Skip to main content

Tag: elitè

Cambiamento climatico: Chi sono gli eco-imperialisti?

Il disastro delle Marche è soltanto l’ultimo degli eventi atmosferici catastrofici che hanno caratterizzato questi ultimi mesi. La cronostoria degli eventi climatici che hanno travolto l’Africa centrale durante l’estate è un vero e proprio bollettino di guerra: dai 100 mila sfollati a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, ai 150 mila del Sudan. Secondo il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU, il doppio rispetto soltanto all’anno scorso. In Kentucky ad agosto le inondazioni hanno causato 30 vittime, in Iran, a fine luglio, nell’arco di una settimana, 80.

Quisquilie: in Pakistan 8 cicli monsonici contro i soliti 3,4, hanno stravolto la vita di oltre 30 milioni, inondando circa un terzo dell’intero paese, e causando oltre 1500 vittime: “La peggior catastrofe umanitaria degli ultimi 15 anni” – ha dichiarato Sherry Rehman, ministro del cambiamento climatico. Perché ovviamente il tema è quello: il cambiamento climatico.

Perché se è vero che nessun evento atmosferico catastrofico può essere linearmente e semplicemente ricondotto all’innalzamento di 1,1 gradi della temperatura media globale, mettendo in fila i puntini ad un certo punto anche al ragionier Fantozzi venne un leggero sospetto.

Il bello è che il problema non è che piove troppo: è che piove troppo poco! Terna ha comunicato che la produzione idroelettrica ad agosto è calata di oltre il 40%. Idem in Cina, dove il corso principale del fiume Yangtze, che da solo da da bere a 400 milioni di persone, è arrivato ad essere il 50% più basso della media degli ultimi 10 anni e dove il calo della produzione idroelettrica ha costretto alla chiusura fabbriche-città come quella della Toyota e della Foxconn. In Germania la siccità ha reso sostanzialmente impossibile utilizzare il fiume Reno per i trasporti commerciali. Henry Ford nel 1930 aveva deciso di aprire la prima fabbrica Ford in Europa a Colonia proprio perché poteva trasportare le auto via fiume verso il porto di Anversa. Per decenni 5 navi hanno fatto la spola, trasportando 500 veicoli a volta: hanno dovuto ridurli a 150, altrimenti le navi si incagliavano. I problemi di navigabilità del Reno da soli si stima costeranno alla Germania mezzo punto di PIL tondo tondo. È la peggiore siccità da 500 anni, si stima e il record non risaliva a 50 anni fa, ma a 4, al 2018.

D’altronde, ha fatto caldino: secondo il centro europeo di monitoraggio climatico, l’estata più calda mai registrata, + 0,8 gradi rispetto anche all’anno scorso, che già aveva fatto registrare temperature record. L’unica soluzione realistica l’hanno adottata a Bajardo, in provincia di Imperia: hanno assoldato un rabdomante. “Di scientifico non c’è nulla, lo so – ha spiegato il sindaco – ma due delle nostre cinque sorgenti si sono seccate negli ultimi mesi. non sapevo dove sbattere la testa. Un po’ come quando si ha una malattia e si è disperati: si provano tutte”.

Sarebbe meglio concentrarsi sulle cose che sappiamo possono dare qualche risultato a partire da mettere in sicurezza il territorio. 

Torniamo alle Marche e a quel maledetto fiume Misa. A maggio 2018 erano state bandite due gare d’appalto per la manutenzione del fiume per complessivi 2,5 miliardi. C’erano da rifare gli argini, da togliere i detriti, da adeguare gli scarichi e le paratie, ma ad oggi i lavori sono terminati solo su una porzione minuscola rispetto al previsto. I quattrini hanno preso altre vie. Per la gestione degli appalti a giugno erano scattate le manette per ben 8 funzionari. Capi d’accusa: corruzione e turbativa d’asta. 
Più in generale è il “piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico”, che, letteralmente, fa acqua da tutte le parti. Lo ha certificato l’ottobre scorso la relazione di Rossanna Rummo, consigliera della corte dei conti: “la capacità progettuale delle regioni e la scarsa pianificazione del territorio restano criticità non risolte”. Secondo Massimo Gargano dell’associazione nazionale dei consorzi di bacino: “per ogni euro che si potrebbe spendere in prevenzione, se ne spendono cinque in interventi di emergenza”. 

Senza contare il costo inestimabile delle vittime.

I soldi, in teoria, ci sarebbero. 14,3 miliardi, stanziati ormai 4 anni fa e da spendere entro il 2030, ma ad oggi siamo al palo. In Italia quando si dice che una cosa è da fare entro solitamente significa alla cazzo di cane la settimana dopo la scadenza. Con i fondi europei, ad esempio, è la regola. È andata comunque meglio che al piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: è stato completato nel 2017, ma è ancora in attesa di autorizzazione. Nel 1984 frane e alluvioni costarono al nostro paese 87 milioni, aggiustati al valore di oggi. Dal 2011 non si è quasi mai rimasti al di sotto del miliardo. Conto complessivo: 51 miliardi; campioni d’Europa, davanti ai 36 della Germania e ai 35 della Francia.
Insomma, al di là dei massimi sistemi ci mettiamo sempre del nostro, ma le due cose, ritardo nella lotta ai cambiamenti climatici e incapacità di adattarsi e prendere le cautele necessarie, non sono così separate come appare: entrambe sono frutto di una sistematica e in parte fisiologica sottovalutazione di cosa siamo chiamati ad affrontare. Non ci arriviamo e ancora meno ci arrivano le istituzioni delle quali la specie umana ad oggi è riuscita a dotarsi: la mano invisibile del Mercato, da un lato, e la competizione geopolitica o alleanze militari tra Stati nazionali, dall’altro, molto semplicemente non sono all’altezza e rischiano di fare buchi più grandi della toppa. In un mondo caratterizzato da disuguaglianze intollerabili, le nostre classi dirigenti, che piano piano stanno realizzando come il contrasto al cambiamento climatico non sia più rinviabile, più che ad affrontare il problema in sé, sembrano occupate a trovare il modo per scaricare tutti i costi su chi se la passa già maluccio ed aumentare i guadagni e il potere di chi se la passa già alla grande.
Poi si dice che la gente comune si rifugia nel complottismo e non accetta la verità della scienza! Ma te guarda: se strumentalizzi la scienza per trovare un altro modo per fregarci, ti dovrei dire anche bravo? Le conseguenze le abbiamo viste chiaramente noi di Ottolina. Un paio di giorni fa abbiamo pubblicato un estratto dell’intervista che avevamo fatto a luglio al climatologo Luca Mercalli.  Apriti cielo!
“Che schifo! Ma sto tipo non si rende conto di quello che dice?”; “pessima trasmissione e pessime domande”; “dal World Economic forum è tutto, a voi la linea”; “perché non dite delle scie chimiche dei jet?”; “Ottolina, state abbracciando il gretinismo e l’élite satanica del new world order?”.
Certo, uno potrebbe limitarsi a puntare il dito contro i complottismi che ostacolano le sorti progressive della scienza e del buon governo delle democrazie liberali illuminate, ma per quello c’è già Carlo Calenda.  Noi invece vorremmo provare a fare un passetto in più, perché a differenza di Carlo Calenda questa roba ci riguarda da vicino. Il punto è che la totale irresponsabilità di chi detiene il potere rischia di essere in assoluto l’ostacolo più grande in questa sfida esistenziale per la specie umana anche perché una sfida del genere non può essere vinta soltanto imponendo qualche cambiamento dall’alto, ha chiaramente bisogno di una rivoluzione copernicana nello stile di vita di ognuno, ma chiedere sacrifici a chi di sacrifici ne ha sempre fatti, mentre dall’altro lato riempi le tasche di chi le ha già stracolme e magari mi percula pure perché si nutre solo di prodotti bio a chilometro zero che costano 15 volte di più quelli del supermercato e si muove solo in bici perché tanto vive di rendita e non ha mai lavorato mezz’ora in vita sua, non solo è ingiusto, ma è proprio poco realistico.

Idem sul piano internazionale. È inutile che in campagna elettorale mi presenti il tuo libro dei sogni per la transizione ecologica, con l’impegno a tappezzare il paese di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, e poi ti arrapi di fronte alla guerra. Se non esiste il socialismo in un solo paese, figurarsi la transizione ecologica. La lotta ai cambiamenti climatici può ottenere qualche risultato se la fanno tutti, ma se te a tutti fai la guerra commerciale, la vedo dura.

Lo hanno sottolineato chiaramente i leader dei paesi che si sono riuniti la settimana scorsa a Samarcanda per il summit annuale della Shanghai Cooperation Organization e che rappresentano metà popolazione mondiale. Hanno riconosciuto le implicazioni catastrofiche del cambiamento climatico e hanno ribadito il bisogno di adottare misure urgenti straordinarie, ma hanno anche detto che – cito -: “misure unilaterali coercitive minano seriamente la cooperazione multilaterale e indeboliscono la capacità dei singoli paesi di affrontare i cambiamenti climatici”. Tradotto: se pensate di sfruttare la catastrofe climatica per imporci misure che fanno comodo a voi e impediscono a noi di ridurre il divario nei vostri confronti, accomodatevi! 

Senza questa cooperazione multilaterale, i libri dei sogni degli ambientali imperialisti si trasformano come d’incanto in carta da cesso. Lo sa bene il ministro dell’economia e della protezione climatica tedesco, Robert Habeck, presidente del partito ambientalista e uno dei più convinti sostenitori del coinvolgimento europeo nella guerra ucraina, a causa del quale ha dovuto dare il via libera al ritorno del carbone e anche della lignite, che è la fonte energetica di gran lunga più inquinante del pianeta.
Per ripartire col piede giusto c’è solo un’opzione sensata: andare a prendere le risorse laddove ci sono, a partire dall’industria fossile, a partire dall’Italia. In Italia ad oggi Eni, Shell e Total estraggono ogni anno dal nostro sottosuolo 4,8 milioni di tonnellate di petrolio e 3,5 miliardi di metri cubi di gas, su cui dovrebbero pagare delle royalties, ma dal 1998 ad oggi lo Stato ha incassato in tutto poco più di 5 miliardi. Niente. Lo Stato italiano applica infatti royalties che vanno dal 4 al 10%. In Germania, nello Schleswig-Holstein, il principale territorio tedesco per estrazione di fonti fossili, l’aliquota è del 21, nonostante i costi di produzione siano sensibilmente superiori a quelli medi italiani. Se avessimo fatto altrettanto, oggi avremmo in cassa poco meno di 13 miliardi e ai prezzi attuali, con 13 miliardi, ci fai nuovi impianti per 15 GW, il 12,4% della potenza lorda attualmente installata.

Che ci fanno un po’ schifo si può dire o anche quello è complottismo?