Oggi parliamo con i lavoratori delle cave di marmo della zona di Carrara per capire le loro lotte, la loro mobilitazione, su di un argomento troppo spesso dimenticato. Nonostante la retorica dei media voglia farci credere che il lavoro sia scomparso, il benessere dei pochi si regge ancora sulla fatica, lo sfruttamento dei molti e questo include ancora, anche in Italia e in Europa, il lavoro in miniera. 8 ore è uno spazio per lasciare la parola ai lavoratori, prodotto da Ottolina Tv. Buona visione!
Traffico di esseri umani e commercio illegale di organi in Ucraina. Dopo la conclamata tragedia umanitaria che ha gettato milioni di sfollati ucraini nelle braccia della povertà, dello sfruttamento e della criminalità organizzata, si fa di nuovo avanti l’ipotesi atroce che anche la pratica del commercio illegale di organi starebbe prendendo piede nel paese con il benestare di parte delle autorità: prima le dichiarazioni e l’allarme lanciato dalle autorità russe, adesso anche le informazioni fornite dai prigionieri dell’esercito ucraino, paventerebbero l’esistenza di questa pratica che, secondo queste ricostruzioni, sia le autorità di Kiev che quelle occidentali starebbero in qualche modo coprendo; quello che è sicuro, invece, è che dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014 l’Ucraina è diventata uno dei principali centri mondiali di traffico e tratta degli esseri umani. Il report The vulnerable millions – I rischi della criminalità organizzata nell’emigrazione di massa ucraina redatto dal Centro di iniziative globali contro il crimine organizzato ci restituisce, numeri alla mano, la tragedia umanitaria a cui milioni di ucraini sfollati – di cui il 90 per cento sono donne e bambini – sono costretti a causa della guerra: prostituzione e lavori forzati, condizioni di servitù domestica, obbligo a commettere crimini e traffico di donne e bambini. Come in ogni guerra, anche in Ucraina dal 2014 fiorisce, quindi, ogni genere di mercato nero legato al traffico e allo sfruttamento di essere umani che, in questo caso, riguarda sia gli ucraini che si sono mossi da una parte all’altra del paese per fuggire dalle zone di conflitto, sia i più di 8 milioni di rifugiati in Europa, che possono finire in mano a trafficanti e criminali di ogni tipo: chi in Italia continua lavorare per l’escalation e a demonizzare chi, invece, invoca un immediato cessate il fuoco e l’avvio di negoziati, si ricordi – quindi – che sta contribuendo alla tragedia umanitaria di milioni di persone e al fiorire della criminalità organizzata e del mercato nero di esseri umani. In questa puntata approfondiremo nei dettagli questa crisi umanitaria permanente a cui i governanti stanno costringendo il loro popolo e parleremo della tesi russa (che però, per il momento, non è stata confermata) secondo cui in Ucraina si starebbe diffondendo anche il traffico e il commercio illegale di organi.
“Per i predatori e i trafficanti di esseri umani” ha dichiarato il Segretario generale delle Nazioni UniteAntonio Guterres nel marzo 2022, “la guerra non è una tragedia. È un’opportunità”; le guerre sono da tempo riconosciute come un fattore scatenante la tratta di esseri umani, sia sottoforma di sfruttamento lavorativo e sessuale, sia sottoforma di forme specifiche di conflitto, come il reclutamento di bambini soldato: per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, alcune di queste pratiche sono state più volte denunciate dall’ONU e da altre associazioni indipendenti. “Tali tendenze” scrivono gli autori del report The vulnerable millions “sono state osservate in Ucraina fin dal 2014 con lo scoppio del conflitto nel Donbass. Quegli eventi provocarono lo sfollamento di circa 1,4 milioni di persone, alimentando un aumento dello sfruttamento sessuale e lavorativo in Ucraina, Russia ed Europa”, fenomeni che si sono poi acuiti in maniera impressionante dopo il febbraio del 2022. Il report distingue tra due tipi di casi fondamentali: quello degli sfollati interni, ossia gli ucraini che si sono mossi da una parte ad un’altra del paese, e quello dei rifugiati, ossia coloro che hanno deciso di lasciare l’Ucraina e che, per la stragrande maggioranza, sono andati in altri paesi europei, in primis in Russia (con quasi 3 milioni di persone) e poi Polonia e Germania. Per quanto riguarda la prima categoria, secondo il report è attualmente il traffico sessuale il principale tipo di traffico di cui gli ucraini sono vittime; alcune comunità ucraine infatti, in particolare quelle vicine alla linea del fronte, non solo sono vittime degli stupri e delle violenze sessuali perpetrate dai soldati, sia della prostituzione a cui si auto – inducono dalla povertà: “I soldati ucraini” si legge nel report “sono ben pagati rispetto agli standard del paese, e questo dà loro un significativo potere di spesa. Questo elevato potere di spesa può dare ai soldati la capacità finanziaria di pagare per avere rapporti sessuali con donne altamente vulnerabili. I mercenari stranieri sono particolarmente attratti dal cercare servizi sessuali, data la loro mancanza di legami nazionali che potrebbero altrimenti agire come una misura di contenimento. Il maggior uso di droghe e alcolici tra i soldati aumenta anche il rischio di violenza sessuale e di abuso.” Come dicevamo, quasi 10 milioni di ucraini sono invece fuggiti in Europa e, nonostante l’assistenza, i rifugiati ucraini si trovano ancora in una condizione di estrema difficoltà: la dislocazione in culture e lingue straniere, la mancanza di fondi e di una rete sociale e la natura temporanea dell’alloggio sono limiti all’integrazione nel paese ospitante. Oltre al fenomeno della prostituzione, l’indagine dell’agenzia dell’UE per i diritti umani fondamentali ha rilevato una significativa presenza di pratiche di lavoro forzato tra questi rifugiati: tanti hanno lavorato e lavorano senza contratto, altri per un numero eccessivo di ore e paghe minime; anche nel nostro paese, si legge nel report, ci sono stati casi di questo sfruttamento che riguarda, soprattutto, i settori manifatturiero e turistico – alberghiero per le donne, e dell’edilizia e dei trasporti – logistica per gli uomini. E veniamo, infine, al traffico illegale di organi: per il momento abbiamo solo fonti russe o filorusse (che hanno più volte denunciato il problema) e diventa quindi difficile distinguere la verità dalla propaganda; non è comunque escludibile a priori che quanto venga raccontato sia vero e, per questo, abbiamo deciso di riportarvelo. I soldati ucraini catturati dai russi avrebbero denunciato che ad alcuni soldati ucraini – morti o in fin di vita – verrebbero espiantati organi senza il loro consenso o quello delle loro famiglie e rivenduti sul mercato nero: su questa ipotesi, non molto tempo fa era uscito un film russo dal titolo Carri armati per un rene che cercava di svelare i macabri contorni di questa presunta pratica identificando pure i possibili autori al vertice del commercio; nei giorni scorsi, invece, in un video ripubblicato anche dal giornale serbo Лати́ница, si vedono alcuni soldati russi dentro una biblioteca distrutta vicino Kupyans trovare un listino prezzi di parti del corpo umane:
si legge sul foglietto. Sul volantino ci sarebbero poi i nomi di determinati punti del fronte dove unità mobili in bicicletta potevano recarsi per la raccolta dei biomateriali e per eseguire le analisi necessarie. Secondo il giornale serbo Лати́ница, che riporterebbe le parole dei soldati e degli ufficiali ucraini catturati, i luoghi per l’estrazione e la dissezione si troverebbero a Izyum e nell’insediamento di Borovaya, nella regione di Kharkov, e gli organi prelevati sarebbero, prima di tutto, dei soldati ucraini feriti non più utili alla guerra; gli organi verrebbero poi inviati nei paesi in cui questo business è molto consolidato, come in America, Germania e Israele. Non molto tempo fa, anche il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev, aveva affermato che “I vertici militari ucraini sono coinvolti in questo traffico perché fa parte delle loro entrate, ossia quello che ottengono tacendo su queste operazioni”; a causa delle continue sconfitte sul fronte e con il paese ormai semidistrutto, infatti, i vertici militari – secondo Patrushev – sarebbero spesso coinvolti in schemi di corruzione basati sul principio del salvati da solo e prendi quello che puoi. Vladimir Olejnyk invece, ex parlamentare ucraino, aveva detto: “Non è un segreto che il traffico di organi stia fiorendo in Ucraina. E, se qualcosa viene tagliato – o meno – nessuno lo sa”; d’altro canto, sono note le preoccupanti cifre ufficiali secondo cui risultano dispersi più di 30mila soldati ucraini e, secondo le fonti russe, dopo le operazioni chirurgiche e il prelievo di organi dai corpi dei soldati morti o feriti, le famiglie delle vittime vengono informate che i loro cari sono scomparsi durante i combattimenti e, in caso di sepoltura, le bare non verrebbero aperte. A dire il vero, non è la prima volta che l’Ucraina finisce sotto i riflettori per questo motivo: nel 2014 era scoppiato un caso quando, in seguito alla scomparsa di numerosissimi bambini nel sudest dell’Ucraina, era venuta fuori la notizia di un diffuso mercato nero di organi in quelle zone, ma – al di là dell’attendibilità o meno di queste fonti – tutto questo ci riporta con la memoria ad un’altra triste vicenda, ossia al traffico di organi umani in Kosovo; dai documenti ufficiali che ricostruiscono quella vicenda emerge il macabro commercio di organi che venivano prelevati ai prigionieri serbi dai medici dell’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo, organi che venivano spesso prelevati in condizioni mostruose e senza anestesia e poi venduti attraverso una rete criminale in Turchia e in altri paesi prima di arrivare agli acquirenti, quasi sempre occidentali, che avevano bisogno di un trapianto e avevano soldi per pagare. Non sappiamo se l’ipotesi che qualcosa di simile stia avvenendo anche in Ucraina verrà confermata anche da fonti indipendenti e non coinvolte nella propaganda e vi promettiamo di tenervi aggiornati, ma quello che è sicuro è che non sappiamo più davvero cos’altro serva per far capire a tutti che questa guerra deve essere fermata al più presto e che il primo a rimetterci è proprio il popolo ucraino. E se anche tu pensi che i vertici ucraini e occidentali non stiano facendo il bene dei propri popoli e che si dovrebbe, al più presto, avviare dei negoziati, abbiamo bisogno di un media veramente libero e indipendente che contrasti la propaganda bellicista e innalzi le ragioni della pace. Aiutaci a costruirlo: iscriviti al nostro canale inglese e aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina TV su GoFundMe e su PayPal.
Insieme alla catastrofe ecologica, oggi stiamo assistendo ad una vera e propria catastrofe psicologica dei popoli occidentali. I dati sono inquietanti: sia l’Istat che il recentissimo studio Headway – Mental Health Index realizzato da The European House, ci dicono che il 20% degli italiani soffre di almeno un disturbo psichico, e questo senza contare i tantissimi casi di disagio sommerso che non appaiono nei numeri; ansia, depressione, stress, solitudine, paura i disturbi più diffusi. E il problema non è solo italiano, ma riguarda tutti i paesi occidentali più sviluppati.
Le contromisure prese dagli Stati e dalla Commissione Europea, come i corsi di prevenzione per bambini e adolescenti e i fondi destinati all’aumento di ambulatori specializzati, si stanno dimostrando un fallimento e sviano l’attenzione dalle cause profonde e strutturali di questa crisi. Come sostenevano i grandi sociologi e filosofi Mark Fisher e Oliver James – oggi in compagnia di sempre più numerosi psicologi e psichiatri – la così ampia diffusione di certe malattie mentali non può essere spiegata come un fatto puramente privato e medico, ma come un fatto politico, legato a un sistema culturale e produttivo – quello neoliberale – che stritola l’individuo e lo riduce ad una vita sempre più esigente, solitaria e disperata. Nel saggio Why Mental Health Is A Political Issue Fisher scrive che invece di affrontare il problema politico della questione, si assiste a un processo di continua privatizzazione dello stress in cui le cause strutturali e politiche di questo disagio vengono rimosse e taciute; nel frattempo, i profitti delle case farmaceutiche nell’industria degli psicofarmaci non fanno che aumentare, e sono passati dai 16 miliardi del 2018 ai 21 miliardi del 2022. Lo psichiatra Paolo Migone, direttore della rivista Psichiatria e scienza umane, scrive: “Le grandi multinazionali farmaceutiche penetrano ogni aspetto della medicina, condizionandone la cultura alla luce dei propri interessi che, come è naturale, non mirano proprio alla salute delle persone ma all’aumento dei loro guadagni. Per le case farmaceutiche, al limite, più malati ci sono meglio è, perché questo permette maggiori profitti. Nei Paesi in cui non vi è un servizio sanitario nazionale ma in cui la medicina è privatizzata la situazione è ancora peggiore”. Fisher e James individuano le cause della crescente diffusione dell’ansia, dello stress e della depressione negli elementi alienanti e patogeni della nostra cultura e del nostro sistema produttivo, e si augurano che contro la privatizzazione dello stress si assisterà, in futuro, a un processo di ri -politicizzazione delle malattie mentali, che permetta alla lotta politica di riappropriarsi di questa fondamentale dimensione sociale. “Esistono i singoli uomini e le singole donne, ed esistono le famiglie, non esiste nulla che possa definirsi società” ha detto una volta Margaret Thatcher dando voce ad una delle convinzioni profonde della cultura neoliberale. Il 13 gennaio del 2017 l’intellettuale inglese Mark Fisher, che aveva dedicato gran parte suo lavoro a confutare questa affermazione della Thatcher, morì suicida a causa di una profonda depressione che lo aveva accompagnato tutta la vita; Fisher accusava la Thatcher di essere uno dei massimi rappresentanti del cosiddetto Realismo capitalista, ossia di quell’atmosfera culturale oggi dominante per la quale il capitalismo neoliberale, nonostante tutti i suoi difetti, sarebbe comunque la miglior forma di società possibile, e che il tentativo di pensare un modello politico alternativo sarebbe ingenuo, ideologico, e in fondo incapace di fare i conti con la natura umana. Ma che cosa hanno a che fare la depressione, l’ansia, l’angoscia e i sempre più diffusi burnout con il realismo capitalista e l’idea che non esista nessuna comunità, ma solo un agglomerato di individui? Il punto è che, contrariamente a quanto sosteneva la Thatcher, la società esiste eccome e molti dei nostri problemi individuali hanno – non di rado – cause politiche ed economiche collettive. Secondo Fisher e James individualizzare i problemi, come fa la cultura neoliberista, serve ad aumentare i profitti delle industrie private e rendere più difficili soluzioni di natura sociale ed economica che prevederebbero quasi sicuramente una maggiore spesa pubblica, un aumento del ruolo dello Stato e, quindi, una redistribuzione della ricchezza delle élite capitaliste. Quello delle malattie mentali è, quindi, un esempio paradigmatico: il capitalismo neoliberale insiste sempre di più nel trattare forme come l’ansia e la depressione come se fossero fatti naturali alla stregua di un evento geologico o meteorologico e, quindi, da curare per via puramente individuale – e spesso farmacologica; se le malattie mentali sono solo il risultato di un’anomalia chimica nel cervello o di qualche trauma infantile e non hanno nulla a che vedere con fattori esterni come la precarietà finanziaria, l’emarginazione sociale o gli eccessivi stimoli nervosi prodotti dai mezzi tecnologici, allora nessuno si porrà la domanda se non sia la nostra stessa società a essere malata. Le spiegazioni puramente mediche e psicologiche, scrivono invece Fisher e James, possono sì spiegare le radici delle problematiche dei singoli casi, ma sono del tutto incapaci di spiegare le cause della loro quantità e diffusione in un determinato contesto.
Perché – dovremmo chiederci – un così grande numero di disturbi psichici dello stesso tipo si presentano tutti nel contesto della società tecnocapitalista contemporanea? In Realismo capitalista, Fisher scrive: “L’ontologia oggi dominante nega alla malattia mentale ogni possibile origine di natura sociale. Ovviamente, la chimico – biologizzazione dei disturbi mentali è strettamente proporzionale alla loro depoliticizzazione: considerarli alla stregua di problemi chimico – biologici individuali, per il capitalismo è un vantaggio enorme. Innanzitutto, rinforza la spinta del Capitale in direzione di un’individualizzazione atomizzata (sei malato per colpa della chimica del tuo cervello); e poi crea un mercato enormemente redditizio per le multinazionali farmaceutiche e i loro prodotti (ti curiamo coi nostri psicofarmaci)”. “Che qualsiasi malattia mentale” conclude Fisher “possa essere rappresentata come un fatto neurologico è chiaro a tutti. Ma questo non ci dice nulla sulle cause. Se per esempio è vero che la depressione generalmente comporta un basso livello di serotonina, allora quello che va spiegato è perché in determinati individui il livello di serotonina sia basso. Farlo però richiede una spiegazione sociale e politica”. Particolarmente devastanti per la nostra sfera psichica sono oggi le nuove strutture di prestazione, basate su valori di auto-sfruttamento, di spietata competizione e sulla necessità – per stare al passo degli altri – di elaborare incessanti informazioni e input mediatici; inoltre, il mito della meritocrazia, che ha la chiara funzione di legittimare lo status quo e di nascondere i reali rapporti di classe, coltiva l’illusione secondo la quale chiunque abbia voglia di lavorare sodo e abbia la giusta dose di coraggio e intelligenza può avere accesso ai gradi più alti della società. Questa favola, ormai smentita in lungo e in largo, porta chi si trova incastrato a un livello sociale basso a non lottare politicamente contro un sistema ingiusto, ma a incolpare soltanto se stesso per non essere riuscito a ottenere un livello di vita soddisfacente; su questo punto, nel saggio L’espulsione dell’Altro, Il filosofo coreano Byung-Chul Han scrive: “Nel nostro tempo si genera una nuova forma di alienazione. Non si tratta più dell’alienazione dal mondo o dal lavoro, bensì di un’autoalienazione distruttiva, di un’alienazione da se stessi. Questa autoalienazione si verifica proprio nella forma dell’ottimizzazione di se stessi e dell’autorealizzazione”. Difficile, quindi, non mettere in relazione questa forma di autosfruttamento e di autoalienazione con la dilagante epidemia di ansia, burnout e di disturbi depressivi. Ri – politicizzare le malattie mentali significa quindi non cedere all’ingenua convinzione che uno psicologo o un farmaco possano, con poteri sovrumani, farsi carico delle contraddizioni di un sistema che stritola le persone e ne aggrava le debolezze, e significa che queste contraddizioni possono essere risolte non aumentando i profitti di qualche settore privato, ma solo attraverso la lotta e l’organizzazione politica. Le catastrofi climatiche, economiche e psichiche che affliggono le persone al tempo del capitalismo neoliberale sono indice del fatto che questo sistema, anziché essere l’unico che funziona, è un sistema profondamente disfunzionale.
Come è possibile, allora, che alla luce di queste condizioni di vita insostenibili il realismo capitalista abbia ancora successo? Il punto – scrive Fisher in Not Failing Better, But Fighting to Win – è che “non è mai stato concepito per convincere la gente che il capitalismo è un ottimo sistema”, ma molto più realisticamente e subdolamente “per convincerla che è l’unico sistema praticabile, e che la costruzione di un’alternativa è impossibile”; pensate solo a tutte le volte che vi siete imbattuti direttamente in una delle tante forme che il disfattismo ha assunto nel dibattito contemporaneo: anche i commenti sulle bacheche di Ottolina spesso trasudano disfattismo da ogni parola. Solitamente ci viene spacciato come lucido e cinico realismo; in realtà, ci dice sostanzialmente Fisher, non è altro che il risultato di un gigantesco lavaggio del cervello architettato nei minimi dettagli: è questa l’ultima e più insidiosa delle armi a disposizione di chi si ostina a difendere un sistema disfunzionale e feroce che mette a rischio non solo la sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta, ma anche – nell’immediato – la salute della nostra mente e, qualsiasi cosa significhi, della nostra anima. Su tutti questi temi non perdetevi l’intervista che pubblicheremo stasera, lunedì 18 dicembre, al professor Vincenzo Costa, uno dei massimi esperti del rapporto tra neoliberismo e disturbi psichici. Contro il disfattismo del realismo capitalista, e contro la solitudine e l’isolamento ai quali vorrebbe condannarci, abbiamo bisogno di costruire un media che dia voce al 99% e che ci aiuti a trasformare il nostro disagio individuale in una forza propulsiva collettiva in grado di rovesciare lo stato attuale delle cose. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.