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Tag: libro

Da Reagan a Trump: quando gli attentati falliti permettono di accelerare la svolta ultra-reazionaria

30 marzo 1981, Washington, Hilton Hotel: in meno di 5 secondi, John Warnock Hinckley, giovane rampollo di una ricca famiglia di petrolieri texani vicina all’ala moderata dei repubblicani, rappresentata allora dall’amico vice presidente George W. Bush, esplode 7 colpi della sua calibro 22; il bersaglio è una ex star di B movie, diventato poi particolarmente noto in veste di presidente del più importante sindacato di attori di Hollywood, incarico che ha onorato trasformandosi in uno dei più efficienti bracci armati della caccia alle streghe del maccartismo. Si chiamava Ronald Reagan e, da appena 69 giorni, era stato ufficialmente nominato quarantesimo presidente degli Stati Uniti d’America; venne raggiunto da un proiettile che gli perforò un polmone e si arrestò ad appena 25 millimetri dal cuore. Affrontato con successo l’intervento di emergenza e dopo appena 10 giorni di convalescenza, Reagan tornerà sulla scena politica circondato da un’aura di popolarità senza precedenti che gli permetterà, negli 8 anni successivi, di portare a termine senza ostacoli quella radicale controrivoluzione conservatrice sulla quale si fonda il mondo distopico nel quale siamo tuttora immersi. Come ci ricorda Marco D’Eramo , il grosso del piano di quella controrivoluzione, poco prima, era stato messo nero su bianco in un lunghissimo libro bianco di oltre 1000 pagine curato dalla Heritage Foundation, uno dei più importanti e influenti think tank reazionari a stelle e strisce e che, alla fine del doppio mandato di Reagan, si vantava pubblicamente “che il 60-65% delle sue raccomandazioni fosse stato fatto proprio dall’amministrazione, che nel corso di due mandati vantò tra i suoi membri 36 funzionari provenienti dal think tank” (Marco D’Eramo – Dominio: la guerra invisibile dei potenti contro i sudditi).

L’attentato a Ronald Reagan

Un precedente piuttosto inquietante: proprio come Reagan allora, infatti, anche il nostro The Donald rappresenta tutto sommato un outsider; entrambi, poi, vengono “ritenuti totalmente ignoranti e inadeguati alla presidenza”, due “candidati su cui l’estrema destra non puntava, perché considerati inaffidabili, ma assistiti e pilotati dopo l’elezione” (Marco D’Eramo – Dominio: la guerra invisibile dei potenti contro i sudditi) e, ora come allora, a descrivere nel dettaglio la missione di questi candidati ultra-reazionari ritenuti del tutto impresentabili dai benpensanti, ecco che immancabilmente arriva l’ennesimo, lunghissimo e dettagliatissimo libro bianco della Heritage Foundation. C’ha pure lo stesso identico titolo: Mandate for Leadership, mandato per la leadership, oltre 1000 pagine di suprematismo messianico allo stato puro; per completare il parallelo, mancava giusto un altro attentato fallito. Ma prima di provare a fare un piccolo riassunto del piano delirante che, con ogni probabilità, caratterizzerà la missione civilizzatrice di The Donald, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra battaglia quotidiana contro il regime distopico degli algoritmi e, già che ci siete – se ancora non lo avete fatto – di iscrivervi a tutti i nostri canali social e attivare le notifiche; non basterà da solo a rinviare l’inizio di un’altra lunga stagione di lotta di classe dall’alto contro il basso, ma almeno ci aiuterà a diffondere un po’ di consapevolezza su cosa ci aspetta e, magari, anche su cosa è necessario fare per difendersi.
“Nell’inverno del 1980” ricorda nella prefazione al libro bianco Paul Dans, direttore del progetto di transizione presidenziale 2025 presso la Heritage Foundation, “la nascente Heritage Foundation inoltrò al presidente eletto Ronald Reagan il suo testo Mandato per la leadership. Questo lavoro collettivo da parte dei principali intellettuali conservatori e di ex funzionari governativi, definiva le principali prescrizioni politiche, agenzia per agenzia, per il presidente entrante… E la rivoluzione che seguì molto probabilmente non sarebbe mai avvenuta, se non fosse stato per il lavoro di questi attivisti. Con questo testo ora siamo tornati al Futuro, e oltre. Ma” sottolinea Dans, ormai “non siamo più nel 1980. Adesso il gioco è cambiato. E” – alzate bene le antenne perché questo passaggio è notevole – “la lunga marcia del marxismo culturale all’interno delle nostre istituzioni ormai è avvenuta”. Insomma: altro che pensiero unico neo-liberale; nonostante facciate tanto i democratici e vi mascheriate da umili servi del grande capitale, siete sempre i soliti vecchi comunisti che hanno trasformato il governo federale in “un colosso armato contro i cittadini americani e i valori conservatori” ponendo le libertà fondamentali “sotto assedio come mai prima d’ora”. Di fronte al trionfo del socialismo e dell’internazionalismo proletario, la missione storica di tutti noi sinceri conservatori non può che essere “invertire la tendenza, e ripristinare i valori fondativi della nostra Repubblica”, una missione così ampia e fondamentale che non può essere semplicemente affidata a qualche “punta di diamante”, ma che “necessita di un lavoro collettivo da parte di tutto il nostro movimento”. Insomma: sembra quasi uno dei tanti appelli che lanciamo come Ottolina Tv, solo che la finalità – invece che dare voce al 99% – è quella di metterlo definitivamente a tacere con ogni mezzo necessario e consegnare lo scettro del potere a una minoranza di fondamentalisti cristiani suprematisti che hanno il compito di ripulire le istituzioni da tutte le infiltrazioni (come ai bei tempi andati del maccartismo e della caccia alle streghe) e rilanciare la missione civilizzatrice dell’eccezionalismo USA, costi quel che costi: “Il Nostro obiettivo” continua Dans, ormai senza più nessun freno inibitore, “è mettere insieme un esercito di conservatori allineati, controllati, addestrati e preparati a mettersi al lavoro fin dal primo giorno per decostruire” quello che definiscono “the administrative state”, lo stato amministrativo e cioè, appunto, la macchina distopica nella quale sarebbe stato trasformato l’apparato statale federale con l’affermarsi dell’egemonia del marxismo culturale.
Questa linea viene ribadita e approfondita poi nell’introduzione, affidata a Kevin Roberts, il presidente della Heritage Foundation: “44 anni fa” ricorda Roberts, riferendosi al periodo immediatamente precedente l’inizio della controrivoluzione neo-liberale avviata da Reagan, “gli Stati Uniti e il movimento conservatore versavano in gravissime difficoltà. Entrambi erano stati traditi dall’establishment di Washington e non avevano più punti di riferimento: erano frammentati, e strategicamente alla deriva” e il tutto proprio mentre “eravamo assediati da avversari esistenziali, stranieri e domestici. La fine degli anni ’70 fu in assoluto uno dei momenti più bassi dell’intera storia americana, e della coalizione politica che avrebbe dovuto preservarne l’unicità in termini di libertà e prosperità umana”; “Oggi” continua Roberts “l’America e il movimento conservatore stanno attraversando un’era di divisione e pericolo simile alla fine degli anni ’70”. “L’inflazione sta devastando i bilanci familiari, i morti per overdose continuano ad aumentare e i bambini subiscono la tossica normalizzazione dei diritti transgender con drag queen e pornografia che invadono le biblioteche scolastiche”, ma soprattutto “All’estero, una dittatura comunista totalitaria a Pechino è impegnata in una guerra fredda strategica, culturale ed economica contro gli interessi, i valori e le persone dell’America” che rappresenta una minaccia esistenziale per “i fondamenti morali stessi della nostra società”; “Eppure” continua Roberts “gli studiosi di storia non possono fare a meno di notare come, nonostante tutte queste sfide, l’ultima parte degli anni ’70 alla fine si sia rivelata il momento in cui la destra politica si è riunificata, ha riunificato il paese, e ha portato gli USA a una lunga serie di vittorie politiche, economiche e globali di portata storica”. In questa svolta, rivendica con orgoglio Roberts, “la Heritage Foundation è orgogliosa di aver svolto un ruolo piccolo ma fondamentale”: come abbiamo già anticipato, infatti, a partire dal 1979 la fondazione cominciò a mettere insieme centinaia di opinion leader ultraconservatori di ogni genere che insieme lavorarono alla stesura di un lungo elenco di politiche concrete da implementare per “riformare il governo federale e salvare il popolo americano dalle disfunzioni di Washington”; nell’arco dei due mandati dell’amministrazione Reagan, sottolinea Roberts, “Oltre il 60% di queste raccomandazioni vennero tradotte in atti concreti”, permettendogli così di “mettere fine alla stagflazione, rilanciare la fiducia e la prosperità americana e vincere la Guerra Fredda”. Quattro decenni dopo però, denuncia Roberts, “La nostra classe dirigente politica e la nostra élite culturale sono riuscite ancora una volta a spingere di nuovo l’America verso il declino”; “La buona notizia però” rilancia “è che oggi sappiamo esattamente quale sia la via d’uscita, anche se le sfide attuali non sono più quelle degli anni ’70”. E quella via d’uscita è, appunto, la promessa conservatrice, il sottotitolo del libro bianco, una promessa che fondamentalmente si articola attraverso 4 pilastri fondamentali: “1. Ripristinare la famiglia come fulcro della vita americana e proteggere i nostri figli”; “2. Smantellare lo stato amministrativo e restituire il potere dell’autogoverno al popolo americano”; “3. Difendere la sovranità, i confini e la generosità della nostra nazione contro le minacce globali” e, infine, “4. Garantire il diritto individuale, datoci da Dio, di vivere liberamente”. Insomma: in piena continuità con la retorica conservatrice che si è fatta strada con l’ascesa dei post-fascisti in Italia e in Europa, un bel mix esplosivo di Dio, patria e famiglia con l’aggiunta tutta neo-liberale del primato assoluto del diritto del più forte a esercitare una libertà senza confini a sottomettere e sfruttare gli altri; come dire che chi parla di ritorno del fascismo, potrebbe rivelarsi tutto sommato ingiustificatamente ottimista.
Visto che l’attuazione concreta di un piano così ambizioso e ideologicamente orientato potrebbe essere ostacolata dai dipendenti pubblici che hanno sentito così tante volte le vaccate sui valori liberali da arrivare, in qualche modo, a crederci davvero, il libro bianco propone due linee d’azione piuttosto inquietanti: la prima è ampliare a dismisura il numero di funzionari pubblici che ricadono sotto la categoria di incaricati politici, in modo da permettere a Trump di ricorrere allo spoil system, invece che per 3 – 4 mila funzionari, per diverse decine di migliaia. Per capire meglio dove andare a mirare più direttamente, il piano prevede di sottoporre ai dipendenti pubblici un questionario per capire chi aderisce senza tentennamenti all’ideologia neo-conservatrice e chi no: “Molte persone perderanno il lavoro” ha chiarito Roberts in un’intervista all’Associated Press; “Molti edifici pubblici verranno chiusi. Però noi speriamo che queste persone possano comunque prosperare. Speriamo che possano essere riconvertiti all’industria privata”. Molti osservatori conservatori, però, hanno sottolineato come questa operazione presenti numerose criticità e non certo perché è illiberale; molto semplicemente, perché è concretamente molto difficile da realizzare e svuoterebbe la macchina pubblica di competenze essenziali – come se per i Milei de noantri, gli orfani di Milton Friedman e di Pinochet, questo rappresentasse un problema. In realtà è un incentivo: quello che rimane di pubblico, meno funziona – da un certo punto di vista – e meglio è. Comunque ovviamente ci sono dei limiti; per superarli, quindi, ecco la seconda illuminante proposta: a quelli competenti che ci dobbiamo tenere e che non sono fedeli militanti neo-conservatori, togliamogli comunque ogni forma di indipendenza. Il libro bianco, infatti, propone un’estensione massiccia dei poteri della Casa Bianca a discapito dell’indipendenza delle diverse agenzie governative: dall’FBI alla Federal Trade Commission, tutta la complessa articolazione della macchina statale sviluppata in ossequio ai principi liberali deve essere ribaltata in ossequio, questa volta, alla nuova svolta neo-autoritaria.
Il problema a questo punto, una volta sdoganata la svolta neo-autoritaria, è trovare il modo di inventarsi qualcosa per giustificare la guerra totale all’autoritarismo cinese, alla quale viene data la priorità assoluta in politica estera: “Per 30 anni” sottolinea Roberts sempre nell’introduzione “i leader politici, economici e culturali americani sono andati a braccetto con la Cina comunista e il Partito Comunista genocida che la governa, mentre svuotavano la base industriale dell’America”; “Il Partito Comunista Cinese ha dettato i termini della nostra relazione, per poi infrangerli ogni volta che le tornava utile. Hanno rubato la nostra tecnologia, spiato la nostra gente e minacciato i nostri alleati, il tutto con trilioni di dollari di ricchezza e potere militare finanziati grazie alla facilità con la quale potevano accedere al nostro ricco mercato interno”. “Il rapporto economica con la Cina” sentenzia “dovrebbe essere interrotto, non ripensato”: per giustificare ideologicamente la completa avversione a uno Stato straniero che, nella peggiore delle ipotesi, può essere accusato esclusivamente di non aver implementato quelle divisioni tra i poteri dello Stato tipiche dell’assetto liberale (proprio mentre proponi di smantellarle anche te per primo), non rimane altro che l’aspetto razziale e identitario; ed ecco così spiegata la totale adesione al progetto sionista. E’ un esempio: secondo i simpatici amici dell’Heritage Foundation, infatti, gli USA devono tornare ad essere una stato confessionale, perfettamente aderente alle sue radici giudaico-cristiane; come ha dichiarato l’ex direttore dell’ufficio di gestione e bilancio dell’amministrazione Trump Russel Vought, dovremmo “riconoscere l’America come nazione cristiana” e anche se dovremmo garantire “una separazione istituzionale tra Chiesa e Stato”, dovremmo superare “la separazione del cristianesimo dalla sua influenza sul governo e sulla società”.

L’attentato a Donald Trump

Come ripetiamo continuamente, con la guerra che avanza senza tentennamenti, quello liberale non è più l’involucro istituzionale ideale per le potenze dell’imperialismo occidentale e la svolta neo-autoritaria, a meno di un grande movimento di massa, è inevitabile e molto più vicina di quanto non si pensi; la Heritage Foundation ha perlomeno il merito di dirlo chiaramente e di anticiparci con chiarezza quello che ci dobbiamo attendere dal prossimo futuro: ora sta a noi organizzarci per impedirglielo. Per farlo, di sicuro – di fronte alle loro decine di think tank riempiti di quattrini fino agli occhi da un manipolo di oligarchi suprematisti – come minimo abbiamo bisogno di un vero e proprio media in grado di smontare, pezzo dopo pezzo, la loro retorica e le loro menzogne e dare voce agli interessi del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è il generale Vannacci

Il problema dei 3 copri: il LIBRO dietro il capolavoro della fantascienza cinese

La fantascienza cinese attinge le sue immagini dalle diseguaglianze e dai disequilibri della società, proiettandoli al futuro e riflette su quello che è il ruolo della tecnica nei cambiamenti sociali e il ruolo e l’identità della Cina nel mondo, nel presente e nel futuro. Capolavoro della fantascienza cinese è il problema dei 3 corpi, di cui è appena uscita una serie TV su Netflix. Ne parliamo in questo video!