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Tag: cina

Aggressioni negli asili cinesi: in Cina cresce il razzismo verso i giapponesi?

video a cura di Davide Martinotti

In questo video esploriamo un tema delicato e complesso: le aggressioni e gli attentati che avvengono in Cina nelle scuole e negli asili e il razzismo dei cinesi verso i giapponesi, rilanciato da un recente episodio di cronaca nera!

Come l’Unione europea ha distrutto le imprese italiane – ft. Vadim Bottoni

Torna ad Ottolina Tv Vadim Bottoni, economista, intervistato dal nostro Gabriele. Nell’intervista, a partire dalla questione dei dazi dell’Unione europea sulle auto cinesi, si cerca di sviluppare una riflessione attorno al concetto di deindustrializzazione e finanziarizzazione dell’economia. Si vede inoltre il processo di spostamento delle attività produttive dagli Stati europei oltreoceano, verso gli Stati Uniti d’America. Buona visione.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare!

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Guerre spaziali – Come USA e Cina si contendono lo spazio

Venerdì 5 luglio alle 17.00 durante il panel  La Guerra Tecnologica con Vincenzo Lia e Giampiero Contestabile parleremo di come la Cina stia tentando di superare gli Usa nella tecnologia dei chip. Il giorno dopo, il 6 luglio sempre alle17.00 e sempre con Vincenzo Lia e Massimiliano Romanello discuteremo di come le grandi potenze si stanno contendendo la supremazia nello spazio.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare!

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Preoccupazioni cinesi per il viaggio di Putin in Corea del Nord e Vietnam?

video a cura di Davide Martinotti

La settimana scorsa c’è stato il viaggio di Putin in Corea del Nord e in Vietnam, un viaggio piuttosto interessante visto da Pechino, dal quale potranno derivare conseguenze favorevoli ma anche sfavorevoli per la Cina. Ne parliamo in questo video!

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Il golpe militare in Israele – ft. Alberto Fazolo

In Israele arrivano i colonnelli? Oggi torna, per il consueto appuntamento del sabato mattina attorno al mondo, Alberto Fazolo intervistato dal nostro Gabriele Germani. Gli argomenti affrontanti sono il fallimento della conferenza di pace in Svizzera, la controproposta di pace presentata da Putin e quella in sei punti presentata da Brasile e Cina, la visita di Putin in Corea del Nord e Vietnam, il processo di dedollarizzazione in atto nel mondo e simboleggiato dalle recenti azioni dell’Arabia Saudita e, infine, lo scontro istituzionale all’interno di Israele, dove l’esercito ha sconfessato le parole del governo. Uno scenario complesso e in cui tenteremo di fare maggiore chiarezza. Buona visione!

#Svizzera #Pace #Russia #G7 #BRICS #Cina #Ucraina #Libano #Israele #golpe #Hamas #Hezbollah

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Il Vietnam con Putin spezza il cuore di Biden mentre gli USA preparano la guerra dei droni alla Cina

E meno male che il Vietnam era il grande alleato regionale dell’impero contro i campioni del nuovo ordine multipolare… L’accoglienza riservata a Putin ad Hanoi distrugge il wishful thinking della narrazione imperialista e segna un passo avanti fondamentale nell’affermazione di un nuovo ordine multipolare in Asia, mentre a Washington si divertono a giocare con gli aeroplanini telecomandati.

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Putin va in Corea del Nord e Vietnam: l’Asse della resistenza alla riscossa- ft. Giulio Chinappi

Oggi i nostri Clara e Gabriele hanno intervistato Giulio Chinappi dal Vietnam per parlare dell’odierna visita di Putin in Corea del Nord e Vietnam. Il viaggio diplomatico è foriero di molti accordi: dal petrolio alle armi fino alla mutua difesa tra Russia e Corea del Nord in caso di conflitto militare. Sullo sfondo il gigante cinese e l’importanza strategica del Mar Cinese Meridionale per permettere a Pechino di aggirare un eventuale blocco navale nell’area organizzato dagli USA, con la complicità degli alleati locali (Filippine, Taiwan, Giappone e Corea del Sud). L’alternativa c’è ed esiste già: la Siberia, in cui Pechino e Mosca sono saldamente intenzionate a collaborare, e la costa siberiana che affaccia sull’Oceano Pacifico, fino alla rotta artica della Via della Seta sempre più favorita dallo scioglimento dei ghiacci. Buona visione!

#Putin #CoreadelNord #Vietnam #Asia #Cina #BRICS

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Contro Limes; il turbo-atlantismo è nel nostro interesse nazionale?

La rivista di geopolitica Limes ha recentemente ufficializzato una propria proposta strategica per l’Italia: nel numero “Una certa idea d’Italia”, il direttore Lucio Caracciolo e l’analista Federico Petroni, sicuramente mossi solo dal nobile intento di invertire il nostro declino geopolitico e tornare ad essere protagonisti nelle nostre potenziali aree di influenza, scrivono che l’Italia dovrebbe stipulare un nuovo accordo bilaterale con Gli Stati Uniti, dando vita da una sorta di rapporto speciale tra i due paesi che ci legherebbe ancora più saldamente all’agenda strategica e al comparto militare industriale americano in cambio di una loro maggiore copertura militare e al supporto ai nostri interessi nazionali nella regione mediterranea: “Un accordo bilaterale speciale con gli Stati Uniti” si legge nell’editoriale “[…ri]costituente della nostra pressoché nulla deterrenza, onde anticipare guerre da cui saremmo sopraffatti”. Il ragionamento è questo: visto che, volenti o nolenti, siamo provincie del loro impero e da Washington hanno deciso che la Russia e la Cina devono essere trattati come nemici dell’Occidente, l’unica cosa che possiamo fare noi per salvarci è invocare ancora maggiore dipendenza strategica dall’America in cambio di una maggiore copertura e di un po’ più di autonomia tattica nel Mediterraneo, una regione comunque secondaria nel conflitto tra USA, Russia e Cina che potrebbe permetterci di battere la concorrenza di nostri competitor regionali agguerriti come la Francia e la Turchia. L’idea è, insomma, che potremmo sfruttare meglio di quanto non stiamo facendo il nostro comunque inemendabile status di nazione occupata per portare avanti i nostri interessi nazionali nel nostro estero vicino; come vedremo in questa puntata, quella di Limes, per quanto ragionata e argomentata , appare una proposta miope da tanti punti di vista. E su La Fionda è uscito un interessantissimo articolo di Mimmo Porcaro, Il limite di Limes e il nostro, che analizza nel dettaglio la proposta della rivista del gruppo Gedi facendone emergere tutte le contraddizioni e avanzando un’altra possibile proposta strategica che si pone, invece, come chiaro obiettivo non la rassegnazione alla sudditanza – che è anche quanto di più lontano dal nostro interesse nazionale -, ma la lotta per la riconquista di una sovranità popolare e democratica e di una politica estera finalmente all’altezza della nostra storia e di questo compito.

Mimmo Porcaro

Come sottolinea giustamente Porcaro nell’articolo de La Fionda, Limes è un importante riferimento culturale per chi si occupa di geopolitica in Italia e per quanto riguarda gli articoli dedicati al nostro paese dà spesso voce ad interventi assai condivisibili che cercano di comprendere le cause strutturali del nostro declino e di indicare obiettivi politici realistici per invertire la tendenza: dalla ridiscussione dell’euro alla reindustrializzazione del paese, al rafforzamento dell’unità contro la frammentazione regionalistica, alle politiche demografiche, alla politica scolastica, alla gestione dell’immigrazione, ecc. Il pezzo forte dell’ultimo numero dedicato all’Italia, però, riguarda la politica estera e la collocazione del nostro paese nel grande conflitto geopolitico in atto – quella che a Limes piace chiamare La guerra grande – e sia nell’editoriale di Caracciolo che nell’articolo di Federico Petroni leggiamo, in sintesi, questo ragionamento: dato che il problema principale degli Stati Uniti è la Cina e che Washington non può più controllare tutte le aree critiche del pianeta e dato che una difesa comune europea è una prospettiva più mitologica che politica, l’Italia, per non rimanere indifesa, dovrebbe operare in stretta connessione con gli Stati Uniti una particolare funzione di controllo e sedazione delle crisi mediterranee anche grazie ad una integrazione crescente della nostra industria militare in quella nordamericana. Insomma: in questo clima di guerra degli Usa nei confronti di Russia e Cina che vedrà come area di conflitto anche il Mediterraneo (anche se solo come area secondaria), l’Italia deve ribadire con ancora più forza il proprio allineamento e la propria fedeltà al blocco atlantico svolgendo il ruolo di unico vero campione degli interessi americani nel mare nostrum, così da sfruttare questo rapporto privilegiato con il padrone a scapito, magari, delle altre potenze regionali vicine. Come sottolinea giustamente Porcaro, nonostante venga presentata come unica opzione possibile per assicurarci un ruolo di maggiore autonomia e potenza del paese nel nostro estero vicino, questa tesi deve essere respinta con decisione: “Prima di tutto” scrive Porcaro, per “anticipare guerre da cui saremmo sopraffatti ci si getta in quello che è riconosciuto, anche da Limes, come uno spazio altamente conflittuale strettamente connesso alla guerra d’Ucraina. Seconda linea, sì: ma le seconde linee fanno presto a diventare prime o, comunque, a confondersi con esse, soprattutto quando passano da luoghi che, come il Mediterraneo, sono centrali per i flussi militari, energetici e commerciali.”
Uno dei problemi fondamentali di questa proposta, insomma, è che non siamo agli inizi degli anni 2000 e nemmeno a 10 anni fa, quando la pax americana ancora grossomodo reggeva e la guerra grande non era ancora cominciata: “Se gli Stati Uniti allentano la presa diretta sul Mediterraneo” continua Porcaro “non è per rattrappirsi a casa propria, ma per meglio affrontare il conflitto con la Cina, cosa che avrà pesanti contro-effetti nel Mediterraneo stesso”. Auspicare di prendere parte ad un conflitto mondiale potenzialmente devastante schierandosi, senza se e senza ma, con una delle due parti in causa non sembra – a dirla tutta – una strategia granché lungimirante e spacciarla per mero realismo politico e interesse nazionale appare addirittura irrazionale e contraddittorio; come spiega Porcaro, infatti, la tendenza in America a risolvere manu militari lo scontro con la Cina è molto più forte di quello che traspare dagli articoli di analisti statunitensi, quasi sempre moderati e realisti, ospitati dalla rivista. Come diciamo poi spesso ad Ottolina, più che politico-culturale, è una questione strutturale: il capitalismo finanziario americano può sopravvivere in questa forma e con questa costante crescita solo attraverso l’egemonia espansionistica militare degli USA a scapito del resto del mondo; un nuovo ordine multipolare o policentrico implicherebbe, invece, un’inevitabile implosione delle proprie bolle finanziarie, scenario molto più apocalittico per le oligarchie economiche americane rispetto ad una guerra, magari lontana dal proprio territorio, contro le altre superpotenze. “Il nodo essenziale è questo” scrive Porcaro: “per quanto il pensiero realista e moderato sia sempre stato presente, e influente, negli Stati Uniti, esso non è mai stato veramente egemone e a nostro parere ciò è dovuto anche al fatto che negli Stati Uniti mancano quelle condizioni strutturali che potrebbero consentire ad alcuni apparati di stato di esercitare un’autonomia relativa rispetto alle tendenze espansioniste del capitale (e del plesso militare-industriale). E mancano perché il sistema decisionale di Washington non risente semplicemente della pressione esterna delle varie lobby, ma dell’interna presenza di decisori che provengono direttamente, per la gran parte, dal mondo del capitalismo”; indipendentemente da Clinton, Bush od Obama, sono stati questi gli agenti economico/politici che hanno guidato per decenni la strategia nordamericana dell’open door, ossia del libero mercato mondiale inteso come penetrazione economica degli USA nel resto del mondo, in prima istanza grazie agli investimenti, ma sempre sotto la tutela delle armi.
E anche il recente protezionismo di Trump e di Biden, con annessa maggiore aggressività economica e militare nei confronti dei paesi non allineati, non è che un aggiornamento della politica imperialista del capitale alla luce della ormai ingestibile capacità economico-industriale cinese: “Stando così le cose” conclude il ragionamento Porcaro “stabilire una relazione speciale con gli Stati Uniti per evitare la guerra, o quantomeno per condurne una a bassissima intensità, è come affidarsi al diavolo per evitare il peccato. La predominante tendenza alla guerra è insita nella struttura degli apparati decisionali statunitensi ed è tale da spingere (anche grazie a una religiosità che legittima l’idea del popolo eletto) a comportamenti potenzialmente controproducenti”; affidarsi, insomma, completamente al popolo eletto – subordinando, oltretutto, ad esso in maniera quasi irreversibile la nostra industria militare – potrebbe non essere una scelta molto saggia in quanto non se ne ricaverebbe affatto una maggiore autonomia, sovranità e profondità strategica, ma soltanto un collaborazionismo ancora più servile e autolesionistico ad una potenza strutturalmente guerrafondaia pronta a sacrificarci senza troppi problemi qualora questo giovasse al loro interesse nazionale e magari, chissà, come estrema ratio a trascinarci negli inferi insieme a lei. Una proposta quindi paradossale, tanto che anche Petroni, nel suo articolo Per una relazione speciale con gli Stati Uniti, sottolinea come gli italiani non avrebbero alcun interesse a fare la guerra alla Russia e alla Cina e come la nostra idea di Occidente sostanzialmente fatto e finito e quella americana, in costante imperialistica espansione, non coincidano affatto: “A tutto voler concedere” scrive Porcaro “la proposta che qui discutiamo potrebbe essere interpretata anche come punto d’incontro tra un massimo di realismo e un massimo di tutela dell’interesse del paese. Il (prudentemente) sottaciuto ragionamento di Limes potrebbe essere il seguente: siccome in ogni caso un’alleanza particolare con gli Stati Uniti è al momento inevitabile, tanto vale proporla come nostra scelta autonoma, e quindi sottoporla a determinate condizioni, quali una certa libertà di manovra e magari la ridiscussione del pericoloso trattato (segreto) del 1954 sull’utilizzo delle basi americane presenti nel nostro territorio. Ma anche una simile finezza geopolitica sarebbe destituita di fondamento, per gli stessi motivi generali di cui si è detto prima” e cioè che, ripetiamo, è finita l’epoca in cui il massimo pericolo per l’Italia era la concorrenza nel Mediterraneo di altre potenze NATO, come Grecia o Francia e Turchia, e lo strapotere economico tedesco nell’area euro da cercare di bilanciare in qualche modo, ma siamo nell’epoca, come Limes riconosce, della guerra grande e, cioè, in una fase in cui la nostra potenza occupante e l’imperiale di riferimento si è resa conto che per mantenere la propria egemonia non può che fare la guerra ai propri nemici, a loro volta armati di bombe atomiche. La maggiore indipendenza ventilata da questo rapporto speciale sarebbe quindi solo un’illusione anche perché, come scrive Porcaro, “In guerra le pretese dell’egemone si rafforzano, limitando le manovre dell’alleato e rendendo addirittura possibile una riforma in peius degli accordi che si vorrebbero modificare.” Insomma: in questa impossibilità a staccarsi (forse sentimentalmente) dagli Stati Uniti sta tutto il limite della pur notevole impresa culturale di Limes e del suo tentativo di mettere comunque sempre in primo piano l’interesse nazionale.
Pur senza fare i conti in tasca alla rivista e concedendo un’assoluta indipendenza e onestà intellettuale al progetto editoriale, è chiaro che, per qualche motivo, manca il coraggio di porre come prospettiva di medio-lungo periodo una ritrovata sovranità democratica del nostro paese, che pure è l’unica prospettiva che coincide veramente con il nostro interesse nazionale; come raggiungere questo obiettivo? Questa è la domanda che ci dobbiamo fare e su cui Limes dovrebbe maggiormente discutere: rispetto a questo obiettivo strategico di medio-lungo periodo, tutto il resto è tattica e strategia e, magari, anche stipulare dei nuovi accordi di vassallaggio con gli Stati Uniti in determinate circostanze potrebbe avere senso, ma queste circostanze oggi ci dicono l’esatto opposto e, quindi, di questo collaborazionismo implicito (spacciato per disincantato realismo) non abbiamo davvero più bisogno. “Per Limes infatti” scrive Porcaro (e questo è, per quanto qui ci riguarda, il suo limite principale) “l’interesse nazionale italiano coincide con l’alleanza atlantica: la rivista non definisce in maniera indipendente l’interesse del paese per poi mediarlo, inevitabilmente, coi rapporti di forza, ma dice fin da subito che la relazione con Washington è parte integrante di tale interesse. Affermazione mesta, ma tutto sommato relativamente poco nociva in epoca di globalizzazione ascendente, tragica nell’epoca di guerra che anche Limes sa essere stata inaugurata proprio dal paese a cui proponiamo una special partnership che dalla guerra ci salvi”. “Ma noi cosa proponiamo?” si chiede infine Porcaro, intendendo con “noi” tutti coloro che rivendicano il nesso tra sovranità nazionale e democrazia e non si fanno attrarre da qualche snobistica prospettiva pseudo-realista; quando si passa alle proposte alternative concrete, spesso tra questi “noi” ci si limita agli slogan – fuori dalla NATO, fuori dall’euro – e non sappiamo andare oltre la pur giusta visione di un nuovo equilibrio multipolare. Ma quale posto spetterebbe all’Italia in questo nuovo equilibrio? E come fare a raggiungerlo? “Vogliamo essere l’estrema propaggine di un blocco occidentale, oppure di un blocco BRICS?” si domanda Porcaro; “Vogliamo far parte di un autonomo blocco europeo o mediterraneo? Oppure auspichiamo che gli eventi ci consegnino un ruolo di battitore libero consentendoci di lucrare dagli uni e dagli altri? Probabilmente l’incapacità di rispondere a questa domanda è uno dei motivi dell’attuale debolezza politica delle nostre posizioni.”
Tra gli obiettivi di Ottolina Tv c’è senz’altro quello di stimolare un dibattito serio e ragionato che possa superare tanto il collaborazionismo implicito di Limes quanto gli slogan di protesta privi di contenuto e chiarire le possibili prospettive strategiche alternative per il nostro paese. Per prima cosa, ragiona Porcaro, i principi guida dovrebbero essere due: “1) l’Italia non deve essere la periferia di qualche polo, ossia non deve essere sulla linea di confine, che diviene troppo facilmente linea di tiro, ma deve avere una posizione centrale e neutrale; 2) l’Italia deve far parte di un polo che le consenta il massimo di potere decisionale possibile. Dati questi principi, sono da scartare sia l’ipotesi dell’esser parte di un grande blocco atlantico sia quella opposta: in entrambi i casi saremmo sulla linea di tiro, in entrambi i casi il nostro potere di condizionamento delle decisioni del polo sarebbe minimale.” Nelle condizioni attuali, un pur affascinante polo mediterraneo appare irrealizzabile o, quantomeno, non è più perseguibile come strategia principale: “Il Mediterraneo si è fatto assai più affollato (e difficile) e noi ci siamo fatti assai più deboli, economicamente e politicamente (il piano Mattei senza la potenza dell’industria di Stato e senza una pur relativa autonomia da Washington è pura caricatura): un accesso parzialmente influente al Mediterraneo, al momento, ci sarebbe possibile soltanto nelle forme della “relazione speciale” con gli Stati Uniti già criticata sopra”; cosa resta quindi, conclude Porcaro? “Resta la prospettiva di un’alleanza economico-politica fra paesi europei, un’alleanza che nasca sulle ceneri dell’Unione europea o che comunque vada de facto oltre l’Unione e oltre l’euro e si basi sulla neutralità e sul ripudio del liberismo. Un’alleanza a cui l’Italia apporterebbe il proprio peso economico comunque ancora significativo, la propria proiezione mediterranea (che, allora sì, dall’alleanza sarebbe rafforzata e quindi di nuovo possibile al meglio), la valenza politica del proprio smarcarsi dagli Stati Uniti”. Quello che rimane da chiarire in questa condivisibile suggestione strategica di Porcaro è, però, cosa si intende con alleanza europea e soprattutto quali Stati ne dovrebbero fare parte: si intende un un’improbabile nuova alleanza tra i 27 Stati membri dell’Unione europea? Oppure – cosa forse più verosimile e gestibile – un nucleo europeo composto dagli Stati occidentali? Rispetto a questa condivisibile proposta strategica, benché ancora tutta da definire, si pongono allora allora due questioni primarie: “Quanto alla prima questione bisogna evitare equivoci: un blocco europeo come quello che abbiamo ipotizzato è totalmente contrario alla logica geopolitica ed economica che sottostà alla attuale Unione europea. Non nasce per rafforzare l’atlantismo, ma per decretarne la fine. Non riduce la politica a serva dell’economia, ma la rimette al posto di comando. Quel blocco non si realizza quindi come prosecuzione dell’esperienza attuale, come suo approfondimento in direzione dei famosi Stati Uniti d’Europa, ma come inversione di marcia: come rapporto fra stati sovrani fondato su una scelta politica di autonomia strategica. L’idea è che proprio perché abbiamo bisogno di un’alleanza economico-politica orientata alla neutralità, al controllo dei capitali e alle politiche espansive, proprio per questo dobbiamo superare le attuali istituzioni comunitarie invece di renderle più cogenti ed unitarie”. Quanto alla seconda questione, ricorda Porcaro, bisogna sempre ricordare che in politica e, soprattutto, in politica estera, si raggiunge lo scopo prefissato solo attraverso infinite mediazioni e svolte tattiche; pertanto, per quanto riguarda questa nuova alleanza europea, l’idea di questo spazio può essere costretta a fare alcuni passi avanti anche dentro la cornice della NATO e dell’Unione europea “ad esempio costruendo una coalizione anti-escalation all’interno della prima e forzando con decisioni intergovernative ad hoc i peggiori vincoli economici della seconda. Lo stesso superamento dell’euro può conoscere diverse forme, alcune anche momentaneamente interne all’Unione”.
Insomma: la chiarezza negli obiettivi strategici di medio-lungo periodo, fondamentali per la sopravvivenza della Nazione e quindi per il recupero della sovranità democratica, deve essere la premessa fondamentale per orientare la nostra azione politica; i piani e le svolte tattiche che saremo costretti a valutare per raggiungerli sono, in parte, imprevedibili. Quello che è sicuro è che di alcune posizioni servili e, nella sostanza, antinazionali (anche quando fatte con buona fede) sono oggi, per tutto quello che abbiamo detto, francamente irricevibili. E se anche vuoi contribuire a costruire un media veramente libero e indipendente che si occupi di proposte strategiche nazionali e in vista dell’emancipazione del 99 per cento, aderisci alla campagna di sottoscrizioni di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è John Elkann

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Reuters rivela la campagna di disinformazione del Pentagono (nel silenzio totale dei media italiani)

C’è una notizia di venerdì scorso di Reuters che è passata piuttosto inosservata e cioè il fatto che l’esercito americano avrebbe lanciato una campagna di disinformazione nell’estate del 2020. Uso di utenti falsi, bot, intelligenza artificiale e notizie false verso un paese alleato al centro di una emergenza… Ne parliamo in questo video!

L’inchiesta di Reuters di giugno: https://www.reuters.com/investigates/…

L’inchiesta di Reuters di marzo: https://www.reuters.com/world/us/trum…

La ricerca della Stanford University: https://stacks.stanford.edu/file/drui…

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Il Regime USA viola i diritti umani – Il rapporto cinese che imbarazza Washington

Il governo degli Stati Uniti sta sistematicamente violando i diritti umani dei propri cittadini: razzismo, condizioni disumane nelle carceri, violazione dei diritti di donne e bambini e discriminazione dei migranti; per questo, Ottolina Tv ha ufficialmente chiesto alla comunità internazionale di imporre severe sanzioni economiche contro il governo di Washington e, qualora queste non portassero nel breve termine a un cambio ai vertici del potere, di valutare un intervento militare diretto volto a far cadere l’attuale regime liberticida e a ristabilire la democrazia e lo stato di diritto nel Paese. E se anche tu vuoi sostenere questo nostro appello rivolto alle democrazie di tutto il mondo, basta iscriversi al nostro canale Youtube e a tutti i nostri canali social. Scherzi a parte, dopo i numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch sulla violazione dei diritti umani universali negli Stati Uniti, anche il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha deciso di fare le pulci alla politica interna del regime dei doppi standard e, in questi giorni, ha pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani negli Usa nel 2023; in questo clima di crescente propaganda anticinese, infatti, che – a forza di menzogne e fake news – sta cercando di convincerci che ci sarà presto bisogno di una nuova crociata in nome della democrazia e della libertà per difenderci contro il malvagio e dittatoriale governo cinese, Pechino, da qualche anno, ha deciso di passare al contrattacco e ormai ogni anno pubblica un rapporto di una trentina di pagine su tutte le violazioni dei diritti che i cittadini americani sono costretti a subire dal proprio regime. In maniera molto intelligente, per prevenire possibili accuse di parzialità rispetto ai dati e ai numeri riportati il rapporto cinese cita solamente risultati di ricerche svolte da università americane e organizzazioni occidentali: quello che emerge è che non solo, come noto a tutti, i diritti sociali universali – come quello all’istruzione, alle cure e alla casa – sono sistematicamente violati dal governo capitalista americano contravvenendo così, nel silenzio generale, agli articoli dal 22 al 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, ma anche per quanto riguarda i diritti civili e politici, di cui (pure nel nostro immaginario di sudditi) gli Stati Uniti sarebbero i massimi difensori quando non i legittimi esportatori, la situazione è drammatica.
Lo Stato leader dell’Occidente e dei valori democratici infatti, a causa della sua struttura economico-politica sempre più oligarchica e imperialista, preferisce spendere centinaia di miliardi di dollari per mantenere la propria egemonia in Europa orientale e in Medio Oriente o per finanziare le proprie basi militari sparse per il pianeta piuttosto che prendersi cura del benessere materiale dei propri cittadini e tutelarne i diritti sociali e civili. Questo fatto elementare, che è chiaro ed evidente a tutto il mondo e da cui tutto il mondo sta traendo le sue conseguenze, qui da noi non è chiaro per nulla: in Italia, ad esempio, dosi da cavallo di propaganda collaborazionista riesce a farlo passare come qualcosa di cui si sa, ma che è sostanzialmente irrilevante, e continuiamo a parlare del regime americano come di un baluardo di libertà e democrazia. Come avrete notato, difficilmente a Ottolina Tv mettiamo becco negli affari interni degli altri Stati; in questa fase di massima aggressività dell’imperialismo – anche culturale – nei confronti di ciò che non è allineato ai nostri canoni, andare in giro con il ditino alzato a giudicare quella o quell’altra comunità per i suoi valori, le sue tradizioni o per come viene regolato il rapporto tra l’individuo e lo Stato, non ci interessa; per quanto ci riguarda, infatti, le nazioni dovrebbero avere tutte pari dignità e sovranità nei consessi internazionali indipendentemente dai loro regimi politici interni e, a meno che non si mettano a bombardare altri popoli o a cercare di esportare il proprio modello con la forza, tutte le collettività devono essere libere di esprimere in base alla propria storia e sensibilità le istituzioni politiche e giuridiche che preferiscono. La regola aurea, insomma, di un rinnovato diritto internazionale e di una rinnovata cultura anti-imperialista, oltre alla solidarietà dovrebbe essere grossomodo quella che ciò che fanno gli altri a casa loro sono, sostanzialmente, fatti loro. Nel caso della violazione dei diritti umani negli Stati Uniti, però, purtroppo la cosa ci riguarda direttamente: in quanto poco più che province del loro impero, infatti, stiamo da tempo importando con le buone o con le cattive la loro mentalità e le loro forme politiche ed economiche; e, infatti, l’ideologia dominante in Italia vuole che, per diventare pienamente moderni, gli italiani e gli europei dovrebbero americanizzarsi il più possibile. Ancora nel 2014, alla Stampa, nientepopodimeno che Walter Veltroni dichiarava che, per progredire e svilupparsi, il sistema politico italiano sarebbe dovuto diventare più anglosassone; a causa di tutto questo, purtroppo, quello che fanno negli USA anche in tema di diritti civili ci riguarda eccome e siamo chiamati a valutarlo e giudicarlo politicamente. Il rapporto del governo cinese è inquietante e se volessimo ripagare gli americani con la loro stessa moneta, invocheremmo guerre umanitarie e bombe democratiche sul paese per ristabilire il pieno rispetto diritti umani e della dignità della persona, ma (per fortuna) noi non siamo come loro, perché a diventare più anglosassoni proprio non ci vogliamo rassegnare.
Come c’era da aspettarsi, dell’ultimo rapporto della Repubblica Popolare Cinese sulla violazione dei diritti umani in America non ha parlato praticamente nessuno con poche meritevoli eccezioni: Centro studi Eurasia- Mediterrano e Marx 21, che hanno ripubblicato anche la versione tradotta in italiano. Quella cinese è un’operazione politica e propagandistica intelligente: utilizza i criteri politici occidentali – tutti incentrati, ormai da decenni, solo sui diritti umani intesi (non si sa perché) solo come diritti civili – proprio per dimostrare come quella che, nel nostro immaginario, è la società occidentale per eccellenza i diritti civili sia la prima violarli; obnubilati dalla vostra propaganda siete convinti che la Cina sia il regno della violazione delle libertà e dei diritti umani? Bene. Allora vi dimostriamo che la vostra nazione leader fa quantomeno altrettanto. Ma non c’è solo questo, perché già l’incipit del rapporto è molto interessante e dimostra come, da una sana prospettiva socialista, anche i cosiddetti diritti civili, per non restare un qualcosa di meramente astratto e sulla carta per la maggior parte delle persone, possono essere realizzati solo in un contesto economico politico giusto e redistributivo. Nelle società a capitalismo avanzato come gli USA, invece, anche i diritti civili – come, naturalmente, quelli sociali – diventano pura retorica e vuote chiacchiere in quanto, nella sostanza delle cose, diventano possesso esclusivo di una cerchia sempre più ristretta di persone (quella più ricca): “La situazione dei diritti umani negli Stati Uniti ha continuato a peggiorare nel 2023” si legge nella prefazione; “Negli Stati Uniti, i diritti umani stanno diventando sempre più polarizzati. Mentre una minoranza al potere detiene il dominio politico, economico e sociale, la maggioranza della gente comune è sempre più emarginata e i suoi diritti e le sue libertà fondamentali vengono ignorati.” E, a questo punto, si parte con gli esempi e con i dati.
La prima piaga sociale menzionata è quella delle vittime delle armi da fuoco: “I dati mostrano che negli Stati Uniti sono in aumento tutti i tipi di violenza armata. Secondo il Gun Violence Archive, nel 2023 negli Stati Uniti si sono verificate almeno 654 sparatorie di massa. La violenza armata è responsabile di quasi 43.000 morti, una media di 117 al giorno”; come sottolinea giustamente il rapporto, la stragrande maggioranza degli americani vorrebbe leggi più severe sul controllo delle armi e, tuttavia, i politici americani ignorano la richiesta della propria popolazione in quanto ostaggi delle lobby delle armi e dei cartelli oligarchici di cui fanno parte. Sempre sul tema delle morti violente, il rapporto cita poi i decessi dovuti alle brutalità della polizia che hanno raggiunto, nel 2023, un livello record: “Secondo Mapping Police Violence, l’anno scorso la polizia negli Stati Uniti ha ucciso almeno 1.247 persone, circa 3 persone al giorno”. Un problema ancora più grave e strutturale riguarda, però, la popolazione carceraria: “Gli Stati Uniti ospitano il 5% della popolazione mondiale, ma ospitano il 25% dei prigionieri del mondo, il che li rende il Paese con il più alto tasso di carcerazione e il maggior numero di individui incarcerati a livello globale”. Per non parlare del razzismo, altro problema strutturale – come sottolinea giustamente il rapporto – mai veramente risolto; ad esempio, uno studio pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite nel 2023 ha rivelato che i tassi di mortalità materna tra gli afroamericani erano più alti rispetto a quelli di tutte le altre etnie a causa del razzismo sistemico nel sistema sanitario: “Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, 69,9 donne incinte di origine africana su 100.000 muoiono durante la gravidanza o il parto, quasi tre volte il tasso delle donne bianche, e questa disparità è prevalente tra le donne afroamericane con livelli di istruzione e reddito più bassi”. Anche i neonati afroamericani hanno il tasso di mortalità più alto di qualsiasi altro gruppo etnico, con quasi 11 decessi ogni 1.000, circa il doppio del tasso medio.
E in questo clima di crescente sinofobia, causato dall’atteggiamento sempre più ostile delle oligarchie americane nei confronti di Pechino, anche la discriminazione nei confronti degli asiatici non poteva che intensificarsi: “Un sondaggio pubblicato il 27 aprile 2023 dalla School of Social Work and Committee della Columbia University” scrivono gli autori del rapporto “ha mostrato che quasi tre quarti dei cinesi americani avevano subito discriminazioni razziali nell’ultimo anno e il 55% temeva che i crimini d’odio o le molestie avrebbero potuto mettere a repentaglio la loro sicurezza personale”; alla dogana, afferma il report, gli studenti cinesi che studiano negli Stati Uniti stanno subendo sempre più spesso controlli e pressioni al limite della violenza psicologica. Per quanto riguarda i diritti delle donne e dei bambini, gli Stati Uniti hanno il tasso di mortalità materna più alto tra i paesi industrializzati: “Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of American Medical Association nel luglio 2023, il numero di persone che muoiono per cause legate alla gravidanza negli Stati Uniti è più che raddoppiato negli ultimi 20 anni. Il problema è che più di 2,2 milioni di donne statunitensi in età fertile non hanno accesso alle cure ostetriche e altri 4,8 milioni vivono in contee con accesso limitato alle cure di maternità”. Anche la discriminazione di genere, come ad esempio quella sul posto di lavoro, è dilagante: secondo un rapporto del Times dell’8 agosto 2023, riportato nel documento del governo cinese, “Il divario salariale tra uomini e donne continua ad ampliarsi, dal 20,3 % nel 2019 al 22,2 % nel 2022”. Per fortuna, almeno la ricchezza, negli ultimi anni, è stata maggiormente distribuita e la forbice tra ricchi e poveri si è ridotta. Scherzo: “Il divario tra ricchi e poveri si è ulteriormente ampliato” si legge nel rapporto; “Il divario ha raggiunto il livello peggiore dalla Grande Depressione del 1929. Secondo i dati diffusi da Statistics il 3 novembre 2023, il tasso di povertà negli Stati Uniti nel 2022 ha raggiunto l’11,5%”. Nel terzo trimestre del 2023, il 66,6% della ricchezza totale negli Stati Uniti era posseduto dal 10% dei percettori di reddito più ricchi; l’accumulo di ricchezza e la ridotta mobilità sociale nella società americana, conclude il rapporto (a questo proposito con una certa lucidità politica), “sono radicati in un triplice disegno istituzionale: sfruttare i poveri, sovvenzionare i ricchi e segregare le classi”.
Attualmente, mentre decine di miliardi di dollari vengono mandati al governo israeliano per poter compiere una pulizia etnica a Gaza, anche le famiglie a basso reddito americane riescono a malapena a soddisfare i loro bisogni primari: “Poiché i prezzi delle materie prime negli Stati Uniti nel 2023 rimangono elevati, insieme al peso dei continui aumenti dei tassi di interesse, il costo della vita degli americani continua ad aumentare da diversi anni. Secondo l’indice dei prezzi al consumo del Bureau of Labor Statistics, un dollaro nel 2023 può acquistare circa il 70% di ciò che avrebbe potuto acquistare nel 2009”; e secondo un rapporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2022 quasi il 13% delle famiglie americane soffriva di insicurezza alimentare. Anche il numero dei senzatetto è al livello più alto da 16 anni: “Secondo un rapporto pubblicato dal Dipartimento statunitense per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano il 15 dicembre 2023, il numero di senzatetto negli Stati Uniti in questa fase supera i 650.000, il più alto dall’inizio della segnalazione nel 2007” e, come viene giustamente ricordato nel rapporto, la legislazione USA nei confronti dei senzatetto è tra le più severe al mondo; i loro diritti umani basilari vengono costantemente violati e “Questa violazione dei diritti umani fondamentali dei senzatetto negli Stati Uniti è stata ampiamente criticata. Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha esortato gli Stati Uniti ad abolire le leggi e le politiche che criminalizzano i senzatetto a tutti i livelli e ad adottare misure legislative e di altro tipo che ne tutelino i diritti umani”. In un contesto sociale del genere – davvero paradossale se si pensa che l’attuale ricchezza nazionale americana potrebbe garantire sicurezza e benessere sociale a tutti i proprio cittadini per generazioni e generazioni a venire – i tassi di suicidio non potevano che aumentare: “Secondo un rapporto pubblicato il 29 novembre 2023 dal sito web USA Today, il tasso di suicidio tra gli americani è aumentato costantemente negli ultimi decenni. Il tasso di suicidio per 100.000 persone nel 2022 è stato di 14,3, il più alto dal 1941”. E anche la credibilità del governo di fronte ai propri cittadini continua a diminuire: “Secondo i dati dell’indagine del Pew Research Center, la fiducia del pubblico americano nel governo è vicina ai minimi storici e, nel 2023, si è attestata al 16%”.
Che ci sia Trump o Biden, il regime oligarchico e imperialista americano è sostanzialmente disprezzato e delegittimato agli occhi dei propri cittadini che non vivendo, però, in un regime democratico, non sono in grado di cambiare le cose; e per quanto stiano cercando di convincerli che i loro problemi si chiamano Russia, Cina o Maometto, stanno invece cominciando a capire che si chiamano capitalismo finanziario, neoliberismo e imperialismo. Infine, il rapporto si sofferma sulle crisi umanitarie che l’intervento militare americano ha causato alle popolazioni del pianeta: “Un rapporto di ricerca pubblicato nel maggio 2023 dal sito web del progetto Costs of War della Brown University rivela che nei teatri di guerra in cui gli Stati Uniti hanno condotto operazioni di antiterrorismo all’estero in seguito agli attacchi dell’11 settembre, il bilancio totale delle vittime conta almeno 4,5 – 4,7 milioni di persone. Tra questi, si stima che il numero di morti indirettamente causati da sconvolgimenti economici legati alla guerra, danni ambientali, perdita di servizi pubblici e infrastrutture sanitarie sia compreso tra 3,6 e 3,8 milioni di persone”. A tutto ciò ha contribuito anche l’uso prolungato e indiscriminato di sanzioni economiche unilaterali: dal 1950, gli Stati Uniti hanno utilizzato più sanzioni di qualsiasi altro Paese al mondo; lo sanno bene i siriani, i venezuelani, i cubani e gli iraniani, popoli che hanno avuto la colpa di non allinearsi. Insomma: per quanto riguarda la società americana, conclude il report, i diritti umani “si sono trasformati in un privilegio di cui godono solo pochi”. E in politica estera il regime nordamericano sta “seriamente minacciando e ostacolando il sano sviluppo della causa mondiale dei diritti umani. Le azioni parlano più forte delle parole. Riusciranno gli Stati Uniti a superare l’impasse con idee e iniziative in linea con le caratteristiche dei tempi e delle correnti della storia? Il popolo americano sta aspettando, la comunità internazionale sta guardando e il governo degli Stati Uniti deve rispondere”.
Con queste parole si conclude il rapporto, ma se anche tu pensi che il regime autoritario e liberticida americano non risponderà mai e che solo un grande mobilitazione popolare che possa rovesciare il regime e ristabilire la democrazia, la libertà e lo stato di diritto (magari con l’aiuto di qualche potenza estera) potrà veramente cambiare le cose, allora Ottolina Tv è il canale giusto per te: iscriviti a tutti i nostri canali e aiutaci a mantenerci liberi ed economicamente indipendenti aderendo alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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L’Europa dichiara guerra commerciale alla Cina!

video a cura di Davide Martinotti

La Commissione europea ha annunciato che a partire da luglio aggiungerà provvisoriamente nuovi dazi per i veicoli elettrici cinesi, una mossa che da il via ad una guerra commerciale tra la Cina e l’Europa: in questo video partiamo dai dati per poi passare ad alcuni commenti e, infine, qualche cenno alla riunione dei ministri degli esteri dei BRICS che c’è stata questa settimana, nella quale si è discusso di una ulteriore espansione del blocco verso la Turchia e la Thailandia!

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Power of Siberia 2: così la Cina strappa il gas russo al mercato europeo – ft. Demostenes Floros

Gabriele intervista Demostenes Floros, esperto di geopolitica energetica, per parlare del progetto Power of Siberia 2, un gasdotto che dislocherebbe verso il mercato cinese il gas della Siberia occidentale che la Russia non riesce più a esportare all’Europa. I due Stati, al netto della grande amicizia, difendono interessi diversi, mostrando le difficoltà di un rapporto alla pari, specie se confrontato al vassallaggio europeo verso gli USA. Facciamo chiarezza insieme. Buona visione.

#Russia #Cina #gas #energia #PowerOfSiberia

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