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TECNOFEUDALESIMO: come Apple, Google, Meta e Amazon si impossessano di tutto e distruggono il pianeta

Quasi nessuno se ne è accorto, ma il capitalismo è già morto da un pezzo ed è stato rimpiazzato da qualcosa di ben peggiore. Tecnofeudalesimo: così Yanis Varoufakis, uno dei più lungimiranti studiosi della nostra epoca, ha ribattezzato nel suo ultimo libro il sistema economico delle nostre società, sostenendo che in meno di vent’anni i proprietari delle big tech abbiano scalzato al vertice i vecchi industriali capitalisti e siano diventati i nuovi padroni del mondo occidentale; Google, Amazon, Meta, Apple e pochi altri, con l’aiuto della finanza internazionale hanno prima completamente privatizzato internet creando oligopoli e monopoli mai visti prima nella storia, e poi hanno esteso sempre di più il loro controllo sulle nostre vite e sulle leve politiche della nostra società. “Forse eravamo troppo distratti dalla pandemia” scrive Varoufakis, “dalle varie crisi finanziarie, o da tutti quei teneri e simpatici gattini su TikTok; in ogni caso, mentre ci preoccupavamo d’altro, un nuovo sistema economico ha preso il controllo. Da vent’anni, ormai, le basi sulle quali è stato costruito il capitalismo – il profitto e il mercato – non sono più fondamentali: il capitale tradizionale non è più al comando, ma è diventato vassallo di una nuova classe di padroni feudali, i proprietari del capitale cloud”.

Yanis Varoufakis

Fondamentalmente, sostiene l’economista greco, il capitale cloud ha demolito i due pilastri del capitalismo: i mercati e il profitto; da una parte i mercati sono stati rimpiazzati da piattaforme di trading digitale, dove gran parte della nostra vita e degli scambi commerciali si svolge, molto più simili ai vecchi feudi pre – capitalisti, dall’altra il profitto, che era il motore del capitalismo, è stato rimpiazzato dal suo predecessore feudale: la rendita. E, cioè, quella rendita che viene pagata dalle aziende e dai cittadini ai proprietari dei feudi digitali per poter accedere alle loro piattaforme e al mercato e ai servizi che queste ospitano; di conseguenza, riflette Varoufakis, il vero potere oggi non risiede nei proprietari di capitale tradizionale – come macchinari, edifici, reti ferroviarie e telefoniche, robot industriali; questi continuano certo a ricavare profitti dal lavoro salariato, ma non sono più al comando come un tempo e il loro posto è stato preso dai proprietari dei feudi cloud e dalle loro piattaforme, da cui i capitalisti produttori di merci e sevizi, ormai, dipendono quasi completamente.
Naturalmente, come la vecchia classe dominante, anche Amazon, Facebook, Apple e Google investono nella ricerca e nell’innovazione, in politica, in marketing, in tattiche antisindacali etc., ma lo fanno non per vendere merci per il massimo profitto, come nel vecchio capitalismo, ma al fine di riscuotere le rendite più alte dagli utenti e dai capitalisti che producono: “Immagina la scena seguente come uscita da un libro di fantascienza.” ci suggerisce Varoufakis; “Vieni teletrasportato in una città piena di persone che si occupano dei loro affari, commerciano in gadget, scarpe, libri, canzoni, giochi e film. All’inizio, tutto sembra normale. Fino a che non inizi a notare qualcosa di strano. Salta fuori che tutti i negozi, in realtà ogni edificio, appartengono a un tizio di nome Jeff. Può non essere il proprietario delle fabbriche che producono la merce in vendita nei suoi negozi, ma possiede un algoritmo che incassa una quota per ogni vendita e lui decide cosa può essere venduto e cosa no”. “In realtà” continua “è addirittura peggio rispetto a un mercato totalmente monopolizzato – lì, almeno, i compratori possono parlare tra loro, formare associazioni, magari organizzare un boicottaggio dei consumatori per costringere il monopolista a ridurre il prezzo o migliorare la qualità. Non vale lo stesso nel regno di Jeff, dove tutto e tutti sono intermediati non dalla disinteressata mano invisibile del mercato, ma da un algoritmo che lavora per il risultato di bilancio di Jeff e balla esclusivamente al ritmo della sua musica.” Ma questa trasformazione epocale ha davvero una qualche importanza per le nostre vite? Certamente, risponde Varoufakis; riconoscere che il nostro mondo è diventato tecnofeudale ci aiuta a risolvere piccoli e grandi rompicapi: dalla sfuggente rivoluzione delle energie rinnovabili, alla decisione di Elon Musk di comprare Twitter, alla nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, fino al modo in cui la guerra in Ucraina sta minacciando il regno del dollaro. Ma anche la grande inflazione e la crisi del costo della vita che sono seguite alla pandemia non possono essere comprese adeguatamente al di fuori di questo contesto.
In generale, come era prevedibile, possiamo dire che l’incredibile ritorno delle rendite dal passato pre – capitalista ha significato solamente una stagnazione ancora più grave e più tossica: “Gli stipendi vengono spesi dalla maggioranza che lotta per arrivare a fine mese. I profitti vengono investiti in beni capitali per mantenere la capacità di profitto dei capitalisti” afferma Varoufakis, “ma la rendita viene accumulata in proprietà (ville, yacht, opere d’arte, criptovalute ecc.) e si rifiuta ostinatamente di entrare in circolazione, di stimolare gli investimenti in beni utili e di rivitalizzare le flaccide società capitalistiche. E quindi inizia un circolo vizioso: ne consegue una stagnazione più profonda, che induce le banche centrali a stampare più moneta, consentendo più estrazione e meno investimenti, e così via.” Insomma: secondo l’economista greco, il tecnofeudalesimo sta aggravando le fonti di instabilità preesistente trasformandole in ancor più gravi minacce esistenziali. In questa puntata parleremo del modo in cui, secondo Varoufakis, le big tech in questi anni hanno conquistato le redini economiche del mondo occidentale, di come noi ci siamo ridotti ad essere delle specie di servi della gleba dei feudi digitali e di quanto questo condizioni la politica interna ed estera delle nazioni.
Centinaia di racconti, film e serie tv di fantascienza dipingono un mondo distopico in cui è avvenuta la cosiddetta singolarità, il momento in cui una macchina, o una rete di macchine, acquisisce una coscienza; a quel punto, di solito, le macchine calcolano che non siamo adatti ai loro scopi e decidono di eliminarci o ridurci in schiavitù. Il problema con questa narrazione è che, enfatizzando una minaccia non esistente, ci ha lasciato esposti a un pericolo molto più reale: i programmi come Alexa o ChatGPT sono infatti ben lontani dalla temuta singolarità e nel frattempo, invece, in combutta con il modo in cui le banche centrali e i governi hanno agito a partire dal 2008 (e, cioè, la più grande crisi finanziaria di sempre), i proprietari di internet sono diventati in parte i proprietari delle nostre economie e hanno rivoluzionato il mondo adattandolo ai propri scopi; come spesso è accaduto nella storia, una nuova e magnifica scoperta tecnologica, internet, ha generato una nuova forma di capitale, le piattaforme private del cloud, che vengono sfruttate da una nuova classe rivoluzionaria che mira a prendere il potere.

Nel suo libro Tecnofeudalesimo, Yanis Varoufakis ci racconta la storia di come tutto questo sia potuto accadere: il primo internet era una zona libera dal capitalismo; era una rete centralizzata, statale, non commerciale. Allo stesso tempo, possedeva elementi di liberalismo primigenio, quasi di anarco – sindacalismo, riflette Varoufakis: una rete senza gerarchia basata su un processo decisionale orizzontale e sullo scambio reciproco di doni, non scambi di mercato. In un quarto di secolo le cose sono, però, radicalmente cambiate e la nostra esperienza quotidiana di internet è oramai filtrata e controllata attraverso piattaforme private che ne hanno sostanzialmente assunto il controllo; nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, il potere di comando venne trasferito dai proprietari terrieri ai proprietari dei mezzi di produzione dell’industria e, affinché questo avvenisse, i contadini dovettero prima perdere l’accesso autonomo ai terreni comuni (il fenomeno delle cosiddette enclosure); allo stesso modo, nell’universo neoliberale che ha in odio tutto ciò che è comune e in cui gli algoritmi erano già diventati le ancelle dei finanzieri, il libero accesso a internet è stato sostanzialmente trasformato in una macchina da soldi per pochi tecnofeudatari. Nel XVIII secolo, con le enclosures originali, per spingere le masse tra le braccia dei capitalisti fu negato l’accesso ai terreni comuni; nel XXI secolo non si è trattato dell’accesso alla terra, ma si è trattato dell’accesso alla nostra stessa identità digitale.
La nostra identità digitale, infatti, non appartiene più né a noi né allo Stato: “Disseminata in innumerevoli regni digitali di proprietà privata, ha molti proprietari, nessuno dei quali siamo noi: una banca privata possiede i tuoi codici di identificazione e tutto il tuo registro di acquisti. Facebook ha un’intima dimestichezza con chi – e cosa – ti piace” scrive Varoufakis; “Apple e Google sanno meglio di te che cosa guardi, leggi, compri, chi incontri, quando e dove. Spotify possiede un registro delle tue preferenze musicali più completo di quello immagazzinato nella tua memoria cosciente.” E dietro di loro ce ne sono un’infinità di altri invisibili che raccolgono, monitorano, setacciano e scambiano le tue attività per ottenere informazioni su di te; ogni giorno che passa, una società basata sul cloud di cui non ti interesserà mai conoscere i proprietari, possiede un altro aspetto della tua identità. Nel mondo di internet due quindi, modellato dalle nuove enclosures, sei costretto a cedere la tua identità a una parte del regno digitale che è stata recintata, come ad esempio Uber o Glovo o qualche altra società privata: quando richiedi una corsa per l’aeroporto o ordini una pizza, il loro algoritmo manda un autista di sua scelta con l’obiettivo di massimizzare il valore di scambio che la società proprietaria dell’algoritmo estrae sia da te che dal conducente. Queste nuove enclosures hanno permesso il saccheggio dei beni comuni digitali che ha reso possibile l’incredibile ascesa del capitale cloud; ma è questo quello che rende il capitale cloud così fondamentalmente nuovo, diverso e inquietante. Il capitale è stato finora riprodotto all’interno di un mercato del lavoro – all’interno della fabbrica, dell’ufficio, del magazzino; sono stati i lavoratori salariati, aiutati dalle macchine, che hanno prodotto la merce che è stata venduta per generare profitto, che a sua volta ha finanziato le loro paghe e la produzione di più macchine; è così che il capitale si accumulava e riproduceva. Il capitale cloud, al contrario, può riprodurre sé stesso in modi che non coinvolgono alcun lavoro salariato, imponendo a quasi tutta l’umanità di partecipare alla sua riproduzione gratuitamente. “Pensa a ciò da cui è costituito il capitale cloud” riflette Varoufakis: “software intelligenti, server farms, torri cellulari, migliaia di chilometri di fibra ottica. Eppure tutto questo non avrebbe valore senza contenuti. La parte più preziosa dello stock di capitale cloud non sono le sue componenti fisiche ma piuttosto le storie postate su Facebook, i video caricati su TikTok e YouTube, le foto su Instagram, le battute e gli insulti su Twitter, le recensioni su Amazon o, semplicemente, il nostro movimento nello spazio, che permette ai nostri telefoni di segnalare a Google Maps l’ultima situazione del traffico.” Nel fornire queste storie, video, foto, movimenti, siamo noi che produciamo e riproduciamo – al di fuori di qualsiasi mercato – lo stock di capitale cloud”.
Per fare ancora degli esempi di come funzionano i tecnofeudi, Varoufakis ne ricostruisce la genesi e la storia: come sappiamo tutti, quello che ha fatto fare la svolta ad Apple e l’ha trasformata in un’azienda da triliardi di dollari è stato l’iPhone; e questo non solo perché era un ottimo cellulare, ma anche perché ha consegnato ad Apple le chiavi per uno scrigno del tesoro totalmente nuovo – la rendita del cloud. Il colpo di genio che ha sbloccato la rendita del cloud per Steve Jobs è stata la sua idea rivoluzionaria di invitare “sviluppatori terzi/esterni” a utilizzare il software Apple gratuitamente e creare così applicazioni da mettere in vendita tramite l’Apple Store. In un colpo solo Apple aveva creato un esercito di lavoratori non retribuiti e vassalli capitalisti il cui duro lavoro ha prodotto una serie di funzionalità disponibili esclusivamente per i possessori di iPhone sotto forma di migliaia di app desiderabili che gli ingegneri di Apple non avrebbero mai potuto produrre da soli in una simile varietà e quantità; improvvisamente, un iPhone era diventato molto più di un telefono accattivante: era un biglietto di accesso a una vasta area di piaceri e poteri che nessun altro produttore di smartphone poteva fornire. Anche se un concorrente di Apple come Nokia, Sony o Blackberry fosse riuscito a rispondere rapidamente producendo un telefono più intelligente, più veloce, più economico e più bello, non sarebbe importato, afferma Varoufakis. Solo un iPhone, infatti, spalanca i cancelli dell’Apple Store: “Per essere competitivi, gli sviluppatori non pagati di Apple, essenzialmente partnership o piccole società capitaliste, non avevano altra scelta che operare attraverso l’Apple Store. Il prezzo? Un 30% di rendita a lungo termine, pagata a Apple su tutti i loro ricavi. Così una classe di vassalli capitalisti sorse dal terreno fertile del primo feudo cloud: l’Apple Store.”
Solo un’altra multinazionale è riuscita a convincere una considerevole porzione di quegli sviluppatori a creare app per il proprio store: Google; molto prima dell’arrivo dell’iPhone, il motore di ricerca di Google era diventato il fulcro di un impero cloud che comprendeva Gmail e YouTube e che, in seguito, avrebbe aggiunto Google Drive, Google Maps e una serie di altri servizi online. “Desiderosa di sfruttare il proprio capitale cloud già dominante, Google ha seguito una strategia diversa da quella di Apple” scrive Varoufakis: “Anziché produrre un cellulare in competizione con l’iPhone, ha sviluppato Android – un sistema operativo che poteva essere installato gratis sugli smartphone di qualsiasi costruttore, compresi Sony, Blackberry e Nokia, che hanno scelto di utilizzarlo.” È così che Google ha creato Google Play, l’unica alternativa seria all’Apple Store; il risultato è stato un’industria globale degli smartphone con due corporation dominanti- Apple e Google – con la maggior parte della loro ricchezza prodotta da sviluppatori terzi non retribuiti dalle cui vendite estraggono una quota fissa: questo non è profitto. È rendita cloud, l’equivalente digitale della rendita fondiaria. Nel frattempo, mentre Amazon stava intrappolando i creatori di prodotti fisici all’interno del suo feudo cloud, altre aziende hanno inglobato nei loro feudi cloud una vasta gamma di autisti, addetti alle consegne, addetti alle pulizie, ristoratori – perfino dog sitter – riscuotendo anche da questi lavoratori non retribuiti e a cottimo una quota fissa dei loro guadagni; in un tweet rivelatore, Elon Musk ha ammesso la sua ambizione di trasformare Twitter in una app di tutto: cosa intendeva con “app di tutto”? “Non intendeva niente di meno che una porta di accesso al tecnofeudalesimo, che gli permetterebbe di attirare l’attenzione degli utenti, modificare il loro comportamento di consumatori, ottenere manodopera gratis da loro come servi della gleba del cloud e, dulcis in fundo, far pagare ai venditori la rendita del cloud per vendere i loro prodotti.”

Elon Musk

La storia dell’ascesa del capitale cloud comincia sulla scia del crollo del 2008, quando il denaro di Stato ha iniziato a essere stampato in grande quantità dalle banche centrali di tutto il mondo; nei quindici anni successivi i banchieri centrali hanno stampato denaro e lo hanno convogliato ai finanzieri, di loro spontanea volontà: a loro avviso, hanno salvato il capitalismo. In realtà, lo hanno stravolto, contribuendo a finanziare l’emergere del capitale cloud: “Questa specie di socialismo a favore dei finanzieri” come lo chiama Varoufakis “fece sorgere un altro agglomerato di sovrani della finanza in combutta con cloudalisti; le tre aziende statunitensi BlackRock, Vanguard e State Street che oggi, di fatto, posseggono il capitalismo americano. Queste comprendono le maggiori compagnie aeree americane (American, Delta, United Continental), gran parte di Wall Street (JPMorgan Chase, Wells Fargo, Bank of America, Citigroup) e produttori di automobili come Ford e General Motors.” Inoltre, i Big Three sono anche i maggiori azionisti di quasi il 90% delle aziende quotate alla Borsa di New York, comprese Apple, Microsoft, ExxonMobil, General Electric e Coca-Cola. Per dare un senso a questi numeri: gestiscono un patrimonio che equivale al reddito nazionale degli Stati Uniti, o alla somma dei redditi nazionali di Cina e Giappone; da allora, l’ascesa al potere finanziario supremo è stata quasi ineluttabile e, ora che sono lì, i Big Three godono di due vantaggi insormontabili: un potere monopolistico senza precedenti su interi settori – dalle compagnie aeree e bancarie all’energia – e alla Silicon Valley.
Ma è durante la pandemia che, secondo Varoufakis, il passaggio al tecnofeudalesimo è stato completo: “Mentre l’economia degli Stati Uniti perdeva 30 milioni di posti di lavoro in un solo mese, Amazon andò in controtendenza, apparendo agli occhi di una fetta di americani” scrive Varoufakis “come un ibrido tra la Croce Rossa, che consegnava beni di prima necessità ai cittadini confinati, e il New Deal di Roosevelt, con l’assunzione di 100.000 dipendenti in più e il pagamento di un paio di dollari in più all’ora.” Vero, le big tech hanno investito il denaro delle banche centrali e questo ha creato posti di lavoro, ma i lavori che hanno creato erano quelli del proletariato del cloud e gli investimenti erano atti a incrementare il loro capitale cloud.
Nella seconda parte di questa analisi del testo di Varoufakis vedremo in che modo il tecnofeudalesimo stia distruggendo la democrazia, il modo in cui sta influenzando la guerra fredda tra Usa e Cina, il diverso modo in cui il governo di Pechino si rapporta alle piattaforme online e le possibili soluzioni che Varoufakis prospetta per cambiare questo stato di cose. Nel frattempo, se anche tu credi che i nuovi tecnofeudatari dovrebbero fare la stesse fine dei vecchi signori feudali, aiutaci a costruire un media completamente libero e indipendente che rappresenti il 99 per cento e che combatta il loro potere e la loro avidità. Aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Elon Musk

Come Apple sta spostando la produzione dalla Cina all’India

Come molti dei suoi concorrenti, Apple si affida da anni alla Cina per l’assemblaggio dei suoi prodotti. Ma fattori politici ed economici hanno costretto l’azienda, così come il settore tecnologico più ampio, a ripensare tale approccio cercando partner in tutto il continente asiatico. L’India è uno dei paesi che cerca di beneficiare dello scontro tra potenze: da un lato ha aumentato i suoi legami energetici con la Russia, dall’altro cerca di inserirsi nello scontro tra Cina e Stati Uniti, proponendosi come una alternativa fabbrica del mondo, una destinazione per la delocalizzazione della produzione di prodotti prima di oggi fabbricati quasi esclusivamente in Cina. Ma come sta andando la delocalizzazione della Foxconn in India? Ne parliamo in questo video!

La lotta di Foxconn per produrre iPhone in India: https://restofworld.org/2023/foxconn-…