Skip to main content

Tag: banche

Fardelli d’Italia (ep. 15) – Il patto del Governo con le banche contro gli italiani

In questa quindicesima puntata di Fardelli D’Italia parliamo di Ilaria Salis, della tassazione dei profitti delle banche e delle ultime su Daniela Santanchè.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

L’ignobile teatrino di Meloni la svendipatria in ginocchio a Bruxelles per trattare la resa italiana

Come cambiano rapidamente le cose! Soltanto lunedì, tutta la propaganda filogovernativa era in brodo di giuggiole e annunciava una rivoluzione imminente: Meloni alza la posta titolava il Giornanale; cambieremo anche l’Europa. Nuova UE? si chiedeva il combattivo Maurizio Beldidietro su La Verità; Meloni ci mette la faccia: “Grazie a una donna che non ha mai rinnegato il suo passato” sottolineava Beldidietro “il nostro Paese ha più peso di prima, forse addirittura di quando a condurlo era san Mariopio da Goldman Sachs”. A galvanizzare l’orgoglio dei fintosovranisti era stata l’astensione dei partiti di maggioranza quando, pochi giorni prima, era arrivata nell’aula del parlamento europeo la riforma del patto di stabilità, una non riforma che, dopo una breve pausa, reintroduce i dogmi religiosi dell’austerity, ma on steroids perché, nel frattempo, il debito pubblico è aumentato a dismisura e i tassi d’interesse sono letteralmente esplosi e, nonostante gli annunci, al momento non sembrano destinati a diminuire granché. Come ha affermato Madis Muller, il governatore della Banca centrale estone, a Bloomberg “I rischi geopolitici comportano rischi per l’inflazione” e “la Banca centrale europea non dovrebbe affrettare ulteriori tagli dei tassi dopo giugno”, un concetto che ha ribadito anche il vicepresidente della Banca centrale Luis de Guindos lunedì da Londra davanti ai membri dell’Euro 50 group, una delle tante conventicole informali che collaborano alla definizione dell’agenda delle oligarchie finanziarie dell’Occidente collettivo: “Anche se prevediamo che l’inflazione ritorni al nostro obiettivo del 2% l’anno prossimo, le prospettive sono circondate da rischi sostanziali” ha affermato; “La situazione geopolitica, soprattutto in Medio Oriente, pone un particolare rischio al rialzo per l’inflazione”. Tradotto: non scommettete su una riduzione rapida dei tassi d’interesse perché ci rimarreste scottati.
La reintroduzione del patto di stabilità, anche se riformato, con un debito esploso e i tassi di interesse alle stelle significa una cosa sola: la mazzata definitiva allo stato sociale e una bella lunga fase di recessione senza via d’uscita che, alla fine del giro, si traduce immancabilmente esattamente in quello che – a chiacchiere – avrebbe dovuto scongiurare e, cioè, un rapporto debito/PIL sempre peggiore, perché se mentre provi a tagliare la spesa il PIL, inevitabilmente, crolla, il rapporto sempre lì rimane (quando non peggiora); una spirale perversa che conosciamo già benissimo e che, a questo giro in particolare, più di ogni altro paese riguarda proprio l’Italia, che non ha nessuna chance di uscirne viva. Se non fosse per la cazzimma dei patrioti della maggioranza che, la settimana scorsa, hanno mostrato i denti: ricordate? 24 aprile, Libero: Patto di stabilità, gli italiani si astengono. I partiti del centrodestra: riforma poco coraggiosa, la cambieremo dopo il voto. La riforma del patto è “un’occasione mancata da parte della UE” denunciava la Lega; “Anziché puntare su un netto cambiamento rispetto al passato, la UE ha scelto di non voltare pagina rispetto a un modello economico che ha mostrato tutti i suoi limiti, in cui prevale l’aspetto dell’austerità”. La cosa divertente è che a fargli la pubblicità migliore, come spesso accade, anche a questo giro è stata l’opposizione e la sua incredibile macchina propagandistica: No al patto UE, Meloni dà battaglia titolava La Stampa; La Repubblichina rilanciava con un gigantesco UE, il patto tradito: incoerenti e inaffidabili, la retromarcia della destra ci allontana dall’Europa. Il Domani, che ormai sembra proprio una caricatura degli aspetti più cringe della sinistra ZTL, era letteralmente in lacrime: Patto di stabilità, figuraccia dell’Italia: la destra si astiene; completamente scollegati dalla realtà e obnubilati dai fiumi di alcol che innaffiano, giustamente, le innumerevoli apericene delle terrazze romane in stile La grande bellezza, i sinistronzi sono davvero convinti che accusando Meloni & company di essere scorretti nei confronti dell’establishment di Bruxelles, l’elettore medio si ravveda e corra a confessare i suoi peccati a Carletto librocuore Calenda.
E’ esattamente lo stesso, identico, tragicomico film che era andato in scena ai tempi della tassa sugli extraprofitti delle banche: ricordate? La propaganda fintosovranista filogovernativa aveva annunciato in pompa magna l’introduzione, da parte del governo dei patrioti, di una sacrosanta tassa sui giganteschi profitti che le banche hanno realizzato truffando letteralmente i loro correntisti, che non avevano ricevuto un euro di interessi sui loro depositi mentre le banche incassavano cifre stratosferiche da mutui che, grazie all’aumento dei tassi di interesse, erano raddoppiati; la sinistra ZTL allora, invece che sottolineare la portata limitata dell’iniziativa e fomentare le folle a non accontentarsi delle briciole, aveva avuto la geniale trovata di difendere le banche e i banchieri multimiliardari: “E’ un attentato al libero mercato”; “Così metti a rischio i conti delle banche”. Quando si dice essere in sintonia col sentimento popolare… Allora, ovviamente, noi ci buttammo come degli avvoltoi a banchettare sulle carcasse della sinistra ZTL e dedicammo un intero video a questo epic fail dei progressisti che odiano il volgo e l’interesse nazionale; come ampiamente prevedibile, però, manco il tempo di festeggiare la prima misura vagamente popolare di questo governo di svendipatria ed ecco che erano già cominciati ad arrivare i primi indizi di marcia indietro fino a che, in mezzo al silenzio totale, la tassa non è scomparsa nel nulla: era stato uno scherzo che, tra l’altro, nel frattempo aveva permesso a una manciata di speculatori di incassare qualche centinaio di milioni con la più banale e prevedibile manovra di scommesse al ribasso che puzza di vera e propria truffa da chilometri di distanza. Alla fine di quel giro, nella sfrenata competizione a chi svende meglio gli interessi del Paese, il governo dei fintosovranisti era riuscito a superare anche la sinistra ZTL; come sarà andata a finire a questo nuovo giro?
Prima di scoprirlo, ricordatevi di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra piccola battaglia quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e, se ancora non l’avete fatto, anche di iscrivervi sui nostri canali e attivare tutte le notifiche: a voi porta via 10 secondi di tempo; per noi fa la differenza e ci aiuta a provare a evitare la guerra a colpi di armi di distrazione di massa combattuta, fino all’ultima puttanata, da sinistra ZTL e alt right.
Dopo l’esperienza traumatica dell’inspiegabile scomparsa della tassa del governo dei patrioti sugli extraprofitti della banche rapinatrici, a questo giro, prima di accanirci sull’ennesimo epic fail delle groupies di Mario Monti ed Elsa Fornero, abbiamo deciso di aspettare di vedere come andava a finire la faccenda e – devo confessare – non è stato per niente facile; la serie di assist che c’hanno fornito, infatti, è veramente ragguardevole: tra tutti, una menzione speciale per il prestigioso premio analfoliberale della settimana va senz’altro all’editorialista della Repubblichina Andrea Bonanni. Bonanni sottolinea come quello che è andato in scena al parlamento europeo è “il plateale fallimento dell’attuale classe politica italiana” perché “il ritorno del patto pone dei limiti alla spesa”, ma “le nuove norme sono molto più morbide” che in passato e, per un paese indebitato come l’Italia, rappresentano “una scelta obbligata dal buon senso”, soprattutto dal momento che permettono comunque “di continuare gli investimenti produttivi”, che è un po’ come dire che dare una vaschetta di prugne a uno che si sta squagliando per la cacherella è una scelta di buon senso, dal momento che – altrimenti – le prugne andrebbero buttate per terra e si sporcherebbe il pavimento e che, comunque, bisogna essere felici perché a queste prugne c’hanno levato il nocciolo (e quindi morirai disidratato entro un paio di settimane, ma almeno, nel frattempo, non ti strozzi).

Francesco Lollobrigida

Ciononostante abbiamo resistito e, immancabilmente, anche a questo giro il governo degli svendipatria non ci ha tradito: Via libera al nuovo patto di stabilità titolava martedì La Stampa: sì dell’Italia dopo l’astensione in Aula. Il sì definitivo del governo è arrivato nell’ambito della riunione dei ministri dell’Agricoltura dove, ad astenersi, i barricaderi italiani hanno lasciato da soli i poveri belgi: una figura di merda talmente epica che il titolare del dicastero, l’uomo che fermava i treni, il cognato d’oro d’Italia, al secolo Francesco Lollobrigida, non ha avuto manco il coraggio di presentarsi; c’ha mandato il suo vice che, tra l’altro, è un leghista. Uno sgambetto in piena regola che il principale partito di governo aveva pianificato da tempo: quando, la scorsa settimana, anche Fratelli d’Italia aveva sconfessato l’azione del governo con l’astensione, infatti, la colpa era stata attribuita proprio ai leghisti che avevano deciso di astenersi comunque; e così, per non fare la figura dell’unico partito che obbediva ciecamente alla disciplina anti-italiana di Bruxelles, regalando una marea di voti ai loro alleati/competitor aveva costretto a fare altrettanto anche al partito della madrecristiana. D’altronde Il Giornanale lo rivendicava pure: “Il nodo politico” scriveva “era tenere la maggioranza compatta per evitare fughe del Carroccio in vista delle elezioni”. Ad esser maligni, viene quasi da sospettare che Giorgia la madrecristiana, sempre alla ricerca dell’approvazione dei suoi superiori (come col bacino sulla fronte di Rimbabiden) sia magari pure andata a chiedere il permesso, della serie fateci lanciare quest’arma di distrazione di massa, che tanto non comporta niente, altrimenti capace alle europee vi trovate con una marea di parlamentari leghisti in più ed è peggio per tutti, che quelli sono amici di Putin e non è detto siano sempre completamente appecorati come noi. Con l’approvazione definitiva della riforma, ora, come riassume La Stampa, si va incontro a un “taglio deciso e a ritmi serrati del debito, maggiore riduzione del deficit, e poi riforme strutturali a gogo” e a differenza del vecchio patto di stabilità che sì, era più rigido, ma era talmente rigido e irrealistico che alla fine nessuno l’aveva mai rispettato e le infrazioni ormai finivano sistematicamente nel dimenticatoio, col patto riformato “Le regole dovranno essere attuate da subito, pena multe salate che potrebbero arrivare già a giugno”.
Ma perché Giorgiona la madrecristiana e il suo cerchio magico, cresciuti nel mito di Mussolini che Tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per l’Italia (cit. Giorgia Meloni), si riducono a imporre all’Italia manovre lacrime e sangue per fare contento l’establishment globalista e liberale di Bruxelles che tanto odiano? Prima di tutto perché è gratis: l’unica opposizione reale al partito unico della guerra e degli affari temporaneamente rappresentato da Giorgia la madrecristiana, infatti, è quella di Giuseppe Conte e dei 5 stelle, l’unico che non si è limitato a mettere la testa sotto la sabbia con l’astensione, ma ha votato contro; “Questo è un governo di patrioti che sta svendendo l’Italia” ha commentato in modo molto ottolino. Ma lo spettro di Daddy Conte non sembra poter impensierire minimamente Giorgia la madrecristiana anche perché, come è stato ampiamente dimostrato, non gode del sostegno dell’establishment di Bruxelles e di Washington senza il quale, molto banalmente, in Italia al governo non ci vai o se, per qualche bug temporaneo nel sistema, ci vai, duri come un gatto in tangenziale.
L’unica opposizione possibile perché organica all’establishment (ancora più di Giorgia stessa) rimane, appunto, quella della sinistra ZTL, dove regna sovrana l’egemonia delle oligarchie transnazionali rappresentate dal gruppo GEDI, un’opposizione che condivide con Giorgia tutte le misure anti-italiane e antipopolari – dalla politica internazionale all’austerity come strumento della lotta di classe dall’alto contro il basso – e che basa tutta la sua battaglia politica sulla guerra culturale che però, ormai, sembra aver definitivamente perso. Giorgia lo sa benissimo ed è per questo che domenica scorsa gli ha dedicato il grosso del lungo comizio che ha tenuto per la chiusura della convention di Fratelli d’Italia a Pescara, scaldando i cuori della sua fan base: La Meloni si candida e promette una spallata alle follie green dell’UE titolava entusiasta La Verità, il giornale di riferimento dell’alt right italiana. Oltre all’immancabile crociata contro l’ideologia green, il discorso di Giorgia è un decalogo esaustivo di tutte le armi di distrazione di massa messe in campo negli anni dai fintosovranisti: dall’Europa che volevano si liberasse della sua identità religiosa e oggi invoca la chiusura delle scuole per la fine del Ramadan al politicamente corretto, tanto di moda nei salotti bene dei quartieri chic delle grandi città occidentali, per finire con l’esigenza di continuare a parlare di mamma e di papà in un’epoca che ha perso il senso dei confini dettati dalla natura, Giorgia coglie con maestria tutte le occasioni che un dibattito pubblico a dir poco demenziale gli ha offerto su un piatto d’argento; e allo zoccolo duro del blocco sociale che la sostiene, tanto basta.
E alla fine anche agli altri, tutto sommato, va bene così perché, nel frattempo, l’agenda del partito unico degli affari e della guerra procede incontrastata su entrambe le gambe: quella militare da un lato – e, cioè, la costruzione della NATO globale e la guerra totale contro i paesi che si ribellano all’imperialismo fondato sul dominio del dollaro e del pentagono – e quella finanziaria – e, cioè, la finanziarizzazione dell’economia degli alleati vassalli di Washington, che è la precondizione affinché gli USA possano permettere alle colonie di armarsi senza temere che le colonie stesse usino la loro forza militare per ritagliarsi uno spazio di autonomia strategica, perché totalmente dipendenti e subordinati al capitale finanziario gestito dai monopoli finanziari privati a stelle e strisce. L’approvazione della riforma del patto di stabilità da parte del governo degli svendipatria dopo il teatrino dell’astensione della settimana scorsa, fa parte esattamente di questo vero e proprio progetto eversivo e anticostituzionale e totalmente bipartisan: una fetta enorme della nostra spesa pubblica, infatti, serve a finanziare il sistema previdenziale e quello sanitario; obbligare il nostro paese, grazie al vincolo esterno, a contenere il deficit mentre sempre più soldi servono per pagare gli interessi sul debito, significa – in soldoni – tagliare drasticamente pensioni e sanità. E quello che manca dovranno pagarlo direttamente i cittadini che, dopo 30 anni di stagnazione salariale, devono essere costretti a destinare una quota sempre maggiore del loro misero reddito residuo ai fondi privati che gli garantiranno di avere una pensione dignitosa e di potersi curare in qualche modo; e questi fondi che gestiscono i soldi (che prima potevamo spendere allegramente per vivere dignitosamente e, d’ora in poi, serviranno per evitare di morire di fame o di malattie) sono i mattoncini di base dell’economia completamente finanziarizzata che le diverse fazioni del partito unico degli affari e della guerra stanno costruendo sulla nostra pelle. Ma non vi incazzate, mi raccomando: pensate che, secondo quanto prospettato da Draghi e da Letta, una bella fetta di queste risorse serviranno per più che raddoppiare la nostra industria bellica, che è indispensabile per andare a sterminare i bambini palestinesi e chissà di quale altro popolo in futuro; insomma, è un sacrificio, ma tutto sommato è per una buona causa.
Al piano distopico della privatizzazione di pensioni e sanità (che la Meloni rende sempre più necessario grazie al suo sì al nuovo patto di stabilità) dedica un paio di articoli molto istruttivi l’inserto economico de La Repubblichina, il principale giornale della finta opposizione al governo dei fintosovranisti: il primo pubblicizza un grande evento di Affari & Finanza dedicato alla previdenza complementare e fa un quadro esaustivo della cuccagna che attende le oligarchie finanziarie; l’articolo, infatti, ricorda come se oggi, in media, la nostra pensione è pari all’81,5% del nostro ultimo stipendio, nel 2050 questa percentuale, nonostante l’aumento dell’età lavorativa, scenderà al 67,6% che per la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, molto banalmente, non è sufficiente per vivere. “In questo scenario” sottolinea l’articolo “ben si capisce come il ricorso alla previdenza complementare possa ribilanciare la componente pubblica destinata ad assottigliarsi sempre più”; eppure, continua rammaricato l’articolo, “nel nostro paese sono ancora in pochi ad aver intrapreso questa strada”: secondo le stime dello Studio Ambrosetti “La previdenza pubblica oggi contribuisce per il 75% al reddito degli individui con più di 65 anni, mentre la previdenza complementare solo per il 5,3%”. In Germania, elenca con malcelata invidia, sono già al 13,7; in Francia al 15,4 – e questi sono i dilettanti; tra i professionisti, nel Regno Unito si arriva al 41,8, nei Paesi Bassi al 44,9. Le risorse gestite dalla previdenza complementare in Italia sono, in soldoni, ancora spiccioli: appena 223 miliardi, il 12,7% del PIL; non ci compri nemmeno il 10% di una big tech americana (e infatti siamo a un decimo della media OCSE). Quel che manca ancora è una vera e propria miniera d’oro.

Il gruppo JEDI

Il gruppo GEDI sul tema ha organizzato una mega convention che vedrà la partecipazione di tutti i peggiori squali della finanza che discuteranno di come accelerare la finanziarizzazione; ovviamente si parlerà anche di un po’ di cazzate, come l’educazione finanziaria che oggi “colloca l’Italia tristemente all’ultimo posto tra i paesi europei”, ma la ciccia, ovviamente, sta tutta da un’altra parte: rendere il ricorso alla previdenza integrativa sempre più urgente e inevitabile tagliando tutto il tagliabile e, in questo senso, la previdenza deve lavorare in tandem con la sanità. Gli italiani, infatti, possono ancora illudersi di potersi accontentare di sopravvivere con pensioni nettamente inferiori ai loro salari in uscita perché, comunque, hanno ancora accesso a un servizio sanitario che, per quanto devastato, è ancora universale e gratuito; per incentivarli, quindi, il modo migliore è raderlo letteralmente al suolo e, già che ci siamo, affidare quel poco che rimane ad altri fondi integrativi.
Ed è a questo che è dedicato l’altro articolo di Affari & Finanza: Per la sanità integrativa l’obiettivo è far crescere la platea degli iscritti titola. La frustrazione per i privati, nel caso della sanità integrativa, è ancora maggiore che nel caso della previdenza perché la torta, ad oggi, è stata appena appena intaccata: in tutto, infatti, in Italia ad oggi sono iscritti a fondi sanitari integrativi soltanto 16,5 milioni di italiani e raccolgono appena 4 miliardi di euro all’anno; e in grandissima parte si tratta di fondi di categoria, previsti dai contratti collettivi nazionali. Una roba che puzza ancora troppo di socialismo anche se, sottolinea Nino Cartabellotta della Fondazione GIMBE, ha già fatto i suoi bei danni: quando sono stati istituiti nel 1992, infatti, i fondi integrativi dovevano essere dedicati sostanzialmente solo alle prestazioni che non rientrano nei livelli essenziali di assistenza che dovrebbero essere garantiti dal servizio sanitario pubblico; parliamo quindi di prestazioni odontoiatriche, fisioterapia, check up, prevenzione e robe simili, “ma nel corso degli anni” ricorda Cartabellotta “una serie di provvedimenti normativi varati da diversi governi ha previsto che i fondi possano erogare anche fino all’80% delle prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale”. Ora, quindi, che l’idea dei fondi integrativi, passo dopo passo, si è evoluta verso una sostituzione del servizio sanitario e con la spesa sanitaria pubblica che è già oggi il fanalino di coda dell’Europa (ed era già previsto venisse ridotta di poco meno del 15% nei prossimi 3 anni prima ancora che si tornasse a parlare di austerity), la torta è bella pronta per essere infornata e servita agli oligarchi. E su questo, i fautori delle follie green e del politicamente corretto e quelli della grande rivoluzione conservatrice, come la definisce Sechi su Libero, un modo di fare pace lo trovano sempre.
Contro il disegno eversivo del partito unico della guerra e degli affari e contro le armi di distrazione di massa della guerra culturale tra scemo e più scemo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Roberto Saviano

Sanzioni alle banche cinesi: gli USA preparano la “sanzione definitiva”?


Il segretario di stato statunitense Blinken è in Cina e alla vigilia del suo viaggio il Wall Street Journal ha rivelato che gli Stati Uniti stanno elaborando sanzioni che minacciano di tagliare fuori le principali banche cinesi dal sistema finanziario globale. Si tratta di uno dei più potenti strumenti di coercizione finanziaria che Washington possiede, che permette tagliar via l’accesso al dollaro per queste banche, e il dollaro è la denominazione della maggior parte del commercio globale… Insomma, pare che gli Stati Uniti vogliano usare l’ultima risorsa che hanno a disposizione, ma qual è lo scopo?
L’articolo del WSJ: https://www.wsj.com/politics/national…

Un gigante contro le oligarchie: La storia di Michael Hudson, il più grande economista vivente

Micheal hudson nasce nel 1939 a minneapolis, “l’unica città trotzkista al mondo”, l’ha definita.

Ma i legami con Trotzky di hudson andavano oltre minneapolis.

I suoi genitori avevano lavorato direttamente con lui in messico e tornati a Minneapolis, si erano messi alla testa del leggendario sciopero generale degli autotrasportatori del 1934 che bloccò l’intera logistica di dell’upper midwest per oltre tre mesi.

Sei anni dopo, il padre di Michael pagherà il suo attivismo con il carcere, grazie all’entrata in vigore del famigerato smith acts che nell’arco di un paio di decenni consentì l’arresto per motivi ideologici di oltre duecento militanti comunisti e socialisti.

“Quindi”, ricorda Hudson, “sin da piccolo ho avuto a che fare quotidianamente con i vecchi membri dei partiti comunisti americano, tedesco… passavano tutti per casa mia, e mi raccontavano continuamente storie legate alla rivoluzione. E così ero quasi predestinato a guidarne una, se mai se ne fossero riscontrate le condizioni. Il mio interesse è sempre stato capire quali fosse quelle condizioni”

Il padre di Michael, si mormora, aveva il quoziente intellettivo più alto di tutto il sistema penitenziario USA, così si convinsero che anche michael fosse fatto della stessa pasta e lo introdussero a un percorso di studi per bambini savant. A 20 anni era già laureato: filologia germanica e storia della cultura. Nonostante, in realtà, in quegli anni avesse dedicato il grosso del tempo alla sua vera passione, la musica. Sarebbe voluto diventare direttore d’orchestra:

Andò anche a New York, per seguire i corsi di Dimitri metropolis, il direttore della New York philarmonic. Poco dopo però, morì la vedova di Trotzky, Natalia, e l’esecutore del suo testamento assegnò ad hudson tutti i diritti d’autore.

Dato che ero il figlioccio di trozky, avrei dovuto creare una casa editrice”. Riesce ad ottenere anche i diritti d’autore da George Lukacs, ma non riesce a trovare nessuno disposto a pubblicare le loro opere. In compenso però, conosce Terence McCarthy. Si stava occupando della traduzione in inglese del celebre manoscritto marxiano sulla teoria del plusvalore.

Passammo un intera nottata”, ricorda Hudson, “a discutere su come il ciclo dell’attività magnetica solare stava impattando sul livello delle acque in america, e avrebbe causato una carestia che a sua volta avrebbe portato al drenaggio di denaro dal mercato azionario e obbligazionario, causando una crisi finanziaria. trovai questo ragionamento così bello, così estetico, che decisi immediatamente che avrei dedicato la mia vita allo studio dell’economia”.

Hudson allora si iscrive alla New York university. Prende una seconda laurea in economia, e trova lavoro presso la saving banks trust company, “che era l’unica banca commerciale in cui tutti i risparmiatori mettevano i loro depositi”, ricorda Hudson.

Il suo lavoro consisteva nel tracciare l’andamento dei risparmi nella città di New York, e confrontare questo andamento con quello della concessione di mutui ipotecari

E “ho visto”, ricorda Hudson, “che il grafico dei depositi sembrava quello del battito cardiaco. i depositi avevano uno sbalzo ogni 3 mesi, quando venivano pagati i dividendi. Ho capito che sostanzialmente le persone lasciavano i loro soldi in banca perché crescessero automaticamente, in modo esponenziale con gli interessi. E ho visto come questi soldi, che si accumulavano esponenzialmente, venivano reinvestiti nel mercato immobiliare per spingere al rialzo il prezzo delle case”.

Per hudson quello diventerà un vero e proprio pallino.

“Nei libri di testo sembra che le banche prestino denaro all’industria. Ma le banche non prestano un centesimo all’industria per investire in beni capitali e assumere persone. Magari li prestano per acquistare un’industria che c’è già, e poi cannibalizzarla, ma non per creare capitale. L’80% dei prestiti bancari in realtà, sono prestiti immobiliari. Ma il mercato immobiliare non viene insegnato in nessun corso di economia”, anzi, se ti azzardi a parlarne, ti segano.

Ho dovuto seguire un corso di economia monetaria tenuto da un professore che non aveva mai lavorato in una banca in vita sua”, ricorda Hudson. “Sosteneva che il ciclo economico consistesse in banche di risparmio che mettono i loro soldi in banche commerciali, che a loro volta prestano soldi all’industria. Io provai a spiegargli che quello che lui chiamava sistema bancario commerciale in realtà era una sola banca, quella dove lavoravo io, e che noi non facevamo nessun prestito all’industria. Con i soldi, molto banalmente, compravamo obbligazioni. All’esame mi dette c+. Non avevo capito l’economia dei libri di testo, però avevo capito quello che c’è scritto nei libri di testo ha poco a che vedere con il funzionamento reale dell’economia”.

I libri di testo descrivono un universo parallelo, dove la distribuzione del reddito è giusta, tutti ottengono ciò che meritano, e non esiste reddito che non sia stato onestamente guadagnato. Tutto funziona alla perfezione e devi accettare il mondo così com’è. Ma io”, ammette il nostro guru, “il mondo così com’è non l’ho mai accettato”.

Dopo l’istruttiva parentesi alla saving banks trust company, Hudson decide di approfondire il tema della bilancia dei pagamenti: “un altro tema”, sottolinea hudson, “che non viene trattato dai corsi di economia. o meglio, un tema che per come viene trattato, sarebbe meglio non lo fosse del tutto”.Per capire come funziona davvero, riesce a farsi assumere come analista dalla chase manhattan bank di david rockfeller, il fondatore del gruppo bildelberg e della commissione trilaterale. Hudson viene incaricato da rockfeller di fare uno studio sul saldo dei pagamenti dell’industria petrolifera.

Un vero e proprio rompicapo.

Hudson decide di concentrarsi in particolare sulla standard oil, vista la vicinanza a rockfeller

Ma spulciando i conti, c’è qualcosa che non gli torna. Non riesce a capire da dove standard oil tragga i suoi profitti.

Guadagna estraendo petrolio? Raffinandolo? Distribuendolo alle pompe di benzina? Dai documenti, non si riusciva a capire, fino a che il tesoriere di standard oil non gli svela l’arcano: “i soldi li guadagnamo proprio qui, nel mio ufficio”.

Ecco come Hudson ha capito il ruolo fondamentale ricoperto dai paradisi fiscali. Sostanzialmente, standard oil aveva le sue succursali in Paesi come Panama o la Liberia. che non erano veri e propri Paesi. Non avevano nessuna sovranità, e avevano adottato il dollaro, in modo da non rappresentare rischi sul versante del tasso di cambio della valuta. Queste filiali non facevano altro che una piccola operazione contabile. Compravano petrolio dai produttori a prezzi ridicoli, e lo rivendevano ai raffinatori a prezzi decuplicati. Sia produttori che raffinatori, non facevano un euro di profitto. Tutto il profitto lo facevano le succursali nei paradisi fiscali. Oggi è l’intera economia internazionale a funzionare così, ma oltre 50 anni fa, per hudson, fu una vera e propria rivelazione.

E non solo per Hudson…

Verso la fine del 1967, viene affiancato in ascensore da uno sconosciuto, che gli porge un fascicolo:

“È un rapporto del dipartimento di stato. Vorrebbero che tu ci aiutassi a calcolare quanti soldi potremmo ottenere se creassimo filiali bancari in questo tipo di paesi e diventassimo la banca per tutto il capitale criminale del mondo”, ricorda Hudson.

Non avrei potuto chiedere di meglio”, sottolinea sarcasticamente “avevo la massima collaborazione da parte di tutte le persone legate al governo, che i spiegavano come la cia lavorava con il traffico di droga e i criminali per raccogliere denaro. stavo diventando un vero specialista in riciclaggio”.

Dopo l’anno vissuto intensamente tra paradisi fiscali e riciclaggio di denaro alla chase Manhattan, per approfondire l’applicazione delle sue teorie sulla bilancia dei pagamenti, hudson decide di andare a lavorare alla Arthur Andersen. All’epoca era una delle big five, le cinque principali aziende di consulenza e di revisione degli USA. Era anche la società che doveva controllare la veridicità dei bilanci della Enron, cosa che evidentemente non faceva troppo meticolosamente: nel 2001, dopo dieci anni di crescita tumultuosa, durante i quali la Enron aveva più che decuplicato il suo fatturato diventando così addirittura la settima più importante multinazionale usa in assoluto, si scoprì che era tutta fuffa, e che l’unica cosa che i dirigenti Enron facevano, era creare una quantità esorbitante di società fittizie nei paradisi fiscali. Quasi 900 in tutto. 600 soltanto alle isole Cayman.

L’anno dopo anche la Andersen, dopo 9 decenni abbondanti vissuti al massimo, fu costretta a chiudere i battenti. Da dipendente della Andersen, Hudson si accorge che l’intero deficit della bilancia commerciale USA per tutti gli anni ‘60, era interamente dovuto alle spese militari all’estero: “il settore privato del commercio e degli investimenti era esattamente in equilibrio”.

Hudson ricorda di aver consegnato il frutto del suo lavoro a William Barsanti, uno dei principali soci della andersen, nonché fondatore della filiale italiana del gruppo:“temo che dovremo licenziarti”, fu il commento di Barsanti tre giorni dopo.

Hudson ricorda che Barsanti gli raccontò di aver inviato la bozza del dossier nientepopodimeno che a Robert McNamara in persona, l’allora potentissimo Segretario di Stato dell’amministrazione Kennedy prima e Johnson poi e che da lì a breve sarebbe diventato ancora più potente nel ruolo di Presidente della banca mondiale per tredici lunghi anni.

Ci ha detto che se pubblichiamo questo rapporto, la Arthur Andersen non otterrà mai più un contratto governativo”, avrebbe detto Barsanti ad Hudson. “In tutti i documenti del pentagono che sono stati resi pubblici successivamente”, sottolinea Hudson, “non c’è alcuna discussione sui costi del saldo dei pagamenti della guerra del vietnam”.

Una mancanza non da poco: era proprio quella voragine che di lì a poco avrebbe messo definitivamente fine all’era del gold standard. In Vietnam infatti, che era un’ex colonia francese, le banche esistenti erano tutte francesi. Soldati ed esercito USA le riempivano di dollari. e quando i dollari arrivavano in Francia, De Gaulle aveva dato mandato di convertirli subito in oro.

Con molto meno clamore, la Germania intanto stava facendo la stessa cosa. Incassava dollari dalle esportazioni, e poi li convertiva tutti immediatamente in oro

Alla fine”, ricostruisce Hudson, “gli usa hanno abbandonato la convertibilità del dollaro in oro nel 1971. e allora io ho messo insieme tutti gli articoli che avevo scritto sul tema, ed ecco come nasce il mio primo libro”.

E’ “Superimperialismo”, in assoluto uno dei testi di economia politica più importanti di tutto il ventesimo secolo. Con dovizia di particolari, prima ancora che il funzionamento dell’imperialismo finanziario usa entrasse a pieno regime, Hudson dimostra come la fine del Gold Standard imporrà nei decenni a venire ai Paesi che incassano dollari grazie all’attivo commerciale di investirlo in larghissima parte in titoli del tesoro a stelle e strisce.

Quindi gli USA fanno deficit mostruosi per imporre il loro presunto strapotere militare a tutto il pianeta, ma i dollari che spendono vengono inevitabilmente reinvestiti da chi gli incassa per rifinanziare proprio quel debito. Un gigantesco schema ponzi, tenuto in piedi però dall’uso spregiudicato della forza da parte dell’esercito più grande e costoso della storia dell’umanità.

Hudson l’aveva capito nel 1972. I liberioltristi, compresi quelli che magari hanno una cattedra di economia in qualche università blasonata, per digerirlo dovranno attendere ancora qualche generazione.

Tra quelli che invece capirono subito la portata delle intuizioni di Hudson, c’era anche un certo Hernan Khan, l’uomo che avrebbe ispirato il personaggio del dottor stranamore di Kubrick.

Khan aveva da poco lasciato il suo posto alla Rand Corporation per fondare l’influentissimo Hudson Institute. E dopo aver sentito Hudson presentare il suo libro in una conferenza dedicata agli operatori di Wall Street, lo volle immediatamente al suo fianco. Nei mesi successivi, Hudson e Khan girarono il pianeta per illustrare le idee di Michael su come avrebbe funzionato da lì in avanti la bilancia dei pagamenti.

Ma gli mancava ancora un pezzetto.

Perchè ora che Bretton Woods e la convertibilità in oro erano saltati, come avrebbero fatto gli USA a imporre al resto del pianeta di continuare a usare sempre e soltanto dollari come valuta di riserva globale?

La risposta arrivò poco dopo

Rientrati da uno dei loro infiniti tour in giro per il mondo, Hudson e Khan vengono vengono invitati alla Casa Bianca per una riunione sul petrolio e la bilancia dei pagamenti.

Al tesoro era stato nominato George Schultz, che svelò ad Hudson l’arcano. Poco prima, gli USA avevano fatto in modo che il prezzo del grano aumentasse a dismisura per finanziare una parte dell’avventura vietnamita. L’opec guidata dai sauditi aveva reagito aumentando più o meno allo stesso modo il prezzo del petrolio. Schultz però non sembrava esserne più di tanto contrariato:

Più alto è il prezzo del petrolio, più le compagnie americane avrebbero guadagnato sul petrolio domestico”, avrebbe detto Schultz ad Hudson.

Ma sopratutto, l’unica condizione che aveva posto ai sauditi era che dovevano prezzare il petrolio esclusivamente in dollari, utilizzare solo dollari per i pagamenti, e “riciclare tutti i dollari che incassavano negli stati uniti”. Altrimenti, “è un atto di guerra”.

Ma cosa ci puoi comprare negli usa con i dollari?

Di sicuro “non puoi comprare le aziende americane”, ci puoi solo comprare un po’ di azioni, senza acquisire il controllo delle aziende, e soprattutto tante tante obbligazioni.

E così finalmente eccomi qui”, scrive Hudson, “nel bel mezzo della comprensione di come funziona davvero l’imperialismo. peccato che non sia quello che viene raccontato nei libri di testo”. Per seguire la tappa successiva dell’incredibile avventura del nostro economista preferito, bisogna spostarsi in Canada.Il Governo cercava qualcuno che conoscesse a fondo il mercato azionario e obbligazionario americano Volevano capire dove avrebbero potuto trovare i soldi necessari per finanziare un ambizioso piano di investimenti interni per aumentare la produttività della loro economia. Hudson gli presentò uno studio che li lasciò basiti: “avevo scritto uno studio che dimostrava che il Canada per investire internamente a livello provinciale, non aveva necessariamente bisogno di prendere denaro in prestito dall’estero. Potevano semplicemente creare la loro stessa moneta. in pratica, era il primo esempio di ciò che oggi viene chiamata modern monetary theory. il succo è che i Paesi sovrani creano la loro moneta, che è il loro credito, e non hanno bisogno di una copertura”. Non è l’unica avventura canadese di Hudson.

Il suo rapporto suscitò grande interesse tra tutti i banchieri del regno Fino a che uno dei più autorevoli analisti finanziari dell Royal bank decise che Hudson lo doveva aiutare a portare avanti la sua grande battaglia culturale. “Mi disse che a suo avviso gli economisti in buona parte avevano un problema di personalità, e che non riescono a capire come funziona concretamente il mondo. sono affetti da una sorta di autismo che gli permette di pensare esclusivamente in termini del tutto astratti, senza riuscire ad avere un senso della realtà economica nella sua concretezza”.

Hudson si ritrova così a fare da consulente al Segretario di Stato del Canada, che è responsabile anche dell’istruzione, della cultura e dell’industria cinematografica.

Nel frattempo Hudson era diventato anche consulente economico dell’unitar, l’istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca. Aveva curato alcuni rapporti sul debito dei Paesi del terzo mondo denominato in dollari, e su come questo stesse destabilizzando le loro economie

Fino a che l’allora presidente del Messico non organizzò una conferenza a Città del Messico, ed ebbe la pessima idea di invitare Hudson. Affermò pubblicamente che non c’era modo che i debiti del terzo mondo potessero essere davvero pagati: “quando lavoravo per Chase Manhattan”, ricorda Hudson, “mi ero occupato di calcolare quante esportazioni potevano potenzialmente effettuare paesi come argentina, Brasile o Cile. L’idea era che tutti i guadagni delle esportazioni dovessero essere utilizzati per pagare gli interessi sui prestiti ricevuti dalle banche americane”

Quindi prima si calcolava quanti quattrini avrebbero potuto pagare ogni anno come servizio sul debito grazie al surplus commerciale, e poi si trovava il modo di convincerli per indebitarsi per la cifra corrispondente

In questo modo i Paesi non avrebbero mai avuto la possibilità di ripagare oltre agli interessi anche il debito stesso, e sarebbero rimasti eternamente in pugno delle oligarchie finanziarie USA. “Alla conferenza in messico mi limitai a dire che visto che proprio per come erano stati architettati questi debiti oggettivamente non potranno mai essere ripagati, e che quindi molto semplicemente non sarebbero dovuti essere ripagati”.

Come venne tradotto questo semplice concetto durante la conferenza stampa che seguì la riunione?

Il giornalista che presiedeva la conferenza stampa”, ricorda Hudson, affermò che “il dottor Hudson ha presentato un rapporto dicendo che i Paesi del terzo mondo dovrebbero esportare di più per pagare i loro debiti”.

Peccato che non tornino le date, altrimenti avrei affermato con sicurezza che si trattava per forza di Federico Rampini.

Da lì in poi questa sarebbe diventata la nuova fissazione di Hudson. “Mi resi conto”, ricorda, “che l’idea che i debiti potessero non essere pagati era così controversa, che decisi di scrivere una storia delle cancellazioni del debito”. Hudson comincia così a scavare a ritroso. Prima arriva al Medio Evo. poi all’Impero romano, poi alla Grecia e alla fine a Babilonia e ai sumeri.

Mi resi conto che non esisteva una storia economica dei sumeri e di Babilonia. c’era molto materiale sulla religione e sulla cultura, ma niente su quello che mi interessava davvero: la storia delle cancellazioni del debito”.

Tramite un amico, Hudson presenta il suo piano di ricerca all’allora direttore del Peabody museum, il prestigioso museo di archeologia ed etnologia dell’università di Harvard.

““questo è fantastico”, mi disse subito con entusiamo, “nessuno sta lavorando su questo””.

Hudson diventa così ufficialmente membro del Peabody museum per l’archeologia babilonese.

Dedicherà a questa ricerca i successivi tre anni della sua vita.

Quello che Hudson riesce a ricostruire è che la maggior parte dei debiti in realtà non erano il risultato di prestiti. “La maggior parte dei debiti”, ricostruisce “si verificava quando i raccolti fallivano, e i coltivatori non potevano pagare le tasse da un alto, e gli altri beni e servizi che avevano consumato nel frattempo dall’altro”.

Secondo Hudson infatti il denaro sostanzialmente nasce così: altro non è che la misura contabile di beni e servizi consumati, che poi ripaghi una volta che arriva il momento del raccolto. Se il raccolto c’è.

Ma la cosa straordinaria che ha scoperto Hudson è che, per chi non riusciva a ripagare i debiti con i raccolti successivi, “per mille anni, ogni sovrano, quando saliva al trono, iniziava il suo Regno cancellando i debiti. Una vera e propria amnistia”.

Il sovrano era interessato ad annullare i debiti per permettere all’economia di ripartire. Senza debiti sulle spalle, i sudditi potevano tornare tranquillamente a lavorare la loro terra, pagare le tasse, e nel tempo che gli avanzava prestare la loro manodopera per i lavori di corvé e nell’esercito. Ma l’interesse del sovrano si scontrava contro gli interessi degli altri creditori. Loro non avevano nessun interesse affinchè l’economia ripartisse e i sudditi ritrovassero un loro equilibrio. Al contrario, il loro interesse era proprio che i sudditi non riuscissero a ripagare i debiti e per pareggiare i conti fossero costretti a cedergli i loro terreni e a fare al loro posto i lavori imposti dal palazzo facendoci la cresta sopra. “La tensione nella storia, dal terzo secolo avanti cristo coi sumeri, all’impero bizantino”, scrive Hudson, “è la tensione tra il palazzo che vuole raccogliere le tasse e avere manodopera per i lavori pubblici e per l’esercito, e ricchi creditori che vogliono avere manodopera indebitata da far lavorare al loro posto, ottenendo un surplus economico pagato direttamente a loro. Il modo per ottenere il surplus economico, non era quello che Marx ha descritto come peculiare del capitalismo, e cioè impiegare manodopera per produrre beni da rivendere ricavando un profitto, ma attraverso il debito, con il prelievo degli interessi e alla fine il pignoramento delle terre, che era l’obiettivo reale”. Non è questione di filologia.

Quel conflitto tra l’interesse pubblico di permettere alle persone di contribuire concretamente alla creazione della ricchezza e l’interesso delle oligarchie finanziarie a rendere le persone schiave attraverso l’indebitamento, è esattamente quello che ci ritroviamo di fronte oggi dopo cinquant’anni di controrivoluzione neoliberista e di finanziarizzazione totale dell’economia in tutto il nord globale. Un conflitto che, come ci insegna Hudson, oggi ha assunto una dimensione anche geopolitica, perché la nuova guerra fredda è in fondo proprio guerra tra due sistemi contrapposti: lo sviluppo delle forze produttive dell’economia reale da un lato, e il parassitismo delle oligarchie finanziarie dall’altro.

Se oggi abbiamo gli strumenti per leggere lo scontro tra sud e nord globale come la partita decisiva del conflitto tra il 99% e l’1%, lo dobbiamo in buona misura proprio a lui.

Michael Hudson, il più grande economista vivente.

Del quale però, incredibilmente, non esiste nemmeno un testo tradotto in italiano.

Tra i millemila progetti futuri di OttolinaTV c’è anche questo: la pubblicazione per la prima volta in italiano per lo meno delle opere principali tra le decine e decine di capolavori prodotti da Hudson in questi cinquanta e passa anni.

Non saranno i quattrini di qualche oligarca a consentirci di colmare questa incredibile lacuna

Per farlo, come in generale per riuscire finalmente a creare un vero media che dia voce al 99%, abbiamo bisogno del tuo aiuto: Aderisci alla campagna di sottoscrizione di ottolinatv su gofundme ( https://gofund.me/c17aa5e6 ) e su paypal ( https://shorturl.at/knrcu ).

E chi non aderisce è Federico Rampini