare l’ormai celebre media complottista e filo-putinista Ottolina Tv. Scherzi a parte, Giuliano e Vadim Bottoni hanno appena pubblicato per Poets & Sailors un preziosissimo pamphlet dal titolo Il mito del dollaro. Storia dell’ascesa e del declino del dollaro; “Un testo d’altri tempi per capire il futuro”: così il professore di storia economica Alessandro Volpi ha descritto quest’opera fresca di stampa che ha lo scopo di fare un bilancio periodico del lavoro di ricerca e di analisi che portiamo avanti quotidianamente come redazione per fissare nel modo più chiaro, ma anche più rigoroso possibile, gli elementi strutturali che caratterizzano questa fase di trasformazioni turbolente. Nella prima parte, Bottoni illustra in modo sorprendentemente chiaro le contraddizioni irrisolvibili che derivano dalla dittatura del dollaro come fondamento dell’architettura imperiale: il dilemma irrisolvibile al quale si trova di fronte chiunque varchi la soglia della Casa Bianca è infatti tra la necessità di mantenere il monopolio dell’architettura monetaria e finanziaria globale, fondato sulla forza e la stabilità del dollaro, e la necessità, invece, di Make America Great Again per ricreare quel tessuto produttivo e industriale senza il quale la grande guerra dell’imperialismo USA per arrestare la transizione a un nuovo ordine multipolare sarebbe persa in partenza e che necessita di una lunga fase di tassi d’interessi bassi e dollaro debole. Nella seconda parte, il nostro Giuliano, invece, fa un bilancio aggiornato ed esaustivo su come proprio questo “dilemma di governance” determina il rapporto degli USA col resto del mondo, a partire dalle due grandi anomalie dell’Occidente collettivo: la Germania e la Corea del Sud, le due uniche vere potenze produttive rimaste in Occidente. Insomma: un testo fondamentale per affrontare l’esordio dell’amministrazione Trump 2.0 con tutti gli strumenti a disposizione per capire cosa nel succede nel mondo.
https://ottolinatv.it/2025/01/02/il-mito-del-dollaro-come-lo-strumento-dellegemonia-usa-si-e-trasformato-in-una-trappola-mortale/

Ma passiamo alla terza posizione. L’economicismo – e, cioè, il pensare che la lotta politica sia in fondo solo una lotta economica per aumentare la propria capacità di consumo e alzare la busta paga – è stato uno dei grandi limiti strutturali di buona parte marxismo del ‘900, un limite di visione antropologica che ha contribuito alla sua sconfitta storica, un lascito della mentalità capitalista che pensa alla condizione umana come una condizione puramente economica e i rapporti tra le persone in termini puramente utilitaristici ed egoistici. Ma come ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, l’alienazione non deve essere combattuta solo sul piano economico, ma anche su quello culturale e antropologico, pena non essere compresi e seguiti proprio da quel 99% a cui si dovrebbe rivolgersi. Il capitalismo neoliberista non è solo ingiusto perché non redistribuisce ricchezze e risorse; è molto di più: è proprio contrario e distruttivo della natura dell’uomo e dei suoi equilibri psichici, come dimostra il fatto che sempre più persone in Occidente – con numeri imparagonabili ad altre parti del mondo – riescono ad andare avanti solo grazie a psicofarmaci o droghe di vario tipo, vivendo una presunta normalità che è diventata, a tutti gli effetti, patologica. Relativismo, individualismo, consumismo, competitivismo: i valori nei quali siamo immersi, essendo intrinsecamente contro natura (come dimostrano gli studi), hanno distrutto, oltre che il pianeta, anche la psiche degli esseri umani occidentali ed è quindi assolutamente urgente ripensare in che cosa consista la fisiologia umana e su quali nuovi valori e significati si debba fondare l’inversione di questo devastante declino. È quello che ha fatto Andrea Zhok nel suo ultimo libro, Il senso dei valori edito per Mimesis, una bellissima sintesi di tutto il lavoro di ricerca del professore di filosofia che mira rifondare una nuova politica non solo a partire dalle analisi economiche e geopolitiche (che difficilmente hanno portato le masse a fare la rivoluzione), ma a partire da una nuova ontologia e una nuova etica.
Andrea Zhok – Il liberalismo ci sta portando alla terza guerra mondiale? – OttolinaTV

Ci avviciniamo alla fine: in seconda posizione troviamo il monumentale Il Capitale dell’antropocene di Kohei Saito; si tratta di un testo d’impatto decisivo per quanto riguarda la giustizia climatica, le lotte sociali e, più in generale, l’impegno espresso dai grandi pionieri dell’ambientalismo italiano. Smascherando le illusioni prometeiche di quanti scommettono sulle meravigliose sorti e progressive della tecnologia per arrestare gli effetti nocivi del cambiamento climatico e denunciando l’imperialismo verde dei Paesi del Nord del mondo con il loro stile di vita insostenibile, il saggio del filosofo giapponese muove da una lettura ecologista di Karl Marx: uscire dalla società dei consumi e dalla mitologia della crescita infinita è l’obiettivo finale di una necessaria convergenza tra ambientalismo e socialismo.

Il primo posto spetta a Wolfgang Streeck e al suo splendido Globalismo e democrazia: stiamo parlando del più importante sociologo tedesco contemporaneo già stato per due volte ospite della nostra non Tv. Nel suo decennale lavoro di ricerca, Streeck ha ormai dimostrato in lungo e in largo l’assoluta impossibilità di convivenza tra capitalismo e democrazia e indicato nella possibilità che i due sistemi possano coesistere all’interno di una stessa società il più grande mito dei nostri tempi. La democrazia è quella forma di governo che poggia sull’idea della partecipazione al potere dei cittadini, della redistribuzione della ricchezza e del primato dell’interesse comune sull’interesse privato: prodotto del pensiero democratico sono stati i sindacati, la sanità e la scuola pubblica, i diritti dei lavoratori e il suffragio universale. Il capitalismo, invece, è un sistema economico e sociale oligarchico che tende naturalmente alla concentrazione di ricchezza in mano a un gruppo di persone sempre più ristretto e che trasforma questa concentrazione di potere economico anche in potere politico, privando così la maggioranza delle persone sia della possibilità di partecipare al governo della cosa pubblica, sia di quella di autodeterminare la propria esistenza: prodotti del capitalismo sono l’individualismo consumistico, la privatizzazione dei servizi e degli spazi pubblici e la crescita senza limiti delle diseguaglianze sociali. “Questi due disegni di società, a cui si contrappongono anche visioni antropologiche e filosofiche differenti” afferma perentorio Streeck “non possono chiaramente coincidere. O l’uno, o l’altro”; sul piano della sfida politica, la possibilità di restituire senso al concetto di democrazia non può fare a meno di un processo di riforme che restituiscano ossigeno alla maggioranza della società, emancipandola dal ricatto materiale dentro e fuori i luoghi di lavoro, una battaglia quotidiana da accompagnare a due ingredienti fondamentali: il controllo dei movimenti dei capitali sul piano nazionale ed europeo e una forte pianificazione economica. “Come contrapporre ad esempio il diritto all’abitare a quello della speculazione e della rendita” riflette Streeck “se non imponendo in maniera trasversale e sistematica limiti alla proprietà immobiliare e alla speculazione sui prezzi degli affitti?”: tutte le evidenze empiriche ormai ci dicono che la libertà di movimento dei capitali da un lato favorisce i profitti a danno dei salari e, dall’altro, alimenta l’instabilità macroeconomica e il caos delle relazioni internazionali. La nostra prima esigenza politica, dunque, è quella di reprimere la libertà di movimento del capitale per ridare slancio a tutti gli altri diritti: civili, politici e sociali; e oggi chi sarebbe materialmente in grado di portare avanti questa rinnovata subordinazione del mercato finanziario agli interessi della collettività? Streeck sembra piuttosto pessimista che tutto questo possa avvenire a un livello sovranazionale: “Se non c’è nulla nell’Europa sovranazionale che possa fornire il tipo di coesione sociale e di solidarietà e governabilità necessario, se tutto ciò che c’è a livello sovranazionale sono gli Junker e i Draghi, allora la risposta generale è che invece di fare come Don Chisciotte e cercare di estendere la scala della democrazia a quella dei mercati capitalistici, bisogna fare il possibile per ridurre la scala di questi ultimi e adattarla alla prima”. In altre parole, sostiene Streeck, il mercato deve essere riportato nell’ambito del governo nazionale democratico.
Wolfgang Streeck – Il collasso dell’impero sarà la fine del capitalismo? – OttolinaTV
Crisi dell’impero tedesco – OttolinaTV
Siamo arrivati alla fine; come avrete capito, la classifica non era in ordine di importanza. Di grande importanza per noi è, invece, che voi continuiate a sostenerci per costruire un media veramente libero e indipendente composto da persone che continuino a studiare il mondo e la politica su testi come questi e non sui libri di Maurizio Molinari e gli inserti culturali del Sole 24 Ore. Per questo, aderite alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
Buon 2025 e ci vediamo alla prossima puntata.
Ottima iniziativa presentare questi libri con una succinta sintesi!