La trilaterale e la distruzione della democrazia
C’era una volta la democrazia moderna: al netto di tutte le contraddizioni, le promesse mancate e anche le trame segrete, per alcuni decenni a partire dalla seconda guerra mondiale aveva garantito alle masse popolari di essere – come dice Elio – non dico proprio il primo della lista, ma neanche l’ultimo degli stronzi. Vista oggi sembra quasi una leggenda metropolitana, un’utopia irrealizzabile: non moriremo democristiani si diceva un tempo; era la verità, ma nessuno immaginava sarebbe stato perché l’equivalente dei democristiani, un giorno, sarebbero stati considerati estremisti della sinistra radicale extraparlamentare. E non è stata una deriva ineluttabile, ma una scelta consapevole: ma di chi?
Perché di fronte alla crisi sempre più evidente del sistema neoliberale continua a prevalere l’idea che, comunque, there is no alternative? E’ questa sostanzialmente la domanda che trasuda dalle pagine dell’ultimo lavoro di Carlo Galli che sin dal titolo si chiede, appunto, se quello che stiamo vivendo non sia l’ultimo atto della democrazia. Per rispondere, Galli – prima di tutto – ci ricorda la distinzione fondamentale tra l’ideologia e la politica: mentre l’ideologia è un sistema interpretativo della realtà che si autoproclama verità e che nasconde la sua natura di punto di vista necessariamente parziale tra mille altri possibili punti di vista dietro l’affermazione di un principio assoluto, la politica – al contrario – è l’insieme dei saperi e delle pratiche che caratterizzano il vivere associato e si delinea quindi come uno spazio plurimo, spurio, con più posizioni e contrapposizioni e che quindi, inevitabilmente, prevede l’esistenza di più alternative e di modalità differenti di pensare e organizzare il presente. Sulla base di questa distinzione Galli si pone l’obiettivo di rileggere la storia della democrazia, e lo sguardo si concentra inevitabilmente sul Novecento e sul passaggio da quella che lui definisce liberaldemocrazia – e che noi abbiamo in passato più volte definito la democrazia moderna – alla democrazia liberista, che noi abbiamo più volte definito – piuttosto – postdemocrazia neoliberista. L’obiettivo è quello di provare a capire come, durante questo passaggio, si sia andata modificando radicalmente l’idea stessa dell’azione in ambito politico.
Galli sottolinea come, prima del secondo conflitto mondiale, nell’ambito delle democrazie liberali la libertà – che è spesso, semplicemente, la libertà di impresa e di sfruttare il lavoro altrui senza troppi vincoli – veniva usata per frenare la sete di democrazia e di uguaglianza che arrivava dalle masse popolari; con il patto costituzionale emerso dopo la seconda guerra mondiale nell’Europa continentale, però, si faceva strada l’idea di provare a sanare questa contraddizione attraverso il principio di inclusione: un’inclusione, in particolare, che passava dall’identificazione del popolo come un insieme plurale di individui anche con interessi e condizioni molto diverse tra loro, ma accomunati da quell’insieme di diritti di base che ne definiva lo status di cittadini. “Nel quadro dello stato costituzionale di diritto” insiste Galli “la liberaldemocrazia della seconda metà del XX secolo” ha promosso la collaborazione tra fasce di popolazione diverse attraverso il riconoscimento sia della libertà individuale che dell’uguaglianza civile, che anche della necessità “dell’intervento economico dello Stato”; una mediazione – sottolinea Galli – resa necessaria anche come atto di contenimento, “di sfida, e di concorrenza verso il comunismo orientale” ma pur sempre con limiti ben precisi, dal momento che – sottolinea Galli – “l’uguaglianza economica radicale non è mai stata all’ordine del giorno”. Per far si che questa complessa mediazione non implodesse, inoltre, era essenziale il ruolo dei partiti intesi come spazi politici “dove il popolo abbia la sensazione non illusoria di esercitare potere sul proprio presente e futuro (…)”.
Insomma: al netto di tutte le millemila contraddizioni – a partire da quelle internazionali – un equilibrio virtuoso che consentiva un aumento reale, tangibile, delle condizioni di benessere individuale e anche la possibilità di avanzare istanze progressiste all’interno dell’articolazione politica. Troppa grazia! Questo equilibrio virtuoso, infatti, continuava inesorabilmente a spostare il baricentro del potere politico a favore dei subalterni, al punto di far temere alle élite economiche capitalistiche di essere sull’orlo di essere scalzate dal gradino più alto della gerarchia sociale: bisognava mettere fine a questo strano esperimento che si chiamava democrazia moderna.
La controrivoluzione ha ufficialmente inizio nel 1973, quando viene fondato quello che Galli definisce il cervello analitico del neoliberismo, la famigerata Commissione Trilaterale che, come prima cosa, commissiona un bel rapporto a un gruppo di studiosi capeggiato da uno dei volti più noti della svolta autoritaria dell’Occidente collettivo: il Milton Friedman delle scienze politiche Samuel P. Hungtington, lo stesso che – esattamente 20 anni dopo – con la sua teoria sullo scontro di civiltà gettò le basi teoriche della prima grande guerra USA contro l’ascesa del Sud globale che prese il nome di War on Terror. La tesi del rapporto era molto semplice: il capitalismo è messo a repentaglio da un eccesso di democrazia; è arrivata l’ora di reagire con ogni mezzo necessario. Poche settimane dopo gli USA sostenevano il colpo di Stato di Pinochet in Cile, il cui regime rimane – ancora oggi – una delle incarnazioni più coerenti e lineari del nuovo spirito della democrazia liberista; per realizzare la democrazia liberista, infatti, il primo punto è fare fuori ogni strumento di inclusione delle masse popolari: dai partiti politici, ai sindacati, allo Stato moderno stesso che, però, non deve essere smantellato. Anzi: da un certo punto va addirittura rafforzato perché, per permettere alle oligarchie di predare il predabile, ci vuole un certo impegno; a partire dagli apparati repressivi, in grado di reprimere con la violenza il malcontento che la rapina necessariamente comporta. Nella nuova postdemocrazia neoliberista inoltre, dissolti con più o meno violenza tutti i corpi intermedi, resta solo il singolo individuo non più “soggetto di diritti” – sottolinea Galli -, ma “soggetto di responsabilità”. In questo schema, continua Galli, “la posizione sociale è l’esito di una competizione permanente, e come il successo è dovuto esclusivamente al merito personale (…) così l’insuccesso è dovuto al suo fallimento”. In questa prospettiva l’uguaglianza non solo non è più perseguita come finalità ma ostacolata con forza, dal momento che “gli atomi sociali devono differenziarsi, competere per il successo, e devono ricordarsi che questo non è time for losers”. “Nella liberaldemocrazia” continua Galli “coesistevano normalizzazione e contraddizioni; nella democrazia liberista esistono solo contraddizioni percepite come normalità” e “alle mediazioni partitiche e istituzionali, e a quelle del lavoro, si sostituisce quella dei media, il cui ruolo principale è trasformare le questioni e i processi strutturali in casi umani particolari”. Tutto quello che accade – comprese le ingiustizie più palesi e feroci – diventano così naturali ed inevitabili, e alla politica – come affermava Mario Draghi ancora nel 2013 – può essere sostituito il pilota automatico; “ma l’automatismo” ricorda Galli “è esattamente il contrario della libera azione individuale e collettiva, e cioè il presupposto cardine della democrazia”.
E così la democrazia diventa la formuletta vuota che è utile solo quando serve a bombardare – ovviamente sempre in modo molto umanitario – qualsiasi paese che non si dimostri sufficientemente entusiasta di entrare a far parte della grande famiglia delle post democrazie neoliberiste.
Di tutto questo, e di molto altro, parleremo domani sera mercoledì 20 dicembre a partire dalle 21 insieme a Carlo Galli nell’ultima puntata dell’anno di Ottosofia, il format di divulgazione storica e filosofica di Ottolina Tv in collaborazione con Gazzetta Filosofica e – nel frattempo – aiutaci a costruire il primo vero e proprio media che a questa leggenda metropolitana del there is no alternative non c’ha mai creduto: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Samuel Huntington