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Tag: censura

SCANDALO NEWSGUARD: come l’intelligence paga un’azienda privata per censurare i pochi giornalisti rimasti.

NewsGuard è un’estensione per browser internet, che ti aiuta a rimanere sempre al passo con la propaganda suprematista. Il programma infatti contrassegna le pagine web che apri con un distintivo: quando è rosso vuol dire che è una fake news, e quando è verde invece che piace ai re David, sia Puente che Parenzo, e pure all’intelligence USA.

NewsGuard infatti nel settembre del 2021 ha firmato un contratto da 750 mila dollari con il Dipartimento della Difesa USA nell’ambito di un programma che si chiama “misinformation fingerprints”, le impronte digitali della disinformazione, dove per disinformazione si intende quello che non coincide con la narrazione ufficiale del Pentagono e della Casa Bianca e il risultato si vede.

Nel sito italiano di NewsGuard,ci sono elencate le bufale che hanno smascherato da quando è iniziata questa nuova fase della pulizia etnica di Israele contro la popolazione palestinese,che uno pensa subito: “ah, meno male!” ci troverò due cose sensate sulla bufala gigantesca delle teste dei bambini mozzati che ha occupato le prime pagine di tutti i giornali italiani, oppure il debunking di tutte le fake news spacciate dai sostenitori del genocidio per attribuire così un po’ alla cazzo la tragedia dell’ospedale di Al-Ahli a un errore di Hamas, macchè! solo ed esclusivamente roba filo-Israeliana, e filo-Usa.
Perchè noi civiltà superiore mica siamo come gli untermenschen arabi, certe cose non le facciamo, che uno allora dice, eh vabbè, che danni farà mai, tanto uno che si scarica una roba del genere sul browser quello vuole: solo pura e sana propaganda suprematista ufficiale occidentale.

Purtroppo però grazie a un po’ di sano lobbysmo NewsGuard, sopratutto negli USA, è diventato uno strumento piuttosto diffuso anche nelle istituzioni, incluse numerose librerie e università, e tramite un accordo con Microsoft, pure a parecchi insegnanti e associazioni di insegnanti.
D’altronde, la potenza di fuoco di NewsGuard è tanta roba, lungi dall’essere un ente benefico, è una società privata dalle spalle larghe, tra i fondatori infatti c’è Publici Groupe, il colosso francese della pubblicità e del marketing, una tra le 5 principali aziende del settore al mondo.

Quindi riassumendo: c’è un’azienda privata oligopolista che su mandato dell’intelligence USA dice alle università e alle insegnanti cosa è vero e cosa è falso, cosa mai potrebbe andare storto?

Nell’ambito di questa attività di censura per conto della propaganda di governo USA, nel settembre del 2022 NewsGuard, ha individuato 6 articoli che contenevano “fake news” da parte di una piccola ma prestigiosa e combattiva testata indipendente americana.La testata in questione si chiama Consortium News, e chi segue Ottolina ne ha già sentito parlare svariate volte, è stata fondata a fine anni ‘90 da Robert Parry, il mio amico Robert Parry, tristemente venuto a mancare nel 2018 dopo una lunga malattia.

FOTO: Diane Duston, Associated Press.

Forse definirlo un altro Seymour Hersh potrebbe essere un po’ eccessivo, ma ci manca poco.
Ex reporter di Associated Press e Newsweek infatti, il buon Robert, aveva rivestito un ruolo fondamentale nello smascherare alcuni dei retroscena più inquietanti dell’operazione Iran-Contra.
Si deve a lui ad esempio, la conoscenza del ruolo ricoperto nello scandalo da Oliver North, già membro del consiglio per la sicurezza nazionale, e gran regista della vendita di armi all’Iran per finanziare le attività dei contras, le feroci milizie nicaraguensi che tentarono di far precipitare nel sangue la gloriosa rivoluzione sandinista attraverso innumerevoli agguati terroristici.

Grazie a queste inchieste Parry è stato insignito, come d’altronde anche seymour hersh, del prestigioso George Polk Award, l’unico vero premio giornalistico che significhi davvero qualcosa al mondo.
Proprio come Hersh, Parry, nonostante la sua brillante carriera, ha un certo punto decide di sbattere la porta in faccia al mainstream, che negli anni ha smesso di finanziare inchieste importanti che vanno contro la narrazione ufficiale del governo, e insieme a un gruppo di prim’ordine di giornalisti indipendenti ha deciso di fondare una sua testata che non accetta finanziamenti né dai governi, né dagli inserzionisti, e già questa cosa da sola probabilmente agli occhi di affaristi spregiudicati come quelli di NewsGuard deve suonare di per se come una fake news. Oggi a guidare Consortium News c’è un altro pezzo da novanta: si chiama Joe Lauria, firma di peso prima del New York Times, poi del Boston globe e infine anche del Wall Street Journal. Il cda di Consortium News poi sembra un vero e proprio museo del giornalismo: dal premio pulitzer Christopher Hedges, al recentemente defunto Daniel Ellsberg, il più importante whistleblower della storia degli USA, fino a John Pilger, vincitore per due volte del titolo di miglior giornalista d’inchiesta del Regno Unito. Ma niente che possa scoraggiare i David Puente di oltreoceano, che hanno individuato appunto 6 fake news che al gotha del giornalismo indipendente globale erano sfuggite, e cioè, le seguenti:

  1. Washington nel 2014 avrebbe sostenuto un colpo di stato a danno di un governo democraticamente eletto in Ucraina.
  2. il governo ucraino avrebbe adottato politiche genocide nei confronti delle minoranze russofone
  3. la NATO in Ucraina starebbe armando un regime infestato di neonazisti.
  4. il bombardamento di Douma, in Siria, era una false flag sfociata poi in bombardamenti illegali e illegittimi da parte dei governi di  USA, UK e Francia.
  5. il Russiagate era una bufala.

Faccio sinceramente parecchia fatica a vederci anche solo mezzo errore. Ma d’altronde, in un mondo dove la Russia si autobombarda i gasdotti, fa la guerra con le pale, e per giustificare lo sterminio di centinaia di migliaia di civili inermi basta una fialetta di borotalco da agitare all’ONU come se fosse un’arma chimica, posso capire che, anche solo suggerire che le cose non siano andate esattamente come ce le hanno raccontate eserciti di pennivendoli a libro paga, e senza nessuna credibilità professionale possa risultare sconveniente.
Ma la cosa più divertente è che sulla base di questi 6 articoli, NewsGuard ha segnalato come inattendibili tutti gli oltre 20 mila articoli dell’archivio di Consortium News.

Di ritorno da Tel Aviv, dove era andato a rimarcare con forza il sostegno incondizionato degli USA al genocidio perpetrato da Israele contro i civili palestinesi, Rimbambiden ha lanciato un accorato appello alla nazione:
“è in momenti come questo”, ha dichiarato, “che dobbiamo ricordare: dobbiamo ricordare chi siamo. Siamo gli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti d’America”. Non mi sto sbagiando io eh. E’ proprio lui che deve ripetere tutto due volte. La prima se la scorda mentre parla. “E non c’è niente, niente”, altra ripetizione, “che vada oltre le nostre capacità se lo facciamo insieme”

E’ da un po’ che a Rimbambiden gli è presa la scimmia di ripetere ogni tre per due questo concetto,”siamo i più forti”, “siamo invincibili”, siamo stocazzo!
Ma come sottolinea sempre il nostro mitico Dall’Aglio, quando uno si sente in dovere di ripetere in ogni occasione quanto è forte e invincibile, c’è una buona probabilità che sotto sotto tanto forte e invincibile non si senta più.
D’altronde, gli indizi diciamo che non gli mancherebbero, purtroppo però è proprio quando uno comincia a realizzare che l’era “dell’io sono io e voi non siete un cazzo” sta volgendo al tramonto, che potrebbe essere spinto ai gesti più sconsiderati.

Fino ad oggi, ci siamo sempre lamentati di quanto sia falsa e ipocrita la retorica dell’occidente come luogo di libertà e di pluralismo, e di come in realtà la proprietà dei mezzi di produzione del consenso in mano a un manipolo di oligarchi ostacoli il dissenso e il pensiero critico.
A breve però potremmo ricordare questa epoca di dittatura dolce del pensiero unico con una certa nostalgia.
Quel che rimane della retorica liberale, mano a mano che la situazione continua a sfuggire di mano, potrebbe diventare un lontano ricordo, la Grande svolta autoritaria del finto liberalismo del nord globale è ormai dietro l’angolo, ed è arrivata l’ora di costruire la resistenza.

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NON CON I MIEI SOLDI: boicottare Israele per impedire il genocidio

Fino a un mese, fa la lotta per l’indipendenza del popolo palestinese era una lotta finita, kaputt, morta e sepolta; oggi le strade di tutto il mondo sono invase da un oceano di umanità che torna a sventolare la bandiera palestinese non solo per non essere complici di un genocidio, ma come simbolo universale dell’eterna lotta degli oppressi contro gli oppressori. Purtroppo però il genocidio del popolo palestinese è solo un pezzo di una guerra molto più generale, e in guerra la testimonianza non basta: per ottenere qualcosa bisogna colpire direttamente gli interessi più profondi. Per fortuna, per capire come si fa non c’è bisogno di inventarsi nulla di particolarmente nuovo: basta ricordarsi la nostra storia. La ricetta l’hanno scritta nel 1959 un gruppo di militanti sudafricani esuli a Londra: si chiama boicottaggio. “Popolo britannico” recitava lo storico appello “non vi chiediamo niente di speciale. Vi chiediamo solamente di ritirare il vostro sostegno al regime di apartheid smettendo di comprare prodotti sudafricani”. Tra alti e bassi, per arrivare alla vittoria occorreranno la bellezza di 35 anni.
Non c’è un minuto da perdere: con questo video ci rivolgiamo a tutte le realtà che come noi, giorno dopo giorno, in piena libertà e autonomia, qualsiasi sia il loro punto di vista, combattono la loro battaglia contro la dittatura del pensiero unico e contro la lotta senza quartiere che le oligarchie finanziarie del nord globale hanno ingaggiato contro tutto il resto del mondo. E’ arrivato il momento di lanciare lo stesso appello che gli esuli sudafricani lanciarono ai cittadini britannici e che, dopo 35 anni di peripezie, li portò finalmente alla liberazione. Dobbiamo convincere insieme tutte le persone, che hanno imparato ad apprezzarci per il lavoro che ognuno a modo suo fa ogni giorno per creare una frattura nella narrazione dominante, che è arrivato il momento di ritirare il nostro sostegno al nuovo apartheid e al genocidio smettendo non solo di comprare prodotti israeliani, ma anche i prodotti di tutte quelle aziende che per due lire, di fronte a un genocidio, preferiscono girare la testa dall’altra parte e continuano a fare affari con Israele. Ci state?

manifestazione pro Palestina a Berlino

Nel silenzio assordante dei media che da settimane se ne inventano di tutti i colori per giustificare il genocidio e la pulizia etnica in corso a Gaza, decine di milioni di persone continuano a riempire giorno dopo giorno strade e piazze di tutto il pianeta per esprimere la loro solidarietà al popolo palestinese e la loro opposizione al sostegno incondizionato al genocidio espresso dai loro governi.

Da Stoccolma, Sidney, New York, Barcellona, Parigi, Dublino e Berlino, nonostante manifestare contro il genocidio fosse vietato e, alla fine, sono state arrestate quasi 200 persone:

Sempre a New York, giovedì scorso, in 500 hanno improvvisato un sit in direttamente dentro il congresso USA per chiedere una risoluzione per il cessate il fuoco immediato. Li hanno accusati di essere antisemiti. Erano tutti ebrei.

E questa è la mappa in tempo reale che Al Jazeera sta tenendo delle principali proteste al mondo:

In queste ore drammatiche, durante le quali qualsiasi persona che abbia conservato un minimo di umanità si sente squarciata dentro dal senso di impotenza di fronte a ingiustizie così colossali e abominevoli e totalmente isolata di fronte a governi e media mainstream che inneggiano con gioia allo sterminio di massa, alla pulizia etnica e al genocidio, queste gigantesche maree di umanità varia che, da giorni e giorni, invadono le nostre strade sono un’incredibile boccata di ossigeno. Purtroppo, però, rischiano anche di non essere altro che un lenitivo per noi che stiamo dalla parte giusta del mondo; il punto col quale facciamo ancora troppa fatica a fare i conti fino in fondo è che, anche se non ne siamo ancora molto consapevoli, siamo in guerra e – ammesso e non concesso che quelle nelle quali viviamo siano mai state democrazie, in particolare negli ultimi 30 anni – di sicuro hanno definitivamente smesso di esserlo da quando siamo in guerra. Equesto sarebbe davvero il caso ce lo mettessimo tutti in testa per bene: in un paese in guerra di spazio per la democrazia non ce n’è, anche se è una guerra un po’ atipica, ibrida, asimmetrica, inedita.
Fortunatamente, però, per i popoli un modo per farsi sentire c’è sempre; il disfattismo non è altro che una delle tante cazzate che ci hanno lasciato in eredità 50 anni di controrivoluzione neoliberista e di ideologia del thatcheriano “There is no alternative”. I disfattisti provano a spacciare le loro sentenze da bacio perugina letto al contrario come il frutto di un lucido cinismo che ha il coraggio di guardare dritta negli occhi la realtà, ma in realtà nel disfattismo non c’è proprio niente di lucido perché, molto banalmente, la realtà si può sempre modificare. Ma per farlo, appunto, serve lucidità, serve pragmatismo. Come sottolinea lucidamente Shahid Bolsen di Middle Nation “esistono fondamentalmente due tipi di proteste: le proteste dimostrative, e quelle distruttive”. Le proteste meramente dimostrative non vanno sminuite: hanno anche loro una loro importanza, come quelle di questi giorni in solidarietà alla Palestina e contro il genocidio. “Esprimere sostegno per la Palestina e condanna per il genocidio è importante” sottolinea Bolsen “sopratutto in Occidente, dove semplicemente stanno cercando di eliminare del tutto la questione palestinese dal dibattito pubblico, e stanno cercando di eliminare qualsiasi narrativa che non sia quella del regime sionista”. Ma se vogliamo andare oltre la mera testimonianza e dare un contributo reale per ostacolare il genocidio, bisogna inventarsi qualcosa di diverso. E visto che i governi in guerra orecchie per sentire non ne hanno, forse sarebbe il caso di rivolgersi a qualcun altro: “affinché le proteste in Occidente diventino davvero distruttive” suggerisce Bolsen “è necessario che si focalizzino sul settore privato”. Insomma: Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. BDS. Per chi si occupa di cose palestinesi da un po’ non suona certo nuova: è una campagna nata ormai 18 anni fa – nel 2005 – quando, dopo aver partecipato alla conferenza mondiale contro il razzismo in Sudafrica, un gruppo di attivisti palestinesi hanno capito che il regime che li opprimeva da decenni aveva un nome preciso: apartheid. Nei successivi 15 anni, ogni volta che si azzardavano a sottolineare che l’occupazione sionista era un regime di apartheid, venivano immediatamente accusati di antisemitismo ma, come si dice, “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci” e così, finalmente, da un paio di anni parlare di apartheid non è più tabù. Ma, vinta la battaglia culturale per definire il regime esattamente per quello che è, ora però rimane ancora da combattere da capo la battaglia che anche in Sudafrica all’apartheid mise fine. Come ha scritto Omar Barghouti, che della campagna BDS è stato uno dei fondatori e tutt’oggi ne è una delle voci più autorevoli, “la campagna di boicottaggio non è mai stata così importante come oggi”. Certo, una campagna vecchia 18 anni sembra difficile trasformarla di nuovo in uno strumento all’altezza delle sfide di oggi; in realtà però la storia ci racconta una cosa diversa.
Il movimento per il boicottaggio del regime di apartheid sudafricano, infatti, nacque per mano di Nelson Mandela e una manciata di altri militanti in esilio a Londra addirittura nel lontano 1959. Per cantare vittoria dovettero attendere altri 35 anni, 35 anni di lotte, di sofferenze inenarrabili e di gesti eroici, ma anche di intelligenza tattica e di pragmatismo: non si tratta di gettare generosamente il cuore oltre l’ostacolo. Si tratta di darsi obiettivi ragionevoli e di perseguirli con lucidità. Un pezzo importante di lavoro nel tempo è stato fatto, e basta visitare i siti italiano e internazionale della campagna BDS per avere un primo cassetto degli attrezzi. Un vademecum molto pratico di cose da fare, poi, ce lo fornisce proprio Shahid Bolsen: trovate il suo intervento integrale doppiato in italiano da noi apposta per l’occasione sul nostro canale You Tube:

Ma sopratutto, ribadisco, qui a giocare un ruolo di primo piano dovremmo essere proprio noi, quella selva di canali, influencer e content creator nati apposta per rompere il monopolio della propaganda liberaloide e imperiale, a prescindere da tutte le differenze: parliamoci, organizziamoci, coordiniamoci, dimostriamo che fuori dalla bolla dorata del mainstream un’altra informazione è possibile. Un’informazione che è al servizio dei diritti dei popoli, invece di una fabbrica di fake news per giustificare il genocidio

Dalla Testimonianza alla Vittoria – come boicottare il genocidio secondo Shahid Bolsen