L’atteggiamento dell’amministrazione Trump nei confronti della nuova offensiva imperialista del regime etno-fascista di Tel Aviv sembra schizofrenica; la realtà è che gli USA si trovano, ancora una volta, in una sorta di vicolo cieco: senza un maggiore coinvolgimento di Washington, Israele rischia di fare tanto rumore per niente, causando perdite imponenti alla leadership iraniana senza, però, conseguire obiettivi militari in grado di alterare strutturalmente i rapporti di forza nell’area. Un ulteriore spreco di risorse preziose proprio mentre gli USA, da Kiev a Taiwan, fanno già abbastanza fatica a tenere fede ai loro impegni e non riescono a trovare il modo di riempire di nuovo i loro arsenali.
Ma un maggiore coinvolgimento di Washington nell’area comporta dei rischi che la traballante amministrazione Trump potrebbe non essere in grado di sostenere, o, perlomeno, non senza dover definitivamente abdicare alla cordata neocon che con ogni mezzo necessario sta tentando, con qualche successo, di trasformare l’amministrazione Trump definitivamente in un’amministrazione controllata; il punto è che negli ultimi 5 anni l’Iran e i partner regionali impegnati in questa infinita resistenza contro la ferocia imperialista hanno dimostrato di essere in grado di colpire in modo mortale le infrastrutture statunitensi nell’area. Il primo episodio risale all’ormai lontano 3 gennaio 2020, quando, con l’operazione Martire Soleimani, Teheran bucò le difese antiaeree delle basi USA di Erbil e di Al-Asad grazie ai suoi efficacissimi missili balistici a corto raggio Fateh‑313 e Qiam‑1. Volutamente, i danni furono assolutamente contenuti; il messaggio, meno: il Medio Oriente non era più una regione dove le truppe USA potevano pensare di organizzarsi logisticamente in piena libertà, senza temere conseguenze.
La partita ora consiste, appunto, nello stabilire l’entità dei danni che Israele è davvero riuscito a causare alle capacità missilistiche iraniane – oltre il trionfalismo della propaganda fascio-sionista e dei suoi sostenitori sfegatati in Occidente – ed è difficile credere che sia tale da mettere al sicuro le truppe USA nell’area anche perché, anche nella remota ipotesi che le capacità missilistiche iraniane siano davvero state degradate a tal punto, il problema potrebbe comunque non essere risolto: l’anno scorso, a colpire una base USA nell’area, infatti, ci hanno pensato le milizie sciite in Iraq. La morale della favola è sempre la solita: non esistono più pasti gratis per l’asse del male rappresentato dall’Occidente imperialista e dai suoi proxy regionali: l’Occidente potrebbe essere ancora in grado di condurre – e anche avvicinarsi a vincere – su alcuni fronti della guerra mondiale a pezzi, ma solo a condizione di accettare grosse perdite in termini di materiale e di uomini. Riuscirà la propaganda a creare le condizioni affinché il ciarlatano in chief di turno alla Casa Bianca possa permettersi di pagare questo prezzo senza essere esautorato?
Della vulnerabilità degli avamposti USA in Medio Oriente aveva parlato oltre un anno fa il nostro Marru in un pippone che, per alcuni aspetti, è più utile e attuale che mai, e che potete rivedere qui.