¡Desaparecinema! ep. 6 – Gian Maria Volonté: l’uomo che ha detto no a Fellini e Coppola
Gian Maria Volonté, come ogni bambino di quegli anni, era entrato a far parte della Gioventù Italiana del Littorio, ex Opera nazionale Balilla. Come scrive Mirko Capozzoli, il suo biografo, nel suo libro, “alla Gil spettava il compito di plasmare lo spirito e il fisico dei giovani italiani per trasformarli in perfetti fascisti, ma Gian Maria si era mostrato refrattario alla disciplina e, ai saggi ginnici tenuti allo stadio Mussolini, preferiva il calcio giocato nelle piazze di quartiere”. Il padre era a sua volta uno degli squadristi che nel 1943, quando Gian Maria aveva 10 anni, si erano riuniti in gran segreto all’ex Casa del Balilla per ricostruire il Movimento fascista. Nel ‘56, il fratello Claudio, iscritto al Movimento Sociale Italiano, un giorno chiese all’ormai 23enne Gian Maria “Ma sei diventato comunista?”; Gian Maria rispose “Se voglio lavorare a teatro devo essere di sinistra”.
Al tempo di “Quien sabe”, 1966, “non aveva ancora una precisa e forte coscienza politica”.
Ecco, questo chiarisce in mio dubbio. Recentemente ho deciso di dare uno sguardo ad una vecchia serie televisiva che alcune persone dell’epoca talvolta nominavano: Il commissario Maigret.
Ho guardato solo due storie: “Un natale con Maigret” e “Una vita in gioco”. Non sapevo nulla ma mi sono reso conto che le storie sono di un classismo che personalmente ho trovato rivoltante. Il colpevole è sempre un povero reo di aver osato cercato di accedere al benessere della classe media e per questo descritto come deviante, con l’ispettore che fa giustizia con modi sbrigativi e sbirreschi.
In “Una vita in gioco” uno dei criminali è interpretato proprio da Volontè, un uomo che avendo in passato fallito nella scalata sociale sviluppa una ossessione che lo spinge a vendicarsi su un altro giovane angosciato e che sta cerca di fare la stessa cosa nel tentativo di rovinarlo.
Pur senza giudicarlo, visto lo spessore indiscutibile dell’uomo, non capivo come mai un attore come lui si fosse prestato ad una opera così palesemente classista, pensavo che forse aveva bisogno di soldi, lo comprendevo ma non mi bastava. Considerando che è del ’65 il fatto che ancora non avesse “una precisa e forte coscienza politica” è una spiegazione migliore.