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Tag: proteste

USA e UE hanno pagato bande armate di criminali per destabilizzare il Venezuela?

Oggi per il consueto appuntamento del sabato mattina attorno al mondo, il nostro Gabriele intervista Aimone Spinola che si è recato in Venezuela da alcuni giorni, portandoci testimonianza diretta di cosa sta accadendo nel paese. Le millantate manifestazioni delle opposizioni non esistono; ci sono stati alcuni raduni a Caracas di minore entità. I supporter di Maduro hanno invece invaso le strade e le piazze di tutto il paese. Molto frammentata l’opposizione, tra chi intende rispettare il risultato elettorale e chi, invece, chiede l’intervento militare straniero o attacca le infrastrutture elettorali (tra cui molte scuole in zone impervie del paese e la cui ricostruzione graverà in futuro sulle autorità venezuelane). Buona visione!

Israele ruba gli organi dei palestinesi?

Prosegue la protesta degli studenti nelle università e nelle piazze contro Israele. Oggi torna ad Ottolina Dalia dei Giovani Palestinesi per raccontarci come procede la mobilitazione in Italia e nel mondo, quali sono gli obiettivi degli studenti e perché è fondamentale interrompere i rapporti con le università israeliane. L’intera economia israeliana ruota attorno la guerra e la repressione; le borse di studio e il turismo vogliono normalizzare un regime di apartheid; è quindi fondamentale che gli occhi del mondo rimangano puntati su quanto accade a Gaza e dire no al genocidio.

#Gaza #Palestina #FreePalestine #GiovaniPalestinesi

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

LIVE – La feroce repressione che sta colpendo gli studenti proPal nel silenzio generale

Collegamento live con gli studenti dell’università La Sapienza di Roma per gli ultimi aggiornamenti sulle proteste che li vedono impegnati.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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Le proteste ProPal rompono l’egemonia liberale sull’Occidente – Ft. Paolo Borioni

Oggi il nostro Gabriele intervista Paolo Borioni per parlare delle proteste #ProPal in Europa. Dopo una prima analisi sul caso tedesco e sul più generale funzionamento europeo, il discorso si sposta sulla acampada a La Sapienza di Roma, dove Borioni è insegnante e si confronta quotidianamente con gli studenti. Le proteste a favore della Palestina segnano la riapertura di un dissenso sociale in Italia come non si vedeva da decenni. Il movimento studentesco si allarga e procede per tentativi, cercando di ritrovare la forza di aprire nuovi spazi di democrazia e dialogo. La democrazia diventa quindi scontro-confronto, dialogo tra diversi e momento di crescita sociale e politico in cui le nuove generazioni (rarefatte demograficamente, sfiduciate politicamente e con tante incertezze economiche) cercano la chiave per farsi sentire dalle istituzioni e influenzare i processi decisionali. Buona visione!

#ProPal #acampada #università #NoGenocidio

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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La Palestina è il nuovo Vietnam: i governi europei scatenano una brutale repressione

La protesta studentesca dilaga in tutta Europa e Nord America: era dai tempi del Vietnam che non si vedeva una mobilitazione così massiccia degli studenti, dei sindacati e del movimento progressista. L’impero vacilla davanti al dilagare delle manifestazioni di solidarietà e l’ordine mondiale imperialista viene minacciato fuori casa dai BRICS e dentro casa dall’incipiente lotta sociale. Intanto la polizia in Texas, in California, a Pisa o Torino picchia gli studenti, a La Spezia un comune cittadino viene identificato per un cartello contro la NATO fuori dalla finestra e una ragazza viene fermata e messa in arresto da sette agenti in borghese per una bandiera palestinese sulle spalle, mentre protestava all’arrivo del Giro d’Italia. L’impero colpisce ancora e la scure repressiva taglia la testa al movimento anti-coloniale e anti-sionista. Buona visione!

#Palestina #Gaza #Vietnam #ProtesteStudentesche

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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Global Southurday – La guerra incombe – Ft. Alberto Fazolo

Oggi il nostro Gabriele intervista Alberto Fazolo per il consueto appuntamento del sabato. Si parlerà di proteste nelle università USA, forniture di armi all’Ucraina, guerra economica (sanzioni e nazionalizzazioni), la visita di Xi a Belgrado e trattative per un cessate il fuoco a Gaza. Sullo sfondo il grande cambiamento avvenuto nel mondo negli ultimi venticinque anni; gli USA non sono più lo sceriffo del mondo e devono fare i conti con il suo assetto multipolare e l’ascesa cinese. Buona visione!

#Gaza #proteste #USA #Cina #Ucraina #Biden

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LIVE – Le proteste che terrorizzano il governo Meloni… e non solo

Gabriele Germani si collegherà con gli studenti dell’università La Sapienza di Roma per una rapida panoramica sulle iniziative a sostegno del popolo palestinese.

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Fardelli d’Italia (ep. 11) – L’Italia è complice del genocidio? – con @PaeseReale

Oggi, nell’undicesima puntata di Fardelli d’Italia, rubrica settimanale di Paese Reale per Ottolina Tv, parliamo delle proteste degli studenti sulle collaborazioni delle università italiane con gli atenei israeliani e dell’annoso tema giovanile della crescita del consumo delle droghe. Buona visione

L’Occidente in panico per il trionfo di Putin reagisce a suon di fake news e leggende metropolitane

I media occidentali non sembrano avere dubbi: sapete chi è stato il vero vincitore delle elezioni in Russia? Alexander Navalny! Lo sapevo! Hai presente quando ti ritrovi a un megapranzo di famiglia e c’è il parente scemo – e anche un po’ antipatichello – e non si capisce bene per quale motivo sei un po’ in apprensione perché temi si metta in imbarazzo da solo con qualche discorso a cippadicazzo? Ecco, il mio mood per tutto il weekend è stato esattamente quello: speravo che i nostri giornali, per elaborare il lutto del trionfo elettorale di Putin, non si inventassero qualche megastronzata galattica delle loro che ci fa apparire sempre di più lo zimbello dell’universo mondo, ma la speranza è durata pochino. Il primo episodio, che ormai conoscerete già tutti, è quello di questo video; tra i primi a ripostarlo in Italia è l’infallibile Daniele Angrisani, uno dei più brillanti e acuti giornalisti d’inchiesta della penisola, firma di punta della sempre puntualissima e scrupolosissima Fanpage e arcinoto nel microcosmo dei NAFO più intransigenti per il suo incrollabile ottimismo che, in passato, l’ha portato ad affermare che “La Russia ha già perso la guerra”(maggio 2022), che “La Russia può e deve essere sconfitta militarmente” (settembre 2022)

e che ci sono ben “Otto motivi per cui l’Ucraina può vincere la guerra nel 2023 (dicembre 2022). Il video condiviso da Angrisani riprenderebbe un militare russo che entra in fretta e furia in un seggio e poi si affaccia in due cabine elettorali “chiedendo cortesemente”, sottolinea Angrisani, “di vedere il voto”, ma così a occhio non sembra esattamente convincentissimo, diciamo: solo per rimanere alle cose più eclatanti, infatti, si nota immediatamente che dentro le cabine manca un piano dove appoggiarsi per scrivere sulla scheda e, all’arrivo del militare, le persone che stanno votando non hanno nessunissima reazione; manco si girano. Nonostante il controllo poliziesco, chi sta riprendendo inquadra la scena in maniera perfetta, senza muoversi di un millimetro e quindi, si presume, è perfettamente visibile dal militare che, però, non ha niente da ridire e che entra in scena esattamente al momento giusto dal lato giusto; manca solo una vocina che dica ciak, si gira: potevano fare di meglio, diciamo, ma tanto – avranno pensato – con tutti st’invasati che girano su Twitter un Angrisani che se la beve, in Occidente, lo troviamo di sicuro lo stesso.
Il problema è che, oltre a un Angrisani qualsiasi, a crederci – o a sperare che ci creda chi li segue – sono anche parecchi altri e il video, così, viene trasmesso da tutti i principali tg nazionali, da La7 a RAI 1, e quando è montata l’indignazione ecco che, immancabile, è arrivato anche il MacGiver del debunking, David 7cervelli Puente che, irreprensibile come sempre, ha denunciato come “La propaganda russa si sta impegnando per far passare il video come falso e fabbricato da parte degli ucraini, ma le prove fornite risultano deboli”. Quelle a sostegno dell’autenticità, invece, sono inossidabili: “Diversamente da altri casi verificati” ammette lo stesso Puente “il video non risulta geograficamente individuabile” e “non si conosce” né “l’esatta ubicazione del seggio”, né “in quale giorno sia accaduto il presunto episodio”; inoltre, riporta sempre Puente, l’account che ha caricato il video per primo sul social VK non è più presente, ma sono tutti dettagli che per alzare un polverone a caso sullo svolgimento del voto russo, evidentemente, possono essere trascurati e, purtroppo, questa trashata era destinata a non essere altro che un piccolo antipastino del delirio che sarebbe seguito.
Carissimi Ottoliner, ben ritrovati: oggi vi allieteremo con un altro entusiasmante racconto della cripta della post verità; prima di andare oltre, però, ricordatevi di mettere un like per aiutarci nella nostra guerra quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e anche di iscrivervi e di attivare le notifiche su tutti i nostri canali, compreso quello in lingua inglese – e così vediamo se insieme riusciamo a rompere l’oscurità della propaganda che ci circonda.
Durante tutto il weekend, mano a mano che cominciavano ad arrivare i primi dati che facevano odorare un’affluenza record alle urne in tutta la Russia, passo dopo passo la propaganda suprematista metteva le basi per la sua sceneggiata da oscar ricalcando la tecnica propagandistica sviluppata in mesi e mesi di sconfitte eclatanti sul fronte ucraino e che affonda le sue radici nella teoria della macchina del fango dell’FBI di Hoover: di fronte a un evento dall’esito scontato e di un’entità che rende impossibile ignorarlo tout court, si tenta di creare una narrazione ad hoc che miri perlomeno a ridurre la portata e l’impatto dell’evento stesso; una realtà parallela costruita ad hoc dove una cacatina ininfluente, sufficientemente gonfiata, distoglie l’attenzione dall’evento che si vuole dissimulare e permette di creare una cortina fumogena all’interno della quale è possibile continuare a sostenere una narrazione palesemente irrealistica, almeno di fronte al pubblico più distratto o ideologicamente più favorevolmente orientato. E’ esattamente quello che si è cercato di ottenere con le varie operazioni mediatiche sul fronte ucraino – dallo sbarco di qualche disperato a bordo di qualche barchino sulla riva orientale dello Dnepr spacciata per potenziale testa di ponte, agli attacchi suicidi dei lettori di Kant in quel di Belgorod. A questo giro, a mettere le basi della brillante strategia che avrebbe permesso alla gigantesca macchina propagandistica dell’Occidente collettivo di negare il trionfo di Putin qualsiasi fosse stato il risultato, c’aveva pensato lo stesso Navalny nella sua ultimissima apparizione: si chiamava Mezzogiorno contro Putin e consisteva, molto banalmente, nel recarsi alle urne alle 12 di domenica. A fare cosa? Assolutamente niente. E come si sarebbero riconosciuti? Ma in nessunissimo modo, ovviamente: un po’ come se io ora organizzassi un boicottaggio contro Carrefour, accusata di commerciare prodotti che arrivano direttamente dai territori occupati illegalmente da Israele, e dessi appuntamento ai protestatari in qualche catena concorrente nell’ora di punta di un giorno che precede una festività importante senza indicare, appunto, nessuna azione da fare e nessun segno distintivo; poi, all’ora X, faccio un po’ di foto alle code che si formano inevitabilmente a quell’ora (protesta o non protesta) e con la connivenza dei media le spaccio per la prova del grande successo della mia protesta. Gli italiani boicottano Carrefour. Alla vigilia di Natale migliaia di persona in fila alla Conad e alla Coop in sostegno alla campagna lanciata da Ottolina Tv: come presa per il culo sembra un po’ troppo spregiudicata; eppure è esattamente quello che è successo con queste elezioni.
A dare il la, già domenica, c’aveva pensato l’Economist: La farsa della rielezione di Vladimir Putin – titolavaè degna di nota solo per le proteste; in serata, Reuters riportava le parole di Leonid Volkov, l’”aiutante di Navalny in esilio che è stato attaccato con un martello la scorsa settimana a Vilnius” e che, sottolinea Reuters, “stima che centinaia di migliaia di persone si siano recate ai seggi elettorali a Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg e in altre città”. “Reuters” però, purtroppo – sottolinea l’articolo con una forma davvero apprezzabile di autoironia british involontaria – “non ha potuto verificare in modo indipendente tale stima”, però, aggiunge, “giornalisti Reuters hanno notato code di diverse centinaia di persone, in alcuni luoghi anche migliaia”; peccato si fossero dimenticati il telefonino a casa e, alla fine, la foto più esplicativa che sono riusciti a recuperare è questa. Ciononostante, ieri mattina sui giornali italiani la grande mobilitazione delle bimbe di Navalny dominava la scena in modo totalmente bipartisan: Migliaia di persone si sono radunate davanti ai seggi per il mezzogiorno contro Putin titolava Il Domani; Code per Navalny – rilanciava Libero – “I sostenitori dell’attivista in massa ai seggi alla stessa ora”. “Le immagini che Vladimir Putin e i suoi sodali non avrebbero mai voluto vedere” riporta concitato Roberto Fabbri sul Giornanale “hanno fatto il giro del mondo”: “Code di centinaia di metri” insiste, “nonostante rischino perfino anni di carcere”; ma che dico anni, millenni! E che dico centinaia di metri di coda: decine di migliaia di chilometri, che dimostrano chiaramente “il coraggio di chi resiste nel regime che uccide l’opposizione”. “Un sassolino nella macchina da guerra del trionfo annunciato di Vladimir Putin” rilancia sempre sul Giornanale Andrea Cuomo che, di solito, quando parla di sassolino si riferisce al liquore (visto che si occupa di enogastronomia), ma – d’altronde – per fare un po’ di propaganda spiccia con vaccate del genere non è che serva un master in relazioni internazionali, diciamo; basta un po’ di estro creativo che a Cuomo, onestamente, non manca: questo, continua infatti ispiratissimo, “è un sassolino che fa rumore”, un rumore che “per lo Zar che, salute permettendo, resterà al Cremlino fino al 2030 è fastidioso”, ma che “per i russi e per buona parte del mondo” è “una sottile melodia di libertà”.
Anche Marco Imarisio sul Corriere della serva era partito col caricatore della retorica bello pieno; strada facendo, però, gli deve essere montato qualche dubbio e dalle centinaia di migliaia di persone citate da Reuters, passa a un più modesto e realistico “Piccolo incremento di presenze ai seggi attorno alle 12” per poi ammettere che le immagini divulgate dall’opposizione “mostrano assembramenti di dimensione contenuta che solo con un notevole sforzo di fantasia possono essere definiti una moltitudine”. Fantasia che, evidentemente, al nostro esperto di enogastronomia del Giornanale non manca: “Una forma di obiezione non illegale, ma comunque clamorosa” – sottolinea – e per la quale, continua con la solita enfasi poetica, “ci voleva coraggio, ma questo al fiero popolo russo non manca di certo”.
Ora, non so se si possa parlare di coraggio, ma che siano fieri mi pare indubbio: come spesso capita ai popoli che si sentono accerchiati, i russi, invece che arretrare, sembrano piuttosto aver voluto rilanciare con decisione e, per farlo, hanno dato un mandato pieno al loro presidente che più pieno non si può perché, ovviamente, sull’esito del voto dubbi non ce ne erano; ma sminuire il fatto che si sia recato alle urne il maggior numero di elettori in assoluto dalla fine dell’Unione Sovietica, ho come l’impressione che potrebbe impedire, ancora una volta, di farci un’idea minimamente sensata di cosa stia accadendo in Russia. Con l’88% del 78% degli aventi diritto che si è recato alle urne, Putin conferma di essere uno dei leader contemporanei con in assoluto il maggior sostegno popolare al mondo, soprattutto se confrontato con la stragrande maggioranza dei leader occidentali, dove non solo quel livello di consenso non viene nemmeno sfiorato da nessun leader, ma nemmeno dalla somma dei consensi di tutte le varie fazioni del partito unico della guerra e degli affari. I consensi per i leader al governo nei vari paesi occidentali, infatti, sono ormai praticamente sistematicamente al di sotto della maggioranza (e, spesso, manco di poco): secondo i dati di Morning Consult, a parte Berset in Svizzera e Tusk in Polonia (che gode ancora dei fasti delle ormai sempre più brevi lune di miele tra elettorato e leader neoeletti), quella messa meno peggio sarebbe proprio la nostra Giorgia Meloni con il 44% di approvazioni; Biden sarebbe al 37, Sunak al 27, Macron al 24 e Scholz addirittura sotto al 20 che, a ben vedere, è una situazione meno paradossale di quanto possa apparire; come sottolinea sempre il nostro guru Michael Hudson, infatti, da quando è finita la democrazia moderna e siamo entrati nell’era della distopia neoliberista, abbiamo imparato a definire autocratici tutti i regimi che hanno ancora abbastanza potere da tenere a bada gli appetiti delle oligarchie, mentre definiamo democrazie tutti quei regimi dove le oligarchie dettano legge incontrastate e i rappresentanti politici sono relegati al ruolo di utili idioti che si prendono gli insulti dalla gente per aver messo la faccia nelle varie azioni di rapina condotte in nome dei loro datori di lavoro. Da questo punto di vista, quindi, i leader occidentali sono i rappresentanti dell’1% contro il 99 e, quindi, che riescano comunque ad avere tassi di approvazione a doppia cifra è già un mezzo miracolo, in buona parte dovuto al ruolo che continuano a svolgere la propaganda e i mezzi di disinformazione di massa.
Discorso diametralmente opposto, invece, per i leader dei paesi che definiamo autocratici, che non derivano il loro potere dalle oligarchie, ma – in qualche misura – si potrebbe dire, appunto, dal popolo contro le oligarchie; e quindi, da questo punto di vista, che i leader che noi definiamo autocratici – da Putin a Xi Jinping, da Maduro a Raisi – registrino un sostegno, appunto, non solo maggiore rispetto a qualche singolo leader occidentale, ma – più in generale – alla somma di tutti i leader occidentali, sembra essere un dato piuttosto normale e strutturale.
Ma se ancora servisse un’altra prova provata della strutturale debolezza delle opposizioni filo occidentali (e quindi, volenti o nolenti, filo oligarchiche) all’interno delle autocrazie, in generale – e di quella russa, in particolare – basta vedere il risultato dell’unica new entry della politica russa, il giovane Vladislav Davankov, candidato presidenziale del piccolo partito liberale Nuova Gente, un liberale con caratteristiche russe che non si presta, in realtà, a rappresentare davvero il voto dei dissidenti, ma che, ciononostante – proprio in quanto quarto parzialmente incomodo – era stato indicato proprio dai dissidenti come la meno peggio delle alternative; che su di lui siano confluiti i voti dei giovani liberali cosmopoliti lo dimostra il fatto che nelle grandi metropoli europee, sia Mosca che San Pietroburgo, ha ottenuto i risultati di gran lunga migliori con, rispettivamente, il 6,6 e il 7%. A livello nazionale, però, si è fermato al 3,9, appena una manciata di voti in più rispetto a quelli ottenuti dal suo partito alle elezioni parlamentari del 2021. Insomma: il peso della dissidenza filo occidentale antiputin si pesa, ad essere generosi, in qualche centinaio di migliaia di voti quasi tutti concentrati nelle grandi metropoli europee, ma ciononostante, insiste Vittorio Da Rold sul Domani, “Il segnale per il Cremlino è forte e chiaro: c’è un forte malcontento verso Vladimir Putin che cerca solo un catalizzatore politico interno o una crisi esterna per esplodere”; non a caso Da Rold, come sottolinea orgoglioso in ogni sua biografia che si trova online, è Media Leader del World Economic Forum, che vuol dire essersi dimostrato sufficientemente allineato con gli interessi delle oligarchie da godere della loro fiducia per moderare gli eventi più importanti del loro salotto buono.
“La folla, e quindi le immagini feticcio dall’effetto balsamico per le illusioni occidentali” conclude amaramente Imarisio sul Corriere della Serva “c’è stata, ma altrove, lontano dalla Russia”: quando davvero ci sbarazzeremo definitivamente della nostra supponenza coloniale e impareremo a conoscere e a rispettare gli altri popoli per quello che sono realmente – e non per quello che dovrebbero essere per permettere alle nostre oligarchie e ai loro leccapiedi di continuare a vivere al di sopra delle loro possibilità – una bella fetta della grande rivoluzione verso un nuovo ordine multipolare sarà già fatta; per arrivarci, prima di tutto abbiamo bisogno di un vero e proprio media nuovo di zecca che, invece che all’arroganza del miliardo d’oro, dia voce agli interessi concreti del 99% del pianeta. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Maurizio sambuca Molinari

Ecco come Le OLIGARCHIE neoliberali SOFFOCANO le PROTESTE in ITALIA ft. Filippo Barbera

Con una retorica finto – buonista e finto – pacifista negli ultimi decenni in Italia la mobilitazione popolare e la partecipazione di massa alla politica è praticamente morta a colpi di neoliberismo e attacchi alle democrazia. Ogni conflittualità dal basso verso l’alto è stata demonizzata e soffocata sul nascere. Filippo Barbera, uno dei più importanti sociologi contemporanei, ci spiega come uscire da questa situazione suicida.

Fardelli d’italia ep. 3 – L’onda alta DI Sanremo travolge il governo? – con PaeseReale 

Sono bastate un paio di parole dette sul palco di Sanremo per far crollare il castello di carte della narrazione atlantista sulla Palestina. Ghali e Dargen i pericolosi “sovversivi”… nel frattempo il governo Meloni risponde nell’unico modo che conosce: il manganello.

PIAZZE PIENE: gli italiani si stanno finalmente rivoltando?

In questi giorni abbiamo tutti davanti agli occhi le immagini degli agricoltori che mettono a ferro e fuoco la piazza del Parlamento Europeo: la ragione è protestare contro le politiche comunitarie che da decenni danneggiano le produzioni agricole nazionali. E non è certo un caso isolato: dalla Francia alla Germania agli Stati Uniti, negli ultimi due anni stanno finalmente tornando le mobilitazioni e le proteste di piazza. È da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, infatti, che la storia sembra essersi rimessa in moto e che anche i popoli occidentali sembrano essersi come risvegliati dallo spaesamento generale e dalla passività generalizzata; anche gli italiani, alla faccia dei disfattismi snob e del pessimismo di maniera, dalle manifestazioni femministe a quelle contro il massacro del popolo palestinese – passando per la rivolta dei trattori di questi giorni – sembrano finalmente essersi rimessi in marcia. Certo, siamo ancora lontani dalle proteste e dalle mobilitazioni sociali a cui eravamo abituati nel Novecento, ma l’impressione è che una fiamma sia finalmente rinata da sotto le ceneri e – la nostra convinzione – è che sia destinata solamente a ingrandirsi.

Filippo Barbera

Non sarà un processo né semplice né scontato: tre decenni abbondanti di cultura neoliberista hanno infatti minato alla radice la portata di quel grande dispositivo democratico che è la mobilitazione popolare di massa; è quello che sostiene anche Filippo Barbera, professore di sociologia all’Università di Torino, nel suo Le piazze vuote, ritrovare gli spazi della politica dove, però, ci vengono indicate anche alcune ricette pratiche per invertire definitivamente questa tendenza. Una riflessione più che mai necessaria proprio in questo periodo, ora che il dominio incontrastato delle oligarchie mostra ogni giorno di più tutte le sue contraddizioni e tutta la sua insostenibilità; senza un ritorno al conflitto sociale non potrà mai esserci nessun autentico risveglio democratico e il futuro, per quanto incerto, rimarrà proprietà dei sempre più pochi che potranno comprarselo.
“Peccare di silenzio, quando bisognerebbe protestare, fa di un uomo un codardo” affermava una volta la poetessa americana Ella Wheeler Wilcox: in questi giorni, decine di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori del settore agricolo si stanno riversando per le strade di tutta Europa per protestare contro le politiche suicide che da decenni, in nome del libero mercato, i governi stanno conducendo contro le produzioni agricole nazionali. In Italia, martedì scorso sono arrivate persone da tutta la Lombardia a Melegnano dando il via a un presidio, durato 5 giorni e 5 notti, per rivendicare una reale tutela dei prodotti nazionali e per opporsi all’aumento del prezzo del gasolio; sia i governi nazionali che l’Unione Europea, spaventati dalla portata di queste proteste, si stanno adoperando in fretta e furia per capire come arginare la rivolta venendo incontro alle loro richieste. Tutto questo ci dovrebbe essere di grande insegnamento, perché se la stessa forza e determinazione degli agricoltori fosse stata dimostrata negli scorsi anni da tutti per protestare contro l’abolizione del reddito di cittadinanza, il taglio delle pensioni e, in generale, contro lo smantellamento dello stato sociale e della nostra sovranità democratica, probabilmente non ci troveremmo nel disastro attuale. Ma come mai questo non è avvenuto?
Come ha scritto più volte anche la filosofa Donatella di Cesare, da anni il pensiero dominante neo -liberale di destra e sinistra cerca di demonizzare le mobilitazioni di piazza facendole apparire intrinsecamente inutili, così da scoraggiare qualsiasi forma di protesta anche contro le riforme più profondamente antidemocratiche e antipopolari; in verità, invece di ascoltare i soliti inni alla resilienza e all’inutilità dell’azione, dovremmo ficcarci in testa che nella storia sono da sempre solo e soltanto le rivolte popolari ad aver creato le occasioni di una vera rigenerazione politica. Rispetto al Novecento, però, oggi ci troviamo di fronte ad alcune difficoltà tutte nuove e difficilmente aggirabili e la prima, fondamentale, è la capacità di individuare con chiarezza chi sia concretamente il nemico sociale e il giusto bersaglio delle nostre potenziali mobilitazioni. Una prima domanda che ci dobbiamo porre è: chi detiene davvero oggi il potere? “Siamo abituati a concepire la rivoluzione in termini molto novecenteschi, in cui si cerca un luogo, un Palazzo d’inverno, dove prendere il potere” scrive, appunto, su Jacobin Italia Donatella di Cesare, “ma oggi” continua “c’è una difficoltà a individuare il potere perché non ha volto e indirizzo. Come va attaccato il potere? Oppure non va attaccato ma destituito? O il punto è tentare di sottrarsi al potere?”

Donatella di Cesare

Con la crisi della sovranità democratica degli stati nazionali che, nel novecento, hanno rappresentato il teatro per eccellenza dei conflitti sociali, e con l’avvento di un’oligarchia transnazionale abilissima a nascondersi dietro presunti anonimi meccanismi di mercato, negli ultimi anni era diventato sempre più difficile per la gente comune individuare il reale potere da combattere, ma con lo scoppio della guerra in Ucraina e le nuove prospettive multipolari che si stanno affacciando, sta diventando sempre più chiaro ai popoli europei che sono l’imperialismo americano con l’esportazione della sua cultura neoliberista e il potere economico delle sue oligarchie finanziare a dover essere considerate oggi come il nemico principale, così come sempre più chiara si fa la necessità di abbattere o trasformare radicalmente le istituzioni internazionali strumentali a questo dominio. Oltre a queste trasformazioni del potere, il sociologo Filippo Barbera dà un’ulteriore spiegazione dell’impoverimento della partecipazione politica attiva e della mancanza di conflittualità sociale dal basso: nel suo ultimo libro Piazze vuote, Barbera fa infatti un’analisi della contrazione degli spazi pubblici in Italia, sia mentali che – soprattutto – fisici; un tema, quello degli spazi e dei luoghi fisici dove la politica democratica può concretamente svolgersi, costantemente sottovalutato dal dibattito pubblico.
Nell’epoca fordista il capitalismo industriale era incorporato dalla fabbrica e questo spazio, costruito per controllare e sfruttare in maniera scientifica il lavoro umano, ha incubato il movimento operaio e ha portato questo gruppo sociale a sviluppare forme di riconoscimento, solidarietà, e identificazione politica; le trasformazioni tecnologiche e organizzative del capitalismo neoliberista hanno mutato profondamente questo scenario frammentando il processo di produzione e, di fatto, impedendo la creazione di una coscienza collettiva comune nei nuovi dominati. Ma le sofferenze e le rivendicazioni individuali, riflette Barbera, non potranno mai tradursi in un senso politico comune se mancano gli spazi che creano condivisione e legami sociali. Viviamo nell’epoca in cui tutto, anche la politica, sembra oramai poter vivere in dimensioni immateriali e digitali, ma il senso comune che si crea in questi spazi è inevitabilmente creato artificialmente e manipolato da chi media e social media li controlla: “Se manca l’intermediazione politica, la narrazione unificante, gli spazi pubblici e organizzativi – in altre parole se manca la politica -“ afferma Barbera in un’intervista rilasciata alla testata Esquire “il bisogno di futuro rimarrà inevaso o, al meglio, imposto da chi ha verso chi non ha”. E sinceramente, conclude Barbera “ un mondo dove il futuro prende la forma dei desideri solo di Elon Musk… non mi piacerebbe”; intendiamoci – precisa Barbera – oggi non è che non ci si veda più dal vivo, ma tuttavia la nostre interazioni in presenza hanno sempre meno una finalità politica, consistono cioè sempre meno in un rituale dove si esprime un noi collettivo e una volontà condivisa di trasformare la realtà in cui si vive. “Dalla movida al deserto il passo è stato breve” continua Barbera; si è passati cioè in modo quasi automatico “dalla privatizzazione degli spazi in forma di birrette e spritz come argine a una generazione angosciata da prospettive future nerissime, alla teorizzazione dello spazio digitale quale unico vero spazio di partecipazione” e questo processo ha comportato “un’individualizzazione estrema che diviene un abbandono del corpo, del proprio come di quello collettivo.”
Ad andare in crisi, oltre agli spazi pubblici come centri sociali, case del popolo, consigli di fabbrica, etc. etc., sono stati anche partiti, associazioni, gruppi e centri di ricerca, ossia gli spazi organizzativi intermedi in cui si formavano e selezionavano anche le classi dirigenti e questo, oltre che scoraggiare la partecipazione attiva e creare un senso comune completamente artificiale, ha comportato un generale impoverimento e abbassamento della qualità delle classi dirigenti. Il confronto tra il presente e quanto accadeva al tempo della Prima Repubblica è impietoso: allora, scrive Barbera, “il discorso politico era il terminale ultimo di un lungo percorso preparatorio di elaborazione dove politici, intellettuali e pezzi della classe dirigente lavoravano alla messa a punto di temi e argomenti in tempi e spazi dedicati”. Ma cosa resta, quindi, della partecipazione al potere dei cittadini quando la si priva di relazioni, spazi comuni e corpi intermedi? “Rimane solo la possibilità di comprarsela” risponde Barbera: rimane l’idea astratta del cittadino liberale e cosmopolita, dove le appartenenze culturali e il rapporto con la comunità circostante devono essere abbandonati. Dopo questa analisi severa ma senz’altro giusta, Barbera cerca poi di capire le condizioni per rendere possibile una nuova ondata di cittadinanza attiva e per la costruzione di un noi collettivo orientato al conflitto sociale: anzitutto, dunque, serve la fisicità; lo stare fisicamente insieme crea infatti obiettivi e ruoli condivisi tra persone che non si limitano a esercitare il conflitto come pura rivendicazione di diritti individuali – come avviene in gran parte oggi – ma si attivano collettivamente per l’innovazione sociale.

A questa descrizione corrispondono, ad esempio, le esperienze del collettivo di fabbrica GKN che, oltre ad essere diventato un vero e proprio laboratorio sociale, ha anche scritto un piano industriale assieme a un gruppo di accademici solidali e insieme alle comunità nelle aree abbandonate dalle multinazionali energetiche: queste esperienze sono esempi di come una domanda di futuro possa costituirsi al di fuori dei meccanismi politici ed economici neoliberisti. Tuttavia la domanda non basta: le piazze piene sono condizione necessaria ma non sufficiente per il cambiamento e quello che serve, in altre parole, è la politica rappresentativa – partiti, sindacati, ma anche movimenti e strutture che non si limitano all’azione dimostrativa, ma praticano il conflitto in forme costruttive e che siano in grado di costruire concretamente quel contrasto del quale gli ultimi hanno sempre avuto bisogno per trasformare le loro rivendicazioni in una progettualità concreta. E precondizione per tutto questo: un vero e proprio media, indipendente ma di parte, che dia voce concreta alla lotta 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Elon Musk