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COME CUBA HA SVELATO GLI INTERESSI INCOFFESSABILI DIETRO AL COVID, con Claudio Marciano

Ebbene dopo decine, centinaia di richieste di affrontare questo argomento e terminata la “guerra di religione” sulla questione covid, Ottolina ne parla come non se n’è parlato fino ad ora! Claudio Marciano, intervistato da Giuliano Marrucci e Francesca Patella, si addentrerà negli interessi incoffesabili dietro al covid e alla campagna di vaccinazione. Appuntamento alle 18.30, buona visione.

DOVETE RIDARCI IL DENARO – il Rapporto Oxfam sul furto dei Super Ricchi che inchioda gli USA

Disuguaglianza, il potere al servizio di pochi: il titolo dell’ultimo rapporto di Oxfam dedicato al furto sistematico di ricchezza da parte degli uomini più ricchi dell’impero non poteva essere più chiaro; “Dall’inizio di questo decennio” sottolinea il rapporto “la ricchezza dei cinque miliardari più ricchi del mondo è più che raddoppiata, mentre quella del 60% più povero, non ha registrato nessuna crescita”. Ancora peggio è andata ai più poveri in Italia, dove “La ricchezza detenuta dal 20% più povero della popolazione” sottolinea il rapporto “nell’ultimo anno si è addirittura dimezzata” con il risultato che oggi l’1% dei più ricchi da solo possiede 84 volte il loro patrimonio. La conclusione di Oxfam è da veri ottoliner: “Siamo davanti a un bivio” scrivono; da una parte “un’era di incontrollata supremazia oligarchica” e dall’altra un “potere pubblico che riacquista centralità promuovendo una società più equa e coesa ed un’economia più giusta e inclusiva”. Il rapporto è stato presentato durante la giornata inaugurale dell’appuntamento annuale del World Economic Forum a Davos, dove era presente anche il nostro ministro Giorgetti col piattino in mano nel tentativo di convincere quelle stesse oligarchie a comprarsi un pezzetto di paese che hanno deciso di mettere in svendita; secondo voi, per quali delle due opzioni stanno lavorando?

Le “elevate e crescenti disuguaglianze di ricchezza che si riscontrano in tanti Paesi, a partire dal nostro” scrive Oxfam nell’introduzione al rapporto “rappresentano un tratto tristemente distintivo dell’epoca in cui viviamo”, ma non ci sarebbe niente di più erroneo – sottolineano – che “considerarle un fenomeno causale ed ineluttabile”. Piuttosto, continuano, sono la conseguenza ineluttabile di “scelte politiche” precise: da bravi ottoliner gli amici di Oxfam vanno dritti al cuore della questione e senza perdersi in moralismi astratti puntano il dito contro “la dinamica del potere”, quel potere materiale e concreto che ha accompagnato, attraverso la finanziarizzazione, una concentrazione mai vista della ricchezza che, a sua volta, ha inesorabilmente “incrementato le rendite di posizione e indebolito il potere contrattuale dei lavoratori”. “Una vera e propria redistribuzione alla rovescia” scrive ancora Oxfam “con un trasferimento continuo di risorse da lavoratori e consumatori a titolari e manager di grandi imprese monopolistiche, con conseguente accumulazione di enormi fortune nelle mani di pochi”. Pensavamo fosse il rapporto di una ONG; era uno dei nostri pipponi: la gallina dalle uova d’oro dei super-ricchi, spiega Oxfam, sono le grandi corporation che “in media, nel biennio 2021-2022 hanno registrato un aumento dei profitti addirittura dell’89% rispetto al periodo 2017-2020” e non era che un antipasto. I “nuovi dati relativi ai primi mesi del 2023” ricorda infatti Oxfam “mostrano come l’anno appena conclusosi sia destinato a superare ogni record, attestandosi come il più redditizio di sempre”. Complessivamente, infatti, 148 tra le più grandi società del mondo – e cioè quelle per le quali si hanno i dati – avrebbero realizzato circa 1.800 miliardi di dollari di profitti tra giugno 2022 e giugno 2023, un bel 52,5% in più rispetto al profitto medio registrato nel quadriennio che va dal 2018 al 2021.
Tra queste, in particolare, spiccano “Undici aziende farmaceutiche che hanno aumentato i propri profitti di quasi il 32% nel 2022 rispetto alla media del periodo 2018-2021, registrando profitti in eccesso per 41,3 miliardi di dollari nel 2022; ventidue società del settore finanziario che hanno aumentato i propri profitti del 32% rispetto alla media del periodo 2018-2021 e hanno realizzato profitti in eccesso per 36 miliardi di dollari nel 2023; due marchi di lusso i cui profitti hanno visto un incremento del 120% rispetto alla media del periodo 2018-2021 e quattordici compagnie petrolifere e del gas i cui profitti sono aumentati del 278% rispetto alla media del periodo 2018-21, registrando profitti in eccesso per 144 miliardi di dollari nel 2022 e 190 miliardi di dollari nel 2023”. Questa impennata senza precedenti proprio mentre l’economia cadeva a pezzi e l’inflazione dava una mazzata definitiva al potere d’acquisto dei comuni mortali – come prova a spiegare da due anni Isabella Weber – è stata resa possibile proprio “dalla concentrazione del mercato, che assicura posizioni monopolistiche, consentite dai governi”; il rapporto ricorda infatti come “A livello globale, nel corso di appena due decenni, tra il 1995 e il 2015, 60 aziende farmaceutiche si sono fuse in 10 colossi del Big Pharma. Due multinazionali controllano oggi più del 40% del mercato globale delle sementi (25 anni fa erano 10)”, e a dominare il mercato digitale sono una manciata di Big Tech con i “tre quarti dei ricavi globali dalla pubblicità online che arrivano nelle casse di Meta, Alphabet e Amazon, e oltre il 90% delle ricerche online che viene effettuato tramite Google”. Risultato: “Appena lo 0,001% delle imprese più grandi incamera quasi un terzo di tutti i profitti societari globali”. Lo 0,001%, e lo chiamano libero mercato.
Da un certo punto di vista, però, è libero davvero; di non pagare le tasse. Come ricorda il rapporto infatti “L’aliquota legale media sui redditi societari nei Paesi OCSE è a passata dal 48% del 1980, al 23,1% del 2022”: meno della metà (quando le pagano); come ricorda il rapporto, infatti, “Si stima che circa 200 miliardi di dollari vengano persi ogni anno a causa dell’elusione fiscale delle imprese multinazionali, con i paesi del Sud del mondo che tendono ancora una volta a subirne in maniera prevalente i contraccolpi”. I patrimoni sterminati dei supermegaricchi arrivano esattamente da qui: “nel 2022” ricorda infatti il rapporto “i 50 miliardari statunitensi più ricchi detenevano il 75% della propria ricchezza in azioni delle società da loro guidate”, vale a dire tutte; “L’1% più ricco al mondo” sottolinea infatti il rapporto “possiede attualmente il 59% dei titoli finanziari a livello globale”. Alla faccia dell’azionariato popolare.
I grandi azionisti, poi, hanno approfittato di questa gigantesca ondata di profitti da rendita di posizione monopolistica per aumentare la loro presenza nell’azionariato delle big corporation in modo spropositato: “Per ogni 100 dollari di profitti realizzati tra luglio 2022 e giugno 2023 da 96 tra le più grandi società al mondo” riporta infatti Oxfam “82 dollari sono andati agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari, consolidando così le posizioni di persone che occupano già, nella stragrande maggioranza dei casi, le posizioni apicali nelle nostre società”.
Nel frattempo, vista dall’altra estremità della piramide, la situazione appariva decisamente meno florida: secondo Oxfam, infatti, 791 milioni di lavoratori distribuiti su 52 paesi, nel biennio 2021 – 2022 “hanno visto un calo del monte salari in termini reali di 1.500 miliardi di dollari, equivalenti a poco meno di una mensilità per ciascun lavoratore”. Il rapporto poi si concentra sul caso italiano, ma la dinamica è esattamente la stessa: “Dall’inizio della pandemia” sottolinea Oxfam “il numero di italiani presenti nella lista dei miliardari di Forbes è passato da 36 a 63”; 63 persone che hanno visto il loro patrimonio passare da 149 a 217 miliardi, un bel +46%. Ma i più ricchi tra i super-ricchi potrebbero non essere gli unici a pensare che pandemia, guerre e inflazione hanno fatto anche cose buone: il numero di italiani titolari di un patrimonio superiore ai 5 milioni, infatti, è passato da poco meno di 81 mila a quasi 93 mila, e tutti insieme hanno visto il loro patrimonio crescere di 178 miliardi di dollari in termini reali; loro, l’urgenza di far ripartire la crescita e di riportare la pace in Europa mi sa che non l’avvertono poi più di tanto.
Il processo comunque è in corso già da prima, in particolare – te guarda a volte il caso – proprio dal 2008, la data ufficiale di inizio di quella che abbiamo imparato a definire la Terza Grande Depressione del Capitalismo Globale: prima di allora infatti, per un decennio – riporta Oxfam – “la quota di ricchezza del percentile più ricco degli italiani aveva registrato un calo” come, d’altronde, aveva subito una diminuzione consistente anche il famoso coefficiente di Gini, il più classico tra i misuratori della disuguaglianza. Dopodiché il disastro: lo 0,1% più ricco degli italiani, poco più di 50 mila persone, ha visto la sua quota di ricchezza – rispetto al totale nazionale – passare dal 5,5 al 9,4% e lo 0,01 addirittura dall’1,8 al 5. Triplicata. Nel frattempo, i redditi reali delle famiglie italiane si riducevano in media di un bel 5,3%; chissà perché non mi stupisce per niente…

E qui ecco che riparte la ramanzina del Marru; d’altronde, vi ho avvisato più volte: questa cosa la ripeterò all’infinito, fino a che non la capiscono anche i muri – o meglio, probabilmente non si tratta tanto di capirla (che non c’ho da insegnare niente a nessuno, e ci mancherebbe pure); si tratta di cominciare a darle tutto il risalto che merita perché è la chiave per capire tutto, senza la quale si continua a brancolare nel buio. Il grande furto delle oligarchie e l’era della diseguaglianza, infatti, hanno senz’altro millemila concause – e anche Oxfam ne elenca una lunga serie, tutte importanti; dalle politiche fiscali, al welfare, alle politiche del lavoro, ma ce n’è una che non cita e che invece, a nostro avviso, sovradetermina tutte le altre: la strategia che il superimperialismo USA ha adottato per contrastare il suo declino relativo a partire dall’inizio della Terza Grande Depressione. A quel punto – come ha dovuto ricordare anche uno non particolarmente sveglio come Federico Fubini sul Corriere della Serva la settimana scorsa – la quota di ricchezza globale detenuta dai paesi dell’Europa a 27 era più o meno allo stesso livello di quella USA; oggi l’economia USA è più grande di quelle europee di oltre il 50%, e il grande trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto in Italia e negli altri paesi europei – e quello epocale dall’Europa agli USA – non sono due fenomeni distinti e paralleli. Non sono nemmeno, semplicemente, collegati; sono letteralmente, almeno in buona parte, LA STESSA IDENTICA COSA, e messi insieme sono esattamente la risposta al più grande dei misteri che ci attanaglia da due anni a questa parte: come è mai possibile che le élite europee si facciano prendere a calci nei denti da quelle di oltreoceano senza proferire parola? Ecco perché: perché con la protezione del superimperialismo USA i capitali li portano negli USA via paradisi fiscali e poi li moltiplicano a dismisura senza fare assolutamente una seganiente, affidandoli ai giganti del risparmio gestito a stelle e strisce che li usano per gonfiare a dismisura le bolle speculative dello schema Ponzi della finanza USA; quindi noi che campiamo del nostro lavoro – e i capitali li possiamo esportare al massimo da Grottaferrata a Monte Porzio Catone – paghiamo le conseguenze dell’economia che ci collassa davanti. Quello scioperato del figlio cocainomane del nostro datore di lavoro, invece, via Isole Vergini Britanniche dà i suoi soldini a un fondo predatorio di private equity e accumula profitti – più o meno detassati – su profitti; quindi non è lui a prendere i calci nei denti dalle élite di oltreoceano: a prendere i calci nei denti siamo solo noi.
Certo, nel grande gioco del capitalismo globale anche lui non è altro che il bimbo scemo ma viziato da tenere buono con tanti bei regalini milionari, ma tutto sommato mi ci cambierei, come dire… E, soprattutto, non posso certo aspettarmi che sia lui ad alzare la testa al posto mio, che non solo come lui non conto e non posso contare una seganiente politicamente, ma che invece che regali milionari continuo a ricevere buste paga da terzo mondo. Ecco: fissarsi bene in testa il funzionamento del grande meccanismo complessivo che spiega tanto il rapporto di Oxfam come l’articolo di Fubini, come i tedeschi che si fanno radere al suolo un’infrastruttura strategica da un atto terroristico senza battere ciglio, come la Meloni che giocava a fare la sovranista e ora manda Giorgetti col cappello in mano a fare l’elemosina a Davos, di per sé ovviamente non cambia niente, ma magari ci aiuta a chiarire cos’è che esattamente dovremmo cominciare a pretendere, e cioè che ci restituiscano il nostro denaro, niente di più, niente di meno. Noi rivogliamo il nostro denaro. Se lo rivuoi anche te, aiutaci a costruire il primo media che dà voce a tutti quelli che sono stati derubati e ora pretendono di riavere indietro il maltolto: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Lorenzo Tosa (sì, cioè lo so, non c’entrava un cazzo qui Tosa, ma ho realizzato che in due anni non l’abbiamo praticamente mai offeso e ci siamo detti che era arrivato il momento di rimetterci un po’ in pari).

IL CALENDARIO DELL’AVVENTO DELLA POST – VERITA’ Un anno di previsioni mainstream – pt. 1: GENNAIO

4 gennaio 2023, Il Giornale: “Russi in crisi, caos nell’esercito”;
6 gennaio, La Repubblichina: “Putin chiede il cessate il fuoco perché sta perdendo”;
25 gennaio, Il Giornale: “Arrivano i tank, la guerra è a una svolta”;
26 gennaio, La Repubblichina: “Ora l’esercito russo potrebbe sgretolarsi” e “Pechino scarica Mosca”.
Tra debacle ucraina, crisi economica e – per chiudere in bellezza l’anno – lo show in mondovisione della natura genocida della cosiddetta unica democrazia dell’Occidente, per la propaganda suprematista il 2023 è stato un anno decisamente complicato. In vista delle festività natalizie, allora, Ottolina Tv ha deciso di fare un suo personalissimo calendario dell’avvento dove a ogni casellina corrisponderà un video dedicato alle vaccate più incredibili apparse sui principali quotidiani italiani in un determinato mese e, alla fine, invece che la nascita di Cristo si festeggerà la nascita della Nuova Era della Post – Verità: tenetevi forte perché quelle che apparivano chiaramente come puttanate anche lì per lì, ma contro le quali – per prudenza, a suo tempo – abbiamo deciso di non inveire con troppa ferocia, concedendo il beneficio del dubbio, a un anno di distanza assumono chiaramente le sembianze di caricature satiriche esilaranti. Buon avvento a tutti!
Il 2023, in realtà, non si è aperto all’insegna delle magnifiche sorti e progressive della gloriosa guerra per procura dell’Occidente globale contro la Russia in Ucraina. La psyop suprematista che ha inaugurato l’anno della Post – Verità era talmente sconclusionata che l’abbiamo immediatamente rimossa; in ballo c’era la fine delle rigide misure zero covid in Cina che, secondo i nostri sempre obiettivi ed equilibrati media, avrebbe necessariamente causato milioni di morti e riportato il dragone al Medioevo, dal quale – peraltro – ovviamente non era mai completamente uscito. Nonostante la Cina minacci il Mondo Libero, i valori fondamentali di giustizia e di fratellanza che caratterizzano l’Occidente collettivo ci avevano spinto ad offrire al barbaro regime di Xi Jinping una via d’uscita sicura dalla catastrofe: una montagna di vaccini Pfizer a gratis. Ma Xi Jinping – che, come sempre, aveva messo davanti il suo culto per la personalità al benessere del suo popolo – ci aveva rimbalzato: “Il no di Pechino ai vaccini occidentali” titolava Il Giornale; “Xi sacrifica il popolo per salvare la faccia”. “Aprire a Bruxelles” scrive Gian sinofobia portami via Micalessin “significherebbe riconoscere il flop della cura cinese e il disastro della politica covid – zero”.

Il virus SARS-CoV-2

Ovviamente oggi sappiamo che quell’offerta, più che con la generosità della civiltà dell’uomo bianco e “la superiorità scientifica degli USA” – come sottolineava il Giornale – aveva a che fare col fatto che, per due anni, tutto l’Occidente ha lasciato che a dettare la sua politica sanitaria fosse una spregiudicata multinazionale come Pfizer, che ha registrato per due anni profitti record vendendoci una quantità spropositata di vaccini dei quali non sapevamo assolutamente cosa fare; e anche l’annunciato disastro della politica covid – zero che, secondo la propaganda, non aveva fatto altro che rinviare l’appuntamento con la pandemia aggravandolo – dopo aver imposto per due anni inutili misure draconiane a un popolo sostanzialmente schiavizzato – non si è rivelato esattamente conforme alle previsioni: secondo i numeri di Our World in Data aggiornati al 2 dicembre, la Cina – in tutto – avrebbe registrato appena 85 morti ogni milione di abitanti, contro una media di oltre 2700 nell’Unione europea e i circa 3400 degli USA e della Gran Bretagna, ovviamente distribuiti in modo incredibilmente diseguale tra le diverse classi sociali all’interno dei singoli paesi. Il fallimento della politica covid – zero cinese, quindi, sarebbe consistito nel salvare la vita a circa 4,5 milioni di lavoratori mentre, nel frattempo, il prodotto interno lordo cresceva di poco meno del 25%; quello dell’eurozona sarebbe cresciuto dello 0,1%. Un po’ diverso dalle previsioni che Angelo Panebianco, mosso da disinteressato senso civico, aveva deciso di condividere con il pubblico dalle pagine del Corriere della serva quel fatidico 4 gennaio: “è al tempo stesso spaventoso e rassicurante” scriveva “il clamoroso fallimento cinese nella gestione della pandemia. E’ spaventoso” argomentava “per le conseguenze sanitarie: quel fallimento sta facendo ammalare milioni di cinesi e mette tutto il resto del mondo a rischio di una nuova ondata pandemica”. Ma allo stesso tempo – ci risollevava il morale l’umanissimo Panebianco – “è rassicurante per due motivi. Il primo” continuava “è di carattere geopolitico. I teorici dell’inevitabile tramonto dell’Occidente forse si sbagliano”. D’altronde – spiega lucidissimo l’Angelone nazionale – “l’autocrazia ha un prezzo: il prezzo di una rigidità che impedisce ai governanti di fronteggiare sfide impreviste con pragmatismo e capacità di correggere gli errori”. Giuro, scriveva proprio così: la Cina è destinata a fallire perché non è pragmatica. Ma non è tutto; c’è anche un altro motivo per festeggiare perché – scrive con sprezzo per il pericolo Angelo Panesuprematistabianco – “il fallimento cinese dimostra urbi et orbi la superiorità delle società aperte e democratiche rispetto alle autocrazie. Una superiorità molto concreta,” sottolinea “non astratta e ideologica. Il confronto sui risultati concreti è impietoso”.
Insomma, l’anno zero dell’era del ribaltamento radicale della realtà iniziava alla grande, e non solo per questo delirio anti – cinese; sempre il 4 gennaio, infatti, Il Giornale titolava così: “Russi in crisi, caos nell’esercito”, e con l’immancabile Ian ndocojocojo Bremmer che rilanciava dalle pagine de La Stampa: “Mosca non riesce a fermare gli ucraini”. Secondo Bremmer, Putin – ormai – era già nel panico e a un passo da “arrivare a utilizzare tecniche terroristiche” ed era solo l’inizio, perché “con l’arrivo dei sistemi di difesa Patriot” a breve “la capacità russa di rispondere alle controffensive sarà limitata” e quindi, nell’arco di poco, c’era da aspettarsi di poter assistere a qualche grande successo ucraino, addirittura “nell’arco delle prossime settimane”. Ancora aspettiamo.
2 giorni dopo arriva l’ora del Natale ortodosso; Putin, cogliendo l’appello del patriarca Kirill, avanza l’idea di una tregua, e sapete perché? Ma “perché sta perdendo”, ovvio: così titola la sua intervista su la Repubblichina Paolo Mastrolilli, probabilmente – in assoluto – uno dei giornalisti più divertenti viventi. Per l’occasione, Mastrolillo & Greg ha avuto l’intuizione di farci spiegare come funziona il mondo dall’ex comandante della NATO, marchio di garanzia di equilibrio e ricerca spassionata della verità: “Quindi la proposta di Putin è un segnale di debolezza?” chiede Mastrolillo & Greg con quel tono inquisitorio da vero giornalista d’inchiesta di razza; “Assolutamente” risponde Clark “non ci sono dubbi. È chiaro che il Cremlino ha preso l’iniziativa perché è in difficoltà. Ciò segnala solo la sua debolezza, tanto sul fronte ucraino, quanto su quello interno”. Due pagine dopo, a rincarare la dose ci pensa il migliore amico del nostro Francesco Dall’Aglio, il grandissimo esperto di armi e di guerra Gianluca di Feo, che ci mette in guardia: “I timori delle cancellerie” titola. “Dopo le nuove offensive la Russia si sgretolerà”; “Nelle cancellerie del pianeta” ci svela Di Feo “c’è la sensazione che sia scattato un conto alla rovescia”. D’altronde, basta guardare le simulazioni: alcune, un po’ pessimistiche, dicono che ci sarà uno stallo ma il grosso – rivela Di Feo entusiasta – ci anticipano che “sarà Mosca a uscirne peggio, subendo una distruzione di quel che resta del suo potenziale bellico”. A quel punto, però, bisognerà fare attenzione perché “l’avanzata ucraina” sottolinea Di Feo “rischia di far crollare Putin aprendo un’era di instabilità”; da lì in poi, questo sarà uno dei grandi cavalli di battaglia della propaganda suprematista: ormai Putin è finito, però attenzione a menarlo troppo forte perché prima bisogna capire bene come garantire alla Russia una transizione dolce. Un concetto che, il giorno dopo, viene rilanciato da Viviana Mazza sul Corriere della serva: per non correre il rischio di essere accusata di privilegiare interlocutori non esattamente imparziali, come l’ex capo supremo della NATO Clark, la brillantissima Viviana decide di interpellare nientepopodimeno che Anne Applebaum, già premio Pulitzer nel 2004 grazie a Gulag, un originalissimo e coraggiosissimo lavoro di propaganda antisovietica in un periodo in cui erano diventati antisovietici anche i sovietici stessi. Anne, nell’intervista, ammette che a un certo punto, nella primavera scorsa, si era anche quasi rassegnata all’idea che, per chiudere la partita, l’Ucraina dovesse sì – ovviamente – riconquistare tutti i territori perduti a partire dall’invasione, ma magari, per il momento, rinunciare alla Crimea e anche a umiliare Putin obbligandolo a presentarsi davanti a una qualche corte internazionale. Ma, di fronte a tutti questi incredibili successi sul campo dell’Ucraina, “Vittoria per Kiev ormai non significa solo recuperare territori, ma anche ottenere risarcimenti economici e giustizia per i crimini di guerra”: ovviamente questo significa necessariamente “mettere fine al regime di Putin” e questo, però, “in assenza di meccanismi chiari di successione, comporta opportunità, ma anche rischi”. Che Putin ormai stia con le pezze al culo è così eclatante che – come il giorno dopo svela Marco Imarisio sul Corriere della serva – “oltre ai trecentomila coscritti richiamati alle armi lo scorso ottobre se ne aggiungeranno presto molti altri, tra cinquecentomila e un milione”. Ma che dico un milione… un miliardo! Ma che dico un miliardo… un fantastilione di milioni di triliardi!
In mezzo a questa disfatta, però, fortunatamente c’è anche chi trova il tempo per riflessioni più profonde, che vanno oltre gli aridi numeri della cronaca e aprono uno squarcio negli abissi dello spirito umano; a questo giro tocca a Carlo Nicolato, brillante vice caporedattore di Libero. Ad ispirarlo è questa foto:

Vladimir Putin

“Guardate il suo sguardo,” sottolinea Nicolato “il destino segnato in quelle pupille appuntite perse nel nulla”; è un attento osservatore Nicolato, un profondo pissicologo, ma anche un discreto esperto di politica internazionale che ci ricorda come Putin non sia semplicemente ormai “solo e isolato in patria”, come svelano le sue pupille, ma anche “nel mondo, perché anche i suoi alleati lo stanno abbandonando o lo hanno già abbandonato”. L’unica cosa che ancora “resta da capire” – riflette Nicolato – è “se la guerra la perderà sul campo di battaglia, o sul tavolo delle trattative. Resta da capire” cioè, continua Nicolato, “fino a che livello vorrà scendere negli abissi della ignominia e dell’umiliazione”; “ma la sua fine” conclude Nicolato “è già lì in quello sguardo, in quella postura sconfitta in un angolo di una chiesa”. Raga’, questo non è solo grande giornalismo: questa è grande letteratura. A confermare che Putin è stato definitivamente mollato da tutti gli alleati, due giorni dopo ci pensa di nuovo Il Giornale: “Pechino scarica mosca”, titolano. Nella settimana successiva, però, tutta questa ondata crescente di entusiasmo subisce una piccola battuta d’arresto e a la questione ucraina sostanzialmente sparisce dalle pagine della stampa di regime, ma quando una settimana dopo comincia a riapparire, lo fa in grande style: “Kyev, ti armo da impazzire” titola Il Foglio il 18 gennaio; in ballo c’è la fornitura di nuovi carri armati all’ultima moda all’Ucraina che, scrive il Foglio, permetterebbero di “passare dalla resistenza alle forze russe all’espulsione delle forze russe dal territorio ucraino”. E’ solo l’ultima gocciolina di un vaso che trabocca di successi incredibili per l’Occidente collettivo, anche se l’onnipresenza della propaganda putiniana prova, in ogni modo, a screditarli; ed ecco allora che Il Foglio ci propone la sua AGENDA ANTI – CATASTROFISMO. “Le sanzioni?” si chiede retoricamente il Foglio: “Funzionano. L’economia russa? Crolla. Il prezzo del gas? Cala. I consumi? Non si fermano. L’inflazione? Rallenta.” Ma per quanto sia spinto, il premio di titolo della giornata il 21 gennaio per me rimarrà sempre al Giornale: “Altro che democratici” scrive; “sono sempre i soliti comunisti”. Sapete di chi stava parlando? Di Bonaccini. Giuro: manco della Schlein o di Zingaretti, che ovviamente fa ride’; di Stefano Bonaccini, che è un po’ come dare a Berlusconi del bacchettone o a Gasparri dell’intelligente. Comunque al Giornale non sono da premiare solo i titolisti, eh? Per apprezzare in pieno il talento, gli articoli li devi pure leggere; questo, ad esempio, firmato Martina Piumatti (che non sapevo chi fosse ma, ora che l’ho scoperta, non me la lascerò sfuggire più). L’altro giorno, riguardo ad Hamas, ha tirato fuori questa perla: “Godono per i civili morti” ha scritto. Martina però è preoccupata: “non si può più dire niente” scrive “come funziona la dittatura del politically correct”. Ha ragione. Di questo passo non si potrà dire neanche più che i neri hanno il ritmo nel sangue, però – fortunatamente – si potrà continuare a fare un titolo così. “Putin perde consenso. Il collasso della Russia sarà senza precedenti”; ad essere intervistato è Vladimir Milov, che non ha dubbi: “Nessun tentativo dello zar di contrastare le sanzioni” afferma “salverà la Russia da un collasso economico senza precedenti”. La gente lo sa, e infatti il sostegno per Putin di cui parliamo in Occidente, in realtà, è tutta fuffa: “I sondaggi che lo danno oltre il 70%” afferma infatti Milov “nascondono una realtà molto più complessa. Chi è contro” – svela – “non lo dice perché teme per la propria incolumità”. Ma ora che Putin, innegabilmente, sostanzialmente è finito – gli chiede la Piumatti – chi lo sostituirà? Prigozhin? Kadyrov? Macché, dice Milov: “Prigozhin e Kadyrov non hanno nessuna chance. La loro importanza è gonfiata dai media. Nel futuro della Russia è Navalny che può avere un ruolo”. Firmato Vladimir Milov, numero due del partito di Navalny; l’ultimo sondaggio sulla popolarità di Navalny lo dava abbondantemente sotto al 10%: è un po’ come quando Matteo Renzi parla a nome degli italiani, diciamo.
D’altronde, però, si sa: perdere una guerra cambia rapidamente tutto e Putin è incredibilmente vicino a perderla; lo ribadisce il solito Mastrolillo & Greg sulla Repubblichina il 25 gennaio, tramite un’intervista all’affidabilissimo falco neocon Kurt Volcker. “La fornitura dei carri armati” afferma Volcker “può diventare la svolta che metterà Kiev in condizione di vincere la guerra”. Il giorno dopo, sempre su La Repubblichina, è il turno dell’ex capo della CIA David Petraeus che, ultimamente, ha bazzicato parecchio l’Italia perché è un alto dirigente del fondo speculativo KKR e doveva convincere il governo a lasciargli comprare una delle infrastrutture più strategiche del paese – la rete delle telecomunicazioni – e, per farlo, ha puntato tutto sulla credibilità: “Ora l’esercito russo potrebbe sgretolarsi”, ha affermato; “Esiste la possibilità dello sgretolamento o addirittura del collasso delle unità russe”. Insomma: la nostra rete di telecomunicazioni è in ottime mani, direi.

Merchandising bello bello

Tra le cose che stavano per mettere nei guai Putin, il fatto che ormai aveva finito i missili. Due giorni dopo,
Corriere: “Ucraina, tempesta di missili”. Potremmo andare avanti per giorni; ci fermiamo qui per pietà di patria. Ci rivediamo presto con un’altra puntata del nostro calendario dell’avvento dell’era della Post – Verità. Per tutti quelli che, invece, sono eretici di fronte a questa montagna di monnezza, è arrivato il momento di unire le forze e costruire davvero un vero e proprio media che, invece che ai deliri della propaganda suprematista, dia voce al 99%; per farlo – anche di fronte alla censura democratica delle piattaforme che, come ovvio e prevedibile, ci stanno segando le gambe – abbiamo sempre più bisogno del tuo aiuto: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E siccome insieme alla natività dell’era della Post – Verità si avvicina anche quella del Bambingesù, se sei in vena di regali visita il nostro sito e accàttati un po’ di merchandising bello bello!

E chi non aderisce è Paolo Mastrolillo & Greg