14 settembre, Japan Times: “Per la prima volta in 22 anni, la Germania attraversa lo stretto di Taiwan con una nave da guerra”; “Provocare la Cina proprio in quelli che considera i suoi interessi più fondamentali” commenta il Global Times “è una scelta che provoca molti danni e nessun guadagno”. 20 settembre, Asia Times: Crisi missilistica nel Pacifico: gli Stati Uniti puntano il Typhon contro la Cina dalle Filippine. Nel frattempo, nel paradiso fiscale del Delaware andava in scena l’ultimo grande evento internazionale prima del grande addio; con la presenza dei leader giapponese, indiano ed australiano andava in scena il sesto vertice del QUAD dell’amministrazione Biden: “Alcuni in Cina lo interpretano come un tentativo di tenere a bada la sua influenza” scrive il Council on foreign relation, ma, sottolinea “non ci potrebbe essere cosa più lontana dalla verità”. “Il QUAD non riguarda nessun Paese che non è direttamente coinvolto” ha ribadito scocciato il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan; peccato che poi si sono distratti e quando Blinken ha inaugurato l’evento si sono dimenticati di sbattere fuori i giornalisti: “La nostra discussione inizierà dalla Cina” si è lasciato sfuggire a telecamere ancora accese. Appena tre giorni dopo è di nuovo il turno di Asia Times: Progetto 33: il piano della marina USA per sconfiggere la Cina entro il 2027, un progetto che però sembra più complicato da perseguire. Sempre 23 settembre, The War Zone: Per la prima volta la Cina dispiega tutte e tre le sue portaerei contemporaneamente; forse la guerra del mare non è esattamente la strada più facilmente percorribile. Ed ecco allora che, il giorno dopo, a lanciare il carico da 11 ci pensa di nuovo Asia Times: L’aeronautica americana si prepara allo scontro nucleare su Taiwan; “Il tenente generale americano Andrew Gebara” specifica l’articolo “ha annunciato alla conferenza dell’Air & Space Forces Association che l’aeronautica americana sta pianificando un’esercitazione per valutare vari scenari legati al nucleare”. Il giorno dopo, a dare un’altra notizia edificante tocca a Deutsche Welle: Per la prima volta il Giappone invia una nave da guerra nello stretto di Taiwan. E, per chiudere in bellezza, 26 settembre (e cioè ieri), di nuovo The War Zone: Per la prima volta la Cina lancia un missile balistico intercontinentale nel Pacifico occidentale. Insomma: se, come è sacrosanto, nelle ultime settimane vi siete lasciati distrarre dagli psicodrammi scatenati dall’impotente europea in Ucraina o dagli ennesimi crimini di guerra del regime fasciosionista di Bibi Netanyahu (che cerca di risalire nei sondaggi sterminando qualche altro centinaio di civili in Libano), forse è arrivato il momento di fare un bel riassuntone di quello che, nel frattempo, è successo nel teatro in assoluto più importante di questa guerra totale dichiarata dall’imperialismo a guida USA contro il resto del mondo. Prima di farlo, però, vi ricordo di mettere mi piace a questo video per aiutarci (anche oggi) a combattere la nostra meno cruenta – ma, comunque, piuttosto complicata – guerra quotidiana contro la dittatura degli algoritmi al servizio dell’impero e, se ancora non lo avete fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali (compresi Telegram, Spotify e pure Rumble) e attivare tutte le notifiche: a voi costa meno tempo di quanto non impieghi il Paese leader del mondo libero e democratico a fornire nuovi F35 ai sionisti per sterminare i bambini arabi, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di informare sempre più persone sulla devastante guerra totale che l’impero sta preparando nel Pacifico per difendere il patrimoni faraonici dello 0,1%, a rischio dell’armageddon nucleare.
Il nostro obiettivo è “rafforzare la libertà di navigazione e la stabilità nella regione”: questa la scusa accampata dal capo della commissione per gli affari esteri del Bundestag, Michael Roth, per giustificare il fatto che proprio mentre la Germania si trova ad affrontare una crisi economica devastante per il sostegno alla guerra per procura degli USA contro la Russia in Ucraina, trovano pure il tempo di mandare non una, ma ben due navi da guerra tedesche a provocare i cinesi sotto casa, e proprio mentre l’industria tedesca sta combattendo una guerra all’ultimo sangue in Europa per evitare che la voglia di servire sempre e comunque Washington di Von Der Leyen and company scateni una nuova guerra commerciale dalle conseguenze devastanti. Dopo 22 anni, una fregata e una nave da rifornimento della Deutsche Marine la settimana scorsa si sono fatti il giro di mezzo globo e hanno attraversato lo stretto di Taiwan con il solo scopo di fare incazzare ancora un po’ Xi Dada, contro gli interessi stessi della Germania; un’azione che, commenta il Global Times “sembra essere principalmente un favore per gli Stati Uniti”. D’altronde, la Deutsche Marine con la Germania, tutto sommato, c’entra il giusto: con la fine della guerra fredda, infatti, è stata totalmente integrata nella componente navale della NATO. Insomma: gli ordini, sostanzialmente, arrivano direttamente da Washington che, come sottolinea il Global Times, hanno cercato a lungo di estendere l’alleanza alla regione dell’Asia-Pacifico, ma (ad oggi) senza particolare successo; “Di conseguenza” scrive il Global Times “è emersa una nuova tattica più indiretta: un numero crescente di singoli membri della NATO sta rafforzando la propria cooperazione militare e di difesa con la regione Asia-Pacifico attraverso esercitazioni militari congiunte o dispiegando portaerei e navi da guerra. Questa tendenza non si verifica sotto la bandiera ufficiale della NATO; tuttavia, in pratica, si traduce nell’estensione dell’influenza della NATO nella regione Asia-Pacifico”. La Germania, ad esempio, quest’anno ha prima firmato un nuovo accordo di difesa con il Giappone (rinfrescando, così, la profonda amicizia dei bei tempi andati) e poi ha organizzato una bella trasferta del suo ministro degli esteri nelle Filippine “con l’intenzione” riporta la testata cinese “di firmare un accordo di cooperazione per la difesa con Manila più avanti nel 2024”. Secondo il Global Times “Gli Stati Uniti stanno esortando i loro alleati a investire più sforzi nell’Asia-Pacifico, perché sono impantanati in molteplici crisi e quindi non sono più in grado di esercitare la loro deterrenza da soli”; e quindi utilizzano “gli alleati per creare disordini nella regione e distrarre la Cina”.

Mentre infatti i tedeschi facevano un po’ i bulli nel Pacifico su mandato statunitense, Biden era impegnato a presiedere all’ennesimo incontro del Quadrilateral Security Dialogue, QUAD per gli amici: creato nel 2007 dal noto pacifista e difensore dei diritti umani Dick Cheney, il QUAD, che dovrebbe riunire i governi di USA, Giappone, India e Australia, nel tempo ha avuto una vita piuttosto travagliata; l’anno dopo la fondazione, infatti, in Australia aveva vinto il partito laburista di Kevin Rudd che, pur non senza contraddizioni, può essere considerato forse l’ultimo leader progressista di tutto l’Occidente collettivo ad aver ricoperto incarichi di governo di primo piano e non essere né un talebano neoliberista né un completo zerbino di Washington. Sinologo e più volte oggetto di elogi – addirittura da parte di Stieglitz per le piuttosto condivisibili scelte di politica economica che hanno permesso all’Australia, unico paese sviluppato al mondo, di evitare una profonda recessione ai tempi della grande crisi finanziaria – Rudd ha privilegiato i rapporti di buon vicinato e di sempre maggiore integrazione economica con la Cina e ha ritirato l’Australia dal QUAD. Insomma: troppo ragionevole per guidare un partito di centro-sinistra che infatti, dopo due anni, lo fa fuori per sostituirlo con la sua vice Julia Gillard che, pur provenendo dalla stessa identica corrente politica, si dimostra subito più attenta al rispetto dell’agenda neoliberale e a quella imperialista USA; uno dei primi atti del nuovo governo sarà concedere ai Marines USA la possibilità di stanziarsi in una base vicino a Darwin da dove controllano il mare di Timor. Da allora, l’Australia ha vissuto un processo impetuoso di sottomissione totale al capitalismo finanziario USA, con le solite BlackRock, Vanguard e State Street che sono diventate le principali azioniste di sostanzialmente tutte le principali corporation del Paese; e il QUAD ha ricominciato a prendere slancio come strumento dell’agenda imperialista USA in quello che viene definito Indo-Pacifico, anche se non senza ostacoli.
Anche con il rientro nei ranghi dell’Australia, i problemi del QUAD non erano del tutto finiti: nel gruppo infatti, al fianco di due paesi come Australia e Giappone (interamente inglobati nel sistema finanziario dominato dalle oligarchie USA), siede anche l’India che, pur condividendo totalmente la priorità di creare sistemi di alleanze per contrastare l’ascesa della Cina, a differenza degli altri rimane un Paese in buona parte sovrano con una sua agenda nazionale, per quanto discutibile; e gli USA non è che siano proprio abituatissimi a dialogare con Paesi che mantengono una loro sovranità. Risultato: in quattro anni, appunto, Biden l’ha convocato per ben quattro volte, ma, alla fine, ha portato a casa poco o niente; chi sono questi zoticoni che per aiutarci a perseguire i nostri sogni imperiali chiedono pure qualcosa in cambio? Draghi, la Meloni e la Von Der Leyen non c’hanno mai chiesto niente avrà pensato Rimbambiden. Ed ecco, allora, che per ottenere quello che un summit che coinvolge anche Paesi almeno parzialmente sovrani non gli può garantire, zio Joe torna a concentrarsi sulle colonie vere e proprie, a partire dalla vera portaerei sul Pacifico a disposizione degli USA: le Filippine di Marcos junior, l’erede della dinastia criminale dei Marcos che gli USA tengono per le palle perché per hanno le chiavi di accesso al gigantesco patrimonio offshore illegale messo in piedi dal padre. Per continuare a garantirne l’accesso, gli USA hanno chiesto – appunto – il via libera per poter usare l’intero Paese come un’unica grande base americana dove installare i suoi temutissimi missili a medio raggio da puntare diretti verso il cuore della Cina: i sistemi d’arma Typhon, in grado di lanciare missili a medio lungo raggio Tomahawk e SM-6 capaci di raggiungere facilmente Pechino, sono stati introdotti nelle isole settentrionali delle Filippine a partire dall’aprile scorso; si doveva trattare di esercitazioni delimitate nel tempo, anche in virtù del fatto che la legge filippina, in realtà, impedirebbe di concedere permanentemente pezzi di territorio per basi straniere; e non è che il Typhon lo puoi stare a scarrozzare a destra e manca come un chihuahua.
Ovviamente, però, le leggi dei Paesi che non hanno una reale sovranità contano come il due di picche quando briscola è quadri; ed ecco, così, che giovedì scorso Reuters riferisce che Gli Stati Uniti non hanno piani immediati per ritirare i sistemi missilistici a medio raggio schierati nelle Filippine: “Vogliamo regalare ai cinesi notti insonni” avrebbe dichiarato un alto funzionario governativo all’agenzia britannica. “Secondo i documenti governativi” continua l’articolo “più di 800 missili SM-6 dovrebbero essere acquistati nei prossimi cinque anni”, ma c’è un ma: come sottolinea Asia Times infatti, per quanto ospitali, le Filippine mancherebbero completamente di un sistema di difesa antiaerea adeguato a garantire la sicurezza dei loro preziosi sistemi d’arma; questo costringerebbe gli USA a provvedere da soli, ma ammesso e non concesso che con altri due fronti aperti ci sia materia prima a sufficienza per soddisfare questa necessità, il problema è anche la logistica per portarcela, questa roba qua. Una logistica che, necessariamente, deve fare affidamento sulle vie marittime; in particolare, la rotta che collega le Filippine al comando militare USA nel Pacifico di Guam. Vie marittime che, però, gli USA non sembrano essere più tanto in grado di tenere al sicuro dall’avversario cinese: come riportava lunedì The War Zone, per la prima volta in questi giorni i cinesi sono riusciti a mettere in mare contemporaneamente tutte e tre le loro portaerei, compresa la nuova arrivata, la Fujian che, al contrario delle navi statunitensi che – come d’altronde tutti gli altri sistemi d’arma – contengono una quantità spropositata di componentistica proveniente proprio dalla Cina, è tutta roba loro, a partire dal progetto, il primo interamente autoctono. E le portaerei sono solo la punta dell’iceberg: come ricorda Asia Times “Ognuno dei 13 cantieri navali cinesi da solo ha una capacità superiore a tutti i sette cantieri navali statunitensi messi assieme”, per non parlare del fatto che “La strategia di fusione civile-militare della Cina, che consente alla Cina di costruire navi sia militari che civili negli stessi cantieri navali, ha aumentato la sua efficienza e capacità produttiva in maniera spropositata”; e la Cina potrebbe non essere l’unico problema. Global Times, 11 settembre: Cina e Russia avviano esercitazioni e pattugliamenti congiunti; “Le forze armate cinesi e russe” riporta l’articolo “stanno tenendo due esercitazioni congiunte consecutive e una pattuglia navale congiunta”.“L’ esercitazione, volta a rafforzare la cooperazione strategica tra le forze armate cinesi e russe e le loro capacità di affrontare congiuntamente le minacce alla sicurezza, dovrebbe durare fino a fine settembre”; e come notava il buon vecchio Andrey Marty
anov analizzando i video delle esercitazioni trapelati “questa non è la solita educata manovra congiunta di cortesia. Flotta russa del Pacifico e marina dell’esercito popolare di liberazione sembrano fare sul serio, e stanno sviluppando l’interoperabilità per un vero combattimento navale”.
E’ abbastanza naturale, quindi, che il predominio navale della Cina e degli alleati per gli USA stia diventando una vera e propria ossessione: ed è qui che nasce il fantomatico Progetto 33, Il piano della marina americana per sconfiggere la Cina entro il 2027, come lo definisce Asia Times; “Il presidente della Repubblica Popolare Cinese (RPC) ha detto alle sue forze di tenersi pronte per la guerra entro il 2027” riporta il documento ufficiale di presentazione del progetto redatto dalla marina militare statunitense. “Noi saremo ancora più pronti”: “La sfida posta dalla Repubblica Popolare di Cina alla nostra marina ormai va ben oltre la semplice dimensione della flotta della marina dell’esercito popolare di liberazione. Le navi contano sempre molto, ma i giorni in cui valutavamo la portata delle minacce basandoci esclusivamente sul numero di navi da battaglia o sulla loro stazza sono passati per sempre. Attraverso concetti operativi come la guerra di precisione multi-dominio, l’espansione delle infrastrutture dual use, la fusione tra industria militare e civile e la crescita dell’arsenale nucleare, la Cina ormai rappresenta una minaccia complessa multi-dominio e multi-asse”; “La marina cinese, la forza missilistica, quella aerea e aerospaziale e quella cibernetica si stanno unendo in un ecosistema integrato di guerra progettato specificatamente per sconfiggere il nostro, grazie anche al sostegno di una massiccia base industriale. Per rispondere adeguatamente, noi, i nostri alleati e i nostri partner, ci dobbiamo impegnare per portare a termine un piano che ci garantisca il controllo marittimo integrato e su tutti i domini”. “Entro il 2027 la Marina USA dovrà essere nuovamente pronta ad affrontare un combattimento prolungato come parte di una forza congiunta e combinata”. L’urgenza è tale che, come ricorda il South China Morning Post, Il rafforzamento della costruzione navale statunitense per contrastare la Cina diventa addirittura l’obiettivo dei legislatori : “Il deputato Mike Waltz, repubblicano della Florida, e il senatore Mark Kelly, democratico dell’Arizona” riporta il giornale di Hong Kong “hanno annunciato l’imminente Ships for America Act”; “Il disegno di legge” conclude l’articolo “è solo una delle numerose priorità legate alla Cina discusse dai legislatori mercoledì, poco prima che il Congresso entri in pausa fino a dopo le elezioni del 5 novembre”.
La battaglia dei mari, necessariamente, prevede il pieno coinvolgimento di Giappone e Corea del Nord, che sono gli unici paesi al mondo che – se messi insieme e coordinati adeguatamente – potrebbero tentare di stare al passo con la produzione cinese e che spesso e volentieri danno segnali di totale sottomissione al padrone di Washington: Il Giappone per la prima volta invia una nave da guerra nello stretto di Taiwan titolava ieri, ad esempio, Deutsche Welle; “La nave da guerra Sazanami della Forza di autodifesa giapponese” riporta l’articolo “ha iniziato a salpare dal Mar Cinese Orientale mercoledì mattina e ha impiegato più di 10 ore per completare il passaggio” e, inoltre il passaggio sarebbe stato effettuato “congiuntamente con navi militari provenienti da Australia e Nuova Zelanda”, ma nonostante queste significative dimostrazioni di fedeltà, come sottolinea di nuovo Asia Times, “Mentre l’esternalizzazione della costruzione navale statunitense ad alleati cruciali come il Giappone e la Corea del Sud è stata esplorata come l’unico mezzo praticabile per aumentare considerevolmente il numero di navi della Marina americana, in molti hanno espresso la preoccupazione che comunque rappresenterebbe una pericolosa cessione di capacità strategica a terzi, con un impatto negativo sulla stessa sovranità degli Stati Uniti”.
Insomma: vabbeh che sono vassalli, ma anche i vassalli, nel loro piccolo, a volte s’incazzano, soprattutto quando il tuo vantaggio non è più tale da garantire la vittoria, anzi! Che è esattamente la stessa perplessità che hanno sollevato gli analisti di Rand Corporation in questo lungo report già analizzato magistralmente dal nostro sempre ottimo Davide Martinotti in questo bellissimo video; il rapporto prende in considerazione le tre forze del Pacifico su cui, inevitabilmente, gli USA sarebbero costretti a fare affidamento anche solo per pensare di potersi confrontare ad armi pari con la Cina (Corea del Sud, Giappone e Filippine) e cerca di fare una valutazione degli elementi che potrebbero ostacolare la piena messa a disposizione delle loro capacità – sia industriali che logistiche – ai piani statunitensi. Alcune difficoltà vengono sottolineate anche per Giappone e Filippine, ma a destare preoccupazione, in particolare, sarebbe la Corea del Sud, che sarebbe molto meno azzerbinata di quanto potremmo immaginare: sostanzialmente, secondo RAND, il problema della Corea del Sud è la Corea del Nord e, per gestirlo, ha bisogno da un lato di continuare a dialogare con la Cina e, dall’altro, di evitare che le capacità difensive – sia sue nazionali, sia delle forze armate statunitensi presenti nel Paese – vengano assorbite in un conflitto che non ha niente a che vedere con la difesa dei suoi confini nazionali; “L’idea che ha l’amministrazione sud coreana” sottolinea il nostro Davide “è che la Cina è un interlocutore indispensabile per gestire i rapporti con la Corea del Nord” e che “un eventuale conflitto nell’Indo-Pacifico tra Cina e Stati Uniti costringerebbe gli americani a sottrarre risorse militari alla Corea del Sud per impegnarle nel conflitto con la Cina, andato a compromettere la deterrenza che regola l’equilibrio verso la Corea del Nord”. Insomma: per Washington non butta esattamente benissimo e, quando butta male, a volte si rischia di commettere qualche cazzata; ed ecco così che, come titolava lunedì sempre Asia Times, L’aeronautica americana si prepara allo scontro nucleare su Taiwan. Il riferimento è all’esercitazione, annunciata alla conferenza dell’Air & Space Forces Association di Washington dal tenente generale Andrew Gebara, che dovrebbe permettere di valutare diversi scenari legati a un’eventuale escalation nucleare nel Pacifico; il passaggio, esattamente come nel conflitto in Europa contro la Russia, è dal simulare l’utilizzo di armi strategiche nucleari – che, al momento, tutti ritengono rimangano nell’ambito della deterrenza – a, invece, cominciare a introdurre simulazioni che coinvolgano l’impiego di nucleare tattico (che, giorno dopo giorno, viene sempre più sdoganato e ormai non è più un tabù). E di fronte a questa escalation, che comincia a contemplare anche una exit strategy nucleare, a tutti gli ostacoli logistici e industriali che gli USA si trovano ad affrontare, ecco di nuovo che arriv
a la risposta cinese: “Per la prima volta in più di quattro decenni” riportava mercoledì di nuovo The War Zone “la Cina ha lanciato un missile balistico intercontinentale nel Pacifico occidentale”; il missile sarebbe stato lanciato da una piattaforma mobile situata temporaneamente nell’isola di Hainan e avrebbe percorso una distanza di oltre 11.500 chilometri, il che – come sottolinea l’analista francese Sébastien Philippe – significa che da uno dei numerosi silos spuntati come funghi nelle profondità della Cina interiore, la Cina sarebbe tranquillamente in grado di colpire anche l’angolo più remoto degli Stati Uniti.
Insomma: ottimismo e allegria; continuiamo pure a imporre sanzioni a cazzo, ingaggiare guerre commerciali a destra e manca e reprimere con la forza l’ambizione dei Paesi emergenti di garantire ai loro popoli un futuro di prosperità. Tanto, in quanto occidentali, siamo stati eletti dal Signore: e chi c’ammazza a noi! Contro il suicidio dell’Occidente collettivo a traino dell’impero USA, pronto a farci saltare tutti per aria pur di non chiedere a una manciata di oligarchi di fare i conti con la realtà e rinunciare finalmente al loro dominio incontrastato su tutto quello che abita questo pianeta, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che smonti le loro vaccate suprematiste e dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Iacopo Jacoboni