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La Guerra degli Oligarchi contro il Resto del Mondo per difendere l’Evasione e i Paradisi Fiscali

All’ONU l’Occidente collettivo ha ingaggiato un’altra guerra frontale col resto del mondo; d’altronde ne valeva la pena. Dopo aver provato a difendere il genocidio ed essere stato brutalmente asfaltato, i valori del mondo libero da difendere – a questo giro – erano forse ancora più fondamentali: il sacrosanto diritto delle oligarchie finanziarie ad evadere il fisco e a nascondere i loro quattrini nei paradisi fiscali. Ma non gli è andata proprio benissimo, diciamo; prima di mettere ai voti la risoluzione presentata da un gruppo di paesi africani – e che costituisce un tassello fondamentale nella lotta del sud globale contro il furto sistematico di ricchezza da parte delle oligarchie – la Gran Bretagna ha provato a presentare un emendamento pro evasori e paradisi fiscali ed è finita così: 55 favorevoli e ben 107 contrari.

Alex Cobham

Ma la batosta più grossa è arrivata al momento della votazione della risoluzione vera e propria: Occidente collettivo 48, Sud globale CENTOVENTICINQUE. “Per i paesi del Sud del mondo” ha esultato Alex Cobham, amministratore delegato del Tax Justice Network, “questa è una vittoria storica, ma a beneficiarne non saranno soltanto loro, ma tutto il mondo: i paradisi fiscali e i lobbisti della finanza hanno avuto, fino ad oggi, troppa influenza sulla politica fiscale globale; oggi iniziamo a riprendere il potere sulle decisioni che riguardano tutti noi”. La guerra di resistenza del Sud del mondo contro l’asse del male è sempre più chiaramente anche la nostra guerra, la guerra del 99%: cosa aspettiamo a prenderne parte?
“Per decenni” affermavano giovedì scorso gli amici del Tax Justice Network “il risultato del voto odierno all’ONU è stato considerato impossibile da raggiungere. L’ultimo tentativo di portare il processo decisionale sulle norme fiscali all’ONU” ricostruisce il comunicato “risaliva ormai agli anni ‘70. E il fallimento di quel tentativo aveva dissuaso qualsiasi altro tentativo simile per quasi 50 anni”.1 “La lotta decennale dei paesi del sud del mondo per istituire un processo pienamente inclusivo presso le Nazioni Unite, e permettere così finalmente a tutti i paesi in via di sviluppo di partecipare sul serio alla definizione dell’agenda e delle norme sulla tassazione internazionale” ha commentato l’Unione Africana“ è finalmente diventata una realtà”.2
Ma di cosa stiamo parlando, esattamente? La questione in ballo è nientepopodimeno che quella dei negoziati internazionali per la definizione di un trattato fiscale globale che permetta di contrastare – come sottolineava nel luglio scorso nella sua relazione la direzione generale delle Nazioni Unite – “l’evasione fiscale, l’elusione fiscale aggressiva, il riciclaggio di denaro e i flussi finanziari illeciti”.3 E, ovviamente, il ruolo dei paradisi fiscali: meccanismi che, come sottolinea il Tax Justice Network, causano agli stati “una perdita equivalente allo stipendio annuo di un infermiere a favore di un paradiso fiscale OGNI SECONDO. Nei prossimi dieci anni” calcola il Network “i paesi perderanno quasi 5 mila miliardi a causa dei paradisi fiscali”.4 E secondo Thabo Mbeki, già presidente del Sudafrica e oggi a capo della commissione speciale dell’Unione Africana che si occupa dei flussi finanziari illeciti, “a causa delle multinazionali che spostano i profitti nei paradisi fiscali e a causa di individui facoltosi che nascondono la loro ricchezza nelle giurisdizioni offshore, si stima che i paesi a basso reddito perdano ogni anno l’equivalente di poco meno della metà dei loro bilanci sanitari pubblici collettivi”.5 Ma, in realtà, il problema va ben oltre queste cifre: l’elusione e l’evasione che sottrae risorse alle casse degli stati di tutto il pianeta in favore dei paradisi fiscali, infatti, è il nocciolo del patto col diavolo che sta alla base della globalizzazione neoliberista.
Facciamo un rapidissimo ripasso: il primo passo della globalizzazione neoliberista consiste nella delocalizzazione della produzione dai paesi più sviluppati – dove, grazie a secoli di lotta di classe, il costo del lavoro e di diritti dei lavoratori sono superiori – verso i paesi in via di sviluppo, dove i costi e i diritti sono inferiori; a questo punto però sorge un problema perché, attraverso le politiche fiscali, gli stati sovrani dei paesi in via di sviluppo sarebbero in grado di trasformare una parte consistente dei profitti in risorse che lo stato può investire per svilupparsi, rafforzare la sua indipendenza e minacciare così il dominio dei paesi più avanzati. Cosa fanno, allora, i paesi più sviluppati per sfuggire a questa conseguenza non voluta? Impongono ai paesi in via di sviluppo un quadro regolatorio che permette a chi ha delocalizzato la produzione nei loro territori di evadere ed eludere il fisco attraverso i paradisi fiscali; a quel punto, il plusvalore estratto dall’economia del paese destinatario degli investimenti non serve più a finanziarne lo sviluppo economico e l’indipendenza, ma ritorna negli USA sotto forma di capitali che vanno a ingrossare le bolle speculative e a partecipare il banchetto sono – ovviamente – anche le élite economiche locali, che vengono così cooptate dalle oligarchie finanziarie del Nord globale. Sottrarre i flussi finanziari internazionali alla fiscalità dei paesi in via di sviluppo diventa, così, il meccanismo principale attraverso il quale il Nord globale può delocalizzare la produzione senza però diminuire il suo primato politico, con la complicità degli svendipatria di tutto il pianeta (fine del ripasso).
Da questo punto di vista, come ha sottolineato giustamente sempre Cobham del Tax Justice Network, “la battaglia contro gli abusi fiscali globali è soprattutto una battaglia per la democrazia e per la libertà”, ed ecco così che – nel tempo – anche i paesi del Nord globale hanno dovuto far finta di interessarsi alla faccenda. Ma era un diversivo; terrorizzato dall’eventualità che i paesi del Sud del mondo si potessero coalizzare per trovare una via d’uscita comune da questo patto del diavolo, l’Occidente globale ha deciso di giocare d’anticipo e ha avviato dei negoziati multilaterali – appunto – per arrivare a un trattato fiscale globale che però, paradossalmente, escludeva proprio i paesi interessati. L’organo multilaterale deputato a gestire la trattativa, infatti, è stato individuato nell’OCSE – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico -, il salotto buonodei paesi sviluppati, che come requisito minimo indispensabile per aderire prevede la totale subalternità ai piani egemonici delle oligarchie finanziarie di Washington, e i risultati si vedono.

Joseph Stiglitz

Come denuncia da anni il premio Nobel Joseph Stiglitz, fondatore e presidente della Commissione Indipendente per la Riforma della tassazione internazionale delle Corporation, “Quasi un decennio di negoziati multilaterali in seno all’OCSE non ha prodotto risultati apprezzabili. Il tipo di soluzioni di cui il mondo ha bisogno rimane ancora lontano”.6
Diciamo che è un eufemismo; la prova provata che l’azione dell’OCSE non fosse altro che un diversivo è arrivata questa estate: il governo laburista australiano stava lavorando da mesi a un disegno di legge che imponeva a tutte le aziende di rendere pubblici tutti i dati fiscali relativi a ogni paese dove operano, “Una mossa che, secondo gli attivisti” riporta il Financial Times “avrebbe contribuito a reprimere l’elusione fiscale costringendo le aziende a rivelare quanti dei loro ricavi sono contabilizzati in giurisdizioni a bassa tassazione”.7 Secondo il Financial Times “sarebbero state colpite circa 2.500 multinazionali con ricavi annuali superiori ai 700 milioni di dollari, tra cui colossi come META, la compagnia petrolifera British Petroleum e il colosso delle assicurazioni di Hong Kong AIA”. Il disegno di legge sarebbe dovuto approdare in aula lo scorso giugno per entrare in vigore a partire dal primo luglio, ma all’ultimo qualcosa è andato storto: inaspettatamente, “dalla versione del disegno di legge che alla fine è arrivata in aula” riporta il Financial Times “erano state rimosse le richieste di informazioni più cruciali”. Indovinate un po’ cos’era successo? Esatto, era intervenuta l’OCSE: “l’organizzazione con sede a Parigi” riporta il Financial Times “ha esercitato pressioni sul governo laburista australiano affinché annacquasse la legge”. “I funzionari dell’organismo intergovernativo” continua il Times “avrebbero intimidito il tesoro australiano ricordandogli che l’Australia è tra i firmatari di un accordo dell’OCSE del 2015 che prevede che le dichiarazioni fiscali non possono essere rese pubbliche”. “L’OCSE ha progettato riforme orientate a favore dei suoi membri, e cioè dei paesi avanzati, e delle loro imprese” ha commentato Stiglitz. In questo modo, continua Stiglitz, questo sforzo per introdurre una riforma che, sulla carta, dovrebbe servire a far aumentare le entrate per i paesi in via di sviluppo “potrebbe in realtà avere l’effetto esattamente opposto”.8 Dovevano forzare i paesi a introdurre nuove regole per limitare la quantità di quattrini che finiscono nei paradisi fiscali e si ritrovano a fare lobbying contro quei pochissimi paesi che provano a muovere qualche passo per far pagare le tasse alle multinazionali: come potevano pensare di farla franca?
In realtà potevano, eccome. E qui c’è un altro snodo politico epocale perché, come abbiamo già sottolineato, il Nord globale non è l’unico responsabile del furto colossale di ricchezza delle oligarchie a danno della gente comune: a dargli una bella mano ci sono anche le élite economiche dei paesi in via di sviluppo stessi, che sono ben felici di estrarre ricchezza dai propri paesi al fianco delle multinazionali per poi investirla nelle bolle speculative made in USA facendo altri soldi dai soldi. E, tra queste élite economiche, un posto d’onore spetta spesso proprio ai leader politici ultra – corrotti che si intascano i soldi del finanziamento allo sviluppo garantito dalla comunità internazionale, e invece di investirli nell’economia nazionale li imboscano nei paradisi fiscali. Questa commistione di interessi illeciti e inconfessabili – fino ad oggi – ha sempre impedito al Sud globale di coalizzarsi e di dichiarare guerra all’Occidente collettivo in nome dei rispettivi interessi nazionali ma, evidentemente, qualcosa negli ultimi anni è cambiato: ispirati dall’esempio cinese – dove, invece, la guida del Partito Comunista è riuscita a garantire che le risorse liberate con le delocalizzazioni venissero investite per sostenere lo sviluppo economico di tutto il paese – le opinioni pubbliche dei paesi in via di sviluppo hanno cominciato a pretendere dai loro governi di mettere fine a questo furto sistematico, pena ritrovarsi rovesciati da un golpe patriottico come, ad esempio, è avvenuto negli ultimi anni in Mali, in Burkina Faso e in Niger. Ed è infatti proprio dall’Africa che è partita la battaglia contro l’azione diversiva dell’OCSE; nel 2022, infatti, “un gruppo di 54 paesi africani, frustrati dal processo dell’OCSE” riporta il Financial Times “hanno portato con successo una risoluzione all’assemblea generale dell’ONU” che chiedeva al Segretario Generale delle Nazioni Unite di produrre un rapporto che facesse un bilancio sullo stato dell’arte della cooperazione fiscale internazionale e indicasse le modalità per trasferire i negoziati dall’OCSE direttamente all’ONU, dove anche i paesi in via di sviluppo avrebbero potuto dire la loro.9 Da allora, per cercare di far naufragare questo processo i paesi del Nord globale le hanno provate tutte: “Ue e Regno Unito vogliono spazzare via l’intero processo e ucciderlo” avrebbe dichiarato uno dei negoziatori al Financial Times; “non vogliono che le questioni fiscali vengano dibattute qui alle Nazioni Unite”. “Stanno facendo di tutto per mantenere lo status quo e mantenere i paesi in via di sviluppo alla periferia delle discussioni fiscali globali” avrebbe confermato un altro negoziatore.10
L’opera di lobbying, però, non va in porta e quando, nel luglio scorso, Guterres finalmente presenta la sua relazione il giudizio è impietoso – per quanto possa essere impietoso un documento ufficiale dell’ONU, perlomeno: il processo avviato dall’OCSE – dice Guterres – non risolve “un malcontento ampio e radicato nei confronti di trattati fiscali che non danno poteri sufficienti agli stati ospitanti nei confronti delle multinazionali” e quindi è necessario creare “meccanismi di cooperazione fiscale internazionali pienamente inclusivi ed efficaci”.

G77 a Cuba

Con il via libera della direzione generale dell’ONU, a questo punto, i paesi africani presentano il loro piano agli altri paesi in via di sviluppo durante l’assemblea del G77 che si è tenuta a settembre all’Avana, raccogliendo un sostegno sostanzialmente unanime. Ed ecco così che si arriva alla storica risoluzione presentata all’ONU giovedì scorso: per la prima volta, tutto quello che è fuori dal giardino ordinato del Nord globale si schiera come un sol uomo per chiedere la fine del furto sistematico di ricchezza operato da una manciata di oligarchi a danno di tutta la popolazione mondiale. Come ricorda in un tweet il Tax Justice Network “I paesi che ieri hanno votato contro la riforma fiscale delle Nazioni Unite consentono il 75% degli abusi fiscali globali. Questi paesi rappresentano solo il 15% della popolazione mondiale. I paesi che hanno votato a favore della riforma rappresentano l’80%”.11 Ma attenzione: non è una guerra dei popoli del sud del mondo contro i popoli del nord. E’ una guerra di tutti i popoli, tanto del sud quanto del nord, contro le oligarchie: impedendo ai capitali di essere sottratti al fisco per finire nei paradisi fiscali, i paesi del Sud globale impediscono alle oligarchie di fare soldi senza mai investire il becco di un quattrino nell’economia reale, senza mai correre il rischio di perdere il loro potere politico e, anzi, rafforzandolo.
Come sosteniamo da sempre, la battaglia del Sud del mondo, guidata dai paesi che sono riusciti ad affermare con forza la sovranità dei propri stati a discapito dell’impero e dei suoi complici locali, è l’avanguardia della battaglia globale del 99% contro l’1%; altro che la barzelletta degli analfoliberali e dei fintosovranisti sui cinesi che ci rubano il lavoro. Per non passare alla storia come dei collaborazionisti qualunque che si sono sacrificati in nome degli interessi dei propri stessi carnefici, è arrivato il momento di alzare la testa e di cominciare davvero a partecipare alla battaglia dalla parte giusta della storia, a partire proprio da questa battaglia epocale per un quadro fiscale globale che favorisca il lavoro invece della rendita. Il voto storico di giovedì all’ONU, infatti, è solo un inizio: la risoluzione infatti prevede che nei prossimi mesi, a New York, si riunisca per ben 15 giorni lavorativi complessivi un comitato intergovernativo nominato ad hoc e incaricato di buttare giù una bozza di cornice per la cooperazione fiscale internazionale, da sottomettere poi alla prossima assemblea generale dell’ONU che si terrà nel settembre del 2024. Le lobby delle oligarchie sono già al lavoro e fanno di tutto per tenere il dibattito lontano dai riflettori: su questo voto storico, nella stampa italiana – per quello che abbiamo potuto vedere – non c’è traccia. Lavorare nell’ombra, con valigette cariche di dollari, per remare contro la storia: impediamoglielo, mobilitiamoci e, soprattutto, diamo vita a un vero e proprio media che dichiari guerra all’omertà della propaganda a libro paga delle oligarchie e dia voce agli interessi concreti del 99%.
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E chi non aderisce è Hillary Clinton

1 https://taxjustice-net.translate.goog/press/un-adopts-plans-for-historic-tax-reform/?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it
2 https://www.ft.com/content/5a7353e8-6aec-4896-b6e5-fa88033c399a
3 https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N23/220/39/PDF/N2322039.pdf?OpenElement
4 https://twitter.com/TaxJusticeNet/status/1727304638603665626
5 https://www.ft.com/content/39ddedad-8faa-4e38-b95c-35cd47028056
6 https://tinyurl.com/yb7sfwpm
7 https://www.ft.com/content/b21cfde0-8940-45db-b3e3-3e9807d7b957
8 https://www.ft.com/content/fed78c75-1da8-4a1a-8cfc-219e99fe246c
9 https://www.ft.com/content/552052ab-8650-44b3-a4d2-6affca339132
10 https://www.ft.com/content/552052ab-8650-44b3-a4d2-6affca339132
11 https://twitter.com/TaxJusticeNet/status/1727716449576198287