Ma chi era veramente Altiero Spinelli, l’autore del Manifesto di Ventotene oggi diventato la nuova Bibbia della sinistra ZTL? E come ha contribuito il nostro eroe a modificare geneticamente (e in peggio) la sinistra? In questa puntata racconteremo tutta una serie di episodi politici e biografici sulla carriera Spinelli dei quali nessuno vi ha sicuramente mai parlato, episodi che fanno emergere una figura spesso ambigua e tutto fuorché allineata con gli interessi delle classi popolari europee del 900 e con i partiti veramente democratici del tempo.
Ecco a voi un assaggio: nel 1937, ad esempio, Spinelli fu espulso dal Partito Comunista d’Italia con l’accusa di “di essersi trasformato in un piccolo borghese”, anticomunista; un uomo che, come vedremo, faceva suo un approccio illuministico, concependo l’azione politica non come avveniva nel PCI o nel PSI – e, cioè, attraverso l’organizzazione dal basso di partiti di massa -, ma come mera influenza da esercitare sulle élites perché diano forma ad una società tecnocratica. Insomma: una sorta di piddino ante litteram. Ancora, nel 1948, Togliatti, in prima persona, definì il Movimento Federalista Europeo di Spinelli “uno dei punti di approdo dell’ingenuo e astratto pacifismo razionalistico settecentesco”; e come dargli torto…
In effetti, possiamo dire che Spinelli, nonostante il passato comunista, nel corso della sua vita si rifece molto di più al liberale Einaudi che a Lenin: nel novembre 1979, Spinelli (come una Picerno qualunque) sostenne addirittura la causa “europeista” degli euromissili. E sentite cosa scriveva sul suo diario il 12 aprile 1953: “Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono” [Spinelli, Diario Europeo (1948-1969), Il Mulino, Bologna 1989, p. 175]. Calenda scansate… E questo era solo un assaggio. Questo video è stato curato Matteo Andriola ed è il frutto del lavoro del collettivo di Ottosofia: per sostenerci, iscriviti al canale e aderisci alla nostra campagna di sottoscrizione; a voi, ci vuole meno di quanto ci mettono Draghi e Calenda a fuggire nei Caraibi se davvero scoppiasse una guerra con la Russia, per noi invece è fondamentale per continuare questo lavoro.
Partiamo da una premessa: il PCI era europeista? Come è stato spiegato da Luca Cangemi in Altri confini. Il Pci contro l’europeismo (DeriveApprodi, Roma 2019), dal 1941 al 1957 il Partito Comunista Italiano ha avuto un rapporto molto conflittuale con il progetto di integrazione europea, cioè dall’uscita del Manifesto di Ventotene fino alla stipula dei Trattati di Roma, pietra miliare nel processo che condurrà all’attuale Unione europea. Il PCI, ma anche i laburisti inglesi e i socialdemocratici tedeschi, guardavano alla costruzione di un mercato comune europeo come ad un progetto strutturalmente segnato dal liberismo e dall’atlantismo, due pilastri che le regole di Maastricht, dal 1992 in poi, avrebbero poi consolidato e rafforzato; tale opposizione rimane ancora alla fine degli anni ‘70, quando i comunisti votano contro il Sistema Monetario Europeo (SME), antesignano dell’euro, e contro l’installazione dei cosiddetti euromissili.
Il PCI, insomma, era un partito euroscettico e con Togliatti non perdevano mai l’occasione per ribadire, sin dalle radici resistenziali, sia il carattere patriottico del PCI, sia l’opposta matrice atlantista del progetto europeista favorita in Francia, Germania e Italia da leader cattolico-conservatori come Schuman, Adenauer e De Gasperi: dal 1956, infatti, con l’VIII Congresso del PCI, viene definita la via italiana al socialismo che non comprendeva l’europeismo di maniera; quando a Roma, il 25 marzo 1957, vengono istituiti i Trattati istitutivi della Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM) e della Comunità Economica Europea (CEE) in vista di un mercato comune (MEC), il PCI ufficializzò la sua posizione inquadrando i trattati nell’orbita atlantica, sostenendo di contro la collaborazione fra Stati senza che venisse lesa la sovranità popolare. In una risoluzione della Direzione Nazionale si legge: “Vi è il reale pericolo che tutta l’economia italiana, fatta eccezione per alcuni grandi settori monopolistici, venga a essere trasformata in un’ampia area depressa”, una condizione che rende impossibile una strategia di riforme di struttura; “Il MEC significa meno esportazioni e meno produzione industriale, licenziamenti e più basso tenore di vita operaio, via libera alle grandi industrie private per smantellare l’industria di Stato”. Luigi Longo sintetizza così: “Il MEC è uno strumento fatto su misura dalle forze monopolistiche e atlantiche”.
Notare una cosa: nessuno citò mai il Manifesto di Ventotene; anzi: costante era la polemica in quegli anni tra Spinelli e il PCI. Pochi sanno, infatti, che Spinelli fu uno dei pochi esponenti del Partito Comunista d’Italia a prendere le distanze da Stalin e dal comunismo sovietico in generale. Celeste Negarville scrive nel suo diario un commento proprio sulle posizioni di Spinelli in quel periodo: “La posizione di Altiero è pericolosissima: condizione per la rivoluzione in Europa, [è] l’abbattimento della dittatura staliniana” che Spinelli, infatti, non vedeva come una fase giacobina che avrebbe rafforzato una rivoluzione che si stava difendendo da attacchi delle nazioni dell’intesa che avevano inviato contingenti a dar manforte all’Armata Bianca zarista. Come vi ricordavamo, proprio per questi motivi nel 1937 Spinelli era stato espulso dal Partito Comunista d’Italia; e se il PCI di Togliatti diffidava di un’integrazione europea che superasse gli Stati e svuotasse la sovranità nazionale, Spinelli percepiva tutto ciò come qualcosa di positivo!
Analogamente, se Spinelli esaltava il Piano Marshall, considerandolo espressione positiva dell’espansionismo imperialista liberale USA, Togliatti, al contrario, diffidava di un’America benefattrice mossa, più che da altruismo, dal proprio interesse ad esportare in Europa; non c’era in proposito, da parte di Togliatti, un giudizio seccamente negativo, ma piuttosto un invito alla cautela, a considerare l’URSS come parte integrante dell’Europa e a evitare l’esito di un’Europa americanizzata. Solo successivamente, con l’affermarsi dell’ala moderata e riformista del PCI, desiderosa di allontanarsi dal pensiero marxista, e l’ascesa della stella di Giorgio Napolitano, anche la posizione sull’Europa del PCI mutò profondamente; e Spinelli si riavvicinò al partito, un PCI totalmente differente, solo nella seconda metà degli anni ‘70, venendo totalmente sdoganato nel decennio successivo soprattutto dalla segreteria Occhetto.
Ma andiamo con ordine. Testa di ponte: è così che Spinelli descrisse Giorgio Napolitano nei suoi Diari, vale a dire come una sorta di ambasciatore della causa europeista all’interno del Partito Comunista Italiano di Berlinguer; e se teniamo conto che Napolitano era a capo della corrente migliorista del PCI, cioè la destra del partito, capiamo la lenta mutazione genetica del PCI e come, in tale processo, influì anche l’europeismo di Spinelli. Spinelli – dal 1970 al 1976 commissario europeo per l’Industria grazie ad un sodalizio con Pietro Nenni, leader socialista – viene infatti candidato alle elezioni politiche del 1976 come deputato della Sinistra Indipendente e con la promessa di entrare a far parte della delegazione parlamentare italiana presso la CEE, per poi partecipare alla lista comunista per le prime elezioni dirette al Parlamento Europeo nel 1979.
L’offerta del PCI maturò in un contesto in cui la questione della politica dentro la CEE divenne centrale per il partito di Berlinguer: infatti, dalla fine degli anni ‘60 (in particolar modo dopo la condanna, ad opera del PCI, dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia avvenuta col segretario Luigi Longo) i comunisti italiani cominceranno a rivedere le proprie posizioni nei confronti delle istituzioni comunitarie anche partecipando, con una propria delegazione, ai lavori del Parlamento europeo, all’epoca ancora non elettivo; gli stessi concetti berlingueriani di eurocomunismo o la battaglia a favore di una Europa né anti-sovietica né anti-americana, indicano sia un cambio lento di paradigmi nel partito che l’esistenza di un rapporto difficile, sicuramente non lineare, dei comunisti italiani con la Comunità europea. Infatti la presenza di Spinelli non evitò un altro grave errore – a detta di Giorgio Napolitano – compiuto dai comunisti italiani, vale a dire il loro voto contrario all’approvazione, nel 1978, del sistema monetario europeo, antesignano, dicevamo, della moneta unica. Sarà sempre Spinelli, nel novembre 1979, a sostenere la causa europeista degli euromissili a Comiso, criticando il PCI (seppur da eletto a Bruxelles) che vi si opponeva; e fu sempre Spinelli, vate della sinistra ZTL, che censurò la risposta del PCI per cui il riarmo europeo avrebbe ostacolato la pace chiedendo: “Allora perché il PCI non chiede ai sovietici di sospendere la produzione dei missili SS20 puntati contro l’Europa?”.
Che per la costruzione dell’unità europea servisse cementare il legame euro-americano era cosa nota a Spinelli, come appare nero su bianco nei documenti dell’intelligence USA venuti alla luce grazie al ricercatore della Georgetown University Joshua Paul e ripresi dal Telegraph in un articolo pubblicato il 19 settembre del 2000 intitolato Euro-federalists financed by US spy chiefs: nel 1948, si legge, era stato creato il Comitato Americano per l’Europa Unita (ACUE), guidato dall’ex capo dell’OSS (poi CIA) William J. Donovan e da Allen Dulles, poi capo della CIA; il comitato, attraverso finanziamenti delle fondazioni Rockefeller e Ford, aveva il compito di sostenere e indirizzare la campagna per l’integrazione politica europea in chiave anti-comunista, in particolare finanziando il Movimento Europeo e la Campagna Giovanile Europea. È del resto ancora Spinelli, con encomiabile schiettezza, a darne conferma nel suo diario descrivendo il suo viaggio negli Usa del 1955: “Assai più interessante è stato l’incontro con Richard Bissell – Central Intelligence Agency. Ha mostrato subito un assai vivo interesse per i miei piani, ed ha promesso di intervenire presso Donovan e presso la Ford Foundation. […] Ho visitato Donovan. Era presente anche Hovey, executive director dell’American Committee on United Europe […] entrambi entusiasti del mio piano. Donovan si è impegnato formalmente a cercar fondi. Ha approvato la mia decisione di far in modo che sia io a dirigere l’operazione. […] Praticamente ho ottenuto la garanzia dell’appoggio dell’USIA, della Ford Foundation e dell’ACUE. Più di questo non potevo sperare”.
Non bisogna dimenticare che Spinelli nel 1965 fu anche animatore, col sostegno della Fondazione Olivetti, dell’associazione di cultura e politica Il Mulino e del Centro Studi Nord e Sud, dirigendolo fino al 1970, e dell’Istituto Affari Internazionali (sì, l’istituto diretto da Nathalie Tocci!): l’obiettivo di Spinelli in tale organismo (originalmente CIAI, o Centro Italiano di Affari Internazionali) era quello di animare una struttura in grado di promuovere non solo l’informazione, ma anche un orientamento delle classi politiche del Paese in senso euro-atlantista. L’orientamento che si cercherà di promuovere può essere così formulato: quale dovrebbe essere la politica (o le politiche alternative) dell’Italia nei vari contesti interazionali e sopranazionali nei quali essa opera effettivamente, allo scopo di contribuire positivamente ed efficacemente alla promozione della pace, della sicurezza, del benessere, della democrazia e dell’unificazione sovranazionale europea e atlantica; quest’orientamento è assai spesso concepito da noi come uno slogan, da ripetere ritualmente ogni volta che l’occasione se ne presenta, ma che non si riempie di una concreta visione di cose da fare, di proposte da avanzare, di impegni da assumere, e ciò accade di regola non per volontà di isolamento o per diffidenza nazionalista, ma per pura ignoranza provinciale dei veri termini dei problemi. Scopo di questi studi è la lotta contro questo provincialismo.
Leggendo il documento Fini, attività e struttura di un costituendo Consiglio Italiano per gli Affari Internazionali, datato maggio 1964, notiamo che il CIAI – antesignano dell’IAI – viene pensato dai suoi teorici sul modello che assomma le caratteristiche degli study groups del Dipartimento di Stato statunitense (tecnici e intellettuali che lavorano su precisi input indicati dai responsabili politici del dipartimento), di un centro di documentazione e di un istituto di ricerca, animando un promotional group di intellettuali, imprenditori e politici, interessati a vario titolo alle questioni internazionali, che vogliono creare un centro di riflessione e un gruppo di pressione in grado di influire sulla conduzione della politica estera italiana, una concezione che porterà Spinelli, nelle vesti di presidente dell’IAI, a criticare l’allora governo di centro-sinistra e, nella fattispecie, la figura di Aldo Moro, regista della politica mediterranea impostata dai suoi esecutivi, proponendosi – vista la precedente militanza a sinistra – nel ruolo di influencer di Pietro Nenni in quanto maggiormente sensibile alla causa europeista.
Insomma: solo tenendo conto di questo capiremo perché oggi il PD si straccia le vesti per le critiche al Manifesto di Ventotene, “Bibbia” della sinistra ZTL, nonché il motivo della presenza h24 di Nathalie Tocci sulle TV! Non ci rimane che lavorare tutti insieme per mandarli #tutti a casa.