Tag: dedollarizzazione

G20: l’umiliazione dell’unilateralismo e il mondo parallelo dei pennivendoli

L’assenza di XI Jinping sarebbe un segnale diretto a Biden: passare dalle parole ai fatti

Il giornale: G20, ecco la via delle spezie. La regia USA fa fuori Pechino.

La Stampa: un rotta dall’India a Venezia, gli USA danno scacco alla Cina.

Repubblica: Biden e Modi isolano Xi, ecco il nuovo corridoio India – medio Oriente contro la via della seta.

I mezzi di produzione del consenso del partito unico della guerra e degli affari, non hanno dubbi: dopo gli incredibili successi della controffensiva Ucraina, e il definitivo crollo dell’economia cinese, al G20 il nord globale è tornato in grande stile a dettare l’agenda globale. Indiani e sauditi hanno ritrovato il lume della ragione, hanno scaricato le velleità del fantomatico nuovo ordine multipolare, e sono tornati ai vecchi costumi: elemosinare una qualche forma di riconoscimento dall’Occidente globale. I rapporti commerciali con la Cina ormai sono roba da boomer e l’aria fresca di rinascimento che spirava dalle petromonarchie ai tempi di Renzi è tornata a soffiare più forte e ora irradia tutta la sua energia fino al subcontinente indiano.

L’Italia è pronta a raccoglierne i frutti: basta Cina, il futuro parla sanscrito, e se usciamo dalla via della seta non è perché ce lo ha imposto Washington, ma perché guardiamo lontano, laddove lo sguardo di voi complottisti sul libro paga di Putin e Xi, non riuscite manco ad avventurarvi.

Ma siamo proprio proprio proprio sicuri che questa narrazione sia anche solo lontanamente realistica?

“C’è un’immagine che più di tutte testimonia quanto accaduto durante il g20 di Delhi”, scrive Stefano Piazza su La Verità, “il presidente americano joe biden sorridente, stringe la mano al principe ereditario saudita mohammed bin salman insieme al padrone di casa Modi”.

Non ha tutti i torti.

Quella effettivamente è un’immagine decisamente potente. Peccato che simboleggi in modo plateale esattamente il contrario di quello che la propaganda suprematista sta cercando affannosamente di di farci credere. È la prova provata che ormai l’ameriCane abbaia, ma quando poi prova a mordere si accorge che gli mancano i denti, e allora si mette a scodinzolare. Se c’è un Paese che negli ultimi due anni ha dimostrato in modo evidente che il bastone a stelle e strisce non fa più poi così tanto male, infatti, è proprio la petromonarchia saudita. Cinque anni fa, Biden aveva inaugurato la sua campagna elettorale definendo il principe ereditario Bin Salman addirittura un pariah. Ma negli anni successivi, i sauditi non hanno fatto assolutamente niente per compiacere il vecchio alleato, anzi…

Quando è scoppiata la seconda fase della guerra per procura della Nato contro la Russia in Ucraina, nonostante tutti i corteggiamenti, i sauditi hanno evitato sistematicamente di emettere una qualunque parola di condanna.

Quando la Russia ha chiesto all’OPEC+ di tagliare la produzione per tenere alto il prezzo del greggio, i sauditi hanno subito appoggiato l’iniziativa. Biden ha provato a dissuaderli, chiamandoli direttamente al telefono. Non gli hanno manco risposto ed era solo l’antipasto. Grazie alla mediazione cinese, pur di affrancarsi dalle strumentalizzazioni USA, pochi mesi dopo i sauditi sono tornati addirittura ad aprire i canali diplomatici con l’arcinemico iraniano, mettendo così le basi per la fine della pluridecennale guerra per procura in medio Oriente che è sempre stato in assoluto il pilastro fondamentale della politica estera USA per tutta l’area ed oltre. Dopodichè i sauditi hanno finalmente preso atto del totale fallimento dell’intervento USA in Siria, e hanno accolto a braccia aperte il ritorno di Assad nella Lega Araba. Subito dopo hanno inferto un colpo micidiale ad un altro degli assi portanti dell’imperialismo USA: la dittatura globale del dollaro, nata e cresciuta grazie proprio all’adozione incondizionata dei sauditi della valuta a stelle e strisce come unica valuta internazionale, utilizzabile per la compravendita del petrolio. Per scolpire sulla pietra il fatto che questi epocali cambi di posizionamento non fossero solo capricci estemporanei, i sauditi hanno prima aderito alla Shanghai Cooperation Organization, e poi addirittura ai BRICS, addirittura fianco a fianco agli iraniani.

Fino a pochi anni fa, gli USA hanno raso al suolo interi paesi e sterminato centinaia di migliaia di civili a suon di bombe umanitarie per molto, molto meno. Dopo un anno e mezzo di schiaffi a due mani in Ucraina, eccoli invece qua, a stringere mani e a ostentare sorrisoni.

Che uno dice: chissà cos’hanno ottenuto in cambio. Una luccicante cippa di cazzo, ecco cos’hanno ottenuto. Meno di quello che avevano ottenuto a Bali.

La partita ovviamente era quella di strappare di nuovo un’accusa nei confronti della Russia per la guerra in Ucraina.

All’orizzonte”, scriveva Il Giornale Sabato, “il rischio concreto che per la prima volta nella storia di questo forum, nato nel 1999, non si riesca a trovare l’intesa per un comunicato condiviso da tutti i partecipanti”. Per qualche ora, questo è stato il tormentone; sono tutti uniti come un sol uomo nel condannare la Russia, ripeteva fino all’auto convincimento la propaganda, a parte Russia e Cina.

Il più spregiudicato nel raccattare l’ennesima figura di merda, come sempre, è l’infaticabile Mastrolilli su Repubblica: “approfittare delle assenze di Xi e Putin per isolarli allo scopo di contrastare, insieme, la sfida geopolitica epocale lanciata dalle autocrazie alle democrazie”

Gli articoli di Mastrolilli ormai assomigliano sempre di più ai testi prodotti dalle pagine tipo “generatore automatico di post di Fusaro”, o di previsioni di Fassino, che andavano di moda qualche anno fa. Ci infili dentro autocrazia, democrazia, Putin e Xi isolati, mescoli bene, ed ecco pronto l’articolo.

“Putin e Xi”, insiste Mastrolilli, “si sono coalizzati nel rifiutare il linguaggio di Bali. Europei e americani però”, notate bene, “non sono disposti a cedere, e il G20 rischia di chiudersi per la prima volta senza una dichiarazione finale”.

Ci prendessero mai, proprio almeno per la legge dei grandi numeri.

Alla fine infatti, come sapete, il comunicato congiunto in realtà è arrivato in tempi record. Al contrario delle previsioni di Mastrolilli, europei e americani non hanno dovuto semplicemente cedere, si sono proprio nascosti sotto al tavolo: nel comunicato finale non c’è nessun accenno alle responsabilità russe.

In realtà, c’era da aspettarselo; al contrario di Bali, a questo giro Modi di far fare a Zelensky il solito intervento da rock star non ne ha voluto sapere.

Zelensky, persona non grata. Come gli anatemi e i doppi standard del nord globale in declino.

I gattini obbedienti delle oligarchie Occidentali allora si sono messi all’affannosa ricerca di altri specchi sui quali arrampicarsi e l’attenzione non poteva che ricadere sull’unico aspetto che effettivamente suggeriva alcune difficoltà: la misteriosa assenza di Zio Xi.

E via giù di speculazioni acrobatiche. La prima l’avevano suggerita i giapponesi di Asian Nikkei, testata di grande spessore che noi seguiamo da decenni quotidianamente per le analisi economiche, ma che diciamo, ovviamente, non è esattamente del tutto imparziale quando si tratta di Cina.

Un lungo editoriale apparso giovedì scorso, suggeriva che la scelta di Xi di non presentarsi per la prima volta al G20 fosse dovuta a una guerra intestina al partito che vedrebbe i dirigenti più anziani sul piede di guerra contro il Presidente per le difficoltà economiche che il Paese starebbe attraversando. Ma, come ha sottolineato sabato mattina il nostro amico Fabio Massimo Parenti in diretta su La7, in quell’editoriale c’è qualcosa che non torna. L’articolo parla infatti di alcune fonti interne al partito, che ovviamente non è possibile verificare. Rimane però un dubbio: ma davvero ai massimi livelli del partito ci sono dirigenti così smaccatamente antipatriottici da andare a lavare i panni sporchi di casa direttamente nel lavello dell’arcinemico giapponese?

Per carità, tutto può essere. Ma diciamo che una cosa così palesemente antiintuitiva, per essere creduta, avrebbe per lo meno bisogno di qualche prova più tangibile, diciamo.

Macchè!

I nostri media se la sono bevuta tutta d’un sorso senza battere ciglio e il famoso “contesto mancante” a questo giro non li ha dissuasi.

Che strano…

Ma non è stata certo l’unica speculazione. Il fatto di per se, offriva un’occasione più che ghiotta per rilanciare il tormentone che ci aveva già sfrucugliato gli zebedei quando tutta la stampa era alla ricerca di narrazioni fantasy di ogni genere pur di sminuire la portata delle decisioni prese due settimane fa dai BRICS: l’insanabile divergenza tra i diversi paesi del sud globale, a partire da India e Cina.

Ci provano senza sosta da decenni. Prima erano le divergenze tra Cina e Vietnam, poi tra Cina e Russia, poi tra India e Cina. Intendiamoci, le divergenze ci sono eccome e lo ricordiamo sempre: è abbastanza inevitabile quando si ha a che fare con Paesi sovrani. Ognuno è guidato fondamentalmente dal suo interesse, e gli interessi diversi spesso e volentieri entrano in conflitto. Quando non succede è semplicemente perché uno impone i suoi interessi su tutti gli altri, come accade ad esempio nell’ambito del G7, dove Washington detta la linea e gli altri possono accompagnare solo, rimettendoci di tasca loro. Quello che, proprio a chi è abituato a fare da zerbino, non vuole entrare nella capoccia, è che la necessità storica di un nuovo ordine multipolare in realtà si fonda proprio su questo: Paesi sovrani con loro interessi nazionali spesso divergenti, intenti a costruire strutture multilaterali all’interno delle quali trovare dei compromessi attraverso il confronto e il dialogo tra pari. Rimane comunque il fatto che Xi al G20 non ci è andato e non è una cosa che può essere derubricata con due battutine.

Purtroppo però qui entriamo nell’ambito delle pure speculazioni. In questi giorni la redazione allargata di OttolinaTV su questo punto s’è sbizzarrita. Alla fine le interpretazioni un po’ più solide emerse sono sostanzialmente due:

La prima effettivamente ha a che vedere con i rapporti con l’India. Come scriveva giovedì scorso il Global Times, il nord globale guidato da Washington “ha cercato di provocare conflitti tra Cina e India usando la presidenza indiana per inasprire la competizione tra il dragone e l’elefante”.

“Gli Stati Uniti e l’Occidente”, continua l’articolo, “hanno mostrato un atteggiamento compiaciuto nei confronti di alcune divergenze geopolitiche, comprese quelle tra Cina e India. Vogliono vedere divisioni più profonde e persino scontri”. Ma proprio come la Cina, anche “Nuova Delhi ha ripetutamente affermato che il forum non è un luogo di competizione geopolitica” e quindi da questo punto di vista l’assenza di Xi sarebbe stata funzionale a impedire agli occidentali di strumentalizzare queste divergenze, e permettere al G20 di ottenere qualche piccolo progresso sul piano che dovrebbe essere di sua competenza: la cooperazione economica, in particolare a favore dei Paesi più disastrati. Da questo punto di vista il piano effettivamente sembra essere riuscito: il comunicato finale sottolinea esplicitamente che il G20 non è il luogo dove affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche.

Ma non solo…

Per quanto simbolici, i paesi del sud globale al g20 hanno portato a casa impegni ufficiali verso una riforma della banca mondiale a favore dei Paesi più arretrati e anche l’annuncio dell’ingresso ufficiale nel summit dell’unione africana. Tutti obiettivi che Delhi e Pechino condividono da sempre.

La seconda motivazione invece ha a che vedere col rapporto tra Cina e USA. Durante il G20 di Bali, la stretta di mano tra Biden e Xi aveva fatto parlare dell’avvio di una nuova distensione tra le due superpotenze. Nei mesi successivi però, a partire da quella gigantesca buffonata dell’incidente del pallone spia cinese e della cancellazione del viaggio di Blinken a Pechino che ne era seguita, le cose non hanno fatto che complicarsi. Da allora gli USA hanno provato ad aggiustare un po’ il tiro, gettando acqua sul fuoco della retorica del decoupling. Ma mentre i toni si facevano a tratti meno aggressivi, i fatti continuavano ad andare ostinati in tutt’altra direzione, a partire dalla guerra sui chip, per finire col recente divieto USA a investire in Cina in tutto quello che è frontiera tecnologica, dall’intelligenza artificiale al quantum computing. La Cina quindi, pur continuando a sfruttare ogni possibilità di dialogo, ha continuato a denunciare la discrepanza tra parole e fatti

da questo punto di vista, quindi, l’assenza di Xi a Delhi sarebbe un segnale diretto a Biden: caro Joe, co ste strette di mano a una certa c’avresti pure rotto li cojoni. Basta manfrine fino a che alle parole non farete seguire qualche fatto concreto. Volendo, con anche un avvertimento in più: per parlare con il resto del sud globale, non abbiamo più bisogno necessariamente di una piattaforma come quella del G20: Shanghai Cooperation Organization e BRICS+++ ormai sono alternative più che dignitose. A voi la scelta ora: se continuare ad avere un luogo dove discutere con il sud globale, oppure condannare il G20 all’irrilevanza.

Finite le nostre speculazioni, torniamo a quelle degli altri.

Come con la controffensiva ucraina, che andando come sta andando, costringe gli hooligan della propaganda a trasformare in vittorie epiche la conquista di qualsiasi gruppetto di case di campagna al prezzo di decine se non centinaia di vite umane e centinaia di milioni di attrezzatura militare, idem al G20, visti gli scarsi risultati, i propagandieri si sono sforzati in modo veramente ammirevole per provare ad arraparsi di fronte a un vero e proprio monumento alla fuffa.

“Ecco il nuovo corridoio india-medio oriente contro la via della seta”, titolava su repubblichina il solito Daniele Raineri, tra un articolo su qualche mirabolante vittoria ucraina e l’altro. Il progetto è così alternativo alla via della seta cinese, che approda nel pireo, che è dei cinesi. Di nuovo in sostanza ci sarebbe l’estensione della rete ferroviaria in Arabia.

A chiacchiere! A fatti, per ora, l’unico tratto ferroviario di una certa rilevanza in Arabia è quello lungo i 450 km che sperano Mecca e Medina. Un’opera monumentale, costruita dai cinesi.

E i cinesi infatti se la ridono.

Intanto, perché non capiscono bene in che modo questo fantomatico progetto andrebbe contro ai loro interessi. Come ha sottolineato il Global Times: “Per i paesi del Medio Oriente che parteciperanno all’iniziativa ferroviaria guidata dagli Stati Uniti, non vi è alcuna preoccupazione che i loro legami con la Cina si indeboliscano proprio a causa dell’accordo”.

Anzi: “la Cina ha sempre affermato che non esistono iniziative diverse che si contrastano o si sostituiscono a vicenda. Il mondo ha bisogno di più ponti da costruire anziché da abbattere, di più connettività anziché di disaccoppiamento o di costruzione di recinzioni, e di vantaggi reciproci anziché di isolamento ed esclusione”

Piuttosto, sottolineano i cinesi, il punto è che questi proclami andrebbero presi un po’ con le pinze.

“Non è la prima volta che gli Stati Uniti sono coinvolti in uno scenario “tante chiacchiere, pochi fatti””, ricorda sarcasticamente l’articolo, che insiste: “Durante l’amministrazione Obama, l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton annunciò che gli Stati Uniti avrebbero sponsorizzato una “Nuova Via della Seta” che sarebbe uscita dall’Afghanistan per collegare meglio il paese con i suoi vicini e aumentare il suo potenziale economico, ma l’iniziativa non si è mai concretizzata”.

“Da un punto di vista tecnico”, continua perculando l’articolo, “la decisione degli Stati Uniti di concentrarsi sulle infrastrutture di trasporto, un’area in cui mancano competenze, nel tentativo di salvare la loro influenza in declino nella regione, suggerisce che il piano tanto pubblicizzato difficilmente raggiungerà i risultati desiderati”.

Ma non c’è livello di fuffa che possa distogliere i pennivendoli di provincia italiani dal prestarsi a qualsiasi operazione di marketing imposta dal padrone a stelle e strisce

magari, aggiungendoci anche del loro. Perché in ballo al G20 c’era un’altra questione spinosa, l’addio dell’Italia alla via della seta, ancor prima di aver fatto alcunché per entrarci davvero, al di là delle chiacchiere.

Ma non temete, come scrive Libero, infatti, “Giorgia sa di avere un’altra chance. si chiama India”.

“Il commercio tra India e Italia”, avrebbe dichiarato con entusiasmo la Meloni, “ha raggiunto il record di 15 miliardi di euro. Ma siamo convinti di poter fare di più”. D’altronde, che ce fai con la Cina quando c’è l’India. Un Paese, che, come scrive il corriere della serva “per popolazione ed economia ha superato la cina”.

Non è uno scherzo, è una citazione testuale. Secondo il Corriere, l’India ha superato economicamente la Cina. Deve essere successo dopo che, come scriveva Rampini, l’altro giorno, gli usa hanno cominciato a crescere il doppio della Cina.

Quanto cazzo deve essere bello di mestiere fare il giornalista ed essere pagato per dire ste puttanate.

Ovviamente, come credo sappiate tutti voi che piuttosto che lavorare al corriere della serva preferireste morire di fame accasciati per terra a qualche angolo di strada, l’economia cinese è più di cinque volte quella indiana, e l’India ogni anno spende in importazioni meno di un quinto della Cina.

Ma non solo…

L’Italia, in India, quel che è possibile esportare in quel piccolo mercato lo esporta già. Nel 2022 abbiamo esportato beni e servizi per 5,4 miliardi. Più dell’Olanda che è ferma a 3,5 e poco meno della Francia, che è a quota 6,5. Insomma, in linea con le nostre quote di export

Discorso che invece non vale per la Cina dove l’Italia esporta per 18 miliardi, la Francia per 25, il Regno Unito per 35 e la Germania per 113 miliardi. Cioè, il nostro export totale è inferiore del 25% rispetto a quello inglese e francese, ma in Cina esportano rispettivamente i 50 e il 100% in più. Ancora peggio il confronto con la Germania: l’export tedesco è circa 2 volte e mezzo quello italiano, ma in Cina esportano 7 volte più di noi. Quando saggiamente avevamo deciso di essere l’unico paese del G7 che avrebbe aderito al memorandum della belt and road, era per recuperare questo gap. Dopo la firma non abbiamo mosso un dito, e ora rinunciamo a una crescita potenziale di svariate decine di miliardi di export, e ci raccontiamo pure che li sostituiremo con i 2 o 3 miliardi in più che potremmo guadagnare dall’India.

Ora, io non ti dico di finanziare un vero think tank indipendente coi controcazzi invece di affidarti a quelli a stelle e strisce e in Italia dare i soldi a Nathalie Tocci per trasformare l’istituto affari internazionale nel milionesimo ufficio stampa di Washington e delle sue oligarchie finanziarie.

Ma almeno i soldi per una cazzo di calcolatrice trovateli! Se volete, famo una colletta noi su gofundme.

E sia chiaro, io lo dico da grande amante dell’India, da tempi non sospetti. Quando ho cominciato a fare il giornalista a fine anni ‘90, il mio obiettivo era raccontare l’ascesa del peso Internazionale di questo incredibile paese continente. Non è andata benissimo, e ogni fallimento dell’india in questi 30 anni per me è stata una pugnalata al cuore, a prescindere da chi ci fosse al governo. Modi compreso.

Ora non mi posso che augurare che di fronte a questi teatrini imbarazzanti che offre continuamente l’Occidente, Modi sia abbastanza lucido da capire che gli attriti con la Cina, che sono legittimi e anche normali, non possono certo distoglierlo dal perseguire il vero interesse del suo disastrato Paese, che potrà crescere davvero se e solo se il sud globale riesce finalmente a mettere fine all’ordine unipolare della globalizzazione neoliberista guidata da Washington.

Per parlare del mondo nuovo che avanza, senza i paraocchi della vecchia propaganda vi aspettiamo sabato 16 settembre all’hotel terme di Fiuggi con Fulvio Scaglione, Marina Calculli, Elia Morelli, Alessandro Ricci e l’inossidabile generale Fabio Mini.

È solo uno dei dodici panel messi in fila dagli amici dell’associazione Idee Sottosopra per questo fondamentale week end di studio e di approfondimento, per costruire insieme un’alternativa credibile e non minoritaria alla dittatura del pensiero unico del partito degli affari e della guerra.

Per chi vuole maggiori informazioni, trovate il link nei commenti.

se invece vuoi concretamente darci una mano a costruire finalmente il primo vero e proprio media che dà voce al 99%, come fare probabilmente lo sai già

aderisci alla campagna di sottoscrizione di ottolinatv su GoFundMe ( https://gofund.me/c17aa5e6 ) e su PayPal ( https://shorturl.at/knrCU )

Fonti:

Editoriale del Global Times: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297861.shtml

Il piano ferroviario USA in Medio Oriente: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Il Premier Li chiede solidarietà e cooperazione al G20: https://www.globaltimes.cn/page/202309/1297874.shtml

Articolo “Il Giornale”: https://www.ilgiornale.it/news/politica/g20-ecco-delle-spezie-india-emirati-arabia-europa-regia-usa-2208113.html

Articolo “la Repubblica”: https://www.repubblica.it/esteri/2023/09/08/news/ferrovia_arabia_india_cina_via_della_seta-413788548/

“CAMBIEREMO LE REGOLE DEL GIOCO”

Il G77 e la rivolta del Sud Globale contro il necolonialismo

Fermi un attimo, fermi un attimo perchè qui veramente siamo di fronte a un capolavoro da manuale della propaganda suprematista occidentale.

Venerdi scorso all’Havana si è tenuta una piccola riunioncina, na cosa ‘e niente, proprio.

Appena centotrentaquattro Paesi, che rappresentano l’80% della popolazione mondiale e che all’unisono hanno detto una cosuccia che forse non è proprio esattamente irrilevante: il vecchio ordine globale è morto, finito.

È arrivato il momento di Cambiare alla Radice le Regole del Gioco, e porre fine una volta per tutte a secoli e secoli di dominio attraverso la violenza e lo sfruttamento economico da parte di una piccola minoranza su tutto il resto del pianeta.

Ripeto. raissumendo: l’80% della popolazione mondiale si è riunita e ha detto all’unanimità che l’occidente ha rotto il cazzo.

A me sembra una notizia che dovrebbe occupare paginate su paginate nei quotidiani, e ore e ore di palinsesto e invece…

Ora, quello che mi chiedo è: quanto a lungo permetteremo ancora alla propaganda suprematista di sfrucugliarci le gonadi con la descrizione di un mondo vecchio che ormai esiste soltanto nelle fantasie psichedeliche di un esercito di pennivendoli analfoliberali? 

Non è certo la prima volta che l’eroica Repubblica rivoluzionaria cubana ottiene un clamoroso successo diplomatico. Nonostante le innumerevoli e impacciate operazioni propagandistiche della propaganda suprematista di ogni colore politico come la gigantesca merda che pestò il sempre pessimo Roberto Saviano un paio di anni fa.

Non so se vi ricordate. Stremate dalle conseguenze dell’utilizzo politico che gli USA stavano facendo della crisi pandemica per infliggere un’altra mazzata alla popolazione cubana, vi furono alcune mobilitazioni contro il Governo rivoluzionario. Sempre tutte cose ultraminoritarie, che il sostegno popolare alla rivoluzione cubana, nonostante le gigantesche difficoltà economiche dovute all’embargo illegale da parte dell’imperialismo USA, rimane quasi unanime.

Ma evidentemente, abbastanza per far arrapare il suprematismo analfoliberale, che è convinto che a Cuba non ambiscano ad altro che poter leggere liberamente la repubblichina e a eleggere presidente Lia Quartapelle. Tra loro, appunto, il nostro Robertino:

“Cuba finalmente insorge contro la dittatura del partito comunista cubano”, avevo twittato. “Cuba merita democrazia e la conquisterà”. D’altronde, è un’affermazione coerente col Saviano pensiero: uno che decanta le lodi e definisce democrazia il regime di apartheid di Tel Aviv, non può che coerentemente spregiare l’eroica resistenza popolare antimperialista del popolo cubano.

Basta però, per lo meno, che si scelga i testimonial giusti. Nel tweet di Saviano infatti c’era allegata anche questa foto

secondo Saviano, un’icona della rivolta democratica e filooccidentale contro il regime.

Insomma…

La persona ritratta nella foto infatti si chaima Betty Pairol Quesada e come la stragrande maggioranza dei suoi concittadini, è una sostenitrice accanita del Governo rivoluzionario cubano, e quando è stata scattata questa foto, stava partecipando a una manifestazione contro El Bloqueo, contro l’embargo illegale imposto a Cuba dalle potenze democratiche che tanto piacciono a Saviano.

La nostra Betty s’è accorta della cosa, e ha diffidato i suprematisti analfoliberali alla Saviano dall’utilizzare la sua immagine per legittimare le proteste di quelle che lei definisce apertamente “delinquenti e vandali”.

Saviano, senza scusarsi, ha sconigliato quatto quatto e ha rimosso l’immagine. Due anni dopo, il suo account twitter è sempre attivissimo e seguitissimo, ed è l’ennesimo importante strumento della peggiore propaganda woke imperiale. Quello della povera Betty invece appare temporaneamente limitato.

Non fosse mai che si azzardasse a far fare qualche altra colossale figura di merda a qualche propagandista.

Nonostante la potenza di fuoco della propaganda suprematista comunque, Cuba non è nuova ai successi diplomatici. Negli ultimi trenta anni ogni anno l’assemblea generale delle Nazioni Unite mette ai voti una mozione per chiedere agli USA la fine dell’embargo. La prima volta fu il 1992, e votarono a favore in appena 59. Anno dopo anno quei voti sono progressivamente sempre aumentati, e da una quindicina di anni abbondanti ad approvare la mozione è sempre invariabilmente sostanzialmente la totalità dei 193 Paesi rappresentati alle nazioni unite. A votare contro infatti sono sempre e solo in due: Stati Uniti e Israele, i due stati canaglia della comunità Internazionale. A loro si affiancano sempre due o tre Paesi che optano per l’astensione. Prima erano gli Stati fantoccio insulari del Pacifico, come Palau e le Isole Marshall. Poi si sono rotti il cazzo pure loro, ma sono stati sostituiti per un periodo dal Brasile del presidente fascioterrapiattista Jair Bolsonaro e da un paio di anni dall’Ucraina, che vale la pena sottolineare, visto che la propaganda suprematista Occidentale parla sempre del presunto isolamento di Putin: l’Ucraina all’ONU vota da sola con altri 3 paesi contro tutto il resto del mondo. Dal punto di vista dell’autonomia geopolitica, l’Ucraina appunto, è come erano Palau e le Isole Marshall una decina di anni fa. Questa volta però Cuba è andata oltre, perchè a questo giro non si trattava semplicemente di votare contro un embargo palesemente criminale e illegale. Questa volta si trattava di andare all’Havana, e non solo dimostrare simbolicamente la propria doverosa solidarietà nei confronti della rivoluzione castrista, ma di sedere al fianco di Cuba in un’organizzazione multilaterale che, proprio a partire dall’appello di ormai una ventina di anni fa di Fidel Castro in persona, ha deciso di marciare unita per porre fine al dominio del nord globale.

“Una vittoria diplomatica contro il bloqueo”, la definisce senza mezzi termini People dispatch, che sottolinea come la storica riunione dell’Havana si sia tenuta giusto pochi giorni dopo la proroga di un altro anno da parte della democratica amministrazione Biden non solo dell’embargo criminale che è in piedi da oltre sessant’anni, ma anche dell’ulteriore ondata di sanzioni aggiuntive introdotte dall’amministrazione ultrareazionaria ed esplicitamente suprematista di Donald Trump.

Ma lo straordinario successo diplomatico di Cuba è soltanto un pezzetto della storia.

Per capirne il resto, non rimane che leggere attentamente i 47 punti della dichiarazione finale sottoscritta all’unanimità da tutti i paesi partecipanti. Il primo fondamentale punto è la richiesta di democratizzazione delle Nazioni Unite come istituzione. Ma attenzione, non contro lo spirito della carta delle Nazioni Unite e del diritto Internazionale, ma proprio nell’ottica di una loro reale attuazione.

“Riaffermiamo il pieno rispetto degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”, sottolineano esplicitamente nel comunicato. Chi non li rispetta, evidentemente, sono le Nazioni Unite stesse, per come sono oggi. L’assemblea generale infatti non ha nessun potere reale che è tutto esclusivamente nelle mani del consiglio di sicurezza, che però è di un’altra epoca. Appena cinque potenze, o meglio tre. Tra i cinque infatti ci sono Gran Bretagna e Francia, che ormai sono piccole potenze subregionali a sovranità limitata, e completamente allineati agli USA. In pratica, quindi, il consiglio di sicurezza è composto da tre paesi, con uno che conta più degli altri due messi assieme. Che nel 2023 non vengano rappresentati in nessun modo l’Africa, l’America Latina, il sud ed il sud est asiatico è una cosa semplicemente ridicola e da sabato è chiaro che gli unici che tentano di ostacolare quello che è evidentemente ineluttabile, sono i rappresentanti di quel 20% scarso della popolazione globale che continuano a vivere in una bolla anacronistica tutta loro.

Il continuo richiamo da parte di tutte le organizzazioni multilaterali del sud globale alla riaffermazione dello spirito della carta delle Nazioni Unite ricorda molto da vicino il continuo richiamo delle forze popolari dell’Europa occidentale alle carte Costituzionali emanate dopo la seconda guerra mondiale.

D’altronde, sono i due lati della stessa medaglia. Le carte Costituzionali nazionali e la carta delle Nazioni Unite, nascono nel momento di massima affermazione della democrazia moderna, ed hanno lo stesso identico impianto concettuale. Cinquant’anni di controrivoluzione neoliberista le hanno trasformate entrambe in lettera morta. Compito delle forze realmente democratiche è riaffermarne lo spirito sia a livello dei singoli Paesi, sia su scala internazionale. Questa rivendicazione assume un significato ancora più urgente proprio oggi, mentre a New York si scaldano i motori per il principale evento annuale nell’agenda delle Nazioni Unite: l’assemblea generale che avrà inizio tra poche ore e dove sarà difficile riuscire a ottenere qualche risposta concreta: dei cinque Paesi del consiglio di sicurezza, soltanto i padroni di casa, gli USA, hanno garantito la partecipazione del presidente, che è anche il principale bersaglio delle critiche del G77.

“Rigettiamo tutti i tipi di misure economiche coercitive”, si legge nella dichiarazione dell’Havana, “a partire dalla sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo, per le quali chiediamo l’eliminazione immediata”.

Come dimostra in modo evidente questo grafico,

il ricorso allo strumento illegale dal punto di vista del diritto internazionale delle sanzioni economiche unilaterali negli ultimi anni è diventata una vera e propria barzelletta. Sostanzialmente ormai è sufficente non essere completamente allineati agli obiettivi strategici di Washington per vedersi applicare una qualche forma di sanzione, alla quale poi il resto del mondo è costretto ad adeguarsi. Se fino a qualche anno fa si cercava per lo meno di confondere un po’ le acque, tirando in ballo qualche fantomatica violazione dei diritti umani che vale sempre e solo per gli altri, ma che almeno fa dormire tranquilli i fintoprogressisti suprematisti delle ztl di tutto il nord globale, con l’acuirsi del conflitto tecnologico con la Cina ormai il Re è completamente nudo, e le sanzioni vengono utilizzate sistematicamente anche solo per ostacolare lo sviluppo economico altrui. Ed è proprio il contrasto a questo utilizzo arbitrario dello strumento delle sanzioni per impedire l’autonomia tecnologica della Cina e di tutto il sud globale, a nostro avviso, a rappresentare l’aspetto più importante della risoluzione dell’Havana.

I paesi del g77, schierandosi apertamente con la Cina nella guerra tecnologica a forza di sanzioni con l’impero USA, affermano infatti di rifiutare categoricamente “i monopoli tecnologici e altre pratiche sleali che ostacolano lo sviluppo tecnologico dei paesi in via di sviluppo. Gli Stati che detengono il monopolio e il dominio nell’ambiente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non dovrebbero utilizzare i progressi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione come strumenti per contenere e reprimere il legittimo sviluppo economico e tecnologico di altri Stati”

È la critica fondamentale al cuore pulsante del neocolonialismo. Durante la fase coloniale infatti i paesi del nord globale, e cioè i difensori della democrazia di sto cazzo riuniti oggi nel g7, hanno accumulato un vantaggio tecnologico enorme sul resto del pianeta attraverso il semplice esercizio della forza bruta. Quando il dislivello è diventato sufficentemente ampio, dalle politiche coloniali, che comunque comportavano anche una lunga serie di costi e di disagi, sono passati a quelle neocoloniali che consistono semplicemente nello sfruttare questo gap per impedire strutturalmente al sud globale di recuperare terreno. Fino a che il sud globale è totalmente dipendente tecnologicamente dai Paesi ricchi, si può anche far finta di essere per il libero mercato, che non fa che aumentare il vantaggio di partenza dei paesi più sviluppati. Con loro grande disappunto però c’è chi non è fatto infinocchiare, e quando ha messo a disposizione dei capitali stranieri la forza del suo stato, la manodopera a basso costo della sua popolazione e anche la salubrità del suo ambiente naturale, ha chiesto però una cosa in cambio: il trasferimento di tecnologia.

È esattamente quello che ha fatto la Cina. Col tempo, grazie a questo trasferimento iniziale di tecnologia, la Cina è stata in grado di ridurre il gap con l’Occidente, e quindi di guadagnare la sua indipendenza, che è esattamente quello che adesso chiedono di fare tutti i Paesi del sud globale, mutuando completamente da questo punto di vista il modello di sviluppo del dragone. Contro questa prospettiva, ecco allora che per il nord globale diventa prioritario ostacolare con ogni mezzo necessario la capacità del sud del mondo di emanciparsi tecnologicamente dai paesi più avanzati, anche a costo nell’immediato di rimetterci economicamente. Un po’ come succede anche con l’austerity: la priorità è mantenere i rapporti gerarchici di forza tra capitale e lavoro, e per riaffermare il dominio del capitale sul lavoro la stagnazione economica, se non addirittura la recessione, sono un costo che vale la pena affrontare. Per ostacolare l’autonomia tecnologica del sud globale, gli USA e i suoi vassalli non si limitano a introdurre sanzioni unilaterali contro la Cina, che è il competitor diretto, ma tentano di impedire a tutti gli altri di usufruire degli sviluppi tecnologici che la CIna ha già conseguito.

La gigantesca e ipercompetitiva capacità produttiva cinese infatti sta permettendo anche ai Paesi più poveri di cominciare a intraprendere la strada dello sviluppo tecnologico, ad esempio attraverso la infrastrutture di rete di Huawei.

Le sanzioni contro Huawei quindi hanno una doppia valenza: ostacolare il superamento della Cina come produttore di tecnologia da un lato e ostacolare i primi passi del resto del sud globale come acquirenti di tecnologia cinese. Una strategia che però forse non sta funzionando alla perfezione. Huawei ha continuato a sviluppare tecnologia autoctona colmando sempre più gap, prima con lo sviluppo di infrastrutture 5g e l’implementazione a livello industriale dell’intelligenza artificiale su una scala che l’Occidente manco si sogna, e ultimamente anche con i microchip. Dall’altro lato, l’atteggiamento punitivo e predatorio del nord globale non ha fatto che saldare ulteriormente l’alleanza tra la Cina e il resto del sud globale. La risoluzione dell’Havana è proprio il risultato di questo completo allineamento tra gli interessi di Paesi che nella realtà hanno livelli di sviluppo molto diversi tra loro.

“Ai paesi in via di sviluppo”, si legge infatti chiaramente nella risoluzione, “non dovrebbero essere imposte restrizioni all’accesso ai materiali, alle attrezzature e alla tecnologia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione al fine di mantenere uno sviluppo sostenibile”

Da questo punto di vista, il g77 dell’havana oltre ad essere un piccolo capolavoro diplomatico della Repubblica rivoluzionaria cubana, è un ulteriore capolavoro anche della diplomazia cinese, ed è anche una piccola speranza per la pace. Ultimamente, infatti, parlando della creazione di un nuovo ordine realmente multipolare, abbiamo posto l’accento sulla dedollarizzazione. Eppure di dollaro nella risoluzione non si parla. Si parla di riforma dell’architettura finanziaria e di democratizzazione delle istituzioni finanziarie globali, ma c’è una bella differenza. La democratizzazione delle istituzioni finanziarie, come la banca mondiale e il fondo monetario internazionale infatti, si riferiscono semplicemente a una maggiore rappresentanza del sud globale e a un uso meno predatorio dei finanziamenti allo sviluppo, che fino ad oggi sono stati utilizzati per imporre l’agenda della globalizzazione neoliberista in lungo e in largo. Ma a differenza della dedollarizzazione, queste riforme non rappresentano una minaccia esistenziale immediata per gli USA. La fine del dollaro come valuta di riserva globale infatti significa di per se la fine dell’imperialismo finanziario USA per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi cinquant’anni, che si fonda proprio sulla necessità da parte dei paesi esportatori di accumulare dollari come riserve, sotto forma di titoli di stato USA. Sostanzialmente obbliga tutto il Mondo che produce, a finanziare il debito crescente e anche le bolle speculative che sole giustificano questo livello di ricchezza in un Paese che ormai sostanzialmente produce poco o niente. Da questo punto di vista l’egemonia del dollaro per gli USA rappresenta una redline invalicabile, e la minaccia di un suo declino non può che spingere gli USA verso il conflitto, a prescindere da quali siano le possibili conseguenze, con buona pace del pacifismo più moralista e naif.

La riforma graduale delle istituzioni finanziarie multilaterali invece, ovviamente comporta un ulteriore spinta al graduale declino dell’egemonia USA, ma non una minaccia esistenziale. Aver spostato in questa fase il focus della rivolta del sud globale contro il vecchio ordine unipolare dalla dedollarizzazione alla guerra tecnologica, rappresenta quindi un importante gesto distensivo. La Cina e il sud globale sono convinti in questa fase di poter continuare a colmare il gap con il mondo sviluppato anche nell’ambito di un’architettura finanziaria globale ancora incentrata sul dollaro, proprio come d’altronde la Cina ha già fatto negli ultimi trent’anni, a patto però di rimuovere gli ostacoli introdotti per impedire il loro ulteriore sviluppo tecnologico. Il processo della dedollarizzazione è inarrestabile e nel frattempo proseguirà, ma il suo ritmo dipenderà anche molto dalle prossime mosse statunitensi: se continueranno ad utilizzare le sanzioni contro chiunque in modo sistematico, il processo si velocizzerà, se invece faranno un bagno di realtà e realizzeranno di non avere più il coltello dalla parte del manico, il processo potrebbe proseguire anche molto lentamente.

Da questo punto di vista, la risoluzione dell’Havana e il rafforzamento di un organo come quello del g77 non rappresentano soltanto una presa di coscienza della forza che il sud globale se davvero unito può avere e dei diritti che può rivendicare, ma anche la speranza, per quanto flebile, che questa unità possa allontanare lo spettro di una guerra totale che continua a sembrare allo stesso tempo tanto inconcepibile, quanto ineluttabile. Che questa dialettica fondamentale per il destino stesso dell’umanità non trovi minimamente spazio nel nostro ecosistema mediatico, a me non sapete quanto mi fa girare il cazzo!

Allo stesso tempo però mi fa anche credere che quello che stiamo provando a fare non è solo utile, ma necessario anche se, ovviamente, del tutto insufficiente.

Contro la putrescenza dei vecchi media, per raccontare il nuovo mondo che avanza, mai come adesso abbiamo bisogno di un nuovo media che stia dalla parte della pace e del 99%

aiutaci a costruirlo

aderisci alla campagna di sottoscrizione di ottolinatv su GoFundMe ( https://gofund.me/c17aa5e6 ) e su PayPal ( https://shorturl.at/knrCU )

e chi non aderisce è rimbambiden

Fonti:

Discorso del Presidente Cubano Díaz-Canel alla sessione inaugurale del G77+Cina: https://www.presidencia.gob.cu/es/presidencia/intervenciones/discurso-pronunciado-por-el-presidente-de-la-republica-en-la-sesion-inaugural-del-grupo-de-los-77-y-china/?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it

Relazione finale del G77+Cina: https://cubaminrex.cu/en/declaration-summit-heads-state-and-government-group-77-and-china-current-development-challenges

Tweet Roberto Saviano e Betty Pairol Quesada: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/cuba-cosi-saviano-ha-diffuso-una-clamorosa-fake-news-201809/?noamp=mobile

Grafico delle sanzioni: http://www.globalsanctionsdatabase.com/