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Abbiamo un modello per l’Italia che vogliamo (e non è la Cina)

Andrés Manuel López Obrador, Claudia Sheinbaum e Morena: il modello politico al quale tutti i popoli che vogliono resistere all’offensiva dell’impero in declino e in preda al panico dovrebbero ispirarsi

OttolinaTV by OttolinaTV
29/04/2025
in Americhe, I Pipponi del Marrucci, In evidenza
3

Eh, ma allora non vi va mai bene niente! Protestate, protestate, ma voi, concretamente, cosa fareste? Sì, vabbeh, tutti a casa: e poi chi ci metti? Parlate bene voi, ma tanto alla gente, poi, gli interessa solo il calcio e il Grande Fratello! La stragrande maggioranza dei commenti critici che riceviamo dicono sostanzialmente la stessa cosa: a criticare son capaci tutti; è proporre qualche alternativa concreta che è complicato! A grandissima richiesta oggi, quindi, proviamo a fare questa proposta concreta, che ha un nome e un cognome: Claudia Sheinbaum. Vabbeh, graziarcazzo… Questa non è una proposta: è una crush! Verissimo; e, allora, ne faccio un altro: Andrés Manuel López Obrador e un altro ancora, Morena, che è il loro partito/movimento. E un altro ancora: quarta trasformazione, che è la loro visione politica ed economica. L’avventura politica della nuova classe dirigente messicana è, in assoluto, una delle più affascinanti e incoraggianti del pianeta; eh, vabbeh, ma quelli stanno in Messico: che c’azzecchiamo noi?

Probabilmente, molto più di quanto crediate: come l’Italia, il Messico ha avuto a lungo una sua prima repubblica, un blocco di potere monolitico che ha governato per 70 anni con un modello clientelare che, però, prevedeva un ruolo forte dello Stato in economia, politiche redistributive e una certa attenzione alla sovranità democratica e popolare. Come l’Italia, poi, quella lunga fase è terminata con una violenta shock therapy, che da noi si chiama tangentopoli e lì si è chiamata default; come in Italia, poi, dopo la shock therapy è arrivata la cura da cavallo del neoliberismo e, come in Italia, decenni di neoliberismo hanno portato al declino economico e alla sfiducia dell’80% della popolazione in tutte le istituzioni e le forze politiche. Come in Italia, poi, c’è stata l’ascesa di una forza populista eclettica e post ideologica basata sulla totale estraneità alla vecchia casta, ma, a differenza dell’Italia, quella forza populista ed eclettica è riuscita a tenere fede agli impegni, ha resistito alla controffensiva delle vecchie élite e, oggi, gode del sostegno dell’85% della popolazione e continua a macinare riforme epocali che vanno dalla sovranità alimentare alla nazionalizzazione delle risorse naturali, dall’aumento dei diritti dei lavoratori alla capacità di tenere testa all’offensiva imperialista del vicino a stelle e strisce. Ottoliner: questa è la storia del modello politico al quale tutti i popoli che vogliono resistere all’offensiva dell’impero in declino e in preda al panico dovrebbero ispirarsi.

Riconoscimenti dei popoli indigeni, aumento del salario minimo, nazionalizzazione delle risorse naturali: le 16 leggi e le 12 riforme costituzionali che Claudia Sheinbaum ha annunciato alla folla sterminata che, il 12 gennaio scorso, ha invaso la gigantesca piazza della Costituzione di Città del Messico per festeggiare i primi 100 giorni del suo governo, rappresentano uno dei più ambiziosi e coerenti piani per l’affermazione di una vera democrazia sovrana e popolare mai sentiti. E’ la direzione di marcia della cosiddetta quarta trasformazione, l’ambizioso progetto politico economico inaugurato da Andrés Manuel López Obrador e rilanciato da la doctora, come è stata soprannominata la Sheimbaum per sottolineare la sua formazione accademica di fisica e ingegnera energetica e il suo approccio scientifico a politica ed economia; le precedenti tre trasformazioni sarebbero la guerra d’indipendenza, terminata nel 1821, la guerra di riforma, terminata nel 1861 e la rivoluzione messicana, terminata nel 1917. A un secolo esatto dalla fine della rivoluzione, AMLO dichiarava di voler recuperare quelle tradizioni di autodeterminazione popolare proponendo “un sistema di pianificazione democratica dello sviluppo nazionale” per orientare la crescita economica verso l’affermazione dell’indipendenza e della “democratizzazione politica, sociale e culturale della nazione”.

Sono, sostanzialmente, le stesse parole d’ordine che sono state a lungo al centro del programma del partito rivoluzionario istituzionale, che ha detenuto il potere ininterrottamente dal 1934 al 2000 e che a lungo è stato un modello di riferimento per i suoi piani di sviluppo sessennali, ma che a partire dagli anni ‘80, come ogni centrosinistra che non si rispetti, aveva abbracciato senza se e senza ma le magnifiche sorti e progressive della controrivoluzione neoliberista, buttando nel pattume – insieme alle prospettive di crescita del Paese – il suo tesoretto di consenso popolare che però, secondo un copione ormai trito e ritrito, invece che rivendicare una nuova stagione di protagonismo popolare, ha deciso di consegnare definitivamente il Paese agli agenti di Washington e delle oligarchie finanziarie del partito di azione nazionale confermando una vecchia legge aurea: quando, nel nome di una forza politica, c’è la parola azione, da qualche parte si nasconde la fregatura.

La shock therapy al guacamole ha una data d’inizio precisa: 20 dicembre 1982, quando, dopo mesi di negoziati a seguito del default dichiarato nell’agosto precedente, l’élite messicana decise di consegnare il suo popolo ai vampiri del fondo monetario internazionale. E’ il copione più classico dei classici: prima ti induco a indebitarti fino al collo in dollari a condizioni favorevoli, poi cambio le condizioni e te non sei più in grado di ripagare il debito; e, a quel punto, arrivano le istituzioni del Washington Consensus e ti dicono che ci pensano loro, basta che svendi il Paese e affami il popolo, che è esattamente quello che è successo in Messico. Nell’arco di 5 anni i salari reali crollarono del 30%, la quota di reddito destinata ai salari passò dal 42 al 29% del PIL, quella destinata ai profitti esplose: dal 48 al 64%. Poi venne il turno del NAFTA, il trattato di libero commercio con gli USA: il Messico venne invaso da prodotti agricoli sovvenzionati statunitensi e il tasso di povertà assoluta balzò dal 16 al 28%; le radici dell’emigrazione di massa e del narcotraffico, che ha trasformato i cartelli in Stati dentro lo Stato, stanno tutte qua. Se Trump vuole risalire ai responsabili, basta che si guardi attorno tra i suoi principali finanziatori…

Il declino del Messico ha portato esattamente dove porta ogni shock therapy che si rispetti: nel 2018, l’85% della popolazione non esprimeva alcuna fiducia nel presidente, l’84% non aveva fiducia nei partiti politici, l’81% diffidava del governo statale e il 77% di quello municipale, fino a che non è arrivato AMLO – secondo gli standard di MicroMega e di Fanpage, un esempio da manuale di populismo rossobruno. AMLO, infatti, ha costruito una coalizione elettorale che più eclettica non si può, arrivando a intercettare anche molti transfughi dei partiti di destra, a partire dalla più populista delle parole d’ordine: la lotta senza quartiere alla casta e alla corruzione. “Ciò che desideriamo è purificare la vita pubblica messicana”, ha dichiarato AMLO nel suo discorso inaugurale: “Non mentirò, non ruberò né tradirò il popolo messicano”. L’obiettivo era chiaro: ottenere una maggioranza netta in grado di rivoltare le istituzioni messicane e la carta costituzionale come un calzino; per farlo, bisognava riuscire a bypassare il sistema mediatico e dichiarare guerra ai proprietari dei mezzi di produzione del consenso. Nasce così il rito della mananera, la conferenza stampa quotidiana nel Palazzo nazionale, attraverso la quale il governo ha stabilito un canale di comunicazione diretto col popolo: d’altronde, le cose da comunicare erano parecchie e, tendenzialmente, non graditissime alle vecchie élite. AMLO ha provveduto a tagliare gli stipendi degli alti funzionari pubblici, mentre ha aumentato quelli dei dipendenti di basso livello e ha anche venduto, per 92 milioni di dollari, il lussuoso aereo presidenziale: “È importante che tutti sappiano come come agivano le autorità fino ad ora, come piccoli faraoni” ha dichiarato AMLO; “non più”.

Nel frattempo, ha introdotto nuove forme di assicurazione sociale, ha ridato diritti ai lavoratori, ha aumentato il salario minimo reale del 90% e ha dato la possibilità ai cittadini di esprimersi democraticamente su questioni cruciali come, ad esempio, quando contro il progetto del nuovo aeroporto internazionale si creò una grande mobilitazione popolare a tutela dell’ambiente. AMLO li fece votare: il progetto fu bocciato, l’aeroporto fu trasferito in una base militare dismessa e il sito di costruzione fu sostituito dal Parco Ecologico del Lago di Texcoco; da noi, i patrioti e i sovranisti gli ambientalisti li arrestano. AMLO ha anche istituito consultazioni di metà termine attraverso le quali si può licenziare il presidente; e ha preso oltre il 90% dei voti anche perché, nel frattempo (con grande delusione da parte dei commentatori liberali di tutto il mondo), l’economia continuava a macinare: nel 2023, gli investimenti lordi in capitale fisso del Messico hanno raggiunto il livello più alto mai registrato. D’altronde, AMLO non ha fatto niente per mortificare la borghesia nazionale; anzi, è riuscito a coinvolgerla nel processo di rigenerazione nazionale garantendo ottimi affari a chi investiva. Per i 16 militanti della Vera Sinistra messicana è una concessione; per tutti gli altri è uno sforzo pragmatico che ha permesso di convogliare le energie produttive verso gli obiettivi della quarta trasformazione.

Alla Vera Sinistra non piace molto nemmeno il rapporto che AMLO ha stabilito con le forze armate: durante la sua amministrazione il budget dell’esercito è aumentato di oltre il 20%; manettaro, populista! Peccato che, nel 2024, la maggioranza del bilancio militare sia stato destinato alla costruzione di aeroporti, ferrovie e ospedali: mentre nel resto dell’America Latina le forze armate rovesciano i governi progressisti, in Messico partecipano alla costruzione materiale della sovranità nazionale. AMLO ha anche un imperdonabile difetto agli occhi della Vera Sinistra e dei talebani della teoria che i soldi basta stamparli: come un Berlinguer qualunque, parla continuamente di “austerità repubblicana”; ah, anatema! Sei peggio di Mario Monti!

Il punto è che se non tieni a mente cosa è l’imperialismo, anche quando parli di austerità rischi di dire un sacco di cazzate: l’austerità nei paesi del Nord globale è uno strumento della lotta di classe dall’alto contro il basso; nel sud globale, è un prerequisito della sovranità nazionale. AMLO lo sa bene perché negli anni ‘80, nello stato di Tabasco, guidava le proteste contro le ricette lacrime e sangue del Fondo Monetario Internazionale; spendere e spandere nel Sud globale significa una cosa sola: essere servi dei creditori, le oligarchie finanziarie del Nord globale. Gli elettori messicani lo sanno e quando si è trattato di confermare la volontà di procedere con la quarta trasformazione, non hanno avuto dubbi: lo scorso giugno, la successora di AMLO, Claudia Sheinbaum, ha trionfato alle presidenziali con oltre 30 punti di vantaggio. Ma non solo: la coalizione ha conquistato una maggioranza schiacciante in entrambi i rami del parlamento, ha trionfato in sette elezioni governative su nove ed ha riconfermato il sindaco di Città del Messico, un mandato popolare senza precedenti che la doctora ha subito interpretato al meglio.

Nel suo discorso inaugurale, di fronte a una folla oceanica, ha annunciato un piano di governo in 100 punti che rappresenta la fase matura della quarta trasformazione: al primo punto c’è la battaglia per la sovranità alimentare. Con il NAFTA, il Messico ha visto quadruplicare le importazioni di mais, in gran parte dalle multinazionali statunitensi sostenute con incentivi miliardari da Washington; già durante la presidenza AMLO, il Messico aveva aumentato la produzione di fertilizzanti, promosso l’agroecologia e sostenuto piccoli e medi agricoltori attraverso contratti a prezzi concordati per la fornitura di tutte le mense pubbliche. Ora la presidenza Sheinbaum fa il passo successivo: un piano idrico quinquennale che prevede una quantità enorme di interventi infrastrutturali, la revisione delle concessioni alle industrie e la promozione di sistemi di irrigazione più efficienti. Poi c’è la partita della sovranità energetica: 23 miliardi di investimenti nelle infrastrutture e un piano ambizioso di conversione ecologica, a partire dall’ampliamento del processo di nazionalizzazione del litio avviato da AMLO. E poi c’è la guerra a big pharma: Sheinbaum ha avviato piani di investimento ambiziosi nel campo della ricerca medica e nella produzione nazionale di farmaci generici e vaccini e ha lanciato un programma massiccio per l’assistenza domiciliare di anziani e persone con disabilità. Risultato: secondo un sondaggio dello scorso marzo, il tasso di approvazione della Sheinbaum ha raggiunto l’85%; dall’altra parte del confine, dopo appena 100 giorni di malgoverno, la media dei sondaggi di RealClearPolitics rileva un indice di gradimento di poco superiore al 45% – che, però, sono sufficienti per dichiarare guerra e minacciare il Messico e la sua popolarissima presidenta. Non potrebbe esserci contrapposizione più cristallina: da una parte, un leader schifato dalla maggioranza del suo stesso popolo che rappresenta l’arroganza e la ferocia dell’imperialismo; dall’altra, una leader che rappresenta la resistenza e il riscatto del Sud globale, sostenuta da tutto il suo popolo.

La quarta trasformazione, l’avventura politica di Morena e la presidenza di Claudia Sheinbaum rappresentano un esempio luminoso della strada che tutti i popoli oppressi del pianeta dovrebbero intraprendere, oltre dogmatismi e settarismi sterili, per costruire concretamente una linea di massa in grado di resistere all’offensiva dell’impero in declino e in preda al panico; per ottenere questo risultato hanno dovuto, però, prima di tutto fare una cosa piuttosto chiara e radicale: prendere gli esponenti delle vecchie élite e mandarli tutti a casa; che dite, ci proviamo anche noi? Ne parliamo l’11 maggio con la tappa napoletana del tour tuttiacasa e, poi, sabato 24 maggio in piazza san Babila a Milano con una grande manifestazione nazionale unitaria e plurale per una Costituente contro il Sistema Guerra per mandare a casa il partito unico della guerra e degli affari. Nel frattempo, c’è da imparare un’altra cosa da AMLO: per mandarli tutti a casa (e tenerceli), bisogna chiudere i conti con i vecchi media e averne uno tutto nostro, indipendente, ma di parte, che invece che alle élite decotte e ai parassiti, dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su  PayPal.

E chi non aderisce è Carlo cacarellando Calenda

Tags: amloAndrés Manuel López Obradorclaudia sheinbaumi pipponi del Marrucciil pippone del marrumorena
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Comments 3

  1. Salvo says:
    3 mesi ago

    Lascio un commento qui perchè il progetto Ottolina mi piace.
    Ma come cazzo vi è potuto venire in mente una cosa simile. Il Messico, per storia, cultura, geografia, composizione etnica, ecc…, è lontanissimo dall’Italia.
    Anche solo immaginare di poter fare un percorso economico/politico simile nel nostro paese è privo di ogni considerazione seria della nostra situazione.
    Consiglio al Marru e a tutta la redazione di continuare a fare quello che avete fatto bene fin ora e basta: ovvero sputtanare il sistema e soprattutto i sui sostenitori.

    Rispondi
  2. Popo says:
    3 mesi ago

    Grandi!!

    Rispondi
  3. Popo says:
    3 mesi ago

    Grandi!!

    Rispondi

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