Da ormai un paio di mesi, il brent è stabilmente sotto i 65 dollari; ciononostante, i membri dell’OPEC+ hanno optato per un ulteriore aumento della produzione che, inevitabilmente, spingerà ulteriormente i prezzi verso il basso. Per i giganti del fossile statunitensi, che estraggono la stragrande maggioranza del loro petrolio con il fracking, è un disastro: con questi prezzi, ben che vada, vanno in pareggio e con il costo del denaro che non accenna a scendere, addio investimenti. Per la Cina, al contrario, è una manna: Pechino è di gran lunga il più grande importatore netto di fonti fossili del mondo e ora può continuare ad alimentare la sua crescita a prezzi di saldo. Discorso inverso per le terre rare: nonostante tutti gli sforzi, alternative al monopolio di fatto della Cina, ad oggi, continuano a non emergere e Trump è costretto ad andare in ginocchio da Xi per limitare i danni. Ne abbiamo parlato con Demostenes Floros, ottoliner della prima ora, analista geopolitico ed economico e Senior Energy Economist presso il CER-Centro Europa Ricerche.