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Gli Stati Uniti benedicono gli attacchi terroristici di Israele: inizia l’invasione del Libano?

Almeno 12 morti e poco meno di 3.000 feriti: questo – mentre scrivo questo pippone – il bilancio dello spettacolare attacco simultaneo che nel pomeriggio di martedì ha travolto il Libano e anche un pezzo di Siria, perché quando i mandanti sono i più patriottici tra i difensori dei valori democratici in Medio Oriente, parlare di attacco terroristico criminale suona malino. D’altronde, le vittime un po’ se la sono cercata: si tratta infatti, spiega l’ANSA, di miliziani di Hezbollah; insomma, di feroci terroristi. D’altronde, lo dicono gli amici israeliani: vorrai mica insinuare si sbaglino! In realtà, però, non proprio tutti concordano con questa definizione; anzi, in realtà, pochini: Hezbollah non è considerata organizzazione terroristica sostanzialmente da nessun paese del Sud globale e nemmeno dall’ONU. E anche tra i vassalli dell’imperialismo USA ci sono numerosi distinguo; addirittura l’Unione europea, pur avendo approvato a larghissima maggioranza (ormai quasi 20 anni fa) una risoluzione che accusava Hezbollah di attività terroristiche, in realtà formalmente non considera né Hezbollah, né nessuno dei variegati gruppi che appartengono alla sua galassia, organizzazioni terroristiche, e nemmeno il Regno Unito e l’Australia. Ad aver messo Hezbollah nella black list vera e propria rimangono solo Stati Uniti, Paesi Bassi, Canada, Egitto e Israele, oltre – ovviamente – a tutti i pennivendoli della propaganda suprematista occidentale. Anche l’idea che ad essere colpiti siano stati i miliziani di Hezbollah è una vera e propria bufala: lo riconosce addirittura una testata come il Wall Street Journal, che non è esattamente l’organo di ufficiale delle lotte di liberazione del popolo arabo: “Molti di coloro che portano i cercapersone” scrive “non sono militanti nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto professionisti che spesso nemmeno sanno di appartenere ad organizzazioni legate ad Hezbollah”. D’altronde, Hezbollah è prima di tutto un partito politico di massa che gestisce una quantità spropositata di servizi sociali: dalle scuole agli ospedali, fino addirittura ai servizi agricoli; e le giovanili aderiscono all’organizzazione mondiale del movimento scout. Insomma: è uno Stato dentro lo Stato e le persone colpite martedì sono, molto spesso, nient’altro che funzionari e lavoratori dello Stato, come i due infermieri assassinati a Beirut; o bambini: per l’esattezza, a quanto risulta ad ora, un ragazzino di 11 anni e una bambina di 8. Amici dell’ANSA, anche far saltare per aria loro può essere definito spettacolare? E giusto perché ancora non sono uscite le agenzie sulle nuove esplosioni che sono state segnalate proprio mentre stavo scrivendo e che questa volta, invece che ai cercapersone, sarebbero legate ai walkie talkie giapponesi ICOM e ad altri dispositivi di varia natura e che avrebbero già comportato altri 14 morti: come le definiranno questa volta? Fantasmagoriche? Eccitanti? Entusiasmanti?
D’altronde, questa botta d’autostima in parte era esattamente quello che il Mossad andava cercando: la propaganda imperialista ha impiegato decine di anni e centinaia di milioni di euro per cucire attorno all’intelligence sionista una sfavillante armatura che emana onnipotenza da tutte le saldature; da Steven Spielberg a Sasha Baron Cohen, la crème crème dello star system imperiale ha descritto gli 007 israeliani come dei superuomini in grado di piegare da soli – e contro i pregiudizi di tutti – le barbarie di centinaia di milioni di islamisti assetati del sangue del loro popolo. “Uno dei motivi dietro l’attacco al cercapersone, come nel caso dell’assassinio del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran alla fine di luglio” commenta lucidamente Foreign Policy “è che il Mossad è determinato a rinnovare il suo marchio. Prima dell’attacco del 7 ottobre, l’intelligence israeliana godeva di una reputazione onnipotente, le sue imprese leggendarie erano raccontate in film di spionaggio di successo come Monaco di Baviera di Steven Spielberg e la serie di successo Fauda di Netflix”; poi, appunto, è arrivato il 7 ottobre, quando con l’operazione Diluvio di al aqsa una manciata di untermenschen beduini ha sferrato una mazzata epocale a quel senso di invincibilità così certosinamente ricamato, senza badare a spese. A questo giro, alla fuffa propagandistica del Mossad, poi, s’è andata ad aggiungere l’ultra-fuffa che sempre circonda le cose che hanno a che vedere con la sicurezza cibernetica (che è l’industria della fuffa per eccellenza) fatta, in gran parte, di gente senza né arte né parte che vende fumo e commentatori che – come d’altronde anche io – non ci capiscono una seganiente e si fanno infinocchiare da racconti in stile Hollywood totalmente campati in aria; ed ecco così che, in mezzo all’ennesima tragedia, i media italiani ieri mattina hanno fatto di tutto per rallegrarci un po’ con una bella carrellata di vere e proprie chicche.

Hassan Nasrallah

Il meglio, va concesso, ce l’hanno regalato gli analfosovranisti: secondo Il Giornanale si era trattato di “cercapersone acquistati in Brasile e infettati con un trojan”; “Un bip che attira l’attenzione” scrive l’immancabile Fausto Biloslavo “e il cercapersone salta in aria. L’operazione da film, che solo il Mossad può essere capace di mettere in piedi ha seminato il panico nelle file di Hezbollah”. “Pochi mesi fa” continua il suo racconto fantasy “i filo-iraniani hanno acquistato una grossa partita di cercapersone TeleTrim probabilmente prodotti da una vecchia società che aveva sede in Brasile. Grazie alla sorveglianza o a qualche spia interna, il Mossad l’ha saputo” e li ha intercettati prima che arrivassero in Libano; “A questo punto hanno infettato l’antiquato sistema di comunicazione con un software come il trojan che, in qualche maniera, attivava la batteria come una mini bomba con un semplice comando da remoto”, un’operazione geniale che, rilancia Libero, “è stata organizzata grazie a capacità non comuni di hackeraggio”. Come avrebbe affermato un’affidabilissima fonte anonima, infatti, “I cercapersone acquistati da Hezbollah erano di fabbricazione cinese, dato che il movimento libanese non si fida delle tecnologie occidentali. L’operazione per hackerarli avrebbe coinvolto più Paesi, non solo Israele, sfruttando il passaggio di questa partita presso un intermediario commerciale di Hong Kong” ed è lì che i cercapersone “sono stati analizzati ed è stata scoperta una vulnerabilità nel loro sistema operativo, che è un sistema riscritto per motivi di sicurezza da Hezbollah e dall’Iran”; “Trovata la vulnerabilità” continua “gli hacker sono riusciti perfino ad arrivare al firmware, cioè il codice, che comanda il controller della batteria” e “così è stato possibile lanciare nel momento dell’attacco un segnale che nei vari pager hackerati ha surriscaldato e fatto esplodere la batteria” (oltre, ovviamente, a lanciare anche delle alabarde spaziali mentre saltavano da una parte all’altra del globo col teletrasporto). E “Questo fenomeno” rilancia ancora La Verità “è spesso associato a un processo noto come thermal runaway, che si verifica quando un incremento di temperatura provoca una reazione esotermica nella batteria che può portare all’esplosione”, ma come fosse antani con un po’ di supercazzola prematurata; ora, se nel caso degli altri dispositivi esplosi ieri la dinamica è ancora poco chiara, quello che è successo con i cercapersone sembra piuttosto chiaro e non ha niente a che vedere con chissà quale superpotere cibernetico derivante dall’incommensurabile intelligenza e competenza tecnica del popolo più evoluto del pianeta. Si tratta invece, molto banalmente, di terrorismo: puro, semplice e indiscriminato terrorismo, solo che viene ribattezzato con un più nobile “grande successo dell’intelligence” quando a compierlo è qualcuno che sta dalla parte giusta della barricata.
In realtà, però, il Mossad un superpotere ce l’ha davvero: la complicità di tutti i paesi che si inchinano alla grande lobby sionista, avanguardia indiscussa dell’imperialismo suprematista. Le esplosioni dei cercapersone, infatti, non sono il frutto di chissà quale sofisticata trovata tecnologica: molto banalmente, c’hanno infilato dentro l’esplosivo e poi, con un messaggino, l’hanno innescato; roba da video tutorial su Youtube. La parte complicata, appunto, era trovare chi ti permetteva di mettere dell’esplosivo dentro ai suoi dispositivi; ed è proprio qui che si vedono i veri amici. Sulla trafila che ha fatto il lotto di 5000 cercapersone finito nelle mani di Hezbollah probabilmente non si riuscirà mai a fare completa chiarezza; l’intelligence, d’altronde, serve a questo e al Mossad le risorse e le complicità per confondere le sue tracce di sicuro non mancano. Le poche cose che sappiamo però sono piuttosto indicative; punto primo: la marca dei dispositivi è di una piccola azienda taiwanese, la Gold Apollo, un paese noto per essere talmente sovrano e indipendente da non essere nemmeno riconosciuto dalle Nazioni Unite e dipendere per la sua difesa interamente dagli Stati Uniti. Ma una volta presa d’assalto dai cronisti, la piccola azienda taiwanese ha tirato fuori la carta dello scaricabarile: il dispositivo in questione, infatti, non sarebbe stato prodotto da lei, ma da un’azienda ungherese che aveva con la Gold Apollo un accordo commerciale che le consentiva di utilizzare il suo marchio; questa azienda ungherese si chiama Bac Consulting, ma quando proviamo ad andare a visitare il sito, stranamente è offline. Per fortuna esiste wayback machine; ed ecco il sito che era visibile fino a 2 giorni fa. Invece che di dispositivi elettronici, ci sono immagini di tramonti sul mare, patrimonio architettonico e gioielli e le descrizioni non dicono niente: sembrano generate da un’intelligenza artificiale poco sviluppata a cui è stato dato il comando scrivi du’ cazzate a caso come te pare a te; consultando il sito del registro nazionale delle imprese ungherese, però, la Bac Consulting salta fuori. E’ stata fondata nel 2022 e ha un solo dipendente e, come indirizzo, dà questa villetta qua: “Nulla rivela la presenza dell’azienda” riporta un articolo sul sito ungherese Telex “e non è una coincidenza”; “La signora che ci ha accolto” continua l’articolo “ha detto che è solo una sede di comodo”. “Allo stesso indirizzo hanno sede anche diverse altre società, e l’unica cosa relativa alla BAC Consulting che ha mai visto è una lettera al mese”. Non starete mica pensando che è una società di copertura, vero? Cosa siete, antisemiti? La NBC riporta di essere riuscita a contattare telefonicamente la direttrice di BAC consulting, che è anche l’unica dipendente: si chiama Cristiana Barsony-Arcidiacono e avrebbe affermato che “Non sono io a produrre i cercapersone. Sono solo l’intermediario. Penso che abbiate capito male”; poco dopo, il premier ungherese Viktor Orban ha rilasciato una dichiarazione dove afferma che i dispositivi esplosi in Libano non sarebbero mai transitati dall’Ungheria. Vattelappesca te… L’unica cosa che possiamo sottolineare è che ieri all’ONU è stata approvata a larghissima maggioranza una risoluzione storica che impone a Israele di ritirarsi dagli insediamenti illegali entro un anno e l’unico paese ad aver votato contro – a parte ovviamente Israele, gli USA, l’Argentina del fasciosionista Milei e i soliti Stati fittizi insulari del Pacifico – è stata proprio l’Ungheria. Insomma: venirne definitivamente a capo sarà probabilmente piuttosto complicato, ma quello che possiamo senz’altro dire è, appunto, che non c’è nessun fantapotere hollywoodiano in ballo, ma solo del caro vecchio terrorismo di Stato vecchia scuola, fondato sulle care vecchie connivenze tra centro imperiale e galoppini di vario genere.
La domanda da porsi, piuttosto, allora è un’altra, che è quella che, ad esempio, si pone correttamente anche Foreign Policy e, cioè, perché adesso? Una motivazione di facciata, abbastanza palesemente farlocca, è stata fatta circolare già da martedì dai sionisti stessi; Tel Aviv, infatti, ha fatto sapere di aver sventato un attentato ai danni dell’ex capo di stato maggiore Avivi Kochavi: una piccola carica esplosiva rinvenuta proprio nel parchetto dove va ogni giorno a fare un po’ di attività fisica. Come sottolinea la testata della sinistra antimperialista libanese Al-Akhbar “una sorta di narrativa per giustificare le azioni che il regime di Tel Aviv avrebbe intrapreso da lì a poco”: da quanto emerso, infatti, questo lotto di cercapersone tarocchi era stato recapitato con successo in Libano già 5 mesi fa; poco prima, nel febbraio scorso, infatti era stato lo stesso Nasrallah a dire pubblicamente che gli smartphone andavano gettati alle ortiche perché le infrastrutture di telecomunicazione erano troppo permeabili all’intelligence del nemico e che bisognava tornare a metodi di comunicazione più sicuri – come, appunto, i cercapersone. Poco dopo, ecco – appunto – che gli viene recapitato il regalino del Mossad; per 5 mesi circa, quindi, 5000 libanesi legati a vario titolo ad Hezbollah hanno girato con questa bomba in tasca: e ora si decide di farli esplodere per un presunto attentato sventato? Gli israeliani, da un po’ di tempo a questa parte, hanno perso anche il talento di confezionare vaccate… Per capire finalità e tempistiche, allora, tocca ricostruire un po’ il contesto generale; primo punto: a partire dall’8 ottobre, Hezbollah sta conducendo una lunga guerra di logoramento che ad oggi ha imposto a Israele di evacuare 60 mila persone e di costringerne molte di più a vivere in una situazione di pericolo e di insicurezza costante che indebolisce enormemente l’economia e il consenso nei confronti del governo. La soluzione finale del conflitto al confine settentrionale, quindi, è da ormai quasi un anno un chiodo fisso di una parte del governo che però, fino ad oggi, è stata tenuta a bada da un paio di considerazioni: la prima è che Hezbollah è armato fino ai denti e, in caso di escalation, il conflitto avrebbe comportato costi che in confronto il massacro di Gaza è una passeggiata; la seconda è che in caso di raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza la situazione sarebbe potuta rientrare da sola, senza impegnare l’esercito in un altro estenuante conflitto. Due considerazioni che però, ultimamente, hanno cominciato a perdere di appeal: il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza, infatti, sembra essere diventato una chimera e anche sulla possibilità di Hezbollah di dare del filo da torcere c’è chi comincia a nutrire qualche dubbio. Ad esempio il Jerusalem Post e le sue fonti: “Nonostante le parole e il tono pubblicamente minaccioso di Netanyahu” scrive il giornale “un motivo importante per cui la guerra non è ancora scoppiata è che Gallant era terrorizzato dall’idea di quanti israeliani sarebbero potuti morire a causa di un attacco di Hezbollah stimato tra i 6 e gli 8 mila razzi al giorno”, ma “il 25 agosto è cambiato tutto, radicalmente”.
Il riferimento, ovviamente, è al giorno dell’attacco sferrato da Hezbollah per vendicare l’assassinio mirato del numero due dell’organizzazione avvenuto a Beirut il mese precedente: “Quel giorno”, commenta ancora il Jerusalem Post Hezbollah prevedeva di lanciare diverse centinaia, forse fino a 1000 razzi su Israele, comprese le basi critiche dei quartieri generali dell’intelligence a nord di Tel Aviv”, ma in quell’occasione “le forze armate israeliane non si sono limitate a sconfiggere Hezbollah. Hanno fatto pulizia”; “L’esercito” continua “ha fatto esplodere la stragrande maggioranza dei razzi e dei droni con cui Hezbollah intendeva attaccare Israele prima ancora che queste minacce potessero essere lanciate”. “Hezbollah non ha ucciso né danneggiato nessuno o qualcosa di significativo” e “Netanyahu ha una ritrovata fiducia: può permettersi un’importante operazione contro Hezbollah, con molte meno perdite sul fronte interno di quanto si aspettasse”. A prescindere da quanto siano più o meno infondate queste supposizioni, il dato rilevante qui è, molto banalmente, che un pezzo importante di Israele ci crede; e non solo i giornalisti e i lettori del Jerusalem Post, ma anche un pezzo importante di classe dirigente, a partire dalle fonti che – afferma il Post – “dietro le quinte, sia a livello politico che militare, se prima gettavano acqua fredda sulle dichiarazioni pubbliche, ora sottolineano che le intenzioni sono serie”: “La situazione nel nord non può continuare” avrebbe affermato Netanyhau giovedì scorso durante una riunione con il suo gabinetto di sicurezza. “Dobbiamo riportare i residenti a casa. E questo non è possibile senza modificare gli equilibri nei confronti di Hezbollah. Le forze armate israeliane devono prepararsi a un’ampia campagna in Libano”. Nel frattempo, gli USA continuavano a millantare fantomatici tentativi diplomatici nei confronti di Hezbollah; difficile sapere quanto ci sia di concreto. Quello che sappiamo è che, almeno pubblicamente, l’unico all’interno del governo a dichiararsi ancora convinto che la via diplomatica tentata dagli USA potesse portare a qualcosa era il ministro della difesa Yoav Gallant.
Gallant, che è un guerrafondaio suprematista tanto quanto Bibi e il resto della compagnia, rappresenta comunque la parte di amministrazione che ha mantenuto una qualche forma di dialogo con i cittadini israeliani che, da mesi, scendono in piazza al fianco dei familiari dei prigionieri ancora detenuti a Gaza; nonostante condividano col governo la stessa identica voglia di sterminare per intero il popolo palestinese, sono convinti, però, che per il momento sia necessario scendere a patti con Hamas per far tornare a casa sani e salvi i familiari e che un’escalation sul fronte settentrionale allontanerebbe irreversibilmente questo traguardo. Risultato: Il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe cercato di estromettere il ministro della Difesa Yoav Gallant dalla sua posizione titolava lunedì Ynetnews. Nel frattempo, lunedì atterrava a Tel Aviv Amos Hochstein, il principale consigliere di Rimbambiden, che si è intrattenuto per diverse ore proprio con Gallant; il giorno dopo, martedì, ecco l’attacco terroristico nel cuore del Libano: delle dimissioni di Gallant non si sente più parlare. E il giorno dopo ancora, mercoledì, un’altra ondata di attentati; gli USA giurano e spergiurano di essere stati tenuti totalmente all’oscuro, mentre Gallant è rientrato definitivamente nei ranghi: “Il centro di gravità si sta spostando verso nord” ha dichiarato durante una visita alla base aerea di Ramat David, a pochi chilometri da Haifa, la base aerea israeliana più vicina, in assoluto, al confine col Libano. “Stiamo deviando forze, risorse ed energie verso nord. Stiamo entrando in una nuova fase della guerra, che richiede coraggio, determinazione e perseveranza”; insomma: due giorni di attentati terroristici indiscriminati avrebbero aperto la strada alla soluzione finale nel nord del Paese. Secondo alcuni analisti, in realtà, non tutto sarebbe andato secondo i piani; l’attacco ai dispositivi infatti, oltre a seminare il panico, avrebbe in realtà anche uno scopo tattico molto preciso: togliere ad Hezbollah quello che alcuni ritengono sia il principale strumenti di comunicazione che gli è rimasto. Il piano quindi, sostengono, era quello di distruggerli a operazione iniziata, ostacolandone così la capacità di coordinare adeguatamente la reazione necessaria; secondo l’agenzia Axios, però, che cita una fonte anonima interna al governo israeliano, questo piano sarebbe saltato per “paura che la sua operazione segreta potesse essere scoperta dai militanti di Hezbollah”: come, dove e perché, non è dato sapere.
L’informazione occidentale su tutto quello che riguarda Israele funziona così: le fonti israeliane sparano una cazzata a caso per confondere un po’ le acque e tutti si sentono in dovere di riportarla così com’è, senza mai chiedere una mezza prova a sostegno, anche quando non ha nessuna logica apparente; quello che di sicuro sappiamo è che, cercapersone o non cercapersone, nonostante la propaganda suprematista del Jerusalem Post Israele, per uscire dal pantano, non può che fare tutto quello che è in suo potere per allargare il conflitto e che – soprattutto alla luce dei miseri risultati ottenuti a Gaza, nonostante di fronte non avesse nemmeno un vero esercito – senza il sostegno incondizionato degli USA e delle sue armi, i mezzi per imbarcarsi in un nuovo conflitto contro i miliziani ultra preparati e ultra armati di Hezbollah oggettivamente non li ha. Una guerra con Hezbollah sarebbe la più grande sfida per Israele degli ultimi decenni, titolava qualche settimana fa Foreign Policy: “Il gruppo militante è esperto, ben armato e preparato” ricorda l’articolo, mentre Israele, nonostante possa contare ancora su una certa superiorità in termini di armi e di risorse, sarebbe costretto a “fare affidamento sulle sue riserve” e “tutti i riservisti nell’ultimo anno hanno già effettuato più turni, mettendo a dura prova la società e l’economia israeliane”; “L’esercito israeliano inoltre” continua l’articolo “è a corto di munizioni e pezzi di ricambio e troverebbe difficile reperire le risorse per le massicce richieste di un conflitto totale con Hezbollah”. Realisticamente, il massimo che potrebbe ottenere sarebbe occupare una piccola parte del Libano meridionale “come ha già fatto tra il 1982 e il 2000”, ma “Durante tutto quel periodo, costanti attacchi di basso livello hanno causato continue perdite a Israele, portandolo alla fine a ritirarsi”. Alla fine, quindi, l’unica soluzione possibile indovinate un po’ qual è? Un’altra Gaza: sterminare l’intera popolazione bombardandola a tappeto grazie alle armi USA che, così, si renderebbero complici del secondo genocidio in diretta streaming della storia nell’arco di nemmeno un anno (e, come a Gaza, con scarsi risultati); “Hezbollah non è un gruppo di persone che indossano uniformi o brandiscono armi” scrive ancora Foreign Policy “ma una comunità che abita interi villaggi, quartieri e città. Israele eliminerà intere popolazioni per sconfiggere il suo avversario? E questo porterà davvero più sicurezza?”.
Quello che sappiamo è che, nel frattempo, gli USA e la loro macchina propagandistica hanno fatto il primo passo: hanno assistito impassibili a due giorni di attacchi terroristici indiscriminati di massa, senza per questo rimettere in discussione il loro sostegno incondizionato; d’altronde, era solo uno spettacolare attacco simultaneo, no? La macchina propagandistica a sostegno dello sterminio indiscriminato dei civili del Sud del mondo cerca di farci digerire i peggiori crimini infiorettandoli di retorica hollywoodiana; sarebbe arrivata l’ora di reagire: per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che dia voce ai popoli oppressi di tutto il pianeta, e al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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OttolinaTV

19 Settembre 2024

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