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Tag: elezioni

Trump a un passo dalla vittoria: ha stato Soros (per davvero)

Non mi azzardo a fare previsioni perché l’ultima volta che ho azzeccato un pronostico elettorale probabilmente non era ancora stato introdotto il suffragio universale. Ah, com’è che dici? Negli USA, in realtà, a ben vedere non è mai stato introdotto? Ah, ok: severo, ma giusto; comunque non mi azzardo lo stesso. Mi limito a registrare che, come probabilmente saprete già, ultimamente le quotazioni di Trump sono ritornate a salire; e dopo l’ubriacatura iniziale per la nomination di Kabala Harris, Trump è tornato ad essere il favorito su almeno due delle 4 principali piattaforme di scommesse esistenti. Quello che invece, altrettanto probabilmente, molti di voi non sanno (e faranno un po’ fatica a credere) è chi c’è dietro questo recupero di The Donald perché – udite udite – ha stato Soros. Esatto: proprio lui, l’icona sexy di tutti gli analfoliberali più pervertiti del pianeta, l’eminenza grigia di tutte le cospirazioni possibili immaginabili (sia quelle vere che quelle inventate). O meglio: per essere precisi, ovviamente, non proprio Soros Soros di persona personalmente; semplicemente, quello che è stato a lungo uno dei suoi principali bracci destri, tra i fautori (se non il fautore) del famoso attacco speculativo del Soros Fund Management contro la sterlina nel 1992 e poi (a lungo) chief investment officer di tutta la baracca. “Uno degli uomini più brillanti di Wall Street” come l’ha recentemente descritto lo stesso The Donald: “rispettato da tutti”; “e anche un bel ragazzo” ha aggiunto.

Scott Bessent

Si chiama Scott Bessent ed è talmente fedele e coerente ai suoi principi che l’ultima avventura politica -prima di innamorarsi di The Donald – era stata quella (vissuta ormai oltre 20 anni fa) al fianco di Al Gore. Ed è forse proprio questo passato ad averlo fatto innamorare di Trump: nel 2000, infatti, Al Gore perse le elezioni nonostante avesse ottenuto a livello nazionale 500 mila voti in più rispetto all’avversario, il pluri-criminale volto della sanguinaria guerra al terrore George W. Bush, che però era riuscito a ottenere la meglio (grazie alla conquista della Florida) per una manciata di voti contestati per presunti problemi sulle schede elettorali; di fronte a una cosa così delicata, ovviamente, tutti si sarebbero attesi un riconteggio manuale che invece la Corte Suprema, in una contestatissima decisione presa con appena 5 voti contro 4, negò. Ciononostante, Al Gore accettò l’esito con una certa nonchalance; d’altronde, lo Stato profondo aveva già deciso che per ricattare i paesi emergenti – a partire dalla Cina – c’era bisogno di mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente e rovesciare i regimi ostili a suon di bombe a grappolo sulla testa dei bambini per avere il pieno controllo sull’accesso alle fonti fossili, e quel bamboccione semi-alcolizzato di Bush figlio era il fantoccio giusto al momento giusto. E visto che ci tenevano così tanto da ribaltare l’esito elettorale e causare una delle peggiori crisi di credibilità della Corte Suprema della storia USA, anche Al Gore (che certo non è Mao Tse Tung o Salvador Allende) decise bene di cedere la mano, cosa che però fece incazzare a morte tutti quelli che si erano spesi in suo nome nella speranza di accedere a ruoli di comando che avrebbe garantito qualche bel dividendo corpulento.
Ecco così che quando Bessent ha visto invece che Trump, per garantire a se e ai suoi i dividendi che solo la presidenza del Paese più ricco e corrotto del pianeta può garantire, era pronto a scatenare una specie di guerra civile, ha deciso che era arrivato il momento della sua rivincita: secondo il Wall Street Journal “Bessent ha deciso di puntare il tutto per tutto su Trump quando ha visto che le cause legali che stava affrontando, invece di danneggiarlo, lo stavano favorendo”: “Mi ricorda quei titoli che continuano a salire nonostante le cattive notizie” avrebbe confessato a una fonte anonima interrogata dal Journal, che tra gli investitori è considerato il più solido dei segnali possibili che quel titolo ha davanti a sé un futuro di gloria. Perché l’elefante dentro la stanza (che troppo spesso riescono a nascondere dietro a una montagna di fuffa) sullo scontro tra l’establishment e gli outsider, tra i woke e i difensori dei valori tradizionali, tra gli eco-ansiosi e i negazionisti climatici e compagnia bella, è che la corsa alla presidenza in qualsiasi paese neoliberista (ma, a maggior ragione, proprio negli Stati Uniti) è fondamentalmente un’attività imprenditoriale riservata esclusivamente ai membri delle oligarchie finanziarie – o a qualche fantoccio facilmente manovrabile dalle stesse – che comporta investimenti miliardari e che richiede ritorni economici immediati di ordini di grandezza superiori; è, sostanzialmente, la selezione per chi avrà il privilegio di spartirsi quel pezzo di torta riservato a chi, nelle schifezze dell’imperialismo neoliberista, ci mette la faccia. E solitamente, dopo un po’ di tempo che sta in qualche incarico di governo, viene schifato pure dai parenti più stretti; son sacrifici e vanno retribuiti. Per Bessent (come per tutti i finanziatori e tutti i collaboratori), Al Gore – come Trump – non sono altro che buoni investimenti.
A quanto pare, a convincere Bessent che Trump fosse un ottimo investimento sarebbe stato il suo storico amico John Paulson, uno dei più accaniti sostenitori della primissima ora di Donald Trump, su cui forse vale la pena spendere due parole: John Paulson, al pari proprio di George Soros, è considerato uno dei padri degli Hedge Fund, i fondi ultra-speculativi perlopiù riservati agli investitori più facoltosi; la fama di Paulson, in particolare, è legata allo straordinario successo che ha ottenuto anticipando la crisi dei subprime e speculandoci sopra. Ma non si tratta esclusivamente di intuito: si è trattato proprio di un’azione criminale a tutti gli effetti, anche se per la legge USA, che tutela gli oligarchi più spregiudicati, alla fine considerata del tutto legale. Paulson, infatti, attraverso il suo fondo collaborava con Goldman Sachs nella selezione dei pacchetti di mutui da inserire in quelli che vengono definiti CDO, Collateralized Debt Obligation: in soldoni, strumenti finanziari da rivendere al grande pubblico le cui sorti dipendevano dal fatto che, a monte di tutta la catena, la gente quei mutui continuasse a pagarli; la cosa bella di Paulson è che, da un lato, aiutava la banca a costruire questi prodotti e dall’altro, invece, scommetteva sul fatto che quegli stessi prodotti sarebbero crollati perché i pacchetti di mutui che aveva scientemente selezionato, in realtà, non sarebbero stati pagati. Non so se è chiaro: ti vendo una roba assicurandoti che non fallirà mentre io scommetto che fallirà perché so che fallirà, dal momento che l’ho costruita io; che, sostanzialmente, è il modus operandi che lega Paulson a Bessent. Bessent, infatti, entra nel team del Quantum Fund di Soros nel 1991, appena 29enne, ma con alle spalle già un suo percorso all’interno del mondo della finanza nella banca d’affari Brown Brothers Harriman, famosa per aver intrattenuto numerosi rapporti commerciali con la Germania nazista a guerra già iniziata e, poi, per essere particolarmente propensa a gestire conti offshore di clienti facoltosi in vari paradisi fiscali in giro per il mondo. Nel frattempo però, nonostante si fosse ancora in piena era di dominio repubblicano (tra la fine del reaganismo e la presidenza di Bush padre), Bessent coltivava qualche velleità da giovane progressista e, per un breve periodo, diventava addirittura editore di The New Republic, storica testata del liberal-imperialismo USA dove è entrato in contatto col gotha del suprematismo progressista: da Paul Krugman a Anne Applebaum, da Fareed Zakaria a Steven Pinker, la crème crème dell’intellighenzia liberale che, negli anni successivi, darà copertura ideologica alla globalizzazione neoliberista dell’era Clinton e all’epoca d’oro delle bombe umanitarie, culminata con la prima guerra contro l’integrazione europea e le velleità di indipendenza strategica in Kosovo. Esperienza nella finanza speculativa e piena affinità con lo spirito neo-liberale che si andava affermando fecero immediatamente di Bessent uno dei pupilli di Re Soros e, in pochissimo tempo, ebbe accesso alla stanza dei bottoni dalla quale si stava programmando l’assalto speculativo alla sterlina che portò al mercoledì nero del 16 settembre 1992; come nel caso della speculazione dell’amico Paulson sui mutui subprime, anche in questo caso si tratta della solita profezia che si auto-avvera arricchendo a dismisura lo speculatore di turno sulla pelle di milioni di lavoratori e cittadini comuni.
Il giochino sostanzialmente era questo: all’epoca, esisteva una cosa che si chiamava ERM, Meccanismo di Cambio europeo, che prevedeva che le varie valute europee (sterlina compresa) avessero un tasso di cambio fisso con il marco, con una piccola possibilità di oscillazione; l’economia britannica, però, non stava andando per niente bene e Soros & company, a partire da Bessent, decisero di scommettere sul fatto che la sterlina, più prima che poi, si sarebbe indebolita fino a superare la soglia della fascia di oscillazione permessa, sarebbe stata costretta ad uscire dall’ERM e, a quel punto, si sarebbe deprezzata ancora di più. Ma invece che limitarsi a prevedere tutto questo, si attivarono in massa affinché avvenisse: il team del fondo di Soros di cui faceva parte Bessent, così, cominciò a vendere allo scoperto enormi quantità di sterline, il che – molto banalmente – significa che le prendevano in prestito e le vendevano sul mercato, con la speranza che quando poi le dovevano restituire a chi gliele aveva prestate, avrebbero avuto un valore molto minore rispetto a quando le avevano prese in prestito e, quindi, loro incassavano la differenza tra il valore che avevano le sterline quando le avevano vendute sul mercato e il valore che avevano quando le restituivano; ovviamente, nel fare questo, vendendo grandi quantità di sterline sul mercato contribuivano in prima persona a far deprezzare le sterline che, come qualsiasi altra merce, quando vengono vendute in gran quantità (quindi quando c’è tanta offerta) diminuiscono di valore. Ed è proprio grazie a questo fondamentale contributo che, appunto, nonostante gli sforzi della Banca d’Inghilterra, la profezia di Soros e Bessent si avverò: la sterlina si deprezzò fino al punto di essere cacciata dall’ERM e dopo la cacciata, come prevedibile, crollò ancora fino a quando non portò nelle tasche del compagno Soros un miliardo di dollari di guadagni netti; da allora, l’ascesa di Bessent nel cerchio magico di Soros fu inarrestabile fino a quando, appunto, nel 2011 Soros non lo nominò addirittura chief investment officer e, poco dopo, addirittura direttore generale. Ma non sono mancati nemmeno gli attriti: come nel 2014, quando in seguito all’ennesima operazione terroristica di Israele contro i bambini palestinesi della Striscia di Gaza, la famigerata operazione Protective Edge (Margine di Protezione) che porterà allo sterminio indiscriminato di 2000 civili, alcuni dei funzionari della Fondazione di Soros cercarono di convincere il fondo Quantum a limitare gli investimenti in aziende che operavano nella Palestina occupata; secondo il Wall Street Journal Bessent si infuriò, “andò da Soros, e minacciò di dimettersi”. Insomma: riuscì a superare in suprematismo imperiale il Maestro che, da allora, ha sempre sottolineato di non aver mai discriminato investimenti in Israele solo perché hanno la simpatica abitudine di bruciare vivi i bambini dentro le tendopoli.
Da allora però, comunque, anche in nome del fascio-sionismo l’infatuazione di Bessent per l’establishment liberal venne meno; più avanti si avvicinò ai neo-con, contribuendo alla campagna di McCain e infine, nel 2016, trovò la sua nuova musa ispiratrice: The Donald, che ha subito visto in questo intraprendente falco della finanza, capace di guadagnare milioni su milioni sulla pelle dei poveri disgraziati, una specie di anima gemella, ma più presentabile. Come sottolinea ancora il WSJ, a Bessent Trump deve la formula del 3-3-3: “Tagliare il deficit di bilancio al 3% del prodotto interno lordo entro il 2028, stimolare la crescita del PIL al 3% attraverso la deregolamentazione e produrre altri 3 milioni di barili di petrolio al giorno”. Insomma: più fossile, mano libera al capitale e meno tasse; cosa potrebbe mai chiedere di più un vero paladino dell’anti-establishment? La barzelletta di Trump anti-establishment è una cazzata più grossa addirittura della propaganda analfoliberale di Hollywood e Netflix e ormai, sinceramente, non fa manco più ridere; e chi, anche a questo giro, avesse intenzione di sfrucugliarci le gonadi con commenti da terza media del tipo e allora la Harris? Anche Ottolina è pagata dalle élite globaliste? è gentilmente invitato a guardarsi i 12 mila video che abbiamo dedicato all’altra parte della finta barricata, da rimbambiden a Kabala Harris. Il punto, ovviamente, è che per noi il nemico principale è l’imperialismo USA in se, non il singolo fenomeno da baraccone che sceglie da dare in pasto alle telecamere a seconda di chi è più adatto in quella fase per prenderci tutti allegramente per il culo; la faida tra le due fazioni del capitalismo finanziario USA che si sfideranno alle elezioni è reale (anzi, feroce), ma riguarda solo ed esclusivamente, appunto, la scelta di quale parte del capitalismo si arricchirà di più sulle spalle del resto della popolazione nei prossimi 4 anni. Ma per cominciare a parlare seriamente di come entrambe le fazioni (al di là delle faide per spartirsi le carcasse) portino avanti la stessa identica agenda e cosa dovremmo fare concretamente per cercare di combatterle entrambe, serve come il pane un media indipendente, ma di parte, che dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è George Soros

Metamorfosi – Uragano elettorale in arrivo! (puntata 3)

Nella nuova puntata di Metamorfosi, Alberto Fazolo porta in studio quattro voci potenti per un confronto sulle imminenti elezioni USA: da Trump che infiamma le folle a Kamala Harris pronta a tutto per i Democratici. Luca Marfè, Andy De Paoli, Gianluca Ferrara ed Emanuele Rotili si scontrano su cosa ci aspetta dopo questo voto che potrebbe cambiare tutto. E mentre la Florida è sotto l’uragano Milton, qui a Friccicore si scatena la vera tempesta: Trump vs Harris.

10, 100, 1000 Sri Lanka – La lunga marcia verso il potere del JVP – ft. Sudath Adikari

C’era una volta il razzismo anti-cinese, diffuso sin da inizio Novecento tra Stati Uniti e impero del Regno Unito. Questa xenofobia anti-asiatica aveva il duplice scopo di introdurre e sfruttare lavoratori asiatici in Australia e California per farli lavorare in semi-schiavitù nelle miniere d’oro, quanto di giustificare lo stato di semi-occupazione in cui verteva quel che restava del Celeste Impero. Oggi che la Cina è tornata finalmente grande protagonista dei fatti del mondo, quel vecchio razzismo mai sopito diventa utile arma di distrazione di massa. Fu così per il porto di Hambantota, nel Sud dello Sri Lanka: è stato indicato più volte dagli occidentali come trappola del debito, salvo poi scoprire che i primi a progettarlo furono Regno Unito e Canada e che i principali creditori dello Stato erano investitori non istituzionali occidentali. Per capire le condizioni che il nuovo Sri Lanka con la vittoria elettorale socialista sta preparando, segui il servizio con intervista che il nostro Gabriele Germani ha preparato al riguardo.

Pastorale americana: non solo elezioni, è una guerra civile – ft. Giuseppe Germinario

C’era una volta l’America, quel paese nato dai cowboy uccidendo indiani, schiavizzando l’Africa, portando la guerra fin nei luoghi più impervi di un continente che in principio era vergine al punto da sembrare il paradiso terrestre. Ma, come ogni paradiso, prestò arrivo il diavolo, in questo caso rappresentato dagli europei che portarono caccia industriale, malattia, polvere da sparo e distillerie e, per finire, il gioco d’azzardo; cinquecento anni di guerre indiane per condurre un gigantesco genocidio a cielo aperto, una guerra di secessione, una con il Regno Unito, un’altra con il Messico e poi minacce a tutti i vicini di casa, repressione interna di ogni dissenso (inclusi cattolici, celtici, tedeschi, irlandesi, russi, bevitori di vino e fumatori): lo stato del conformismo obbediente e dell’assenza di radici dove tutti hanno un’opportunità fino al trovarsi col culo per terra a chiedere l’elemosina. Oggi le lucine sono finite, le musichette di Mtv non bastano più e lasciano spazio al grigiore delle fabbriche abbandonante, al terrore di anziani signori armati fino ai denti e tremanti per la paura dell’uomo nero, quel grande rimosso della società statunitense, fondata su incubi, furti e rapine. Di queste paure profonde parleremo questa sera con Giuseppe Germinario, Clara Statello e Gabriele Germani.

Wolfgang Streeck – Contro estrema destra e sinistra ZTL Sahra Wagenknecht ci indica l’alternativa

Alla vittoria dell’AFD e del partito di Sahra Wagenknecht alle elezioni in Turingia e Sassonia, la reazione di tutti i media mainstream è stata quella di gridare al pericolo per la democrazia, di accusare gli abitanti di quelle regioni di essere sostanzialmente ignoranti e razzisti e di invocare, per le elezioni federali del prossimo anno, un’alleanza delle forze democratiche contro i nuovi nazisti dell’AFD e contro i populisti di sinistra come la Wagenknecht. Ma i partiti “mainstream” e i loro cani da guardia nei media e nell’informazione non hanno capito che loro sono il problema, e non la soluzione! Chi tutto questo l’ha capito benissimo – e si dichiara, anzi, soddisfatto per il fatto che il popolo tedesco, esercitando quel poco che gli rimane del suo potere democratico, ha detto un primo vaffa alle attuali classi dirigenti collaborazioniste filo-NATO – è Wolfgang Streeck, ossia il più importante economista e sociologo tedesco, che ha rilasciato un’intervista esclusiva a Ottolina Tv English e che pubblicheremo, di cui questo è uno spezzone in italiano. Contrariamente alle solite analisi analfoliberali, Streeck si oppone anche alla demonizzazione idiota di AFD e del partito di Sahra Wagenknecht e si rifiuta di accomunare le due forze politiche sotto le solite categorie del populismo, estremismo, sovranismo etc., utili solamente a mascherare i fallimenti degli agenti coloniali che anche i tedeschi hanno al governo e a non far pensare e riflettere le persone. In verità, si tratta di due partiti anti-sistema molti differenti tra loro e con il chiaro merito, da parte del partito di SW, di rifarsi al meglio della tradizione socialdemocratica tedesca e di declinare il sovranismo democratico in chiave anti oligarchica e anti-NATO. Ma cosa succederà adesso in vista delle elezioni per il nuovo cancelliere del prossimo anno? E che impatto potrebbe già avere questa sconfitta di Scholz e compagni sulla guerra in Ucraina?

Dibattito Trump vs Harris: ha veramente vinto Lady Genocide? – ft. Roberto Vivaldelli

Secondo tutti i giornali progressisti mainstream, Lady Genocide ha stravinto il dibattito di ieri sera con Trump. Ma è veramente andata così? E come si spiegano le sparate di Trump sugli “immigrati che mangiano gli animali domestici degli americani” o sulla volontà dei democratici di introdurre l’aborto fino al nono mese? In ogni caso, dopo aver ricevuto anche l’endorsment di tutti i più inquietanti neocon americani e l’appoggio delle big three della finanza USA, la Harris sembra risalire nei sondaggi e si profila la possibilità di un nuovo dibattito. Ne abbiamo parlato con l’esperto di politica americana Roberto Vivaldelli.

I tedeschi hanno detto basta agli USA e al neoliberismo – ft. Gabriele Guzzi e Matteo Bortolon (La Fionda)

I tedeschi dell’est hanno detto basta agli USA e al neoliberismo: i risultati clamorosi delle scorse elezioni nelle regioni della Turingia e della Sassonia – che hanno visto la vittoria dell’AFD e l’ottimo risultato politico del partito di Sarah Wagenknecht, certificano il suicidio politico della coalizione della finta sinistra attualmente al governo in Germania e l’ascesa delle forze anti-sistema. Purtroppo, bisogna prendere atto che in questa fase storica sono molto più i movimenti identitari di destra come l’AFD a riuscire a canalizzare il dissenso ed imporsi come alternativa (vera o presunta) all’ordine neoliberale. E allora come dobbiamo porci nei confronti dell’AFD? E quali caratteristiche dovrebbe avere invece un movimento sinceramente neosocialista e democratico capace di strappare voti alla destra identitaria tra le classi lavoratrici e popolari? Il partito di Sarah Wagenknecht sembra indicarci la giusta strada. Ne abbiamo parlato con Gabriele Guzzi e Matteo Bortolon in una consigliatissima puntata.

Elezioni in Germania – I “filoputiniani” vincono e la sinistra ZTL piange

Cari Ottoliner, come avrete visto le elezioni in Turingia e Sassonia vedono il definitivo affermarsi nella Germania orientale dell’AFD, il partito di destra-destra tedesco anti migranti, anti NATO e “filo-russo”. Crollo clamoroso invece per i partiti della finta sinistra attualmente al governo e a sostegno di Scholz, a causa soprattutto della suicida politica estera pro USA del governo che ha mandato in recessione il paese. Ottimo risultato invece della “nostra” Sarah Wagenknecht, l’unico partito veramente socialista e democratico tedesco che si afferma come terzo partito. Intanto, mentre l’establishment atlantista e neoliberista urla al ritorno del nazismo ed equipara ingiustamente le posizioni politiche dell’AFD e del BSW, non è ancora chiaro che tipo di coalizione potrà governare nei due Land e chi si alleerà con chi.

Venezuela: passata la festa, gabbato lo santo! I golpisti battono in ritirata!

Oggi vi riproponiamo un’intervista a tema Venezuela – storia e recenti elezioni – che il nostro Gabriele Germani ha rilasciato nei giorni passati a Paolo Arrigotti per il canale youtube Spunti di riflessione. Nel video si è ricostruita la condizione di dipendenza del Sud America all’interno del sistema mondo capitalista a trazione occidentale, le sue contraddizioni e il caso specifico venezuelano nel suo rapporto con il petrolio. Infine si è parlato delle recenti elezioni, del voto e dell’opposizione, segnalando i limiti delle contestazioni – in particolare di quelli di USA e Ue. Buona visione

Link al video originale: https://www.youtube.com/watch?v=DsDqJfMRyAs

Gli USA, Elon Musk e Milei minacciano Maduro di golpe: l’impero colpisce ancora

Qualche giorno fa si sono svolte regolarmente le elezioni venezuelane: come ampiamente previsto da ogni osservatore neutrale sulla vicenda, Maduro ha stravinto ed è stato riconfermato dal popolo venezuelano. Subito la propaganda filo-occidentale e i vari oligarchi (Elon Musk) e faccendieri (Milei) si sono scatenati per colpire la democrazia, la volontà popolare e il processo rivoluzionario bolivariano: sono girate sui social le immagini di bande armate che minacciavano Maduro, che bruciavano le cabine elettorali (gli unici strumenti che avrebbero permesso realmente di verificare la natura), vandalizzavano statue dell’amatissimo Chavez e di note personalità della storia nativa mentre urlavano “Viva Cristo!”. Gli osservatori internazionali presenti e i governi vicini (Brasile in particolare) hanno ribadito la regolarità del voto, mentre altri Stati (Messico e Colombia) hanno detto che non intendono interferire in un processo politico ed elettorale interno al Venezuela. Russia, Cina, Iran, Bolivia, Nicaragua e Cuba si sono congratulati con Maduro per il felice risultato elettorale. La sinistra imperialista si è affrettata a parlare di dittatura di Maduro, rivolta democratica e irregolarità nel voto.
Buona visione!

Venezuela nel caos: la triste storia di un tentato golpe annunciato

Scusate, ma la sentite anche voi questa puzza nauseabonda? Dice che arrivi dal Venezuela. Dice che hanno riaperto le fogne. Come ampiamente annunciato, la marmaglia reazionaria sta provando a mettere a ferro e fuoco il paese dopo che le elezioni hanno smentito i sondaggi ad hoc prodotti in serie dalla propaganda golpista dell’Occidente e dei governi pupazzo dell’America latina che vedevano l’opposizione (che fa capo all’ultrafascioliberista Corina Machado) in netto vantaggio. La potenza di fuoco messa in campo per screditare preventivamente la vittoria di Maduro è stata impressionante: a metterci un bel carico da novanta, in particolare c’aveva pensato un think tank che racchiude il peggio del peggio delle oligarchie svendipatria del continente, dall’ex presidente messicano Vicente Fox all’ex vicepresidente colombiana Martha Lucia Ramirez; con palese intento provocatorio avevano cercato di auto-accreditarsi come osservatori elettorali, bypassando la legge venezuelana. Com’è giusto che sia, gli è stato impedito di entrare nel paese e, come ricorda People Dispatch, con il sostegno dei principali media occidentali “hanno lanciato una campagna in grande stile sostenendo di essere stati detenuti e deportati arbitrariamente dal regime di Maduro”. Insomma: al netto di tutte le millemila contraddizioni, grazie alla ripresa economica e a una campagna elettorale massiccia e capillare, l’opposizione golpista e filo-occidentale sapeva di perdere e l’ha buttata in caciara, e ha meticolosamente preparato il terreno per una nuova sceneggiata in stile Euromaidan non appena i risultati sarebbero stati comunicati.
Come ampiamente prevedibile, non appena è stata comunicata la vittoria di Maduro, in particolare a Caracas, sono scoppiate innumerevoli rivolte: “Gruppi di estrema destra” riporta sempre People Dispatch “hanno tentato di bloccare le strade principali, inclusa la strada vicino all’aeroporto internazionale Simón Bolívar, e hanno attaccato autobus, auto della polizia e membri delle forze di sicurezza del paese”.
La destra golpista ha continuato a soffiare sul fuoco dichiarando di avere le prove dei brogli; e sapete in cosa consistono queste prove? In un sondaggio prodotto da un’azienda americana che ha tra i principali clineti Radio Free Europe e Radio Free Asia e cioè, come ricorda il New York Times, due “imprese di radiodiffusione della CIA”. In compenso la statunitense National Lawyers Guild, che rappresenta oltre 5000 tra avvocati e assistenti legali e che, al contrario del think tank filo-golpista di Vicente Fox, si era regolarmente accreditata per seguire da vicino l’intero processo elettorale, ha dichiarato per bocca della sua presidente Suzanne Adely che “Le elezioni non solo sono state giuste e trasparenti, ma hanno anche rappresentato un esempio di partecipazione civica popolare. E Il loro esito positivo è un trionfo per il popolo venezuelano”.
Peccato, però, che l’opposizione dalla sua aveva un’altra prova scottante: a diffonderla c’ha pensato nientepopodimeno che un disinteressato paladino della democrazia come Elon Musk, di persona personalmente, quello che durante il tentato golpe in Bolivia contro Morales rispondeva alle accuse sul suo social scrivendo “Noi facciamo tutti i golpe che vogliamo. Fattene una ragione”. Musk ha sin da subito esplicitato il suo pieno sostegno alla leader fascioliberista Machado e quando TeleSUR ha annunciato l’esito del primo 80% di schede scrutinate, Musk l’investigatore ha scoperto la gabola: il grafico pubblicato indicava Maduro al 51,2%, il leader dell’opposizione al 44,2 e tutti gli altri 3 candidati al 4,6%; sommati, fanno il 109%. “Grave frode elettorale da parte di Maduro” ha commentato Musk tutto carico; ovviamente, si è trattato di un semplice errore di TeleSUR. Il 4,6% era il totale dei voti realizzati da tutti i candidati secondari messi assieme, ma tanto basta per assistere allo stesso identico copione che, contro la rivoluzione bolivarista, feccia reazionaria locale e interferenze straniere hanno già messo in scena nel 2002, nel 2004 e nel 2014.
E allora noi abbiamo deciso di cogliere l’occasione per riproporvi un lungo video che avevamo pubblicato oltre un anno fa dove, approfittando del decennale della scomparsa del grande leader rivoluzionario Hugo Chavez, provavamo a ripercorrere la storia della rivoluzione bolivariana, e provavamo a spiegare perché la sua difesa dalla feccia reazionaria e imperialista ci riguarda tutti da vicino. Buona visione.

Gli USA spaccati: Kamala vuole la guerra – ft. Giacomo Gabellini

Oggi i nostri Giuliano e Gabriele hanno intervistato il sempre preparato Giacomo Gabellini attorno alle strategie messe in campo dai due diversi candidati alle presidenziali USA di novembre. Mentre sembra ormai solo questione di formalità la conferma della candidatura di Kamala Harris, Trump solleva problemi di legittimità attorno la sua figura. Mentre i Democratici puntano allo scontro attorno al mondo, i Repubblicani sembrano prediligere una strategia pragmatica che, nell’immediato, scaricherebbe i costi della difesa sui singoli scenari ai partner europei e asiatici. Buona visione.

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