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Tag: diluvio di al-aqsa

GAZA: lo Stato italiano potrebbe essere condannato per genocidio

“Questa guerra durerà a lungo” confessa il superconsulente delle forze armate israeliane Gabi Siboni su La Stampa; “Ma cosa intende esattamente per lungo?” chiede Lucia Annunziata: almeno “un paio d’anni” risponde Siboni. E questo solo “per raggiungere il nostro primo stadio”, dopodiché – continua – “per riuscire a ottenere quello che vogliamo, dovremo rimanere a Gaza 50 anni”.

A quasi due settimane dalla storica sentenza preliminare della Corte di Giustizia dell’Aja che, per la prima volta, abbatte il muro della totale impunità dell’occupazione criminale di Israele, gli esponenti di spicco dell’entità sionista continuano a ostentare tutta la loro sicurezza e a sfidare apertamente il diritto internazionale, e anche il buon gusto; d’altronde, tutto sommato, continuano a godere di un sostegno incondizionato al genocidio da parte del giardino ordinato che, pur di difendere l’ultimo avamposto dell’imperialismo a guida USA, rischia di catapultarci tutti in una nuova Norimberga. Nel tentativo di screditare la Corte di Giustizia internazionale e tutte le istituzioni multilaterali che non sono sfacciatamente eterodirette da Washington, il mondo libero e democratico, infatti, ha deciso di contribuire attivamente all’holodomor di Gaza ritirando di botto i finanziamenti all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU incaricata dell’assistenza umanitaria dei palestinesi, di gran lunga la più importante delle organizzazioni che stanno cercando di evitare che – prima ancora di morire sotto le bombe delle forze di occupazione – i palestinesi vengano decimati dalla fame, dalla sete e dalle malattie. L’Aja aveva imposto esplicitamente a Israele di garantire l’arrivo di aiuti umanitari adeguati; contribuire a impedirlo come, insieme ad altri 15 governi occidentali, sta facendo Giorgiona la svendipatria significa, in punta di diritto, andare contro la Corte e andare a braccetto con chi è formalmente indagato per genocidio: “Questo sposta la maggior parte di questi stati occidentali dalla loro attuale semplice complicità con i genocidio di Israele, attraverso la vendita di armi, gli aiuti e la copertura diplomatica, a una partecipazione diretta attiva al genocidio stesso” ha affermato il celebre professore di diritto statunitense Francis Boyle.
A venire violato in maniera piuttosto esplicita infatti, continua Boyle, sarebbe il divieto della Convenzione sul genocidio del 1948 di “infliggere deliberatamente al gruppo” e, cioè, ai palestinesi “condizioni di vita calcolate per provocare la sua distruzione fisica totale o parziale” e l’aggravante, a questo giro, è che la decisione sarebbe stata presa per motivi più che futili: il ritiro dei finanziamenti all’UNRWA, infatti, si fonda su un unico elemento che ha dell’incredibile: l’accusa da parte di Israele nei confronti di 12 funzionari – tra i 13 mila impiegati dall’agenzia – di complicità con l’operazione diluvio di Al Aqsa, un’accusa alla quale l’agenzia ha reagito tempestivamente, in un eccesso di accondiscendenza, licenziando in tronco le persone coinvolte senza che vi fosse lo straccio di una prova; solo la parola di chi sta perpetrando il genocidio. Vista la funzione vitale e la posizione delicatissima che ricopre l’agenzia in questa fase si è scelto, insomma, di evitare in ogni modo polemiche, anche se sulla pelle di 12 persone (che al momento, ovviamente, risultano completamente innocenti) dopo che, per mesi, hanno rischiano la vita sotto le bombe criminali di Israele – che con il personale e le strutture dell’UNRWA non ci è andato certo di scartino, radendo al suolo scuole, rifugi, ospedali e registrando il record assoluto di vittime tra i lavoratori delle organizzazioni umanitarie in un conflitto moderno: 152 secondo la CNN, ed era 10 giorni fa. Purtroppo, l’eccesso di zelo dell’agenzia è servito comunque a poco; i sostenitori del genocidio hanno deciso di fare un doppio sgarbo a ogni idea di stato di diritto: il primo decretando la colpevolezza preventiva di 12 persone e il secondo facendo ricadere questa sentenza preventiva ingiustificata sull’intera struttura e, a cascata, sull’intera popolazione di Gaza. Chi ci accusava di nutrire troppe speranze dopo la sentenza dell’Aja quindi aveva ragione?
In parte, sicuramente sì, almeno fino a ieri perché negli ultimi 2 giorni, in realtà, qualcosa s’è cominciato a muovere; il primo segnale è arrivato nientepopodimeno che dal Giappone: a inviarlo, in questo caso, non è stato un governo, ma un’azienda privata gigantesca. E’ la Itochu Corporation, un supermegaconglomerato da oltre 100 mila dipendenti attivo in millemila settori diversi, compresa la difesa; nel marzo scorso aveva firmato un accordo a tre con la Nippon Aircraft Supply e il colosso israeliano della tecnologia militare Elbit Systems: “Tenendo conto dell’ordinanza della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio e del fatto che il governo giapponese sostiene il ruolo della Corte” ha annunciato in una conferenza stampa due giorni fa il direttore finanziario del gruppo Tsuyoshi Hachimura “abbiamo già sospeso le nuove attività relative al memorandum d’intesa e prevediamo di concluderlo entro la fine di febbraio”. Nelle stesse ore, nel parlamento regionale della Vallonia, in Belgio, la rappresentante del partito ambientalista Ecolo, Hélène Ryckmans, ha presentato un’interrogazione sull’esportazione di polvere da sparo che da Anversa raggiunge il porto di Ashdod, una quarantina di chilometri a nord di Gaza; all’inizio dell’anno, infatti, la fabbrica di munizioni di Liegi della PB Clermont aveva ottenuto la licenza per le esportazioni che ora si chiedeva venisse revocata, e la risposta è stata tempestiva: “L’ordinanza del 26 gennaio della Corte internazionale di giustizia” ha dichiarato in conferenza stampa il ministro regionale dell’edilizia abitativa Cristophe Collignon “nonché l’inaccettabile deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza hanno portato il Ministro – Presidente a sospendere temporaneamente le licenze valide”. Per quanto ne so, in 75 anni di occupazione e in 20 di carcere a cielo aperto a Gaza, non era mai successo; nonostante le decine di risoluzioni dell’ONU, fino ad oggi il giardino ordinato aveva sempre dato, senza distinguo, tutto il suo sostegno incondizionato ai crimini dell’entità sionista, eppure non dovrebbe sorprenderci: è esattamente quello che aveva previsto il nostro Triestino Mariniello commentando a caldo la sentenza una decina di giorni fa.

Triestino Mariniello

Nel frattempo, anche la guerra dell’Occidente collettivo contro l’UNRWA perde pezzi: lunedì scorso, infatti, Jose Albares, il ministro degli esteri spagnolo, ha annunciato che non solo il suo paese non farà parte del nutrito fan club democratico del genocidio da assedio, ma anzi aggiungerà ai finanziamenti già autorizzati altri 3,5 milioni di euro: “La situazione dell’UNRWA è disperata” ha affermato “e c’è il serio rischio che le sue attività umanitarie a Gaza vengano paralizzate entro poche settimane”. Pochi giorni prima era stato il turno di Joao Cravinho, il ministro degli esteri del Portogallo, che su X aveva affermato che era essenziale “non voltare le spalle alla popolazione palestinese in questi momenti drammatici” e aveva annunciato ulteriori finanziamenti all’UNRWA per 1 milione di euro; al di là delle valutazioni di merito, anche solo per levarsi di torno possibili accuse di genocidio – anche proprio ragionando cinicamente – mi sembrano spesi benino, diciamo. D’altronde, le accuse di Israele nei confronti dei famosi 12 dipendenti incriminati si fonderebbero su un dossier che fino ad ora Tel Aviv pare avesse condiviso solo con Washington; Blinken, ovviamente, ha affermato subito che le prove erano più che solide, ma dopo che Biden ha affermato di aver visto le foto dei bambini decapitati solo per venire smentito poche ore dopo dal suo stesso staff – appena prima che tutto il mondo venisse a sapere che quelle foto non sono mai esistite – diciamo che non è esattamente una fonte credibilissima, come confermerebbe un’inchiesta del canale pubblico britannico Channel 4. L’emittente, infatti, sarebbe entrata in possesso del dossier e il giudizio è inequivocabile: “Non contiene nessuna prova” hanno affermato; secondo Axios, tutte le prove consisterebbero in “informazioni di intelligence, che sarebbero il risultato degli interrogatori dei militanti arrestati durante l’attacco del 7 ottobre”. “Le forze israeliane” però, ricorda il sempre ottimo Jake Johnson su Consortium News “sono state ripetutamente accusate da esperti delle Nazioni Unite e gruppi per i diritti umani di usare la tortura per estorcere confessioni forzate ai detenuti palestinesi”, anche quando in ballo c’era decisamente meno che la battaglia per la soluzione finale a Gaza: è quanto ci ha raccontato in dettaglio qualche settimana fa Khaled El Qaisi, il cittadino italo – palestinese che era stato sequestrato dalle forze dell’ordine israeliane senza nessun capo di imputazione il 31 agosto scorso e che era rimasto prigioniero nelle carceri israeliane senza nessun motivo per poco meno di un mese. Insomma: decidiamo di rischiare di essere accusati formalmente di complicità in genocidio per accuse formulate sulla base di confessioni estorte attraverso la tortura; cosa mai potrebbe andare storto?
Il delirio suprematista ha raggiunto un livello tale che manco quando è in ballo la difesa dei propri interessi materiali immediati diventa lecito sollevare qualche dubbio e adottare un po’ di cautela; abbiamo bisogno come il pane di un vero e proprio media che quel delirio suprematista sia in grado di contrastarlo, giorno dopo giorno, informazione dopo informazione. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Benjamin Netanyahu

Genocidio di Gaza e Diluvio di Al-Aqsa: il punto di vista di Hamas che tutti dovrebbero conoscere

La nostra narrativa – e cioè il nostro punto di vista: così si intitola il piccolo dossier sull’operazione diluvio di al-aqsa pubblicato sabato scorso dalla divisione media ufficiale di Hamas; lo abbiamo letto per voi perché, ovviamente, siamo perfettamente consapevoli che si tratta di pura propaganda. Funziona sempre così, inevitabilmente: a ogni guerra fatta con le armi corrisponde sempre anche una guerra tra due propagande. Il punto però, esattamente come in Ucraina, è che i detentori dei mezzi di produzione del consenso del cosiddetto mondo libero fanno finta di non saperlo e assumono come verità insindacabile la propaganda di uno, e come menzogna da oscurare con ogni mezzo possibile quella dell’altro; potrebbe non essere esattamente una strategia illuminata, diciamo, e non solo perché è ovviamente una palese violazione del diritto a un’informazione un minimo equilibrata su cui si dovrebbe fondare quell’idea di democrazia in nome della quale i nostri governi si sentono autorizzati ad andare in giro per il mondo a bombardare chiunque si azzardi a dissentire, ma anche perché impedisce – anche tra le élite – quel minimo di dialettica fondata sui fatti reali che è indispensabile per non prendere cazzi per mazzi. Ed ecco così che, a botte di propaganda unilaterale, ci siamo autoconvinti che la Russia era sull’orlo del baratro e che grazie alla gloriosa resistenza e alla superiorità tecnologica dell’uomo bianco avrebbe trovato in Ucraina il suo Vietnam, o che Ansar Allah non era che un gruppetto di ribelli sprovveduti e scalmanati e che sarebbe bastato mandargli due razzetti a caso per farli sconigliare e riportare l’ordine: ecco perché, qualsiasi sia l’opinione che avete su Hamas, è comunque fondamentale conoscere e riflettere sul loro punto di vista. Buona visione.

Baruch Goldstein

“Fin dalla sua fondazione nel 1987” scrive l’ufficio media di Hamas nel suo rapporto sui fatti del 7 ottobre “Hamas si è impegnato a evitare conseguenze sui civili di entrambi gli schieramenti”; il rapporto sottolinea come – in seguito al terribile massacro della moschea di Al-Ibrahimi di Hebron avvenuto nel 1994 per mano del terrorista israelo – statunitense Baruch Goldstein e che causò la morte di 29 civili inermi riuniti in preghiera e il ferimento di altri 125 – “Hamas aveva annunciato un’iniziativa per evitare che i civili di tutte le parti rimanessero vittime dei combattimenti”, ma il governo Israeliano non si degnò neanche di rispondere. In quell’occasione, il governo israeliano guidato da Yitzhak Rabin condannò l’attentato e disarmò i militanti più in vista del movimento Kach, il gruppo dell’estrema destra sionista di Goldstein; non impedì però che a Goldstein – che venne definito dal rabbino dell’insediamento illegale di Kiryat Arba nei pressi di Hebron più santo di tutti i martiri dell’olocausto – venisse dedicato un santuario che, come un’Acca Larentia qualsiasi, divenne subito un importante luogo di pellegrinaggio per i fasciosionisti. Un milione di arabi non vale un’unghia ebrea, dichiarò il rabbino Yaacov Perrin durante il funerale: dalle ceneri del movimento Kach nascerà poi il partito Otzma Yehudit, e cioè il partito di Itamar Ben-Gvir, il famigerato ministro per la Sicurezza Nazionale del governo Netanyahu che viene citato direttamente anche nel dossier come “il ministro fascista israeliano che ha imposto l’inasprimento delle condizioni delle migliaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane dove subiscono ogni forma di abuso dei diritti umani più fondamentali”. Ciononostante, ribadisce il rapporto, negli anni successivi “Hamas ha rinnovato questa offerta numerose volte, ma i vari governi israeliani che si sono succeduti hanno sempre fatto orecchie da mercante, mentre continuavano a prendere di mira e uccidere deliberatamente civili palestinesi”; ancora oggi, insiste il rapporto, “Evitare danni ai civili, in particolare bambini, donne e anziani, è un impegno religioso e morale rispettato da tutti i combattenti delle brigate Al-Qassam”, e durante l’operazione diluvio di al-aqsa “ribadiamo che la resistenza palestinese è stata pienamente disciplinata e ha operato nel rispetto dei valori islamici” e “I combattenti palestinesi che hanno preso di mira solo il soldati dell’occupazione”.
Ma come si spiegano, allora, tutte le vittime civili del 7 ottobre scorso? Molte delle accuse, sostiene il rapporto, sono “menzogne palesi fabbricate ad arte” come la storia dei 40 bambini decapitati, o le accuse di stupri di massa; inoltre, continua, “è un dato di fatto che molti dei coloni coinvolti nell’operazione erano armati e hanno avuto scontri a fuoco con i combattenti palestinesi. Questi coloni sono registrati come civili, ma la realtà è che erano uomini armati che stavano combattendo al fianco dell’esercito israeliano” e, infine, “molti di questi civili israeliani sono stati uccisi dalle forze armate israeliane stesse”. Il riferimento, ovviamente, è in primo luogo ai civili uccisi da un elicottero israeliano nell’area del Festival Musicale di Nova, ma non solo: “Altre testimonianze israeliane” continua infatti il dossier, confermano che “l’esercito di occupazione israeliano avrebbe bombardato diverse abitazioni negli insediamenti israeliani dove si trovavano combattenti palestinesi e israeliani, in una chiara applicazione della famigerata Direttiva Annibale dell’esercito israeliano che sostiene sia meglio un ostaggio civile o un soldato morto che preso vivo, per evitare di impegnarsi in scambi di prigionieri con la resistenza palestinese”.
Fatta la tara delle fake news e della propaganda suprematista, rimane ovviamente il fatto che di civili coinvolti ce ne sono stati decisamente fin troppi: secondo Hamas però, questi episodi sarebbero semplicemente una conseguenza del “rapido collasso del sistema militare e di sicurezza israeliano e il caos che ne è conseguito in tutta la zona di confine con Gaza”; insomma, sarebbero vittime collaterali, e probabilmente – come Occidente collettivo – non siamo esattamente i più titolati per scandalizzarci. “Coloro che difendono l’aggressione israeliana” sottolinea il dossier “sostengono che le vittime civili a Gaza sarebbero danni collaterali di attacchi rivolti ai militanti di Hamas. Tuttavia questa categoria pare non possa essere utilizzata quando si parla delle vittime civili dell’operazione diluvio di al-aqsa”; eppure, insistono “Come riconosciuto da molti, Hamas si è comportato in modo positivo e gentile con tutti i civili che sono stati trattenuti a Gaza e ha cercato sin dai primi giorni dell’aggressione un modo per arrivare al loro rilascio, che è esattamente quello che è successo durante la tregua umanitaria durata una settimana durante la quale quei civili sono stati rilasciati in cambio del rilascio di donne e bambini palestinesi detenuti ingiustamente nelle carceri israeliane”.
Come abbiamo premesso, ovviamente, si tratta di pura propaganda pure questa, e però un modo per vederci più chiaro tra una propaganda e l’altra, volendo, ci sarebbe: una bella inchiesta indipendente internazionale che, a differenza di Israele, è esattamente quello che chiede Hamas. “Siamo fiduciosi” scrivono “che qualsiasi indagine equa e indipendente dimostrerebbe la fondatezza dei nostri argomenti come anche la portata delle bugie e delle informazioni fuorvianti da parte israeliana. A partire dalle accuse israeliane riguardanti gli ospedali palestinesi di Gaza che la resistenza avrebbe usato come centri di comando; un’accusa che non è stata provata e anzi è stata smentita dai resoconti di molte agenzie di stampa occidentali”; “Gli eventi del 7 ottobre” sottolineano “devono essere inseriti in un contesto più ampio, che accomuna tutti i casi di lotta contro il colonialismo e l’occupazione dei nostri tempi. Le varie esperienze dimostrano come più è alto il livello di oppressione imposto dagli occupanti, più sarà violenta la reazione dei popoli che quella occupazione la subiscono”. E qui il livello, sostengono, sembrerebbe essere stato piuttosto altino – diciamo – e fanno un sintetico recap partendo da lontano: ancora nel 1918, ricordano, “il popolo palestinese possedeva il 98,5% della terra palestinese e rappresentava il 92% dell’intera popolazione”; da lì in poi, una campagna di migrazione di massa coordinata tra autorità coloniali britanniche e movimento sionista portò, in meno di 30 anni, a moltiplicare per 4 la popolazione non palestinese prima di dare il via, nel 1948, a una vera e propria pulizia etnica che portò i sionisti a impossessarsi del 77% delle terre dopo aver espulso il 57% della popolazione palestinese, a partire dagli oltre 500 villaggi rasi al suolo. Una seconda fase si ebbe poi nel 1967, quando le forze di occupazione occuparono il resto della Palestina compresa la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, Gerusalemme e altri territori arabi confinanti con la Palestina; soltanto negli ultimi 20 anni le forze di occupazione avrebbero causato la morte di 11.300 palestinesi e il ferimento di altri oltre 150 mila, in larghissima parte civili: “Sfortunatamente però” scrivono “l’amministrazione USA e i suoi alleati non hanno prestato molta attenzione alle sofferenze del popolo palestinese, ma piuttosto hanno fornito copertura all’aggressione israeliana, e hanno cominciato a lamentarsi solo quando il 7 ottobre a cadere sono stati i soldati israeliani”. D’altronde, continuano, “l’amministrazione americana e i suoi alleati occidentali hanno sempre trattato Israele come uno Stato al di sopra della legge; gli forniscono la copertura necessaria per continuare a prolungare l’occupazione e reprimere il popolo palestinese, permettendogli nel frattempo anche di sfruttare la situazione per espropriare ulteriori terre palestinesi e violare impunemente i nostri luoghi sacri”. Il dossier ricorda inoltre come, negli ultimi 75, anni “l’ONU abbia emesso più di 900 risoluzioni a favore del popolo palestinese” con Israele che ha sempre “rifiutato di attenersi a ognuna di esse”, platealmente: “Il 29 ottobre 2021” ricorda ad esempio il dossier “l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan ha insultato il sistema delle Nazioni Unite stracciando un rapporto del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite durante un discorso all’assemblea generale, per poi gettarlo teatralmente nel cestino della spazzatura prima di lasciare il podio. Eppure” ricordano con una nota di ironia “l’anno successivo è stato nominato alla carica di vicepresidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite” e le rare volte che queste questioni hanno raggiunto il tavolo del Consiglio di sicurezza “a impedire qualsiasi condanna nei confronti di Israele è sempre intervenuto il veto degli USA”.

Gilad Erdan

Certo, di fronte a queste ingiustizie ci sono anche modi più pacifici e meno violenti di portare avanti la propria causa. Certo, come no! “Dopo 5 guerre di aggressione unilaterale da parte di Israele e 17 anni di assedio totale che ha trasformato Gaza nella più grande prigione a cielo aperto del paese” ricorda il dossier, nel 2018 “il popolo di Gaza ha dato vita a una serie di grandi e pacifiche proteste denominate la Grande Marcia del ritorno. Purtroppo” ricordano “le forze di occupazione israeliane hanno risposto a queste proteste causando tra i manifestanti 360 vittime e 19 mila feriti, compresi 5 mila bambini”. “Dopo tutto questo” si chiede alla fine il dossier “cosa ci si aspettava dal popolo palestinese? Che continuasse ad aspettare inerme riponendo la sua fiducia sull’impotenza dell’ONU?”; in realtà – concludono – “sulla base di quanto detto fino ad ora, l’operazione diluvio di al-aqsa è stata una risposta necessaria e un atto difensivo nei confronti dell’occupazione israeliana, nel quadro della lotta di liberazione e di indipendenza del popolo palestinese, esattamente come tutti i popoli del mondo hanno sempre fatto”. “Il popolo palestinese” concludono “si è sempre opposto all’oppressione, alle ingiustizie e ai massacri contro i civili, indipendentemente da chi li commette. E in base alla nostra religione e valori morali, abbiamo dichiarato chiaramente il nostro rifiuto a cosa gli ebrei furono esposti dalla Germania nazista. Dobbiamo però ricordare che il problema ebraico era essenzialmente un problema europeo, mentre il mondo arabo e islamico era un rifugio sicuro per il popolo ebraico come, d’altronde, anche per altri popoli di altre credenze ed etnie. Il mondo arabo è stato un esempio di convivenza, interazione culturale e libertà religiose. Il conflitto è causato dal comportamento aggressivo sionista e la sua alleanza con le potenze coloniali occidentali; e quindi rifiutiamo categoricamente la strumentalizzazione della sofferenza che è stata inflitta al popolo ebraico in Europa al fine di giustificare l’oppressione contro il nostro popolo in Palestina”.
Bon. Questo è quanto. Questa è la posizione di Hamas; non ci abbiamo aggiunto mezzo giudizio: a questo giro, l’onere di farvi una vostra idea lo lasciamo tutto a voi. E’ quello che dovrebbero fare i giornali mainstream che si riempono la bocca di fuffa liberaloide e poi fanno solo becera propaganda come in un regime teocratico qualsiasi; in questi tempi infami, a noi vecchie zecche rosse tocca pure fare il loro mestiere. Aiutaci a farlo sempre meglio, per sempre più persone: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Paolo Mieli