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Tag: mirko

Come la sinistra neoliberista ha distrutto l’istruzione pubblica – ft. Federico Greco e La Fionda – Fiond8lina ep. 4

Dopo gli incredibili successi di PIIGS e C’era una volta in Italia, la premiata ditta Federico Greco/Mirko Melchiorre si è rimessa al lavoro per portare a termine la trilogia sulle devastazioni politiche, economiche e culturali della controrivoluzione neoliberista. A questo giro si occuperanno di istruzione o, per meglio dire, d’istruzione. Ne abbiamo parlato con Federico Greco in questa bella intervista organizzata e condotta direttamente dagli amici de La Fionda in questa nuova puntata di Fion8lina.

Gli USA dichiarano guerra alla Cina e alla concorrenza (e Parabellum, nel suo piccolo, a Ottolina TV)

“Non esiste nessuna alternativa alla vittoria. La competizione dell’America con la Cina deve essere vinta, non gestita”; in mezzo a un profluvio di fake news sull’overcapacity e le pratiche commerciali cinesi, che fanno impallidire le pale usate dai russi come ultima arma dopo aver finito i missili (ormai quasi due anni fa) e i bambini decapitati da Hamas, Foreign Affairs, la testata ufficiale del think tank più guerrafondaio del pianeta, ha il merito, finalmente, di dire chiaramente le cose come stanno: l’impero in declino, per mantenere la sua egemonia, ha dichiarato la sua guerra ibrida contro il resto del mondo. Ora deve avere il coraggio di dichiarare apertamente non solo che quella contro la Cina è una guerra commerciale a tutti gli effetti che non richiede teorie strampalate per essere giustificata, ma che, in generale, gli USA hanno deciso di dichiarare guerra alla concorrenza e al mercato tout court; e, a proporlo, non sono due personaggi a caso. Ma prima di farveli conoscere e di descrivervi il loro delirante articolo col quale dichiarano guerra a tutto campo contro la Cina fino alla caduta definitiva del feroce regime comunista di Xi Jinping, una piccola, edificante storiella dal Tubo italiano.
Ieri c’eravamo un po’ sbizzarriti a perculare Parabellum per un video di pochi giorni prima dell’inizio della seconda fase della guerra per procura della NATO contro la Russia in Ucraina, dove il bimbone pacioccone livornese incredibilmente esprimeva concetti di buon senso ampiamente condivisibili: che a comportarsi da aggressore era stata la NATO che aveva provocato per decenni la Russia; che da un eventuale conflitto con la Russia l’Europa aveva solo da perdere; che l’Euromaidan era stato un colpo di stato architettato dagli USA. Insomma: l’abc di tutte le persone minimamente ragionevoli che non hanno né quello strano morbo che si chiama analfoliberalismo, né vengono in nessun modo retribuite per dire il contrario della realtà facendo un po’ la figura degli ebeti (che è, comunque, sempre meglio che lavorare) e che, però, è l’esatto contrario di quello che abbiamo sempre sentito sostenere proprio dallo stesso Parabellum, che non manca mai di condire qualche osservazione arguta e qualche dato interessante con una quantità di retorica propagandistica filo occidentale abbastanza imbarazzante e anche un po’ stucchevole. Un’ora dopo di me, ha pubblicato un video simile anche il nostro amico Dazibao, tra l’altro senza che nessuno dei due si accorgesse del video dell’altro (anche se spesso, proprio per non accavallarci, ci sentiamo e ci confrontiamo sui temi da affrontare), ma si vede che era destino: dopo la pubblicazione del suo video, qualche ottoliner ci gira uno screenshot che arriva dal gruppo Telegram di Parabellum e che dimostra come gli amici di Parabellum abbiano un po’ questa mentalità da protezione paramafiosa nei confronti del loro guru. Invece di chiedergli com’è che la Russia era passata, magicamente, da essere da aggredita ad aggressore (proprio mentre lui, a 40 anni suonati, da piccolo genio incompreso era diventato magicamente uno dei sedicenti analisti geopolitici più citati dal baraccone della propaganda ultra atlantista), si chiedevano come fare a mettere insieme un numero sufficiente di segnalazioni per spingere Youtube a buttare giù il video di Dazibao; d’altronde, le bimbe di Bandera e i lettori di Kant ragionano così: è assolutamente coerente.
Decenni fa erano temprati dal lavoro manuale ed erano reattivi e muscolosi e si dedicavano al manganello e all’olio di ricino; ora, gli agi dell’era postmoderna li hanno ridotti a bimbiminkia brufolosi e si limitano alle infamate, ma lo spirito è esattamente quello. Lì per lì, io me la sono anche un po’ presa – devo dire la verità – che per quanto mi impegni a essere sempre il più sguaiato di tutti poi non mi caca mai nessuno (ancora attendo di essere messo nelle liste di proscrizione dei banderisti del Corriere della serva); purtroppo però, a questo giro, dopo poco l’attenzione è arrivata e non è stata proprio piacevolissima: Youtube, infatti, ha cancellato il mio video e non su segnalazione dei follower brufolosi di Parabellum, ma di Mirko Campochiari di persona personalmente. Dev’essere stato quell’amore spassionato per l’open society e il dibattito franco, aperto e libero che l’ha portato, magicamente, da riconoscere che l’aggressore era la NATO a dedicare tutta la vita a dirci quanto è cattivo Putin e quanto è essenziale continuare a fargli la guerra fino all’ultimo ucraino. Oggi, ovviamente, ripubblicheremo il video tagliando quel microframmento che ha permesso a Campochiari di dimostrare, ancora una volta, la genuinità dei suoi valori e la trasparenza dei suoi fini facendoci cancellare il video dalla piattaforma. Ma ora basta parlare della propaganda di basso cabotaggio e torniamo a parlare della propaganda che conta davvero.

Mike Gallagher

Chi sono i due autori dell’articolo di Foreign Affairs che chiede alla Casa Bianca di mettere da parte le buone maniere e di dichiarare, finalmente, davvero guerra alla Cina? Il primo si chiama Mike Gallagher, è un parlamentare repubblicano del Wisconsin e, nella scorsa legislatura, ha ricoperto il ruolo di uno dei miei comitati preferiti di tutto quel gigantesco circo che è il congresso USA – il comitato sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito Comunista Cinese. Notare: non tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese, ma proprio tra USA e Partito Comunista; d’altronde “La più grande minaccia contro gli Stati Uniti” aveva affermato proprio Gallagher nel suo discorso di insediamento “è il Partito Comunista Cinese. Il Partito Comunista Cinese” sosteneva “continua a commettere genocidi, nasconde l’origine della pandemia da corona virus, minaccia Taiwan e ruba proprietà intellettuale americana per un valore di svariate centinaia di miliardi di dollari”. Il comitato, aveva sottolineato l’ex speaker della camera Kevin McCarthy, era stato fondato perché “per vincere la Nuova Guerra Fredda, dobbiamo rispondere con forza all’aggressione cinese”.
Negli anni, Gallagher è stato costantemente al centro di tutte le principali battaglie della fazione più spregiudicata dell’imperialismo USA: è stato uno dei promotori della proposta di Trump di comprarsi la Groenlandia e, poi, ha litigato con Trump quando Trump aveva proposto di ritirare le truppe USA dalla Siria; è stato tra i promotori della famosa lettera bipartisan tra guerrafondai di entrambe le sponde per richiedere a Biden l’invio immediato degli F-16 in Ucraina ed ha guidato una delegazione di provocatori a Taiwan per rendere omaggio all’ex presidente Tsai Ing-Wen, giusto per far incazzare un po’ Pechino. Sul fronte economico, ha votato per smantellare la legge Dodd-Frank che aveva introdotto alcune piccole misure restrittive alla speculazione finanziaria e ha votato contro l’innalzamento del salario minimo; ed è stato uno dei promotori della battaglia per vietare TikTok negli USA, che ha definito fentanyl digitale utilizzato per fare brainwashing a favore di Hamas in seguito all’operazione diluvio di al aqsa del 7 ottobre scorso. Nel febbraio 2024, infine, ha annunciato le sue dimissioni da parlamentare; poco dopo si è scoperto che era stato assunto da Palantir, il colosso delle piattaforme digitali per l’intelligence e lo spionaggio fondato da Peter Thiel, il guru dell’alt right psichedelica e anarcocapitalista che spadroneggia tra gli yuppies della Silicon Valley.
L’altra firma dell’articolo è ancora più di peso: si chiama Matthew Pottinger – che suona un po’ tipo Cazzenger; purtroppo, però, qui alla fine c’è poco da ridere. Pottinger, infatti, è nientepopodimeno che l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ruolo che ha ricoperto dal settembre del 2019 fino al gennaio del 2021, dopo aver passato due anni a dirigere la sezione asiatica del consiglio per la sicurezza nazionale; uno dei pochissimi ad essere durato per tutta l’amministrazione Trump, Pottinger è stato tra i principali artefici della fallimentare guerra commerciale inaugurata da Trump contro la Cina. Gallagher e Pottinger hanno fortificato il loro rapporto di collaborazione e il loro odio viscerale per tutto ciò che odora di Cina durante la guerra illegale di aggressione degli USA contro l’Iraq, durante la quale Pottinger dichiara di aver sviluppato “una sorta di senso di disagio per il fatto che la Cina non sarebbe realmente riuscita a convergere con il nostro ordine liberale”; da allora, continua Pottinger, ho realizzato che la democrazia “non è inevitabile e non dovrebbe essere data per scontata, ma è una forma di governo per cui dovremmo essere pronti a combattere”.
Ed ecco così che, nonostante un’ideologia ultra conservatrice profondamente radicata, i nostri due eroi si ritrovano costretti ad ammettere che “in una presidenza afflitta da una lunga serie di fallimenti in termini di deterrenza – dall’Afghanistan all’Ucraina, passando per il Medio Oriente – la politica cinese dell’amministrazione Biden si è distinta come un punto relativamente positivo”: “L’amministrazione” ricordano “ha rafforzato le alleanze statunitensi in Asia, limitato l’accesso cinese alle tecnologie americane critiche e creato una convergenza bipartisan” per le politiche anti cinesi; “Eppure” allertano i nostri due simpatici guerrafondai “l’amministrazione sta sprecando questi primi guadagni cadendo in una trappola familiare: dare priorità a un disgelo a breve termine con i leader cinesi a scapito di una vittoria a lungo termine sulla loro strategia malevola”. “Gli Stati Uniti” sostengono “non dovrebbero gestire la competizione con la Cina; dovrebbero vincerla. Pechino” infatti, allertano “sta perseguendo una serie di iniziative globali progettate” addirittura – pensate un po’ – “per disintegrare l’Occidente e inaugurare” – udite udite – “un nuovo ordine globale antidemocratico”. La Cina infatti, ricordano, “sta sostenendo dittature espansionistiche in Russia, Iran, Corea del Nord e Venezuela”, ma non solo: la Cina, infatti, ha anche “più che raddoppiato il suo arsenale nucleare dal 2020” e, soprattutto, “sta rafforzando le sue forze convenzionali più velocemente di quanto abbia fatto qualsiasi altro paese dalla Seconda Guerra Mondiale”; e, a quanto pare, sono anche bravissimi a farlo a costi contenutissimi, dal momento che riescono a finanziare il rafforzamento delle forze convenzionali più veloce di tutto il secondo dopoguerra continuando, comunque, a mantenere la spesa militare complessiva sotto l’1,6% del PIL, contro il 3,5 degli USA che, tradotto, significa meno di 300 miliardi contro quasi 900. Un terzo; e se, spendendo un terzo, invece che aumentare il gap lo riduco, significa solo una cosa: che il socialismo è oltre 3 volte più efficiente del tuo sistema di rapina legalizzata generalizzata, cosa che, però, non so se i nostri due ultras dell’anarcocapitalismo sarebbero disposti ad ammettere. Ma qui non siamo nel regno della coerenza logica e della realtà; siamo nel regno dei redneck creazionisti millenaristi: c’è una missione divina da compiere e non saranno i conti di voi secchioni nerd miscredenti fissati coi numerini a cambiare il corso della volontà del nostro signore creatore.
Ma cosa intendono, concretamente, quando dicono vincere la competizione con la Cina e non semplicemente gestirla? Essenzialmente due cose; uno: imporre ai governanti comunisti cinesi di “rinunciare a cercare di prevalere in un conflitto caldo o freddo con gli USA e i suoi amici”, che questa, in teoria, è una cosa anche abbastanza fattibile perché basterebbe quel conflitto non continuare a scatenarlo (cosa che ai nostri due simpatici amici suprematisti non sembra, però, convincere tantissimo), ma, soprattutto, due: convincere “il popolo cinese, dalle élite al potere ai cittadini comuni” che si dovrebbero ispirare “a nuovi modelli di sviluppo e di governance che non si basino sulla repressione interna e sull’ostilità compulsiva all’estero” che mi pare già più complicatino, se non altro per il fatto che convincere qualcuno del fatto che un paese che, negli ultimi 80 anni, si è reso protagonista di oltre 200 episodi di guerra ibrida di vario genere in tutto il pianeta, ha un modello di sviluppo che è meno fondato “sull’ostilità compulsiva verso l’estero” di uno che ha fatto solo una guerra 45 anni fa che è durata meno di un mese, potrebbe non essere proprio facilissimo.

Matthew Pottinger

Anche i nostri due esaltati guerrafondai riconoscono che “nessun paese dovrebbe essere felice di intraprendere un’altra guerra fredda”; il punto però, rilanciano con forza, è che “i leader cinesi stanno già conducendo una guerra fredda contro gli Stati Uniti”: come è noto, infatti, i cinesi riempiono di armi tutti gli avversari di Washington – anche se come fanno esattamente è difficile dirlo dal momento che, come ricordava, ad esempio, Business Standard l’”export delle armi cinesi affronta il declino”. Secondo l’International Peace Research Institute di Stoccolma, infatti, l’export di armi cinese tra il 2016 e il 2020 sarebbe diminuito del 7,8% e rappresenterebbe, oggi, appena il 5,2% delle esportazioni globali (dal 6,3 di qualche anno fa) contro il 40 degli Stati Uniti; un dato eclatante? Sì, vabbeh. Per noi persone normali. Per quelli in missione per conto di Dio un po’ meno: il crollo dell’export di armi cinese, infatti, per la propaganda suprematista sarebbe dovuto – quando è giorno dispari – al fatto che se le tengono tutte per se per ingrassare gli arsenali; quando è pari, invece, alla scarsa qualità, come d’altronde di tutto ciò che è cinese, come ricorda sempre Business Standard. Quindi, secondo questa logica, i cinesi rinunciano a degli ottimi affari per riempirsi gli arsenali di armi che funzionano di merda e che li condannano alla sconfitta militare. Geniali!
La realtà, ovviamente, è un po’ diversa – e molto più semplice: gli USA danno la caccia con le sanzioni a chiunque si azzardi a vendere armi ai paesi che non sono al 100% al servizio degli interessi di Washington e siccome l’economia cinese, a differenza di quella USA, è fondata sulla produzione di oggetti che servono a vivere e non a morire, i cinesi, ad andare incontro a delle sanzioni per un mercato che per loro è del tutto marginale, non ci pensano proprio; ciononostante, suggeriscono i nostri equilibratissimi amici, “Piuttosto che negare l’esistenza di questa guerra, Washington dovrebbe appropriarsene, e vincerla” e “per vincere è necessario dichiarare apertamente che un regime totalitario che commette genocidi, alimenta i conflitti e minaccia la guerra, non sarà mai un partner affidabile”. Che detto da un parlamentare che, ancora il 21 marzo scorso, spingeva “il Dipartimento della Difesa a impegnarsi pubblicamente a sostenere Israele nella distruzione di Hamas” potrebbe suonare non esattamente credibile, diciamo. I nostri due eroi riconoscono che l’amministrazione Biden non solo “ha rinnovato” le misure intraprese già dall’amministrazione Trump, ma le ha anche “significativamente estese” e riconoscono anche quanto l’amministrazione Biden si sia prodigata per rafforzare tutte le alleanze militari costruite nel Pacifico per minacciare la sicurezza cinese, dal QUAD all’AUKUS, per passare dal summit trilaterale USA-Giappone-Corea del Sud e finire con quello inedito che si svolgerà a breve tra USA, Giappone e Filippine; ma tutte le aspettative che queste iniziative lodevoli avevano sollevato sono state poi tradite: Biden, a un certo punto, ha addirittura deciso di stringere la mano a Xi in mondovisione nella villa di Dynasty a San Francisco e, ora, leader politici e grandi uomini d’affari USA si alternano in pellegrinaggi a Pechino che non fanno altro che legittimare un regime che, negli ultimi due anni, non ha fatto altro che mostrare il suo lato peggiore. “Il 1° febbraio” scrivono i nostri due amici senza nessun senso del ridicolo “Gli abitanti del Montana hanno avvistato un’enorme sfera bianca che si spostava verso est. L’amministrazione stava già seguendo il pallone spia cinese, ma aveva intenzione di lasciarlo passare sopra di loro senza avvisare il pubblico. Ed è stato solo grazie alla pressione politica che Biden ha ordinato l’abbattimento del pallone una volta raggiunto l’Oceano Atlantico e che il segretario di Stato Anthony Blinken ha rinviato un viaggio programmato a Pechino” ed era solo l’inizio: “Nel giugno 2023” ricordano infatti i due autori “fughe di notizie alla stampa hanno rivelato che Pechino stava progettando” – pensate un po’ – addirittura “di costruire una base di addestramento militare congiunta a Cuba”, che è una cosa veramente disdicevole. Contro le oltre 1000 basi USA di ogni tipo sparse per il mondo, infatti, la Cina ne conta solo 2, meno anche dell’India o di Singapore, per non parlare della Turchia o della Francia e, men che mai, della Gran Bretagna. Una volta che trovi un paese amico che ti dà un po’ di spazio che fai, costruisci una base sola? E, infatti, era una mezza bufala, come fu costretto a sottolineare anche un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale che rivelò quanto “le informazioni trapelate sulla stampa fossero imprecise”: “La Casa Bianca minimizzò” denunciano i nostri due autori, mentre in realtà si trattava di “una notevole eco della Guerra Fredda”; cosa volevano di meglio per inscenare una nuova Baia dei Porci?
Evidentemente i nostri due amici non si sono confrontati abbastanza con l’analista militare di fama internazionale, noto col nome di Parabellum, che gli avrebbe potuto spiegare – come fa continuamente dagli autorevoli schermi della prestigiosa miniera di Ivan Grieco – che ogni paese ha il diritto di ospitare tutti i missili a lunga gittata di una potenza ostile che vuole figurarci una base per l’addestramento; d’altronde gli USA hanno fatto sapere di averne una addirittura nelle isole Kinmen, che non solo sono ad appena 10 chilometri dalla Cina, ma che appartengono a una nazione, come Taiwan, che gli USA sono i primi a non riconoscere ufficialmente e che, ufficialmente, fa parte della Cina, che è una sola e indivisibile, anche per la Casa Bianca.
Ma tutta questa accondiscendenza verso crimini plateali come far volare un pallone gonfiabile e addestrare qualche decina di cubani, alla fine – si chiedono i nostri due autori – cosa ha portato di buono? Assolutamente niente, come si è visto nel caso di quello che loro definiscono “Il massacro di Hamas del 7 ottobre in Israele”; quello che sconvolge i nostri due simpatici autori è che la Cina non solo non ha fatto niente per sostenere la pulizia etnica di Gaza, ma addirittura ha messo il veto alle risoluzioni USA, in Consiglio di sicurezza, che permettevano a Israele di perpetrare il genocidio con l’assenso della comunità internazionale e, al loro posto, ne hanno proposte altre che avevano intenzione – per lo meno – di stoppare lo sterminio, alle quali gli USA sono stati costretti a mettere il veto da soli contro tutto il resto del mondo. Ma non solo: quando, poi, gli yemeniti hanno deciso di ricorrere ai mezzi in loro possesso per creare un po’ di deterrenza contro il sostegno allo sterminio, invece di attaccarli illegalmente a casa loro a suon di bombe, come hanno fatto gli USA senza grossi risultati, i cinesi ci si sono messi a parlare e hanno pure trovato un accordo per far passare le loro navi dimostrando che non servivano a portare armi e altre merci al regime genocidario sionista. Tutta questa spavalderia che porta un paese come la Cina a pensare di potersi sottrarre dal sostenere l’ennesimo sterminio colonialista senza pagare dazio è dovuta a questa idea dei buonisti che circondano Rimbambiden che, con la Cina, si debba trattare, un po’ come Nixon e Carter con l’URSS: volevano trovare un nuovo equilibrio, ma non c’era equilibrio possibile; per l’impero USA non esiste altro equilibrio che il dominio totale del globo, cosa che capì perfettamente Reagan che, infatti, “la guerra fredda decise che voleva vincerla, non semplicemente gestirla”.
Reagan si impegnò per tirare giù il muro di Berlino; oggi Washington deve concentrare tutti i suoi sforzi per buttare giù il great firewall, il muro che la Cina ha tirato su per non farsi invadere dalla propaganda delle oligarchie suprematiste occidentali perché, nel frattempo, “Xi ha investito miliardi di dollari” per influenzare le opinioni pubbliche occidentali e creare divisione dentro il giardino ordinato; come si spiegherebbe, altrimenti, che così tanta gente, di fronte a delle belle soldatesse israeliane che fanno degli ingenui balletti su Tiktok di fronte alle macerie dopo aver sterminato 15 mila bambini, continua ad indignarsi? Cosa cazzo gliene frega alla gente normale dello sterminio di bambini che, come dicono i democratici sionisti, sono solo i terroristi di domani? La prima cosa da fare, suggeriscono i due autori, è invertire immediatamente il corso di quello che “con l’amministrazione Biden, al netto dell’inflazione, è diventato un taglio netto alla spesa militare”; “invece di spendere poco più del 3% del PIL per la difesa” sostengono “Washington dovrebbe spendere il quattro, se non addirittura il 5%”: solo “per una deterrenza decente per Taiwan” specificano “gli USA dovrebbero spendere come minimo 20 miliardi aggiuntivi l’anno per i prossimi 5 anni, da mettere in una sorta di fondo deterrenza gestito direttamente dal segretario di Stato”. “Il fondo di deterrenza” continuano “dovrebbe essere il simbolo di uno sforzo generazionale diretto dal presidente per ripristinare il primato degli Stati Uniti in Asia”.
I nostri due amici hanno anche idee piuttosto precise su come impiegare questi soldi: “La priorità” sostengono “dovrebbe essere quella di massimizzare le linee di produzione esistenti e costruire nuova capacità di produzione di munizioni critiche per l’Asia, come missili antinave e antiaerei che possono distruggere obiettivi nemici a grandi distanze”; poi dovrebbero servire, ovviamente, a “produrre migliaia e migliaia di droni per trasformare lo stretto di Taiwan in un fossato ribollente” e poi ci si dovrebbe dare sotto di creatività, ad esempio pensando di “disperdere lanciamissili nascosti in container commerciali o schierare la Powered Joint Direct Attack Munition, un kit a basso costo che trasforma bombe standard da 500 libbre in missili da crociera a guida di precisione”. Poi, siccome i cinesi son pieni di missili a lunga gittata di ogni tipo che possono raggiungere il grosso delle istallazioni militari nell’area, è necessario distribuirle nel modo più diffuso possibile e, quindi, servono tanti accordi con gli attori regionali per ampliare il numero di basi, che le oltre mille che hanno ad oggi (che sono tipo 10 volte le basi straniere di tutti gli altri paesi messi assieme) per gli USA vanno bene in tempo di pace; ora che siamo in guerra dobbiamo averne minimo 50 volte il resto del mondo messo assieme. E ovviamente, poi, tutte queste basi andranno attrezzate a dovere e ci andranno “preposizionate forniture critiche come carburante, munizioni e attrezzature” e questo “in tutto il Pacifico”, ma tutto questo, sottolineano, potrebbe essere inutile se comunque continuassimo a permettere alla Cina “di tenere economicamente in ostaggio l’Occidente”.
Da questo punto di vista, le sanzioni di Trump rafforzate da Biden sono un primo passo importante, ma devono essere solo l’antipasto: gli USA devono stoppare l’esportazione di tutto quello di cui la Cina ha ancora bisogno di importare per continuare a sostenere la sua crescita, ma tutto questo ancora potrebbe non essere sufficiente se non si decide di fare una campagna ideologica come si deve, proprio come quando Reagan decise di fare un salto di qualità e definì l’Unione Sovietica Il fulcro del male nel mondo moderno “e cominciò deliberatamente a danneggiare la sua intera economia” anche perché, sostengono, esattamente come con l’Unione Sovietica “Washington non dovrebbe temere lo sbocco finale che ormai viene auspicato da un numero crescente di cinesi: una Cina in grado di tracciare il proprio percorso libero dalla dittatura comunista.
Il governo draconiano di Xi ha convinto anche molti membri del PCC che il sistema che ha prodotto il recente rapido declino della prosperità, dello status e della felicità individuale della Cina merita un riesame. Il sistema che ha prodotto uno stato di sorveglianza onnicomprensivo, colonie di lavoro forzato e il genocidio di gruppi minoritari all’interno dei suoi confini è un sistema” che ovviamente va contro anche gli interessi e la cultura stessa dei cinesi che, ovviamente, ambirebbero tutti – invece che in Cina – a vivere in India, che solo 40 anni fa aveva un PIL pro capite superiore a quello cinese e ora è ferma a un sesto (che però non dà un’idea chiara della condizioni di vita dell’indiano medio rispetto al cinese, perché quasi metà della ricchezza indiana è concentrata nelle mani dell’1% più ricco e il coefficiente di Gini indiano è il doppio di quello cinese). Risultato: la Cina, nel 2020, ha messo fine alla povertà assoluta in tutto il paese o, come recitava un titolo, Ha costretto tutti i suoi abitanti a uscire dalla povertà, mentre l’India ha lasciato la libertà di continuare a morire di fame a oltre 80 milioni di suoi cittadini; sicuramente Washington avrà vita facile nel convincere i cinesi che a seguire il modello neoliberista USA c’hanno solo da guadagnare.
Abbiamo voluto dedicare così tanto tempo a questo singolo articolo perché riteniamo sia importante capire fino in fondo il livello raggiunto dal dibattito pubblico nel cuore delle sfere più alte della politica statunitense; difficile dire quanto la ferocia inaudita e la totale spregiudicatezza nell’invocare la distruzione totale di un paese da 1,5 miliardi di abitanti sia il delirio di una minoranza rumorosa dell’establishment americano o quanto, piuttosto semplicemente, questi due personaggi abbiano il ruolo di dire ad alta voce quello che gli altri pensano per cominciare a tastare un po’ il terreno, come dei Macron qualsiasi. Fatto sta che qui non parliamo di due blogger esagitati o di un Parabellum qualsiasi che, come ritorsione, al massimo può buttare giù un video da un canale Youtube indipendente con 50 mila follower e poi piangere in un angolino nella cameretta in videocall con Stirpe e Nane Cantatore; qui parliamo di un pezzo dei piani alti della classe dirigente che dice apertamente che l’obiettivo politico è rovesciare uno Stato e spiega, per filo e per segno, passo dopo passo, cosa farebbero se fossero al governo – come è molto probabile che saranno fra non moltissimo – per arrivare a quell’obbiettivo. Come diceva il compianto Giulietto Chiesa, prendendosi del complottista, gli USA l’obiettivo finale l’hanno deciso già da mo’; il dibattito interno è solo per decidere, di volta in volta, quale strada prendere per arrivarci.
Questo video, inizialmente, doveva parlare del viaggio della Yellen a Pechino e delle sue deliranti dichiarazioni sull’overcapacity industriale cinese, una vera e propria barzelletta: l’overcapacity, cioè la sovracapacità, non è un termine generico. Ha un significato specifico e, per dimostrare che c’è overcapacity, si deve verificare almeno una, se non tutte, le tre le seguenti condizioni: gli impianti devono avere un basso livello di impiego; una percentuale elevata di merci deve rimanere accatastata invenduta nei magazzini; il margine di profitto degli operatori del settore deve essere particolarmente basso. Nel caso degli autoveicoli elettrici cinesi, come ricordava anche Bloomberg qualche giorno fa, queste tre condizioni molto banalmente non si presentano, nessuna delle 3; molto banalmente, i cinesi hanno investito di più di noi per sviluppare un settore che richiedeva troppi investimenti che le nostre oligarchie – che sono abituate a fare soldi speculando sulle azioni – non avevano intenzione di fare (che investire è sempre un po’ rischioso). Grazie a questi investimenti, ora le aziende cinesi sono incomparabilmente più efficienti e produttive delle nostre e, quindi, a noi non rimane che impedirgli con ogni mezzo necessario di venirci a fare concorrenza in casa nostra; e siccome la concorrenza è stata, per 40 anni, la nostra religione laica in nome della quale ci hanno rifilato le peggio fregature, andava inventata una cazzata per alzare un po’ un polverone. E quella cazzata si chiama overcapacity, che tanto, nell’Occidente in preda alla sinofobia, la spacci bene (che nessuno sa cosa significa) e genericamente, comunque, non gliene frega abbastanza un cazzo.
Poi, però, ci siamo fatti prendere da questo articolone delirante su Foreign Affairs e ci siamo persi; fortunatamente, su questo tema ieri ha pubblicato un bellissimo video il nostro amico Davide di Dazibao, che ha spiegato tutto come sempre in modo più che chiaro e preciso. Andatevelo a vedere perché merita. Nel frattempo, se ti è piaciuto questo contenuto, ricordati di mettere un like, di iscriverti a tutti i nostri canali e di attivare le notifiche, ma – soprattutto – ricordati che canali come il nostro, senza santi in paradiso (in particolare nel paradiso di chi finanzia fino all’ultimo bamboccione, basta che si allinei alla propaganda guerrafondaia suprematista), per campare hanno bisogno del tuo contributo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Mirko Campochiari

I deliri della propaganda filo-ucraina: se finiti missili e munizioni si moltiplicano le fake news

“Carissimi OttoliNERD” – ci scrive un nostro appassionato follower – “non raccontiamoci balle: onestamente, non puoi metterti contro la Russia dal punto di vista militare. E’ stupido. La Russia è un paese estremamente orgoglioso, un paese che non si fa schiacciare; non lo puoi trattare come un paese di secondo grado, come stanno tentando di fare gli americani da vent’anni, tradendo ogni accordo. Negli anni 90, ad esempio, la riunificazione della Germania era stata fatta con l’assenso della Russia in cambio della promessa da parte della NATO di non avere nessuna intenzione di espandere verso est i suoi confini: è la NATO che sta giocando da aggressore, non la Russia, anche per questioni economiche; se la Russia spende tanto in armamenti è perché è quasi costretta. Io non sono un russofilo, ma è paradossale spingere Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina e Polonia contro la Russia; è tutto un gioco politico americano per dividere la Russia dall’Europa, perché se la Russia si unisce all’Europa l’egemonia americana sul continente europeo finisce e noi, come europei, non dovremmo avere nessun interesse a porci come antagonisti con la Russia. La finta rivoluzione ucraina è nata semplicemente perché gli americani tentavano di bloccare il passaggio del gasdotto. Punto. Questo ormai è comprovato. Quando si sparò sulla folla, quelli che sparavano sulla folla erano dei mercenari e lo fecero per esacerbare la rivoluzione in modo che sembrasse che lo Stato sparasse sui cittadini e quindi, ovviamente, cascava giù il mondo. Non raccontiamoci balle”. A dire il vero, questa lettera è un po’ vecchiotta: risale ormai al gennaio 2022, prima dell’inizio della seconda fase della guerra per procura della NATO contro la Russia in Ucraina. L’autore? Forse lo conoscete.

L’avete riconosciuto? Esatto, è proprio lui: Parabellum, al secolo Mirko Campochiari, il pibe de oro degli analisti filoucraini che, evidentemente, più studia e più si confonde le idee: lo fa, soprattutto quando frequenti cattive compagnie. Fino a questa live, infatti, Parabellum, da bravo nerd, si faceva sostanzialmente i cazzi suoi e, se frequentava qualcuno, erano grossomodo nerd come lui, secchioni un po’ fuori dal mondo il cui unico scopo è saperne una più di te e avere ragione, proprio come piacciono a noi. Dopodiché è stato tutto un profluvio di Stirpe, Parsi e Boldrin e, soprattutto, di tanta tanta miniera con quel raffinato intellettuale di Ivan Grieco, le truppe d’assalto della propaganda imperialista e suprematista al gran completo che, passo dopo passo, lo hanno aiutato a costruire una narrazione sempre più radicalmente distaccata dalla realtà il cui unico fine è convincere l’opinione pubblica che più armi mandiamo in Ucraina e meglio è per la pace, la democrazia, ma – soprattutto – per la carriera che, per Mirko, ha subìto una svolta incoraggiante. A quarant’anni suonati, dopo 10 anni dal conseguimento della laurea in storia, Campochiari, nel giro di pochi mesi, passa magicamente dall’anonimato più totale ad essere accolto nelle famiglie della rivista Dominio prima e, addirittura, Limes poi; e, dopo un altro annetto, è pronto per il grande salto: a novembre 2023 fonda la Parabellum & Partners, un “think tank di analisi geopolitica, strategica e consulenza per aziende”, come si legge dal suo profilo Linkedin. Cosa vuol dire posizionarsi nel modo giusto al momento giusto… Peccato, però, che quella che per Campochiari è stata una straordinaria occasione di carriera che ha saputo cogliere con grande lucidità e pragmatismo, per altri sia diventata un’altra delle tante religioni laiche che la propaganda riesce ad affermare e che obnubilano le capacità cognitive più basilari, come il vincolo esterno o l’austerity, come per questo jesse pinkman su X, che sotto allo spezzone di video – pubblicato sul suo profilo da Andrea Lombardi – ha uno sprazzo di genio e commenta: “Ma chi sei, Andrea Lucidi? Io non amo Parabellum ma quelle cose non le ha mai dette… è diffamazione…” .
Di fronte alla disfatta Ucraina, la guerra di propaganda rimane l’unica guerra che vede l’Occidente collettivo e le sue oligarchie nettamente in vantaggio; tutti i gruppi di interesse del mondo, ovviamente, investono in propaganda, ma per ogni euro che tutto il Sud globale messo assieme investe per manipolare l’opinione pubblica – tra testate giornalistiche, think tank e intrattenimento – l’Occidente collettivo e, in particolare, gli USA ne investono migliaia. Il problema, però, è che il compito della propaganda occidentale al servizio delle oligarchie è molto più complicato perché qui non si tratta semplicemente di dare alla realtà una lettura più o meno favorevole, ma proprio di stravolgerla tout court e di inventarsene una parallela. Il buon Billmon su Moon of Alabama ieri mi ha sbloccato un ricordo: ve lo ricordate “il fantasma di Kiev”? Eravamo proprio nelle primissime ore dello scoppio della seconda fase della guerra per procura della NATO contro la Russia in Ucraina quando i media, improvvisamente, si riempirono di notizie di un leggendario pilota che, a bordo del suo mig-29, tirava giù gli aerei militari russi che si avvicinavano a Kiev come mosche: “Lottando contro ogni previsione con armi antiquate” ricordava Forbes “abbatté 40 aerei da guerra russi prima di soccombere finalmente al fuoco nemico tre settimane dopo l’inizio della guerra”; il ministro della difesa ucraino affermò che si trattava di uno delle dozzine di piloti esperti della riserva militare che erano tornati nelle forze armate dopo l’invasione russa e Poroshenko, l’oligarca ex presidente insediatosi dopo il golpe eterodiretto dagli USA dell’Euromaidan, nonché regista dei feroci crimini di guerra commessi contro le minoranze russofone del Donbass da lì in poi, pubblicò addirittura su Twitter quella che definiva una sua foto. Strano, perché due mesi dopo fu lo stesso comando dell’Air Force ucraina a dover ammettere che si trattava, ovviamente, di una leggenda inventata di sana pianta: la foto pubblicata da Poroshenko era una foto a caso presa dall’archivio del ministero della difesa.
“Due anni dopo” scrive Billmon “riecco la solita vecchia storia”; il riferimento è all’attacco dei droni ucraini in territorio russo la notte tra il 4 e il 5 aprile scorsi: Aerei russi distrutti in un grande attacco all’aeroporto di Morozovsk titolava il Telegraph. L’Ucraina lancia un massiccio attacco di droni distruggendo sei aerei e uccidendo 20 soldati russi replicava il Sun; L’Ucraina ha colpito aeroporti in Russia, distruggendo o danneggiando 19 aerei da guerra rilanciava col botto il sempre attendibilissimo Kyev Indipendent, ma forse si sono fatti prendere un po’ troppo dall’entusiasmo: “Non abbiamo ancora trovato alcuna prova visiva che le forze ucraine abbiano danneggiato o distrutto aerei o infrastrutture in una delle quattro basi aeree russe prese di mira dai droni nella notte tra il 4 e il 5 aprile”, dichiarava una fonte: contropropaganda ruZZa al soldo del Cremlino? Non esattamente: la citazione, infatti, è dell’Institute for the study of War, uno dei più prestigiosi think tank guerrafondai neocon americani, sempre in prima linea nel richiedere l’intervento a mano armata degli USA per qualsiasi cosa accada in ogni angolo del pianeta; d’altronde, appunto, terrorismo e guerra psicologica sono, sostanzialmente, le uniche armi rimaste a disposizione degli ucraini che se – dopo aver dilapidato tutto il dilapidabile in due anni abbondanti di guerra per procura – non possono più fare affidamento su copiose forniture di difese antiaeree e munizioni da parte dei pucciosissimi amici occidentali, possono comunque continuare a fare affidamento sui loro media e sulle decine di migliaia di persone che in Occidente, comprensibilmente, ritengono che scrivere vaccate e raccattare figure di merda seriali sia comunque meglio che lavorare.

Fino al degenero: nella giornata di lunedì, infatti, ad essere presa di mira è tornata la gigantesca centrale nucleare di Zaporizhzhia (foto), la più importante centrale nucleare non solo dell’Ucraina, ma dell’intera Europa; la centrale è entrata in pieno possesso delle forze armate russe già a partire dal marzo del 2022 ed era già stata oggetto di svariati attacchi, in particolare durante l’estate e l’inizio autunno dello stesso anno. La mattina del 7 aprile è stata nuovamente presa di mira: un primo drone, riporta sul suo canale Telegram il sempre impeccabile Andrea Lucidi, aveva colpito “un camion a cui si stava scaricando del cibo vicino alla mensa della centrale”; “Il secondo drone” continua Lucidi, risulta aver colpito “nell’area del porto di carico” mentre il terzo avrebbe colpito “la cupola dell’unità 6 della centrale”. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, per voce del suo direttore generale Raphael Grossi, ha fatto sapere che, ovviamente, non ci sono minacce per la sicurezza, rivelando che “il fondo di radiazioni” non è cambiato, e graziarcazzo, direi: se per bucare una centrale nucleare bastasse un drone sarebbe piuttosto grave; è giusto per fare un po’ di caciara. E chi mai potrebbe avere l’interesse ad attaccare una postazione russa per sollevare un po’ di caciara? Sentiamo un po’. Provate a darvi una risposta.
Eehhhh… la fate facile voi propagandisti putiniani, e invece no: è tutto estremamente complicato e, come dice David settecervelli Puente, rischiate di fare affermazioni fuorvianti con contesto mancante, come per il Nord stream. I giornalisti seri, invece, vedono la complessità in tutte le sue sfaccettature: Accuse nucleari titola a 6 colonne La Stampa; “Dinamica incerta. Kiev: vogliono incolparci”. A esporre la tesi, una fonte indipendente affidabilissima: Andriy Yusov, il portavoce dell’intelligence militare ucraina che, in un’intervista all’Ukrainska Pravda, accusa la Russia di aver organizzato un attacco false flag “per minare il sostegno internazionale all’Ucraina invasa”; a differenza dell’utilizzo delle pale come armi da parte dei russi, dei denti d’oro strappati ai prigionieri come bottino di guerra, del fantasma di Kiev e delle decapitazioni di bambini di Hamas – sottolinea La Stampa – in questo specifico caso purtroppo “Né la versione russa né quella ucraina sono verificabili in modo indipendente” anche se, come sottolinea il comunicato dell’AIEA stesso, “Mentre si trovavano sul tetto del reattore – unità 6, le truppe russe hanno ingaggiato quello che sembrava essere un drone in avvicinamento”. Cioè, non solo si bombardano la centrale da soli, ma si bombardano anche i droni che usano per bombardare la centrale e poi, magari, si bombardano pure le truppe che hanno bombardato il drone che hanno usato per bombardare la centrale e, alla fine, si scopre che Zelensky – in realtà – è Prigozhin; d’altronde, li avete mai visti insieme?
Questo tipo di propaganda becera, comunque, in Occidente comincia a fare sempre meno effetto: come diceva Abramo Lincoln “Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre” e, allora, quei pochi meglio selezionarli bene. E’ quello che sembra stiano cercando di fare gli Ucraini: lo avrebbe rivelato al britannico Times Andrei Kovalenko, capo del Centro per la lotta alla disinformazione presso il Consiglio di sicurezza ucraino; secondo Kovalenko, per l’Ucraina provocare tensioni tra gruppi etnici all’interno della Russia sarebbe “terreno fertile”. “Dopo l’attacco terroristico al Crocus di Mosca” sottolinea John Helmer “gli agenti ucraini sono diventati più attivi sui canali Telegram e cercano di incitare alla guerra etnica sfruttando l’origine etnica dei terroristi”; “Naturalmente” ha affermato Kovalenko “è molto utile per noi sostenere eventuali divisioni nazionali in Russia e fomentarle con l’aiuto dell’informazione… Stiamo usando tutto ciò che possiamo perché sappiamo che alimentando le tensioni etniche, stiamo indebolendo la Russia ”. Il Times rileva che il CPD dell’Ucraina sta cercando, attraverso i canali tagiki di Telegram, di suscitare simpatia per i terroristi che sono stati malmenati quando sono stati arrestati dalle forze di sicurezza russe: gli agenti ucraini provocano, così, i cittadini tagiki contro le forze dell’ordine russe; contemporaneamente, prosegue Kovalenko, “Kiev ha alimentato diverse voci per mettere l’uno contro l’altro russi e ceceni”. Sfortunatamente, è una tattica che non sta funzionando proprio benissimo, diciamo: secondo un recente sondaggio del centro Levada, infatti, in realtà “L’intensità complessiva degli atteggiamenti negativi nei confronti delle minoranze etniche della federazione, negli ultimi anni, è sensibilmente diminuita” e, in particolare, proprio nei confronti dei ceceni.
Insomma: anche le montagne di quattrini spesi per le migliaia di psyops portate avanti dall’Occidente collettivo nella sua guerra ibrida contro il resto del mondo rischiano, alla lunga, di rivelarsi uno spreco. Se, mano a mano che ve ne accorgete, vorrete cambiare strategia, ricordatevi degli amici che vi hanno dato buoni consiglio. Nel frattempo, se sei stanco di questa gigantesca mole di puttanate e di ciarlatani e vuoi aiutarci a tirare su il primo vero e proprio media che non ha come unico obiettivo quello di compiacere le oligarchie coloniali per arrivare a fine mese, come fare già lo sai: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Michele Boldrin